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Capitolo XXII


https://youtu.be/t2NgsJrrAyM


  I was born in a thunderstorm

I grew up overnightI played aloneI'm playing on my ownI survivedHeyI wanted everything I never hadLike the love that comes with lifeI wore Ambien and I hated itBut I survived... 


[ Sia - Alive] 





Ore 22.00 – Mosca, Bunker

Dimitri osservava la faccia squadrata di Konstantin Woboroba, e l'unica cosa che avrebbe desiderato in quel momento era trovarselo davanti sul ring del Black Diamond per spezzargli un paio di ossa e togliergli quell'espressione strafottente sul viso, un po' come aveva fatto con Ioann Woboroba. Da quando suo padre era morto e gli aveva lasciato lo scettro di Referente, che Dimitri non aveva mai contestato per questioni di mantenimento dell'ordine, l'ego già troppo smisurato di Konstantin non aveva fatto altro che crescere. E adesso si era arrogato il diritto di poter rappresentare tutti i russi di Mosca di fronte e lui.

Dimitri era teso, perché si era sforzato di raggiungere il Bunker, un locale malfamato della periferia est di Mosca; Yosif, suo cugino maggiore, gli aveva consigliato di andarci per parlare a quattrocchi con Woboroba e sistemare la situazione più in fretta e senza spargimenti di troppo sangue. Non amava essere convocato e non amava in generale i Woboroba, e aveva accettato il suggerimento solo per dimostrare di voler davvero sistemare le cose.

Era solo, a parte Radim che lo aspettava fuori dentro il Pathfinder, in un vicolo non troppo lontano, e aveva lasciato tutti a casa a presidiare l'appartamento di Vilena; nonostante tutto non poteva negare di voler essere da un'altra parte in quel momento. Aveva la sensazione di non avere tutto sotto controllo, e questo lo indisponeva all'inverosimile.

Continuò a fissare la faccia di Konstantin, resa quasi arancione per via delle luci del locale, intorno a loro solo pochissime persone, per lo più intente a farsi i fatti propri. I minuscoli tavolini di metallo grigio erano quasi tutti vuoti, e dietro il bancone un unico barista, la barba nera e lunga e l'espressione arcigna.

<< I Matveev sono infuriati, Goryalef >> disse Konstantin, la catena d'oro che brillava sotto la luce fioca del locale, con il tono di chi racconta qualcosa di poco interessante, << Hai ucciso il loro capo a sangue freddo, per sospetti che non puoi confermare... Sai meglio di me che non avevi alcun diritto di farlo >>.

Dimitri mostrò i denti in un ghigno, rivolgendogli un'occhiata carica di divertimento e di minaccia.

<< Non avevo il diritto di farlo? >> disse, << Sono la Lince, ho il diritto di fare quello che mi pare, compreso uccidere un traditore come lui. Non ti devo giustificazioni, questo ti sia chiaro >>.

Konstantin mosse con aria pigra il bicchiere del cocktail che stava bevendo, e Dimitri vide sul dorso della sua mano la cicatrice bianca che il suo coltello gli aveva procurato, quando due anni prima quella stessa mano si era posata addosso a Fenice. In effetti, le dita si muovevano a scatti e con una certa difficoltà, segno che aveva preso bene la mira- Gli provocò un moto di soddisfazione il ricordo del rumore dei tendini lacerati di Konstantin e del suo grido di dolore.

<< Quando ci riuniremo dovrai per forza spiegare la morte di Milad Buinov >> rispose Konstantin, ostentando una sicurezza che non avrebbe dovuto palesare, << Sapevamo tutti chi era, compreso Matveev, e pochi volevano avere a che fare con lui: una testa troppo calda. Però sei tu quello che si è sempre appellato alle regole; non puoi pretendere che le rispettino solo gli altri, e tu no. Hai ammazzato un ragazzino minorenne >>.

Erano tutti moralismi falsi come il suo coraggio, e Dimitri si lasciò andare a un moto di impazienza.

<< Non faccio mai nulla senza motivo >> ribatté, << La vita di un bastardo come Buinov ne non vale cento di un qualsiasi membro della famiglia Goryalef>>.

Non voleva parlare delle minacce ai bambini, perché non voleva far capire a Woboroba che Yana o Serjey potevano essere i suoi punti più sensibili. Rivelare apertamente che i due bambini erano stati minacciati significava mettere loro un bersaglio addosso, e sia Konstantin che qualsiasi altro russo suo nemico avrebbero potuto usarli contro di lui.

<< E' questo che dirai alla riunione? >> domandò Konstatin, mascherando un sorriso, << Che volevi proteggere la tua famiglia? Qui parliamo di affari, Goryalef; affari dove intere famiglie sono state sterminate... Credi che di fronte al denaro siano davvero importanti le vite delle persone? >>.

Dimitri sentì la rabbia montargli addosso, perché Woboroba voleva insegnargli come funzionavano le cose a Mosca; aveva la presunzione, inesatta, di sapere meglio di lui come stavano le cose, ma si sbagliava di grosso. La Lince sapeva che di fronte a regole, di fronte a legami di famiglia, il denaro avrebbe sempre vinto; che di fronte alla possibilità di guadagnare e la vita di qualcuno, i russi avrebbero scelto il denaro. Le regole... Le regole non esistevano più, erano solo una stupida farsa per cercare di mantenere le cose più tranquille di quanto erano, ma avevano smesso di avere valore quando sua sorella Lora era stata ammazzata. L'ultimo che aveva creduto in quelle poche tradizioni era stato suo padre, Lince a sua volta, ma con la sua morte erano morte anche quelle usanze. Solo la famiglia Goryalef e poche altre continuavano a rispettarle, nel bene e nel male; tutti gli altri le usavano a loro piacimento, solo quando portavano loro vantaggio. Ora che persino lui aveva infranto una delle regole che aveva dettato, tutti gli altri avrebbero smesso di nascondersi dietro quelle credenze.

Woboroba non poteva pretendere di insegnargli nulla, non lui che aveva ereditato il suo posto di Referente e ora aveva la presunzione di poter rappresentare tutti. Era solo una brutta copia di William Challagher, con meno soldi e meno intelligenza.

<< Non fornirò nessuna spiegazione >> ribatté Dimitri, la voce bassa e gelida come l'aria di Mosca, << Non devo farlo >>.

<< Allora ti uccideranno >> disse Konstantin.

Dimitri ghignò. Ucciderlo... In quanti avevano tentato di farlo fuori, in quegli ultimi due anni? Era troppo dannato per andare al creatore; molto probabilmente sarebbe stato risputato fuori dall'inferno.

<< Che lo facciano. Ne hanno il coraggio? >>.

<< Certo che lo hanno >> rispose Konstantin, << Ma una volta morto chi proteggerà la famiglia a cui tieni tanto? >>.

La faccia del russo era quella di uno che credeva di avere la situazione in pugno; la sua mano continuava a roteare il drink con noncuranza e poca grazia.

<< Che cosa vuoi propormi, Woboroba? >> domandò Dimitri, << Mi ha fatto venire qui per questo, e non ho altro tempo da perdere con te >>.

Konstantin sorrise.

<< Cedi il tuo posto >> rispose, << Lascia il ruolo di Lince e molto probabilmente verrai risparmiato... Dopo sarai costretto ad andartene, ma sarai vivo >>.

Dimitri capì immediatamente dove voleva andare a parare con quel discorso.

<< A chi dovrei lasciare il mio posto? >> domandò, anche se conosceva già la risposta.

<< A me >>.

Konstantin lo guardava come se gli stesse proponendo un vero affare; credeva che la sua offerta di redenzione potesse tentarlo, ma non era mai stato così lontano dalla realtà. Era un'idiota, non c'era altro da dire su di lui.

Dimitri spinse lontano il suo bicchiere di vodka vuoto, indugiando apposta per innervosirlo.

<< No >> rispose solo.

<< Sei pazzo a non accettare >> disse Konstantin, rigirando nuovamente il suo bicchiere. << Posso mediare con gli altri Referenti e con la famiglia Matveev, e convincerli a chiudere qui questa storia. Potrai andartene con la tua famiglia dove ti pare >>.

Woboroba era un illuso, e la sua proposta dimostrava tutta la sua incompetenza. I russi, da sempre, lavavano le offese con il sangue; una morte a loro giudizio ingiusta non poteva essere perdonata, non senza una giusta contropartita. Che lui avesse lasciato o tenuto il suo posto da Lince, dai Matveev si sarebbe sempre dovuto guardare.

<< Sei pazzo tu a propormelo >> ribatté Dimitri, alzandosi. << Non sono disposto a scendere a nessun tipo di compromesso. Non l'ho mai fatto >>.

Voleva andarsene, perché incontrare Konstantin era stata solo una perdita di tempo. Il russo però non sembrava avere l'intenzione di lasciarlo andare, non subito almeno. Si schiarì la voce, un ghigno malcelato sulle labbra.

<< L'hai mai più rivista? >> domandò, alzando la mano con la cicatrice e muovendo appena le dita.

Il labbro di Dimitri si arricciò, quando capì la provocazione. Si pentì di non avergli tagliato la lingua quella sera, e avergli solo ferito la mano.

<< No >> rispose, secco.

Konstantin inarcò un sopracciglio.

<< Peccato... >> disse, << Aveva un così bel visetto... Finita questa storia, potrei pensare di andare a trovarla >>.

Dimitri lo fulminò con gli occhi, ma non si mosse. Non era il momento giusto per fare battute del genere, e non era dell'umore per non infuriarsi. Solo che nessuna frase gli era mai sembrata più sbagliata di quella. Decise di non dire nulla e lasciare al silenzio la sua risposta.

Si voltò e uscì dal locale, per raggiungere a piedi l'Audi R8 parcheggiata un centinaio di metri più in là. Radim, ancora in attesa nel vicolo poco distante, lo avrebbe visto passare e lo avrebbe seguito.

Le provocazioni di Konstatin erano vuote, lo sapeva, ma ogni riferimento a Fenice lo rendeva sempre più nervoso, e questo non contribuiva al suo umore nero. Odiava dover pensare a lei, e odiava altrettanto quella sensazione allo stomaco che gli si scatenava di fronte alle minacce rivolte a Fenice. L'ultima volta che era successo aveva conficcato un coltello della mano di Woboroba.

L'aria era gelida, mentre camminava per strada, i muscoli tesi per il fastidio e la rabbia.

Non sarebbe stato così nervoso, se Konstantin non avesse tirato in ballo Fenice.

Perché diavolo tutti improvvisamente continuavano a parlare di lei?

Perché nessuno...

Una lama scintillò nel buio, quando Dimitri svoltò nel vicolo. Un corpo grosso e pesante gli saltò alle spalle, cercando di afferrarlo per i polsi, nel vano tentativo di immobilizzarlo... I muscoli di Dimitri, già tesi come corde, lo fecero scattare. Si abbassò per evitare il coltello diretto alla sua gola, poi si girò appena in tempo per vedere Konstatin che cercava di ferirlo a un fianco.

In un attimo, la rabbia che aveva represso fino a un attimo prima venne fuori, e Dimitri si ritrovò ad afferrare la lama di piatto con la mano, tagliandosi i polpastrelli ma strappandola dalla presa di Konstantin. Lo colpì al volto con un pugno, mentre un grido di dolore gli usciva dalla bocca, prima di prenderlo per la nuca a tagliargli la gola.

Riprese a respirare solo quando sentì il rantolo di Konstantin morirgli nei polmoni, il calore del sangue che gli colava tra le dita e il fiato che si condensava nella notte.

Dimitri rimase immobile per un paio di secondi, poi lasciò andare il corpo di Woboroba come un sacco vuoto e deforme. Il russo cadde con un tonfo, la lama che tintinnò nel silenzio del vicolo buio, mentre la gettava sull'asfalto.

Un attimo dopo era sulla R8, gli abiti sporchi di sangue ma il cuore perfettamente controllato, sfrecciando verso casa, i nervi a fiori di pelle.

Aveva agito di impulso; Konstantin non avrebbe dovuto attaccarlo alle spalle. Non si pentiva affatto di averlo ucciso, ma questo non migliorava la sua posizione. A quella stupida riunione avrebbe dovuto giustificare tre morti, non solo due.

Quando Emilian lo vide arrivare con gli abiti macchiati di sangue, gli fece solo un'unica domanda.

<< Chi? >>.

<< Konstantin Woboroba >> rispose Dimitri, raggiungendo il suo appartamento per togliersi i vestiti, << Trova un hotel lontano da Mosca. Vilena e i bambini devono andarsene di qui >>.




Ore 8.00 – Los Angeles, Casa di Irina

<< Il bilancio della sparatoria è grave: dieci morti e quattordici feriti, anche se la polizia ammette che sarebbe potuto andare molto peggio, visto l'elevato numero di persone presenti nel locale a quell'ora >>.

Irina ascoltava il telegiornale gettando ogni tanto qualche occhiata allo schermo, mentre riempiva un vecchio zaino con qualche cambio di vestiti e della biancheria. Fu costretta a bloccarsi, quando sentì il numero di morti al Vertical Drag.

Dieci.

Dieci persone avevano perso la vita per cosa? Perché qualche pazzo aveva dei conti in sospeso con lei con la Black List? Per il controllo delle strade di una stupida città, o semplicemente per ripicca?

Tutto quello non aveva senso, e un enorme groppone le si formò in gola, quando ebbe definitivamente la conferma da un messaggio di Spark, che sia Casey Valaghan sia Hilàrio Melo erano stati uccisi.

Morti, entrambi.

Le venne da piangere, ma cercò disperatamente di trattenere le lacrime. Ora era tardi per farsi degli scrupoli, era tardi per pensare a non mettere in mezzo più nessuno.

Mentre raccoglieva le ultime cose dalla sua stanza, accatastandole in uno scatolone di cui non sapeva ancora cosa fare, si sentì sola, incredibilmente sola. Si fermò, guardando quel misero appartamento vuoto che continuava a sapere di vecchio, ricordando ogni istante che l'aveva portata fin lì.

William Challagher era morto, portandosi dietro la speranza di poterlo aiutare.

Xander non c'era più, e con lui non c'era nemmeno più la possibilità di fare la scelta giusta.

La Black List, quella originale, era solo un ricordo; anzi, era solo un adesivo sul cofano di un'auto gialla.

Max aveva lasciato Los Angeles per andarsi a nascondere forse dall'unica persona che da quella storia era riuscita a salvarsi.

Todd era stato mandato via, con l'intento di salvarlo da se stesso e da quella figlia che non aveva fatto altro che cacciarsi nei guai.

Tutti gli altri non esistevano più.

Irina capì di essere sola come non mai, molto più sola di quando lo era stata all'inizio della sua carriera di pilota clandestina. Allora aveva Tommy, aveva Jenny, aveva in qualche modo una famiglia dalla quale tornare; adesso non aveva altro che se stessa. Non c'era nessuno in quel momento a Los Angeles che potesse dire di conoscere davvero la sua storia, di poter dire di ricordare quando William era vivo o quando Xander era arrivato.

Nessuno.

In quel momento avrebbe voluto qualcuno con cui parlare, magari farsi sgridare, magari farsi consigliare, magari semplicemente qualcuno da abbracciare e piangere finché gli occhi non le si sarebbero chiusi. Invece, l'unica cosa che aveva era una maschera da mettersi in faccia, una maschera forte nella speranza che nessuno notasse la debolezza che c'era dietro.

A ogni oggetto che Irina infilava nella scatola, la convinzione che non sarebbe più tornata si faceva più forte.

Quante possibilità aveva di uscire viva, visto che si ostinava a voler fare tutto completamente da sola? Probabilmente pochissime; stava per andare a Caracas, una delle città più pericolose del mondo, armata di un paio di pistole di piccolo calibro e di una Ferrari gialla che avrebbe attirato subito l'attenzione. Magari non ci sarebbe nemmeno arrivata, magari l'avrebbero fatta fuori molto prima.

Non voleva chiedere aiuto a nessuno, comunque. Era una questione personale, non solo per via di Xander, ma anche per la Black List, e non c'era nessuno che potesse condividere con lei quella crociata, non con lo stesso animo.

O forse sì, qualcuno c'era.

Irina gettò malamente un paio di scarpe da ginnastica nello scatolone, cercando di scacciare il pensiero dalla testa.

Non avrebbe chiesto aiuto al Mastino, mai. Era troppo lontano e troppo compromesso per potergli chiedere un favore del genere. E poi, nemmeno lui faceva più parte della Black List.

Dov'era, in quel momento? In Russia, o da tutta un'altra parte?

Era vivo? Stava bene?

Aveva trovato pace per se stesso, almeno lui?

Richiuse lo scatolone, lo abbandonò in un angolo della stanza e guardò l'orologio. Aveva ancora qualche ora, prima di lasciare definitivamente la casa. Alle cinque sarebbe andata all'appuntamento con il proprietario per lasciargli le chiavi e saldare le ultime due settimane di affitto, quindi poteva sbrigare ancora qualche faccenda. Raccolse le ultime cose, sigillò lo scatolone e gettò nella spazzatura tutto il resto.

Spark e Brendan la aspettavano al caffè Santa Monica, a pochissimi passi da casa sua. Sembravano nervosi, forse per il fatto che non si aspettavano di essere chiamati la mattina così presto, non quando la sera prima erano sfuggiti a una sparatoria. Sembravano un po' stanchi, ma nel complesso stavano abbastanza bene. Irina li invitò a sedersi a un tavolino, mentre una cameriera portava loro i caffè.

<< Sapete già perché vi ho chiamato >> iniziò lentamente, << Quindi non starò a ripetervi da capo tutta la storia. Devo andarci da sola, su questo non ci sono dubbi >>.

Brendan annuì, ma Spark le rivolse un'occhiata dubbiosa, e dietro la barba la sua bocca assunse una strana piega.

<< Il Venezuela è lontano, Fenice >> disse.

<< Lo so >> lo interruppe Irina, << Ma non lo è abbastanza da costringermi a rimanere qui. Stasera partirò, e quando lascerò Los Angeles vi chiedo un'unica cosa: pensate a voi stessi. Non fatevi vedere, non date nell'occhio, non sfidate Jorgen Velasquez e la sua banda. Tenete un profilo più basso possibile, non cacciatevi nei guai. Non voglio che nessuno muoia più per colpa mia, e voi siete i primi. Chiaro? >>.

Sia Brendan sia Spark annuirono.

<< Non so quanto starò via >> continuò, << Potrebbero essere settimane, mesi, anni. Potrei anche non tornare, se le cose si mettessero male, perciò non aspettate il mio ritorno, in nessun modo. Non dite a nessuno dove sono andata. Fintanto che Velasquez rimarrà a Los Angeles, non mettetevi contro di lui. E' dura ammetterlo, ma il mio tentativo di ricreare la Black List è fallito. Non vi chiederò di rimanermi fedeli; anzi, vi ordinerò di non farlo >>.

Ignorando le loro espressioni confuse, Irina appoggiò sul tavolino due buste di carta spessa, rigonfie. La spinse verso i due, mentre la cameriera portava i caffè. Attese che se ne andasse, prima di continuare.

<< Lì dentro ci sono le chiavi della mia Audi TT, che al momento è ferma nel parcheggio interrato del Centro Commerciale di Santa Monica >> disse, << E' tua, Spark. Meriteresti di più, lo so, ma in questo momento è l'unica cosa che posso darti per ringraziarti del tuo aiuto. Fa solo attenzione, quando la userai, perché è stata segnalata in centrale di polizia. Dovrai far cambiare la targa >>.

Spark rimase in silenzio, senza parole.

<< Per te, Brendan, c'è un cellulare. Il mio cellulare, con i numeri di telefono di quei pochi contatti che mi sono rimasti, ma che potrebbero esserti utili. Se chiameranno, sei autorizzato a rispondere a mio nome. Sempre >>.

Tutto quello aveva il sapore di un addio, ma la sua voce rimase ferma e sicura. Irina aveva pensato bene a ogni mossa; non stava agendo solo d'istinto.

<< E' tutto ciò che in questo momento posso lasciarvi >> aggiunse, << Non è molto, ma è ciò che mi rimane. Se dovessi tornare, non vorrò nulla indietro, questo è certo >>.

<< Fenice... >> iniziò Brendan, ma Irina alzò la mano per fermarlo.

<< Non ringraziatemi >> disse rapidamente, << Non dovete dirmi grazie per nulla. Tutto ciò che è successo a Los Angeles negli ultimi anni è dovuto a me, compreso questo casino. Per colpa mia delle gente è morta, e niente la farà tornare indietro. Fate solo ciò che vi ho chiesto, per favore >>.

Bevve il suo caffè, in attesa che i due dicessero qualcosa, ma il silenzio perdurò più del dovuto. Alla fine Brendan le rivolse un'occhiata, ma fu Spark a parlare.

<< Faremo ciò che ci chiedi, ma da come parli questa sembra essere la fine della Black List... >>.

<< Potrebbe esserlo >> convenne Irina, << Non so come finirà questa storia. Una volta avrei avuto fiducia, ora non lo so >>.

Non sapeva se la Black List, la sua, avrebbe continuato ad esistere, in qualche modo. Non sapeva niente. Era tutto un incognita.

Si alzò, cogliendoli alla sprovvista. Indugiare non serviva.

<< Grazie per tutto ciò che avete fatto per me, e per la fiducia che mi avete dato >> disse, << Grazie davvero. Arrivederci >>.

Si voltò, senza dare loro modo di dire nulla, e lasciò il bar. Con le mani affondate nelle tasche della giacca si diresse verso casa sua, e cercò di fare finta di niente quando si accorse che Brendan le era rimasto dietro. Sentiva i suoi passi a pochi centimetri da lei.

<< Avevo sentito un sacco di cose su di te, Irina >> disse il ragazzo, affiancandosi, << Compreso il fatto che fossi l'unica ragazza in grado di tenere testa allo Scorpione, quando nessuno ci era mai riuscito... Ora capisco il perché >>.

Irina si fermò, lo sguardo di Brendan incollato alla sua faccia. Per un attimo, un solo attimo, la sua espressione le ricordò quella di Xander la prima volta che l'aveva vista gareggiare.

<< Hanno detto molte cose di me, ma la maggior parte sono sbagliate >> disse lentamente, << Non ho mai tenuto testa a William Challagher... Ho semplicemente pensato solo a me stessa >>.

Brendan scosse il capo, sorridendo.

<< Sei sicura di voler andare da sola? >> le domandò, a bruciapelo. << Anche se potrei diventare il numero uno della Black List, preferirei che non ti succedesse niente >>.

Improvvisamente, Irina capì; capì dallo sguardo di quel ragazzo che la sua maschera di Fenice aveva fatto di nuovo colpo. Lo stomaco le si chiuse, quando si rese conto che era l'ultima cosa che voleva. La sua storia lo dimostrava: non era fatta per le relazioni.

<< Sì >> rispose, << E' diventata una questione personale, e credo che tu non debba preoccuparti per me. Anzi, non farlo >>.

Gli rivolse un'occhiata eloquente, un'occhiata carica di rispetto, gratitudine ma anche di qualcosa che diceva "non perdere tempo con me, non lo merito".

Brendan capì, perché sorrise ancora una volta e mosse la testa in un cenno di assenso; era intelligente, e Irina lo rispettò ancora di più, per la sua reazione.

<< In bocca al lupo, Fenice >> disse solo, porgendole la mano.

Irina la strinse.

<< Crepi. State lontani dai guai. Spero di rivedervi, tutti >>.

<< Anche noi >>.

Con un ultimo saluto, Irina si voltò e proseguì verso casa, accertandosi di non essere seguita. Una volta nel suo appartamento, fece mente locale e decise di dedicare le ultime ore che aveva a disposizione per pianificare gli ultimi particolari del suo viaggio.

Ore 07.00 – Istra, Hotel National

La camera 512 dell'Hotel National, nel centro di Istra, a cinquanta miglia da Mosca, era ampia, grande quasi come un appartamento, ed estremamente lussuosa. Mobili antichi e di pregio arredavano il soggiorno, e un grande letto a baldacchino campeggiava al centro della camera. Pesanti tende di tessuto chiaro schermavano le stanze dalla luce esterna del mattino.

Dimitri fissava la tazza di caffè vuota appoggiata sul tavolo, ascoltando il silenzio dell'hotel e i battiti controllati del suo cuore, mentre ripensava alle ultime ore e all'uccisione di Konstantin Woboroba, tutto tranne che calcolata.

Non agiva mai senza pensare, ma questa volta il russo si era dimostrato troppo avventato nei suoi confronti; non aveva tollerato nulla del suo comportamento, non aveva tollerato le sue parole e non aveva tollerato il suo agguato alle spalle. Non si pentiva, ma sapeva che la situazione peggiorava ulteriormente.

Il fratello minore di Konstatin, Donat, gli aveva già fatto sapere che era sulle sue tracce e che la sua intenzione era ucciderlo, aiutato dalla sua folta schiera di parenti e dai suoi nuovi alleati, i Matveev. Aveva praticamente tutta Mosca contro di lui, compreso Bronislav Pektrovic. Aveva detto in giro che Darina era stata rapita con la forza dalla Lince, quando era stato proprio Dimitri a domandarle se voleva andare con loro o preferiva tornare a casa, quando aveva fatto evacuare il palazzo dei Goryalef.

Il rumore di qualcuno che bussava alla porta lo costrinse a riscuotersi; Emilian, l'espressione un po' stanca sul volto sfigurato, entrò seguito a ruota da Vilena, profonde ombre sotto gli occhi e i capelli raccolti in una coda bassa. Entrambi si sedettero di fronte a lui, in silenzio.

Avrebbero dovuto prendere una decisione, Dimitri lo sapeva.

Sua sorella non era contenta di essere stata trascinata in piena notte con i suoi bambini lontano da casa, senza preavviso, senza la possibilità di prepararsi, ed essere sbattuta in un albergo, anche se di lusso. Nemmeno a lui era piaciuto riservarle quel trattamento, ma non aveva avuto altra scelta. Forse in quell'esatto istante, mentre loro erano seduti a quel tavolino, il loro palazzo era stato appena perquisito.

<< Ho due alternative da proporti, Vilena >> disse Dimitri senza tanti preamboli, << La prima è andare a Volvograd, a casa di Boris, e rimanere lì finché le cose non si metteranno a posto. La seconda è scegliervi un posto molto lontano da qui, e trasferirvi a tempo indeterminato. In ogni caso, non potete più tornare a Mosca >>.

Vilena lo fissò infastidita e arrabbiata, anche per via di quel suo modo di dire le cose, fin troppo diretto.

<< Era proprio necessario tutto questo? >> domandò, << Era proprio necessario far morire tutta questa gente per uno stupido soprannome? >>.

Dimitri arricciò il labbro, mentre Emilian rimaneva in silenzio. A quel tavolo, tutti sapevano che non potevano esserci altre soluzioni, che erano fatti così, il loro mondo era fatto di bagni di sangue come quello, e chiedere cose diverse era un'utopia. Quello che solo Dimitri sapeva, però, era che di quel soprannome non gliele importava nulla, che aveva assunto quel ruolo solo nella speranza di mantenere un po' di ordine a Mosca, e per nessun'altro motivo. Se fosse stato per lui, solo per lui, se ne sarebbe andato di nuovo, esattamente come aveva fatto dopo la morte di Lora. Eppure, esattamente come allora, le cose stavano di nuovo degenerando, coinvolgendo donne e bambini.

<< Sì, lo era >> rispose seccamente.

Vilena quasi sbuffò.

<< Sai cosa mi stai chiedendo, vero? >> domandò, << Yana e Serjey non sono pronti per questo... Non meritano di... >>.

<< Non meritano di vivere in una città dove troveranno solo criminali >> la interruppe Dimitri, << So tutto. Non dirmi cosa è meglio per loro. Prenditi qualche ora, qualche giorno, ma decidi. Parlane con Iosif, parlane con i bambini, ma scegliete. Mosca non è più luogo sicuro >>.

Vilena scosse il capo, come a dire che era impossibile.

<< E tu che cosa hai intenzione di fare? >> chiese.

<< Torno a Mosca ed elimino tutte le mele marce >> rispose, di ghiaccio.

Tanto non aveva alternative. Se si fosse nascosto, avrebbe avuto i Woboroba e i Matveev alle costole, e Vilena e i bambini, anche se lontani, potevano comunque essere in pericolo; se fosse andato con loro, sarebbe stata la stessa cosa. La scelta più ovvia era dividersi: loro in un posto sicuro, lui a Mosca a far scorrere l'ultimo sangue e a lavare le offese con la violenza. Ci sarebbero voluti anni, ma forse alla fine avrebbe avuto di nuovo la città sotto controllo... Non gliene importava nulla, ma era la scelta migliore. Tanti anni prima, suo padre aveva scelto lui come suo successore proprio perché era l'unico in grado di fare quello che andava fatto, anche contro la propria volontà. Non si sarebbe smentito adesso.

<< Ti farai ammazzare >> disse Vilena, << Che senso ha... >>.

<< Non dirmi cosa posso o non posso fare >> ringhiò Dimitri, zittendola, << Questa è la mia decisione, non la cambierò per paura di finire ammazzato. Rimarrò a Mosca finché sarà necessaria la mia presenza >>.

Vilena sembrò sul punto di dire qualcosa, ma non lo fece. Forse voleva rinfacciargli la sua scarsa umanità, forse voleva semplicemente dirgli che preferiva vederlo morto... Si alzò in silenzio e lasciò la stanza, mentre Emilian si rilassava appena sulla sedia.

<< Abbiamo quindici famiglie contro >> disse lentamente, << Non sarà facile... >>.

<< Non ti ho detto di seguirmi >> ribatté Dimitri.

Emilian rimase in silenzio; aveva una moglie da cui tornare, e non era sua intenzione far rimanere Ivana vedova. Non lo avrebbe mai detto, ma il suo piano era un piano suicida. Se fosse tornato a Mosca, anche con tutti i suoi cugini al seguito, era comunque in minoranza numerica; prima o poi, qualcuno sarebbe morto, magari proprio la Lince.

<< Sarebbe disonorevole lasciarti andare da solo >> ribattè Emilian, seriamente, << Questa cosa riguarda tutta la nostra famiglia >>.

<< Questa cosa riguarda me e basta >> ribatté Dimitri, << Te ne andrai con Vilena e gli altri, non mi importa cosa pensi. Te lo sto ordinando, non te lo sto chiedendo >>.

In quel preciso istante, la porta si aprì lentamente, e Yana entrò piano piano, avvolta nel suo pigiamino di flanella lilla. Stringeva tra le braccia il peluche di un pinguino, e anche se aveva dormito poco come tutti loro, sembrava perfettamente sveglia.

Yana rimase qualche istante sulla soglia, senza traccia di timore sul viso. Poi si avvicinò, continuando a stringere il suo pupazzo, i capelli biondi legati in due codini ai lati del viso.

<< La mamma ha detto che non torniamo più a casa >> disse con la vocina sottile, << E' vero? >>.

<< Sì >> rispose solo Dimitri.

<< Perché? >>.

<< Mosca non è sicura >>.

Yana fece una strana faccia, come se le avesse detto una cosa che sapeva già. Per un attimo, sembrò avere dieci anni in più, degli otto che aveva; durò solo il tempo di ricordargli quanto l'ingenuità di un bambino fosse preziosa.

<< Ci sono i cattivi? >> domandò, << Come quelli che mi avevano preso l'altra volta? >>.

Yana si riferiva a Challagher; ricordava benissimo quell'episodio, e sapeva anche chi l'aveva tirata fuori. Doveva aver fatto qualche domanda in proposito a Vilena, perché sua sorella glielo aveva accennato.

<< Sì, e potrebbero fare del male anche a tuo fratello, e non solo a te >> rispose Dimitri, cercando di farle percepire il pericolo. Yana però lo fissava dritta negli occhi, come se volesse capire se la stesse prendendo in giro oppure no.

<< Dobbiamo proprio andare via? >> chiese alla fine.

<< Sì >>.

Yana sbuffò, poi si andò a sedere sul letto, dondolando i piedi e appoggiando il pinguino di fianco a lei. Dimitri non la mandò via; proibirle di ascoltare sarebbe stato controproducente.

<< Allora voglio andare dove sta Irina >>.

La frase di Yana cadde nel silenzio. Dimitri si voltò a guardarla, la faccetta imbronciata e i piedi che dondolavano dal bordo del letto, mentre dentro di lui si scatenava il nervosismo. Era da un bel po' di tempo che non poneva quella questione e aveva scelto il momento meno opportuno per tirarla di nuovo fuori. Forse non avrebbe dovuto lasciarla entrare.

<< Los Angeles non è sicura >> sentenziò Dimitri, duro.

<< Lo zio Emilian ha detto che c'è Irina, a Los Angeles >> ribatté Yana.

Dimitri fissò prima lei, poi suo cugino. Emilian rimase impassibile.

<< Vilena mi ha chiesto informazioni su di lei >> rispose, <<E non voleva parlarne con te. Ho saputo qualcosa da Ivan, e ho contattato Zlatlan Lebedev. E' ancora attivo, da quelle parti >>.

Dimitri lo fulminò con gli occhi, ma si rese conto che Emilian non avrebbe mai fatto una cosa del genere se non lo avesse ritenuto importante. Ogni richiesta di Vilena sarebbe stata pari a un ordine, questo era certo, ma c'era anche il fatto che anche lui sentiva di avere un debito nei confronti di Fenice. Se mai avesse saputo prima che Irina sarebbe riuscita a farsi accettare nella famiglia Goryalef senza nemmeno volerlo, non l'avrebbe mai fatta avvicinare.

Avrebbe voluto farlo stare zitto, ma gli fece cenno di continuare.

<< In questo momento la città è in subbuglio >> disse Emilian, << Dopo che Fenice ha perso la sua auto, la credevano finita... Si è presentata da Lebedev con quattrocentomila dollari in contanti lui e ha comprato una Ferrari F12 gialla. C'è una banda che vuole controllare la città come faceva Challagher, e Fenice se li è messi tutti contro >>.

Dimitri inarcò un sopracciglio.

Tutta la sua famiglia di stava accertando di quali fossero le condizioni di Fenice in quel momento, tranne lui. Lui fuggiva tutte le informazioni su Irina, e quando gli venivano buttate addosso senza che lui lo volesse le ignorava con deliberata maestria.

Si innervosì. Si innervosì perché Fenice doveva essere l'ultimo dei suoi pensieri, l'ultima delle sue preoccupazioni, e in mezzo a quel casino gli si ripresentava davanti. Erano mesi che non lo faceva; per due lunghi anni il silenzio, la sensazione di averla dimenticata, la convinzione di aver preso la decisione giusta nel lasciarsela alle spalle. E ora era di nuovo prepotentemente presente nella sua testa.

<< Che cosa significa "incasinata"? >> domandò a voce bassa, percependo gli occhi di Yana sulla nuca.

<< Qualcuno vuole Fenice morta >> rispose Emilian, << C'è un tizio, un certo Jorgen Velasquez, che sembra avercela con lei. Anche la polizia le da la caccia. Nelle ultime ore la cosa sembra essere degenerata, perché pare che abbia sfidato Velasquez, ma non è chiaro se abbia vinto o meno... So solo che c'è stata una sparatoria a un locale, forse quello che una volta si chiamava Gold Bunny, o qualcosa di simile >>.

"Dove cazzo è Went?".

Dimitri si era posto quella domanda diverse volte, eppure era evidente che qualcosa gli sfuggiva. Fenice era nei guai, e Went non l'avrebbe mai lasciata mettersi nei casini... Non così, non in quel modo. Non le avrebbe lasciato mollare la polizia, le non le avrebbe permesso di tornare per strada, non le avrebbe permesso di prendere in mano la Black List, non in nome di William Challagher...

Aveva pensato a una copertura, che Irina stesse svolgendo qualche missione per conto dell'F.B.I., ma non poteva essere così. Cosa glielo faceva pensare? Il fatto che Irina non avrebbe mai guidato un'auto rubata, soprattutto se era una Ferrari. La conosceva abbastanza bene per saperlo.

<< Quindi Vilena ti ha chiesto di trovare informazioni su di lei... >> commentò seccamente.

<< Voleva solo sapere come stava >> rispose Emilian, << Le è grata per la storia di Yana. Lo siamo tutti. Se è nei guai, vuole saperlo. E in questo momento Fenice sembra esserlo >>.

Dimitri rimase in silenzio, sostenendo lo sguardo di suo cugino, mentre capiva sia il suo comportamento sia quello di sua sorella. Non avevano parlato con lui perché lui non avrebbe voluto che lo facessero; tenere Irina lontana era sempre stato il suo obiettivo, dimenticarla il suo scopo.

"Fenice è nei guai... Non dovrebbero essere affari miei".

In quel preciso momento, Yana si avvicinò. Era rimasta in silenzio e li aveva ascoltati con attenzione, dimenticandosi del pupazzo che aveva appoggiato al suo fianco. Fece un passo verso Dimitri, gli occhi azzurri incredibilmente seri e profondi, mentre gli appoggiava la manina sul suo braccio e lo guardava.

<< Andiamo ad aiutarla? >> domandò solo, << Lei lo farebbe per noi >>.

Dimitri impietrì come non faceva da tantissimo tempo, da anni, da quando Lora era morta e lui si era consumato nella rabbia e nel dolore. Rimase immobile come una statua di fronte alla verità uscita dalla bocca di una bambina, pietrificato da tutto ciò che c'era dentro quella frase.

Lei lo farebbe per noi.

Perché Yana, con quella semplice domanda, smosse quell'unico pezzo di anima che gli era rimasto, e che forse era lì anche per merito di Fenice. Gli ricordò improvvisamente quello che quella stupida ragazza dalla lingua lunga era riuscita a tirargli fuori, involontariamente, dolcemente, inaspettatamente.

La verità era solo una, lo sapeva.

La verità era che aveva solo bisogno di una scusa per tornare a Los Angeles, e ora l'aveva.

Fenice era nei guai, e lui doveva aiutarla.

Non importava cosa avesse trovato, non importava il motivo per il quale Irina era tornata a fare la pilota clandestina, non importava il fatto che Went avesse fatto o meno tutto quello in suo potere per tenerla al sicuro. Non importava quale Irina avrebbe ritrovato. Non importava nemmeno averla davanti sapendo che sarebbe appartenuta per sempre a qualcun altro.

Ciò che sapeva era che Irina aveva bisogno di aiuto, e lui sarebbe andato; non perché era in debito, non per ripagare un favore, non per accontentare qualcuno. Ci sarebbe andato solo perché la ragazza che c'era dall'altra parte del mondo rispondeva al nome di Fenice.

<< Sei sicura di voler andare a Los Angeles? >> domandò Dimitri, fissando la bambina che continuava a stringergli il braccio, quasi con violenza. << Non c'è nulla di tutto quello che hai qui. Niente >>.

<< Sì, ci voglio andare >> rispose Yana, annuendo, << Io voglio aiutare Irina. Ti prego, zio >>.

Dimitri spostò lo sguardo su Emilian.

Lasciare tutto, compreso il suo nome di Lince, e tornare a Los Angeles... Lasciarsi dietro Mosca e i suoi traffici, le sue faide e il suo freddo, e mettere la sua famiglia al sicuro in una città lontana migliaia di chilometri dalla Russia... Far ricominciare da zero la sua famiglia, e cercare Fenice.

<< Andiamo? >> lo incitò Yana.

Lentamente, Dimitri si alzò dalla sedia, ed Emilian fece altrettanto.

Guardò Yana, che lo fissava con gli occhi azzurri e la faccina seria di chi sa esattamente cosa vuole. Molto probabilmente, lei aveva sempre saputo meglio di lui cosa era meglio. Lei aveva amato Irina prima di tutti gli altri, prima di lasciarla entrare nelle loro vite.

<< Faremo come vuoi, Yana. Andremo a Los Angeles ad aiutare Irina >>.





Ore 18.00 – Los Angeles

Irina premette il tasto dell'avviamento, e il motore della Ferrari F12 si accese con un rombo sordo, quasi un grugnito, impaziente quanto lei di lasciarsi alle spalle una città che non riconosceva più. Controllò le spie ancora una volta, per essere certa che l'auto fosse in perfette condizioni, e si assicurò che lo zaino, appoggiato sul sedile del passeggero fosse ben piazzato. Impostò come destinazione Caracas, Venezuela, sul navigatore satellitare e attese che il percorso venisse calcolato; un minuto dopo, comparve la scritta 8.563 chilometri all'arrivo.

Aveva tutto quello che le serviva: uno zaino con i vestiti, il pc portale e qualcosa da mangiare, e una valigetta ventiquattrore con centomila dollari in contanti, gli ultimi che le erano rimasti e che le sarebbero dovuti bastare per arrivare alla fine di quella storia. Non le serviva altro, se non la determinazione.

Diede un filo di gas e uscì dal vialetto, lasciandosi alle spalle lentamente la casa che negli ultimi mesi era stata prima la sua prigione poi il suo rifugio. L'aveva odiata, inizialmente; ogni volta aveva sentito quella sensazione di vuoto, entrando, quel dolore sordo in fondo allo stomaco... Poi ogni cosa aveva iniziato ad avere un senso, e anche quell'appartamento era diventato un luogo legato a ricordi e vicende. Lì dentro aveva preso la decisione di tornare a essere Fenice, la vera Fenice, quella di strada.

Lasciò il quartiere di Santa Monica lentamente, mentre si accorgeva di particolari che non aveva mai notato, come le aiuole del giardino all'angolo, il colore di un'insegna, il tetto di un palazzo... Iniziavano a vedersi persino le prime decorazioni di Natale, eppure lei non si era mai accorta che era già dicembre. Era incredibile come ora che doveva lasciarlo si rendeva conto che in qualche modo anche quel posto era casa sua.

Los Angeles era la sua città. Era la città che l'aveva vista nascere, crescere, perdere una madre e diventare più forte; l'aveva vista scendere in strada e trasformarsi in una criminale, diventare la numero tre della Black List, sfidare William Challagher; l'aveva vista innamorarsi, e l'aveva vista consumarsi nel dolore per la morte di Xander; l'aveva vista cadere e rialzarsi decine e decine di volte. Era il luogo dove era rinata molte volte, forse troppe, ma era anche il luogo dove aveva trovato se stessa.

Andarsene era qualcosa che non aveva mai contemplato, eppure era pronta a farlo pur di raggiungere il suo scopo.

Il sole tramontò alle sue spalle, la luce che accarezzava il posteriore della Ferrari, mentre imboccava l'autostrada in direzione est, verso l'Arizona, seguendo le indicazioni del navigatore.

In quell'esatto istante, quello in cui Fenice gettò un'ultima occhiata allo specchietto retrovisore per ammirare lo skyline di Los Angeles, qualcosa le disse che se mai fosse tornata, sarebbe stato tutto diverso. Che né lei né la sua città sarebbero state più le stesse.

Partiva da sola, e da sola sarebbe rimasta, esattamente come tutto era cominciato, una sera di sette anni prima, quando aveva messo piede in casa di William Challagher e gli aveva stretto la mano. Persone diverse si erano avvicendate nella sua vita, centinaia di gare avevano aumentato la sua fama, tanti sogni di erano realizzati e tanti si erano infranti, eppure lei era ancora lì, sola esattamente come aveva iniziato. Sola come quando si era costretta a rinascere e aveva scelto quel soprannome tanto poetico quanto profetico.

Fenice.

Fenice, che continuava a morire e rinascere, mentre intorno a lei tutto si distruggeva.

Nonostante tutto, lei era ancora in piedi.

Era ancora in strada.

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