Capitolo XX
https://youtu.be/VHavJC1Y5Fo
Cause When, when the fire's at my feet again
And the vultures all start circling
They're whispering, "you're out of time."
But still, I rise
This is no mistake, no accident
When you think the final end is near; think again
Don't be surprised, I will still rise
[ Rise – Katy Perry]
Sette mesi prima – Los Angeles
C'e qualcosa di sbagliato, in tutto quello che Irina vede davanti a sé in quel momento.
C'è qualcosa che non riesce ad assimilare, mentre cammina lungo il corridoio bianco dell'ospedale, la mano di suo padre che le stringe il braccio, senza spingerla ma nemmeno trattenerla... O forse sta semplicemente cercando di tenerla in piedi? Non le importa, perché il suo corpo non riesce e percepire le cose con chiarezza, in quel momento, a parte quell'odore insopportabile che le da il voltastomaco. Ma forse è già arrivata lì con la nausea, non lo sa.
Xander non c'è più, le hanno detto.
Xander.
Mentono.
Mentono per forza, o si sbagliano.
Come può essere vera una cosa del genere? Xander ha battuto lo Scorpione, non può essere morto in una stupida rapina...
Irina cammina per inerzia, spinta dalla mano sulla schiena di suo padre, mentre il suo cervello ingolfato cerca di comprendere in qualche modo la frase che le hanno detto, ma è come se la sua testa non funzionasse, come se gli ingranaggi della sua mente si fossero inceppati...
Xander è a Los Angeles in congedo, non sta lavorando... Cosa centra una rapina? Cosa ci faceva lì?
Continua ad avanzare lungo i corridoi dell'ospedale, senza riconoscere nessuno, senza capire chi ha intorno, perché la sua testa è solamente concentrata nel cercare di capire il senso di quello che sta succedendo, o nel trovare una spiegazione per dire a tutti che si stanno sbagliando, Xander non è morto.
Il suo corpo inchioda di fronte a un vetro ampio e spesso che sembra dividerla da un mondo distante, alternativo da quello in cui si trova in questo momento. Vorrebbe dire a tutti che lei è evidentemente dalla parte sbagliata, ma improvvisamente capisce che forse la parte sbagliata è quella oltre il vetro.
C'è un letto, nella stanza che vede; un letto e un corpo coperto da un lenzuolo bianco, ma con il viso ben visibile.
E' bianco, Xander. Bianco come il tessuto che lo copre e bianco come le pareti della camera in cui è disteso. Sembra dormire, e la tentazione di Irina è quello di andare lì e scuoterlo per svegliarlo, per mostrare a tutti che stanno sbagliando, ma ha i piedi incollati al pavimento e il suo corpo rifiuta qualsiasi movimento.
Improvvisamente, Irina si divincola dalla presa di Todd e apre la porta della stanza, perché Xander è vivo, deve solo svegliarlo...
Però Irina si sblocca, non appena mette piede lì dentro.
Quella camera è maledettamente vuota e troppo silenziosa; non sente il respiro di Xander, non sente il rumore dei macchinari, non sente il ticchettio dell'elettroencefalogramma che le dice che è ancora vivo...
Non sente niente, Irina. La bolla intorno a lei si fa così pesante che le manca il fiato e le sue ginocchia cedono, trascinandola a terra fino a toccare il pavimento gelido. L'unica cosa che riesce a percepire è quel dolore lancinante in mezzo al petto, dove dovrebbe esserci il cuore ma dove forse adesso non c'è più.
Credeva di aver patito qualsiasi cosa, eppure ora comprende che niente è come quello che sente ora.
Perché Xander è lì, ed è morto.
Lui che sembrava invincibile, lui che era arrivato a Los Angeles e l'aveva salvata a bordo della sua Ferrari rossa, lui che, nonostante tutto, le aveva fatto provare per davvero l'amore profondo e sincero.
Irina non riesce a muoversi, mentre cerca di sfogare quel dolore in un pianto disperato, ma tutto quello che ha dentro rimane bloccato lo stesso dentro il suo petto. Forse è troppo grande per poterne uscire.
Non importa quello che stava accadendo tra loro, non importano i litigi e le riappacificazioni, non importano le vedute diverse e le scelte differenti. In quel momento non importa più nulla del "loro", importa solo del "lui".
Importa del fatto che è morto, e lei non può fare nulla per salvarlo.
Importa del fatto che forse, sei lei gli avesse detto la verità prima, si sarebbe potuto salvare.
Importa del fatto che lei avrebbe dovuto prendere di nuovo una decisione che ha rimandato vigliaccamente ma che forse entrambi, inconsciamente, conoscevano già.
Non è stata in grado di aiutare William, e questo la tormenterà per sempre.
Non è stata in grado di lasciare Xander un'altra volta, e questo la legherà per sempre a lui.
Non basteranno tutte le lacrime dei suo occhi, per piangere la sua morte e l'ingiustizia di quello che è stato il suo destino.
Meritava tutto quello che la vita poteva dargli, meritava il meglio e basta. Meritava ogni gioia, ogni premio, ogni vittoria che sarebbe stato in grado di guadagnarsi. Meritava ogni cosa che aveva desiderato, ogni singola cosa.
Era lei a non meritare lui, nel cuore di Irina questo è chiaro. Perché lei non è mai stata in grado di dargli quello che voleva, e spera che Xander l'abbia perdonata. Spera solo che lui, ovunque sia ora, non rimpianga il tempo passato con lei, che non la odi per non essere stata coraggiosa.
Spera che lui fosse sereno e basta, perché per fortuna il dolore è di quelli che rimangono, non di quelli che restano.
Ore 10.00 – Los Angeles, Officina di Max
Irina guardava Max e Max guardava lei, mentre le sventolava davanti alla faccia la prima pagina di un quotidiano locale, dove la Punto distrutta campeggiava in una foto grande, ma che non le rendeva giustizia.
<< Sei ricercata con l'accusa di omicidio, e ora distruggi pure la tua auto >> commentò Max, ironico, << Sei peggiorata, rispetto a cinque anni fa >>.
Irina rimase in silenzio. Non aveva voglia di ascoltare ramanzine o rimproveri, non aveva voglia di sentirsi dire che era l'ombra di se stessa, che con il tempo da lei era uscito solo il peggio. Non servivano le persone a punirla, perché il destino lo aveva fatto già abbastanza.
Aveva pianto e aveva riflettuto, quella notte. Aveva comprenso che per portare avanti la propria missione, doveva dimenticare definitivamente ciò che era stata; era stata troppo debole, troppo vulnerabile, troppo buona. Irina non poteva farcela; solo Fenice, quella Fenice pilota clandestina, poteva riuscire a rendersi giustizia, ma doveva anche lei salire ancora un gradino, un gradino che l'avrebbe resa più dura.
<< Non mi interessa quello che pensi >> disse lentamente, la voce modulata e gli occhi fissi sul meccanico, << Abbiamo già parlato di quello che sono e di cosa sto facendo. Non serve farlo di nuovo >>.
Max la guardò sorpreso, forse perché dopo un evento traumatico come la perdita della sua auto non credeva di trovarla ancora così determinata.
<< Ok... >> disse solo, senza sapere cosa aggiungere.
Irina annuì.
<< Voglio solo capire cosa può essere successo >> spiegò, << Dicevi che la Punto poteva andare avanti ancora un po', che bastava un po' di manutenzione e qualche controllo in più... >>.
Non credeva fosse colpa di Max; sapeva che nessuno conosceva la Punto meglio di lui, e che quando le aveva detto che l'auto poteva ancora gareggiare lo credeva davvero. Però voleva capire, così rapidamente gli raccontò esattamente cosa era successo, mentre Max ascoltava scuotendo il capo ogni tanto.
<< Molto probabilmente, hanno ceduto le sospensioni >> spiegò il meccanico, << Il motore è stato sbalzato ed e si sono spezzati i portanti. E' caduto per questo motivo, non ci sono dubbi. Probabilmente il danni che ho visto mettendola sul ponte erano più profondi di quanto sembrassero. E a essere sincero, non credo fosse riparabile, sicuramente non in pochi giorni >>.
Irina guardò Max con aria perplessa; forse stava solo cercando di consolarla, facendole pensare che tanto la Punto non sarebbe stata recuperabile, ma lei dubitava che lui non fosse in grado di rimetterla a posto. Lo aveva fatto quando era stata bruciata, poteva farlo ancora, ne era certa. Peccato che non l'aveva più.
<< In ogni caso, non posso più sperare di riaverla indietro >> disse lentamente, addolcendo un po' il tono, per far capire al meccanico che non ce l'aveva con lui, << A quest'ora potrebbe essere già stata demolita >>.
Tacque, mentre Max passeggiava nell'ufficio dell'officina.
<< Ora cosa farai? >>.
<< Mi serve una nuova auto >> rispose Irina. << Non ho altra scelta >>.
Max la osservò per qualche istante.
<< Cosa prenderai? Vuoi far importare un'altra Punto? >>.
Sul volto di Irina si dipinse un sorriso finto, mesto. No, ci sarebbe voluto troppo tempo, sia per averla sia per prepararla; questa volta aveva bisogno di un'auto già pronta a correre, e decisamente più potente di quanto era stata la Punto. Se doveva iniziare il suo nuovo corso, doveva farlo in modo diverso.
<< No, voglio una supercar >> rispose, mentre Max la fissava stupito, << Voglio un'auto che non ho mai posseduto in passato. Mi serve qualcosa che sia veloce, potente e perfetto. Non importa quanto mi costerà, né a chi mi dovrò rivolgere. Jorgen Velasquez guida una Koennisegg Agera, e per batterla mi serve qualcosa di altrettanto potente >>.
Max non disse nulla di fronte alla sua presa di posizione apparentemente così sicura. Si limitò a osservarla in silenzio, mentre Irina sosteneva il suo sguardo.
<< Tra mezz'ora sono da Zlatan Lebedev >> aggiunse.
Negli occhi di Max passò una scintilla, al suono di quel nome. Lo conosceva, forse meglio di lei.
<< E come ci andrai, fino a lì? >> domandò solo.
<< Prenderò un taxi >> rispose Irina.
<< Posso accompagnarti... >> propose il meccanico.
Irina scosse il capo.
<< No, ho bisogno di farlo da sola >> rispose, << Non sarai più il mio meccanico, da oggi in poi, e non perché io non ti voglia più. Smetterò di metterti in mezzo, e lo farò solo per la tua sicurezza. Tutta questa storia sta diventando troppo pericolsa >>.
"La morte di Thile mi ha insegnato qualcosa".
Max non rispose. Irina gli rivolse un cenno di saluto, e lasciò l'officina senza fargli notare che aveva gli occhi lucidi e il magone. Perché le faceva e le avrebbe fatto sempre male pensare alla sua Punto, per quanto potesse fingere indifferenza.
Dentro di lei, qualcosa le sussurrava che forse sarebbe stata l'ultima volta che vedeva il suo meccanico; troppe cose stavano cambiando, ed era certa che tutto stesse andando in una unica direzione, lei per prima. Xander non c'era più, la Punto non era più la sua auto e presto nemmeno Fenice sarebbe stata più la stessa.
Durante il viaggio in taxi, si ritrovò a pensare che nemmeno Senderson era più lo stesso, se si era messo alla guida della Gallardo pur di catturarla. La sorprendeva, quella cosa, non perché Senderson usava la Lamborghini, ma per come la usava: era bravo, e poteva essere scambiato per un pilota clandestino di medio livello. Forse si era allenato, forse aveva fatto un corso con la polizia pur di arrestarla.
Anche per quel motivo, Irina aveva bisogno di un'auto potente, in grado di tenere testa alla Gallardo. Finlamente aveva il giusto scopo per utilizzare i soldi guadagnati con la casa venduta, le auto vinte e le corse disputate.
Un'ora esatta dopo, il taxi si fermò nella zona industriale di Norwalk, di fronte a un vecchio edificio di cemento grigio, con finestre scure in alto e contornato da un cancello di ferro battuto arrugginito. Pagò la corsa e scese, la valigetta con i contanti stretta in mano. Non se ne sarebbe andata senza un'auto, ne era certa e non aveva altra scelta.
Aveva appuntamento alle undici, ed era stata precisa come un orologio svizzero esattamente come aveva chiesto Zlatan Lebedev. Suonò al videocitofono e il cancello venne aperto.
Irina entrò nel capannone, ritrovandosi in una piccola saletta che sembrava un normalissimo ufficio. Dietro a una scrivania di bassa qualità c'era un uomo dai capelli cortissimi, appena accennati di grigio, i tratti affilati tipici degli ucraini e occhi chiari e penetranti. Doveva avere circa cinquant'anni, a giudicare dalle rughe sul viso, e a differenza di tutti quelli che aveva incontrato finora non sembrava tanto in soggezione, di fronte a Fenice.
<< Fenice >> la salutò freddamente.
Irina si avvicinò, lasciando la valigetta a terra e porgendo la mano all'uomo, in un gesto di cortesia che lui si sforzò di ricambiare. Era vestito con pantaloni scuri e una camicia azzurra, che lo facevano apparire quasi come un'uomo d'affari, e non un ricettatore di auto rubate.
<< Piacere di conoscerti Zlatan >> disse lei, << Non ho mai avuto il piacere di incontrarti, prima di oggi >>.
<< Dicevano che Fenice non avrebbe mai guidato altra auto che la sua macchina italiana >> ribatté l'ucraino a mo' di saluto.
<< Erano altri tempi, Lebedev >> rispose Irina, tranquilla, << Adesso sono io la numero uno della Black List, e sono io che decido cosa... >>.
<< Hai perso la tua auto, Fenice >> la interruppe Lebedev, ridacchiando, << E' per questo che sei qui. Se sei come dicono, saresti rimasta fedele alla tua macchina per il resto dei tuoi giorni, se non l'avessi persa >>.
Irina rimase in silenzio, lo guardò per un'istante e poi alla fine sorrise. Per i modi di fare asciutti le ricordò Dimitri, e lo stomaco le si chiuse per una attimo.
<< E' così >> convenne, << Ora però mi serve qualcosa di più potente, degno della mia posizione nella Black List. So che commerci ottime auto, e visto che hai una storia di vent'anni come rivenditore da queste parti, mi sembrava giusto venire da >>.
Zlatan la osservò per qualche istante, come a valutare cosa ci fosse di vero nelle sue parole. I penetranti occhi azzurri la scrutarono in volto, prima che lui rispondesse.
<< Sì, ho servito i migliori. Anche lo Scorpione ha comprato da me, una volta >>.
Irina lo guardò incuriosita, perché non riusciva a ricordare che William lo avesse mai menzionato.
<< Gli ho venduto una Mercedes SLS AMG >> rispose, << Non è mai tornato per lamentarsi >>.
Sì, Irina ricordava quell'auto nel garage di William.
<< Come lavori? >> domandò Irina, osservando il piccolo ufficio dove si trovavano.
<< Posso procurarti quello che vuoi, Fenice >> rispose Zlatan, << Qualsiasi auto di lusso tu voglia, a qualsiasi prezzo >>.
<< Quindi fai furti su commissione? >> domandò Irina.
<< Sì, ma non qui in California >> rispose Zlatan, << Le mie sono auto europee. Non rubo a casa mia, come sta facendo quello stronzo di Velasquez... Ne andrebbe della mia serietà >>.
<< Ti stanno creando problemi? >>.
<< Molti >> rispose Lebedev, irritato, << La polizia ha stretto i controlli sulle auto di lusso che circolano da queste parti, ma per il momento non sono stato tirato in mezzo. Le auto che rubano finiscono tutte al Sud, quindi qui il mio mercato sta tenendo, anche se si è molto ridimensionato, da quando lo Scorpione non c'è più >>.
L'occhiata che le rivolse fece capire a Irina che si domandava quale fosse la sua parte in quella storia. Fece finta di nulla e lasciò cadere l'argomento.
<< Non posso permettermi di commissionarti un furto >> disse lentamente, << Non ho tempo. Cosa puoi offrirmi, e soprattutto... Come me lo offri? >>.
Zlatan cambiò espressione, come se l'argomento finalmente gli andasse a genio.
<< Servizio completo. Se non puoi aspettare, ho delle vetture che comunque possono fare al caso tuo. Ti do le macchine con i documenti di proprietà e tutti i certificati che ti servono. Le mie auto sono tutte perfette e appena immatricolate, rubate a qualche facoltoso che perde solo un giocattolino dal suo garage. Nessuno si è mai lamentato dei miei prodotti >>.
Irina aveva già un'idea nella sua testa, ma non sapeva se Zlatan poteva soddisfare la sua richiesta. Sperava di essere sufficientemente fortunata ad avvicinarsi almeno un po' a cosa aveva pensato.
<< Bene... Voglio una supercar italiana >>.
Zlatan mostrò i denti in un ghigno, e Irina capì di non averlo colto impreparato.
<< Una Lamborghini? Una Ferrari? Una Maserati? >> domandò l'ucraino.
<< La più potente che hai >> rispose Irina.
Zlatan prese un paio di chiavi, e lo invitò a seguirla nel capannone. Irina pensò che le auto fossero lì, invece trovò solo un grosso pick-up Ford. L'uomo le disse di salire e Irina obbedì, anche se con un po' di diffidenza.
Venti minuti dopo arrivarono a un altro capannone, molto più grande e molto più vecchio. Zlatan parcheggiò il pick-up e si avvicinò alla porta, aprendo una grossa serratura a doppia mandata. Disattivò un antifurto dall'aria sofisticata e e si voltò a guardarla.
<< L'unico posto dove puoi trovare così tante auto di questo calibro è Dubai, a una festa di ricchi arabi pieni di petrolio >> disse l'uomo, aprendo la porta e lasciandola entrare per prima, << Questo è il paradiso per chiunque sappia apprezzare un'auto >>.
In effetti, quando Irina entrò rimase senza fiato.
Decine di auto scintillanti erano parcheggiate una di fianco all'altra, schierate in bella vista come a un concorso di bellezza. Chiunque, di fronte a uno spettacolo del genere, sarebbe rimasto senza parole, e lei, che ne conosceva i particolari di ognuna, non disse nulla, incredula.
Ferrari, Lamborghini, Mercedes, Aston Martin, Porsche, McLaren... C'erano auto da centinaia di migliaia di dollari parcheggiate tranquillamente come normali utilitarie, ma tutti quei motori insieme sarebbero stati in grado di sviluppare decine e decine di migliaia di cavalli. Era come entrare in una scuderia di purosangue, come varcare la soglia di una gioieleria esclusiva, sapendo a pochissime persone era permesso quel privilegio.
Irina le guardò in silenzio, mentre le riconosceva una a una, nelle narici quell'inconfondibile odire di benzina e pneumatici che riusciva a percepire così distintamente. C'erano modelli che William aveva avuto nel suo garage, altri che erano appartenuti ai suoi avversari, altri ancora ai suoi nemici.
A pochi metri da lei, una Lamborghini Reventon, la stessa che William aveva distrutto prima di essere catturato.
<< Non hai una Vyeron, però... >> commentò a voce bassa, per stuzzicare la vanità di Zlatan.
<< Una Bugatti è un modello troppo difficile da piazzare >> rispose l'ucraino, << Troppo rara e troppo potente. Solo Challagher poteva guidarne una >>.
Irina iniziò a camminare tra le file di auto, osservandole attentamente.
Si fermò davanti a una Mercedes SLS AMG argentata, con le porte ad ali di gabbiano. Le tornò in mente l'acquisto di William, ma scosse il capo. Prima di tutto non era italiana, e poi era raccolta e bassa, e troppo piccola. Era lontana da quello che aveva nella sua testa.
Proseguì, fermandosi davanti a una Audi R8 bianca. Era bellissima, con quei fari gelidi e il taglio deciso della carrozzeria, quella grossa mascherina anteriore e il muso arrabbiato. Aveva sempre pensato che fosse un'auto "fredda", esattamente come il Mastino che ne possedeva una.
Continuò a camminare tra le auto, lentamente, osservandole una a una. Molto probabilmente questa volta non avrebbe scelto con il cuore, ma con la testa, e doveva individuare l'arma migliore che poteva permettersi.
<< Non hai una Veyron, non hai una Agera... >> commentò, << Ma non sono quello che ti ho chiesto... Mostrami le italiane >>.
Zlatan la portò in fondo al capannone, dove Irina sentì il cuore scenderle nello stomaco, quando vide le auto parcheggiate le une di fianco alle altre, auto che risvegliarono in lei ricordi troppo dolorosi che le tolsero il fiato.
Dovette fermarsi, davanti alla vettura rosso fiammante che si ritrovò davanti, anche se non avrebbe mai voluto vederla. Sperò solo che non fosse la sua, visto che l'aveva venduta.
<< Ferrari 458 Italia >> disse Zlatan, accarezzando il cofano come se fosse stato un bambino, << Allestimento Speciale, motore V8 e 605 cavalli >>.
I fari dell'auto sembrarono fissarla, come a sfidarla a scegliere lei.
"Potrei farlo... Sarebbe in linea con l'ironia di tutto questo".
<< No >> disse subito Irina, distogliendo gli occhi dalla Ferrari. << Non questa. Non è abbastanza potente >>.
Zlatan la invitò a proseguire.
<< Lamborghini Aventador LP 700. Motore V12 da 700 cavalli, trazione integrale. Una bestiaccia >>.
Irina lasciò vagare lo sguardo sulla Aventador nera, trovandola davvero molto bella. Aveva una linea filante, molto diversa dalle Ferrari, e come la R8 trasmetteva freddezza. Gli eromi cerchi in lega neri dal disegno a fiore lasciavano intravedere le pinze dei freni gialle. Era una macchina estrema, dallo sguardo cattivo e molto potente, e sarebbe stata perfetta per trasmettere la sua rabbia a chi la guardava.
Scosse il capo. Non era quella giusta.
Zlatan annuì, e proseguì ancora. Irina si fermò di colpo, quando ebbe di fronte una Ferrari California blu metallizzato con il tetto nero lucido, la vernice che scintillava sotto la luce al neon.
<< California, allestimento Handling Speciale. V8 da 450 cavalli. Meno potente ma molto più maneggevole >> disse Zlatan, percependo il suo interesse. << E' un'ottima auto, e il tetto retrattile in vetro è una finezza che possiede solo lei >>.
Irina la guardò.
La Ferrari California era sempre stata una delle sue auto preferite, tutti lo sapevano. Era stupenda con quella grande bocca davanti, quei fari triangolari e quella vernice blu oceano. Sembrava fatta per gareggiare o per passeggiare, tutto dipendeva da come la si voleva guidare.
"No, non è quello che mi serve. Ho bisogno di un mostro, di qualcosa fatto solo per correre".
<< Proseguiamo >> disse solo.
Spostò lo sguardo nel garage, osservando ogni vettura parcheggiata; c'erano una Huracan e Maserati Granturismo MC Stradale, ma l'occhio le cadde su un'auto gialla che riconobbe all'istante. Conosceva tutte le supercar sul mercato, e non le sarebbe mai sfuggita una come quella.
Si avvicinò alla Ferrari F12 con aria critica, mentre Zlatan notava il suo interesse e la seguiva.
Era bassa e con una linea da squalo, enormi prese d'aria e sfoghi sulla fiancata simili a branchie nere. I fari sembravano occhi minacciosi, la presa d'aria davanti una bocca pronta a ingoiare i suoi avversari. Nel posteriore l'enorme estrattore nascondeva quattro marmitte e sul posteriore spiccava un accenno di alettone. Enormi pinze freno rosse spuntavano tra le razze argentate dei cerchi in lega che montavano gomme Pirelli dalla spalla bassissima.
<< Ferrari F12 TDF, motore V12 e 780 cavalli senza finimenti. Prodotta in soli 799 esemplari >> Zlatan appoggiò la mano sullo specchietto, compiaciuto, << A livello di prestazioni, in Ferrari dopo questa c'è solo LaFerrari >>.
Sì, lo sapeva, ma non si era aspettata di trovarne una lì dentro.
Irina girò intorno all'auto un paio di volte, osservandone le linee e le dimensioni. Era più grande della Punto, strutturata in modo diverso, ma non era eccessivamente bassa, come la Aventador. Il lungo cofano le dava slancio, e i passaruota muscolosi non fingevano di mascherarne la potenza.
<< Probabilmente una delle migliori Ferrari mai prodotte fino ad oggi >> commentò Zlatan, << Fa da 0 a 100 in 2,9 secondi... E' appena arrivata, ma sono certo che non rimarrà qui molto >>.
In effetti, il giallo era un colore particolare, ma Irina trovò che quell'auto fosse perfetto. Era aggressivo, quasi cattivo unito al profilo del muso. Forse nella sua mente la sua Ferrari avrebbe dovuto essere bianca, ma le carte in tavola cambiavano. Lei era Fenice, e aveva bisogno di un'auto fuori dal comune, e niente era più vistoso del Giallo Scuderia.
<< Immagino tu non abbia una LaFerrari >> disse Irina, tornando a puntare gli occhi sul garage.
<< No, Fenice. Non tratto hypercar, a meno che non sia su commissione >>.
Irina tornò a guardare la F12. Aprì la portiera ed entrò dentro.
La prima cosa che colpì Irina fu l'odore, o per meglio dire il profumo. Un sentore di pelle e benzina che lasciò Irina senza fiato. Si sedette sul morbido sedile, lasciandosi avvolgere come in un abbraccio, i piedi che sfioravano i pedali...
La posizione di guida era molto diversa rispetto alla Punto: stava molto più in basso e più distesa, quasi sdraiata, le braccia allungate sul volante piatto in basso, ma si trovava sufficientemente a suo agio. Avvicinò il sedile, osservando il cruscotto con i tre elementi circolari, al centro il contagiri, ai lati il tachimetro e le spie di acqua e motore. Metallo e carbonio contornavano la palpebra del cruscotto e le bocchette dell'aria in metallo satinato.
Ogni cosa, in quell'auto, era studiata nel minimo dettaglio; ogni vite, ogni bullone, ogni ingranaggio erano fatti a posta per farla correre e farla vincere. Persino da ferma Irina riusciva a percepirne l'enorme potenza.
Zlatan la osservò prendere dimestichezza con l'ambiente, soddisfatto. Irina sfiorò le palette del cambio dietro il volante, osservando le cuciture della pelle e il cruscotto spento; appoggiò i piedi sulla pedaliera in alluminio, e lasciò che il sedile la avvolgesse completamente.
<< Cambio a doppia frizione a sette rapporti sequenziale >> spiegò Lebedev, << Trazione posteriore e cerchi forgiati superleggeri. Vuoi qualcosa in più? >>.
Irina passò il dito sul tasto "Start" rosso sul volante, saggiando ancora per un attimo la posizione di guida. Era perfetta, non c'erano altri commenti.
<< Fammela provare >> disse solo.
Zlatan la guardò per un attimo. Irina fece un cenno verso la valigetta che aveva lasciato vicino all'ingresso.
<< La dentro ci sono quattrocento mila dollari in contanti >> disse, << Credo siano più che sufficienti per coprire il costo di quest'auto, nel caso decidessi di scappare... Sei d'accordo? >>.
<< Mi avanza anche un caffè >> commentò Zlatan, indicando con un cenno il portaoggetti nella portiera, << Provala, ma non voglio nemmeno un graffio >>.
C'erano un paio di guanti di pelle senza dita, nel portaoggetti. Irina li prese, osservandoli incuriosita, poi capì che Zlatan voleva che li indossasse. Le calzarono quasi a pennello, quando li allacciò, e le servirono a tenere a bada il leggero sudore alle mani che la colse all'improvviso.
Non le era mai successa una cosa del genere, in passato.
<< Te la riporterò tutta intera >>.
Zlatan chiuse la portiera, e Irina appoggiò le mani al volante. Premette il tasto Start e con un rombo il motore si accese.
La sua schiena venne percorsa da un brivido, quando il 780 cavalli della Ferrari si agitarono sotto il cofano; fu un suono roco, profondo, cattivo, e Irina ne assaporò ogni sfumatura, mentre le spie sul cruscotto si accendevano, la lancetta del contagiri che si muoveva nervosa sul cruscotto dallo sfondo giallo.
Zlatan aveva aperto la saracinesca sul retro, e Irina mosse appena il piede sull'acceleratore. La F12 si mosse, piano, fluida come il movimento di un felino. Si lasciò condurre docilmente fino all'uscita, il motore che sembrava fare le fusa per essere stato finalmente acceso, ma Irina riusciva a sentirli sotto il piede i cavalli che tiravano il morso.
La luce dell'esterno le fece strizzare gli occhi, ma lei si concentrò solo sul volante. Selezionò la modalità Sport con la levetta sul volante, e lasciò il Launch Control inserito.
"Alla fine, sei arrivata anche a una Ferrari, Fenice".
Respirò a fondo, prima di selezionare la prima marcia con la paletta; non era la Punto, era tutta un'altra auto, e lei doveva imparare a guidare da zero. Per un attimo, ebbe il dubbio di poterlo fare, dopo anni passati a gareggiare sempre con la stessa macchina.
Poi ricordò perché era lì, e ricordò soprattutto il suo soprannome.
Irina premette l'acceleratore, e le ruote posteriori della F12 pattinarono appena, facendola schizzare immediatamente in avanti con una spinta così forte da incollarla al sedile. In un attimo, esattamente come aveva detto Zlatan, si ritrovò a toccare i cento all'ora.
Ma fu il rumore a stordirla; un misto tra un ruggito e un grido, pura potenza e velocità condensati in un'unica auto. Le sue mani guantate strinsero il volante, mentre la Ferrari accelerava ancora, e lei sgusciava tra i capannoni deserti, sollevando solo flebili nuvole di polvere.
La Ferrari rispondeva ai comandi immediatamente, nervosa e reattiva, ruggendo a ogni accelerata, ma Irina scoprì di saperle tenere testa. Non era la Punto, docile e ben addestrata; la F12 era un cavallo selvaggio da imbrigliare con mano ferma e decisa, costringendola a ubbidire con comandi secchi e volitivi.
130, 150, 170...
Ben presto, Irina si ritrovò a correre a una velocità folle tra i capannoni di cemento, e l'unica cosa che pensò era che aveva bisogno di una strada più ampia, per portare quell'auto al limite. Sempre che un limite lo avesse.
Guidò nella zona industriale per una decina di minuti, rendendosi conto che ogni secondo che passava riusciva a prendere sempre più confidenza con la F12, che sembrava decisa a metterla a suo agio. Per testarla appieno avrebbe dovuto gareggiare, ma pochi minuti le bastarono per capire che la Ferrari prometteva molto bene.
A malincuore, Irina si diresse verso il capannone di Zlatan, inchiodando proprio di fronte all'ingresso, la Ferrari che tornava a fingere di essere un agnellino. L'ucraino la guardò rientrare con un sorriso sornione.
Irina spense il motore, sfacendo piombare il capannone del silenzio più assoluto.
<< Quanto vuoi per la bestiaccia? >> domandò alla fine.
<< Quattrocentomila dollari possono bastare >> rispose Zlatan.
Quattrocentomila dollari. Praticamente il valore della sua vecchia casa, della BMW M3 di Xander e di decine di gare vinte. Una volta, con quei soldi ci avrebbe pagato quasi la metà del debito nei confronti dello Scorpione; ora li spendeva senza battere ciglio per un'auto che molto probabilmente l'avrebbe fatta ammazzare.
Non pensò di trattare; conosceva benissimo il valore della F12, e Zlatan le stava facendo un prezzo di favore.
<< Affare fatto >> disse, porgendo la mano all'ucraino.
Lebedev la strinse vigorosamente, annuendo, poi si voltò e sparì per alcuni minuti dietro una porta, forse un archivio. Le consegnò un plico che conteneva le chiavi di scorta e i documenti falsi. Irina prese tutto, controllando che le carte apparissero originali, poi mostrò le mani con addosso ancora i guanti di pelle.
<< Questi me li lasci? >> domandò con un sorriso.
<< Fanno parte del kit >> rispose Zlatan con un ghigno sulla faccia.
Con un un'ultimo cenno del capo, Irina montò sulla F12, assaporando per un momento la sensazione di essere finalmente la proprietaria di una Ferrari.
Quanto aveva desiderato un'auto del genere? L'aveva sempre detto, solo una Ferrari poteva sostituire la Punto, ma non aveva mai pensato che un giorno sarebbe accaduto davvero.
Se solo le circostanze fossero state diverse, in quel momento sarebbe stata la ragazza più felice del mondo, forse; invece, nello stomaco riusciva a sentire ancora quel dolore sordo che si mescolava all'euforia del momento. William Challagher era sempre stato disposto a darle una Ferrari, eppure lei non l'aveva mai accettata; Xander era stato il primo a metterle a disposizione la sua, ma lei l'aveva rifiutata. Ora che possedeva una F12, entrambi mancavano, ed ovviamente ancora una volta era tutto sbagliato.
Capì in quell'istante che era davvero tutto un segno del destino, quel destino contorto e ingiusto che le stava facendo pagare uno alla volta ogni suo errore. Per farla cadere sempre più in basso e per farle più male, la faceva salire sul gradino più alto facendole assaporare per un attimo la vittoria, e poi la spingeva giù con violenza.
Allacciò la cintura, ritrovandosi a pensare che ora era davvero al livello successivo; aveva un'auto degna della numero uno della Black List, e doveva solo renderla riconoscibile, ora.
Bastò un colpo di gas per far schizzare via la Ferrari verso Los Angeles e verso l'officina di Casey Valaghan dove trovò Giuliano ad aspettarla, che di fronte alla F12 rimase senza parole.
<< E' ora che nel vostro garage tornino le auto di lusso >> disse Irina, lanciando le chiavi al ragazzo, << Cominciamo con qualche ritocco alla carrozzeria >>.
Ore 23.00 – Mosca, Casa di Dimitri
Dimitri fissava la strada buia dalla finestra, l'appartamento avvolto nel silenzio e il nervosismo che gli faceva tendere i muscoli del collo. Avrebbe voluto andare al Black Diamond per sfogarsi sul ring, ma non voleva lasciare sua sorella e i bambini da soli, anche se Emilian e Radim erano di guardia sotto.
Non aveva pensato che la notizia della morte di Edgar Matveev e di Milad Buinov trapelasse così in fretta, ma questa era la conferma di quello che aveva iniziato a pensare in quegli ultimi giorni: doveva esserci qualcuno abbastanza vicino a lui che faceva il doppiogioco.
Su Emilian e Radim avrebbe messo la mano sul fuoco; molto probabilmente in Russia erano le due persone di cui si fidava di più. Tutti gli altri, anche se insospettabili, potevano essere potenziali indiziati.
Lasciò vagare lo sguardo ancora per qualche istante sulla strada, prima di voltarsi e afferrare il cellulare.
Aveva ricevuto dieci chiamate, dieci chiamate dove i Woboroba e altre quattro famiglie si erano dichiarate indignate dal suo comportamento, e chiedevano spiegazioni. Persino alcuni dei suoi Referenti erano indispettiti da ciò che aveva fatto. Tutti, nessuno escluso, volevano una riunione nella quale avrebbe spiegato le sue motivazioni, altrimenti avrebbero messo in discussione la sua posizione.
Erano tutte scuse, e Dimitri lo sapeva benissimo. Se mai quella riunione sarebbe stata fatta, si sarebbe trasformata in una carneficina, dove prima avrebbero ucciso lui e poi i russi si sarebbero ammazzati tra di loro per accaparrarsi il posto di Lince. Il fatto che avesse ucciso un ragazzo minorenne importava poco, visto che nessuno dei Buinov rimasti, se mai ce ne fossero stati, si era fatto vivo.
Aspettava un'ultima chiamata, e non sapeva dire se era la più importante o meno.
Il suo cellulare squillò, esattamente come si era atteso.
<< Che diavolo hai fatto, Dimitri? >> ringhiò Boris Goryalef dall'altra parte della linea.
<< Non ti devo spiegazioni >> ribatté lui, << Era necessario >>.
<< Necessario o no, tuo padre non sarebbe stato d'accordo >> disse Boris, << Avrebbe evitato di uccidere un minorenne, anche se era il figlio di Buinov... Questo non porterà bene agli affari >>.
Dimitri fece una smorfia, mentre ascoltava il tono di suo zio.
<< Degli affari non mi interessa >> ribatté.
<< Vogliono una riunione >> disse Boris, << Vogliono sentire cosa hai da dire... Che scuse pensi di inventarti? >>.
Scuse... Dimitri non avrebbe mai usato alcuna scusa: avrebbe detto la verità, anche a costo di mettersi contro tutte le famiglie della Russia. Qualcuno voleva fregarlo, qualcuno che aveva usato Matveev come esca e Milad come specchietto per le allodole, e che lui non era in grado di indentificare, almeno non ancora.
<< Farò quella riunione >> rispose, << Non mi inventerò nulla. E verrò a farla a casa tua >>.
Boris rimase in silenzio per qualche istante, mentre Dimitri si sedeva al tavolo.
<< Va bene >> disse alla fine, senza aggiungere altro.
<< Ho anche bisogno di un posto sicuro dove far nascondere Vilena e i bambini, se ce ne sarà bisogno >> aggiuse Dimitri, << Hai qualcosa da propormi? >>.
<< Ho un appartamento a San Pietroburgo >> rispose Boris, << Possono andare lì >>.
<< Troppo scontato >> ribatté Dimitri, << Mi serve qualcosa di più nascosto >>.
<< C'è la mia casa di Volvograd >> rispose Boris, cautamente, << Devo avvisare Invaka... >>
Dimitri sapeva bene che in quella casa si nascondeva l'amante stabile di Boris, quella che lui teneva nascosta alla prima moglie, ed era un posto sufficientemente sicuro perché fuori dai normali traffici di Mosca e San Pietroburgo. Poteva essere un buon posto per Yana e Sergey, in caso di evenienza.
<< Tieni pronte delle stanze per loro >> ordinò, << Potrei decidere di farli andare via tra qualche giorno >>.
<< Ti ammazzeranno >> commentò Boris, come se stesse parlando del tempo, << Forse lo faranno anche prima di quella dannata riunione. Sei tu che dovresti andartene >>.
<< Non importa, sono abituato a difendermi >>.
Dimitri chiuse la telefonata e lasciò il cellulare sul tavolo.
Mandare via Vilena e i bambini era una 'idea che non lo faceva impazzire, perché sapeva quanto sarebbe stato traumatico per Yana e Sergey, ma era quasi sicuro che presto sarebbe stato necessario nasconderli. I Matveev erano pronti a lavare con il sangue l'offesa ricevuta, e il fatto che lui avesse ucciso un minorenne li avrebbe resi convinti di poter infrangere le regole, visto che lui era stato il primo a farlo. Per minimizzare il trauma dei bambini poteva mandarli in un posto dove per lo meno avrebbero parlato la stessa lingua e che assomigliava vagamente alla loro città.
Vide comparire Ivan sulla soglia, una strana espressione sul viso e un articolo stampato da Internet in mano.
<< Cosa succede? >> gli domandò seccamente.
Ivan gli porse il foglio di carta, e Dimitri lo afferrò.
<< Volevo mostrarti questo >> disse.
Era un articlo di giornale americano, e anche se piccola e relegata in un angolo, Dimitri riconobbe immediatamente la foto della Fiat Punto di Fenice, semidistrutta e abbandonata in mezzo alla strada. Lo fissò senza capire, mentre nello stomaco sentiva una strana sensazione, simile al vuoto lasciato dalla fame.
<< Pare che la polizia di Los Angeles abbia dato la caccia a Fenice per l'ennesima volta, e che sia riuscita a prendere solo la sua auto... >> spiegò Ivan, << In realtà, la macchina è distrutta, ma lei è scappata >>.
"Dove cazzo è Went?".
Dimitri fissò per qualche istante l'articolo di giornale, mentre tentava di immaginare quello che Fenice stava facendo dall'altra parte del mondo, senza però riuscirci. Non aveva senso, non c'era molto da dire.
Per come la conosceva lui, Irina non avrebbe mai lasciato la sua auto per un buon motivo; nutriva un attaccamento viscerale per la Punto, che era sempre stata la macchina che l'aveva accompagnata nelle gare. Abbandonarla, per di più in quello stato, non era da lei.
Si innervosì, rendendosi conto che quella cosa lo distraeva da quello che stava accadendo a Mosca, ed era qualcosa che non doveva succedere.
<< Sta bene? >> domandò tra i denti, mentre continuava a sentire quella strana sensazione allo stomaco.
<< Non lo so... >> rispose Ivan, << Quello che è sicuro è che è riuscita a fuggire >>.
Stava bene per forza, Fenice. Se mai fosse stata uccisa, la notizia si sarebbe diffusa in tutta Los Angeles forse molto più in fretta di come aveva fatto l'omicidio di Milad Buinov. Era un personaggio troppo fuori dal comune per finire nell'ombra, soprattutto ora che sembrava avere tutta la polizia addosso.
Continuava a chiedersi perché, perché mai Fenice avesse abbandonato la retta via e la vita da poliziotta per tornare in strada e prendersi la Black List.
Scosse il capo con un grugnito, strappando il foglio che Ivan gli aveva portato e rivolgendogli un'occhiata nervosa.
<< Perché continui a portarmi notizie di Fenice? >> ringhiò.
Ivan sembrò confuso, dalla sua domanda.
<< Ha salvato Yana, pensavo che... >> iniziò, ma non terminò la frase, perché Dimitri lo fulminò con lo sguardo.
<< L'unica notizia che sarai tenuto a darmi sul suo conto è quella della sua morte >> ringhiò.
Ivan annuì e sparì nel corridoio, in silenzio.
"Questo è il tuo peggior difetto, Fenice: chiunque ti incontra finisce per amarti".
Stancamente, Dimitri si diresse verso il soggiorno, mentre ripercorreva le ultime ore, dall'uccisione di Milad alla discussione con sua sorella Vilena per quello che aveva fatto. Non ne era contenta, ma non ne era contento nemmeno lui, se per questo. Inizialmente aveva pensato di far sparire i corpi, e visto che la notizia era trapelata tanto in fretta, aveva ritenuto più saggio lasciarli in un posto dove le loro famiglie avrebbero potuto ritrovarli.
Ora però si apriva un nuovo scenario, e doveva prendere l'ennesima decisione scomoda della sua vita: continuare a essere la Lince o lasciare tutto e sparire.
Nessuna delle due sarebbe stata indolore, né facile da perseguire: rimanere Lince significava guardarsi continuavamente le spalle, significava continuare la sua vita di criminale e rischiare ogni giorno di più, ma era anche l'unico modo per avere il controllo. Essere dentro gli consentiva di mantenere maggiormente la sua famiglia al sicuro.
Scappare e lasciare tutto voleva dire più libertà, ma anche più pericoli. E soprattutto non poteva sdradicare Yana e Sergey dalla loro realtà, non quando non erano ancora davvero consapevoli di cosa voleva dire. E poi, i suoi cugini sarebbero rimasti e avrebbero pagato le conseguenze della sua fuga.
Odiava il suo mondo, ma non si era mai chiesto cosa sarebbe stato di lui se fosse nato in un'altra famiglia, in un'altra città o in un'altra epoca... Non serviva farlo, perché era troppo abitutato a vivere il momento presente, che quello passato o quello futuro.
Sarebbe stata una notte molto lunga, così tirò fuori una bottiglia di vodka e riempì un bicchiere.
Ore 23.00 – Los Angeles, Vertical Drag
Il rombo del V12 Ferrari era come musica nelle orecchie di Irina, mentre si avvicinava al Verticarl Drag, avvolta dall'oscurità della notte e sola. Viaggiava sulla strada a bassa velocità, anche se ogni secondo la F12 sembrava pregarla di premere più a fondo sull'acceleratore.
La aspettavano ed era esattamente quello che aveva chiesto. Il Vertical Drag era ancora aperto, la polizia aveva organizzato la retata solo per catturare lei; avevano fermato qualche ragazzo, ma niente di più, perché l'obiettivo di Senderson era stata sempre e solo lei.
Dopo l'inseguimento della sera precedente, era sicura che Jorgen e molti altri l'avessero data per finita; si sbagliavano, perché per l'ennesima volta Fenice era rinata e lo aveva fatto nel modo peggiore. Era rinata nera, determinata e spietata, e aveva scelto di iniziare la sua nuova vita con un'auto degna del suo passato e del suo presente, ora più che mai.
Le luci di ingresso del Vertical Drag illuminavano il parcheggio affollato di persone, dove intravide Spark e Scott in prima fila. C'era tanta gente, Brendan e la sua Audi TT bianca ferma a pochi metri, lui appoggiato alla fiancata, in attesa.
Un mormorio di sopresa e ammirazione percorse i ragazzi, quando Irina entrò nel parcheggio a bassa velocità, Spark che osservava la sua nuova auto con gli occhi spalancati, la gente che si faceva da parte per farla passare.
La Ferrari F12 si presentò facendo ruggire il motore, attirando volontariamente tutti gli sguardi su di lei. Sinuosa come un felino, la vernice gialla che brillava sotto la luce dei lampioni, si fermò al centro del parcheggio, gli scarichi che borbottavano il suo nervosismo.
Per quanto Irina avesse amato la sua vecchia auto, ora capì che la F12 non era la Punto, e lo capì dagli sguardi della gente. Se prima ammiravano lei come pilota, per la sua capacità di fare ciò che aveva fatto a bordo di una utilitaria italiana, ora ammiravano tutto di lei. Ora aveva l'auto giusta per diventare leggendaria come William Challagher.
Ma la Ferrari F12 non sarebbe stata una semplice auto, sarebbe stata un oggetto che avrebbe rappresentato per sempre il suo mondo.
Niente enormi fenici ad ali spiegate, niente aerografie nere sulle fiancate. Sul cofano giallo della F12 campeggiavano dei nomi, nomi in fila uno dietro l'altro, in un elenco da uno a dieci, in una lista che chiunque conosceva.
La Black List.
Sulla Ferrari di Fenice campeggiava l'intera Black List creata dallo Scorpione, con tutti i nomi e i soprannomi, perché nessuno, lei per prima, avrebbe dovuto dimenticarla. Quella non era solo la sua auto, era l'auto del suo passato, era l'auto dei suoi fantasmi. Era lo stadio finale di Fenice, dove non contava più solo lei e il suo nome, ma ciò che importava era tutta la sua storia e la storia chi l'aveva accompagnata nel suo viaggio. Con lei avrebbe portato tutti, perché tutti li avrebbe vendicati.
Fissò la gente intorno a lei, i fari della F12 che illuminavano lo spiazzo.
<< Sono Fenice >> disse solo. << Non importa che auto io guidi >>.
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