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Capitolo XVII

https://youtu.be/hhSA9H9Iaqw

Ever since I could remember,
Everything inside of me,
Just wanted to fit in (oh oh oh oh)
I was never one for pretenders,
Everything I tried to be,
Just wouldn't settle in (oh oh oh oh)
If I told you what I was,
Would you turn your back on me?  

[Monster - Imagine Dragons]



Ore 18.00 – Mosca, Pavlov Garage

La minuscola saletta del garage Pavlov era rischiarata a giorno dai neon, mentre Dimitri aspettava in piedi davanti al muro, di fronte a lui solo una grande stampa che mostrava una spiaggia assolata, palme che la circondavano e l'acqua dell'oceano cristallina che rifletteva la luce del sole di una mattina in un tempo indefinito. Assomigliava moltissimo a una di quelle di Los Angeles, ma non ne era così sicuro; era troppo tempo che non tornava in California per ricordare esattamente il clima di quel posto. Non che amasse particolarmente quella città, ma per lo meno non era la Russia.

Aspettava Rafail Demidoff per il suo nuovo rapporto, anche se in quel momento quello che il capo dei Servizi Segreti russi poteva dirgli non gli sembrava così importante. Che Edgar Matveev fosse dietro i suoi agguati era ovvio ora, un po' meno lo era il fatto che Fenice aveva fatto un trionfale ritorno a Los Angeles.

Era stato Ivan a dargli quella notizia, la sera prima, e lo aveva fatto in modo strano, quasi cauto, come se non fosse certo di doverglielo dire, forse perché Dimitri non gli aveva chiesto nulla, a riguardo. I blog dei piloti clandestini erano in fermento, perché era ufficiale, dopo voci di settimane, notizie non confermate e pettegolezzi di corridoio: Fenice era di nuovo in città come pilota clandestina, e aveva dato il via alla creazione di una nuova Black List.

La cosa aveva lasciato Dimitri perplesso, oltre che vagamente sorpreso; non aveva nessun senso quello che stava facendo Irina. Perché rimettere in piedi la Black List? Perché lasciare la polizia?

Guardò l'orologio, ripetendosi per l'ennesima volta che quelli non erano affari suoi. Stava accadendo tutto troppo lontano per doverlo interessare. E comunque, Irina e la sua banda erano abbastanza in gamba da cavarsela da soli.

Attese in silenzio, in piedi in quella saletta asettica, con un solo tavolo di metallo e due sedie. Dopo una decina di minuti Rafail Demidoff bussò alla sua porta, il completo gessato a dargli sempre quella falsa aria professionale.

<< Deduco che ti senti minacciato, visto che ci troviamo qui... >> proruppe l'uomo, mentre Dimitri nemmeno si girava ad accoglierlo. Lo sentì chiudere la porta alle sue spalle e fermarsi, forse indeciso.

<< E' per preservare la tua incolumità, non la mia >> ribatté Dimitri, nemmeno poi tanto ironico, << Che novità hai? >>. Continuava a fissare il muro, le mani intrecciate dietro la schiena.

<< Matveev finanzia una società preparatrice di auto >> rispose Demidoff, porgendogli un piccolo fascicolo con la copertina nera, << Sembra abbia rilevato un vecchio fallito... La Torec >>.

Dimitri prese il plico, dove trovò i documenti riguardo all'azienda di cui parlava Demidoff. Gli gettò una rapida occhiata, prima di appoggiarli sul tavolo. Quel marchio risvegliò qualche ricordo in lui; sapeva che aveva chiuso anni addietro, perché poco competitivo.

<< E' stata la Torec ha preparare le Q7 che hai visto >> continuò Demidoff, << Le stesse che stanno girando a Los Angeles in questo momento. La sede legale è a Londra, ma credo si tratti di uno specchio per le allodole. L'ufficio si residenza è un ufficio fantasma, uno studio di commercialisti che ha chiuso un anno fa. Al momento non sembrano avere una officina o uno stabilimento produttivo da qualche parte, ma credo che non lo abbiano mai dichiarato... Ma le auto sono le stesse che si sono viste a Los Angeles e che stanno piantando casini >>.

Allora chi stava cercando di uccidere lui stava anche tentando di distruggere la Black List... Le cose erano davvero collegate. Però non era chiaro se lui fosse un bersaglio per via della sua posizione di Mastino, o in quanto Lince.

<< Perché a Matveev dovrebbe interessare Los Angeles? >> domandò Dimitri seccamente, << Forse non ci è mai nemmeno stato... Ora gli interessa far fuori i miei vecchi colleghi? A che scopo? >>.

<< I documenti che ho trovato riportano il suo nome >> rispose Demidoff, come se questo rispondesse a tutte le sue domande, << Probabilmente sta collaborando con gente del Venezuela... >>.

Poteva essere. Molto probabilmente Matveev stava agendo per conto di qualcuno, forse in cambio di qualche affare.

<< Hai parlato con l'F.B.I.? >>.

<< Hanno un agente che sta lavorando sul caso >> rispose Demidoff, << Sta avendo qualche difficoltà, perché quella che gente molto furba. So che si sta infiltrando tra loro >>.

"Went".

Poteva esserci solo lui a lavorare a un caso del genere. Infiltrarsi tra i piloti era la sua specialità, e l'F.B.I. lo reputava il suo miglior agente... Ma Irina?

Dimitri incrociò le braccia, fissando Demidoff negli occhi.

<< Non ti hanno segnalato movimenti strani a Los Angeles? >>.

L'uomo gli rivolse una strana occhiata.

<< A parte la lotta che sembra esserci per la Black List? >> rispose con un ghigno, << E i casini che sta avendo la polizia a tenere a bada i piloti clandestini? No, ma inizia a essere evidente a tutti che queste cose sono collegate tra loro. Quale sia il punto focale nessuno lo ha capito, non ancora, per lo meno >>.

Certo, per capire chi c'era dietro c'era un solo modo: entrare nel loro mondo, spacciarsi per uno di loro, e chi meglio di Irina poteva farlo? Lei non era Went, lei era stata parte della vita criminale di Los Angeles... Forse stavano lavorando su due fronti, anche se tecnicamente gli sembrava impossibile. Uno perché Went era conosciuto in città, sapevano che c'era lui dietro l'arresto dello Scorpione; due perché la stessa Irina era troppo compromessa, come persona. Eppure, era per strada e stava spendendo di nuovo il suo vecchio nome.

<< Fenice sta lavorando a questa cosa? >> domandò Dimitri, neutro.

<< Fenice è completamente fuori controllo >> rispose Demidoff, i baffetti che si piegavano seguendo il sorrisetto che si formò sulla sua bocca, << Non sta lavorando a nulla. E' lei uno dei problemi di Los Angeles, in questo momento >>.

Dimitri lo fissò in silenzio, mentre nella sua testa cercava di mettere a posto tutti i pezzi di quel puzzle senza senso che si stava creando: Matveev che improvvisamente sembrava voler morta tutta la Black List, Irina che tornava a fare la pilota clandestina, e Went che non cavava un ragno dal buco, mentre si trovava in Venezuela o in qualunque altro posto dell'America.

A lasciarlo più perplesso di tutti, però, era il comportamento di Irina. Non perché avesse avuto il coraggio di tornare, ma cosa l'aveva spinta a farlo.

<< E' una copertura >> sentenziò alla fine, << Quella di Irina Dwight è una copertura. Non ha senso ciò che sta facendo... Stanno facendo in modo che non passi per quella che è realmente... >>.

Poi Dimitri si interruppe di colpo, rendendosi conto a dove lo stava portando quel discorso.

"Non sono affari miei".

<< Ci sono collegamenti tra Matveev e Milad Buinov? >> chiese, cambiando improvvisamente il filo del discorso, mentre Demidoff si limitava a osservare con scarso interesse il tavolino di metallo e il fascicolo appoggiato sopra.

<< Nessuno. Il ragazzo sembra a posto. E' troppo giovane per poter aver fatto qualcosa degno di nota, anche per i nostri standard >>.

Dimitri guardò il capo dei Servizi Segreti con una smorfia in faccia. Lui a diciassette anni aveva collezionato già un paio di omicidi, anche se non c'era nulla da andare fieri.

<< Cosa sta facendo la Torec, in questo momento? >> chiese, camminando lungo il muro con la spiaggia di Los Angeles.

<< Prepara qualche auto, ma non sembra avere un grande parco clienti. L'F.B.I. ha schedato solo Audi Q7 con quel marchio, tutte negli Stati Uniti. Probabilmente è una copertura per qualcos'altro >>.

Per cosa?

<< Mi servono altre informazioni >> ribatté Dimitri, innervosito da quella situazione di cui non riusciva a trovare i capi, << Altri nomi collegati a Matveev... Io lavorerò con i miei metodi, tu sui tuoi canali. Tra una settimana ci rivediamo qui, per fare il punto >>.

Congedò Demidoff, che se ne andò senza fare cerimonie, e rimase nella stanzetta segreta del garage Pavlov, continuando a fissare il paesaggio di mare appeso alla parete. Tutta quella storia non gli piaceva, perché stava mettendo in pericolo non solo lui, ma anche la sua famiglia, Yana, Vilena e Sergey in primis. Se stavano cercando lui, potevano decidere di usare uno di loro come esca... Non si fidava più da tempo della loro legge per la quale donne e bambini non dovevano essere toccati.

Aveva un nome, e doveva lavorarci sopra con i metodi giusti. Matveev poteva essere etichettato benissimo come traditore, non doveva avere chissà quali prove per dichiararlo tale. Era legittimato a ucciderlo, visto che era la Lince, ma non poteva non sfruttare l'occasione di avere altri nomi e altre informazioni da lui. E poi, qualcosa gli diceva che se voleva farlo fuori, doveva dimostrare ai russi di avere davvero un buon motivo, per evitare di gettare ombre sulla sua figura.

Non gli piaceva usare la forza, per estorcere le informazioni, ma era pronto a farlo, se serviva a ottenere nomi e fatti che avrebbero chiarito la situazione e gli avrebbero permesso di capire quanto doveva effettivamente stare attento. Se doveva scegliere tra la sua anima e la vita di Yana, avrebbe scelto sempre quest'ultima.

Tirò fuori il cellulare e cercò il numero di Emilian. Suo cugino rispose al secondo squillo.

<< Trova Matveev >> gli ordinò, << Trovalo e portalo a Sokol. Devo interrogarlo >>.

Dall'altra parte della linea, Emilian capì immediatamente. Bastava la parola "Sokol" per fargli intendere che non avrebbe dovuto usare i guanti di velluto, per costringere Matveev a seguirlo.

<< Per quando lo vuoi? >> domandò solo, la voce rasposa che nascondeva poco la sua soddisfazione, a quella richiesta.

<< Stasera >> rispose Dimitri, << Fa in modo che tutti sappiano che ho qualcosa da sospettare su di lui. Ha giocato a fare il servo fedele, fino a oggi, ma credo sia un traditore >>.

<< Dallo già per fatto >> disse Emilian.

Dimitri chiuse la telefonata, mentre sentiva il corpo tendersi come una molla. Era stanco di brancolare nel buio, di sentirsi minacciato senza sapere da chi. Era abituato ad agire alla luce del sole, e così avrebbe fatto. Non importava quando la sua anima si sarebbe corrotta. Lo era già in modo irrimediabile, e a lui aveva smesso di importare.






Ore 15.00 – Los Angeles, casa di Irina

Irina mise giù il cellullare e interruppe la chiamata; per l'ennesima volta il telefono squillava a vuoto. Nemmeno in pieno pomeriggio Greg Thile aveva voglia di rispondere. Si sarebbe preoccupata, se non fosse stato lui a dirle proprio due giorni prima che ultimamente cambiava spesso cellulare, per evitare le intercettazioni della polizia e altri casini che non le aveva spiegato. Sarebbe stato molto più facile trovarlo di persona al suo negozio, ma non era certissima che fosse saggio uscire quel pomeriggio.

In soli quattro giorni di serate passate al Vertical Drag, Irina era riuscita a risvegliare l'interesse dell'intera città sulle corse clandestine. Aveva disputato una decina di gare, aveva praticamente giocato sotto il naso della polizia e ora aveva qualche pilota da aggiungere alla sua nuova Black List.

Si era sentita strana quando aveva visto Scott Trevor prendere un foglio di carta e scrivere a penna, proprio in cima, il numero 1 seguito dal suo nome. Era ufficiale, ora era davvero la prima in classifica, visto che nessuno era riuscito a batterla.

Dalle gare erano venuti fuori tre nomi interessanti, tre ragazzi che avevano dimostrato buone capacità alla guida e che potevano anche aspirare ai primi posti della Black List. Irina li aveva osservati, ma non aveva ancora un giudizio definitivo; era troppo presto: dovevano farsi avanti altri piloti, ed era sicura che nei prossimi giorni al Vertical Drag sarebbe arrivata molta altra gente, anche da fuori città, per cercare di accaparrarsi un posto in classifica. Ci sarebbero volute settimane, per dare dei nomi definitivi alla nuova Black List; al momento, l'unica cosa di cui era certa, era il suo nome al posto di quello dello Scorpione...

Quel nome le riportò altro alla mente, all'improvviso.

Quanti giorni erano che non andava sulla tomba di Xander e di William?

Tanti, probabilmente troppi; però forse era meglio così, perché ogni volta che andava al cimitero sentiva il dolore acuirsi e tornava a vedere le cose sempre più nere. Aveva paura di dimenticare, ma in fondo come poteva fare a cancellare tutto dalla sua mente? Era impossibile, dopo tutto quello che aveva vissuto.

La casa le sembrava stranamente silenziosa, mentre osservava la televisione con scarso interesse, cercando di distrarsi da quel misto di tristezza e rimpianto che sembrava impossessarsi troppo spesso di lei.

Non aveva voglia di uscire, le serate passate a rientrare a casa tardi iniziavano a renderla stanca e irritabile, e il fatto di doversi guardare continuamente le spalle la innervosiva; il problema era che l'immobilità le faceva usare troppo la testa, e si ritrovava a pensare troppo. Era preoccupata per suo padre, per Jenny e Luke, e voleva sapere come stava Tommy.

Decise di andare fino da Greg Thile usando la TT, sapendo di correre qualche rischio, ma almeno l'Audi non era mai stata segnalata alla centrale di polizia, quindi poteva girare per le strade un po' più tranquilla.

Mentre guidava ascoltò la radio e le ultime notizie, il traffico cittadino che si muoveva caotico e rumoroso intorno a lei. Ormai era famosa e sinceramente si chiese se ai suoi tempi anche dello Scorpione si parlasse così tanto; non ricordava fosse menzionato più o meno in ogni giornale radio. Probabilmente tutto era dovuto al fatto che faceva molto più scalpore una buona che diventava cattiva, e non il contrario.

"Sto diventando un fenomeno da baraccone...".

Thile in negozio non sembrava esserci, quando lei arrivò; il cartello all'ingresso diceva "chiuso". Trovò strana la cosa; era pieno pomeriggio, e normalmente l'informatico teneva aperto in quell'orario. Decise di entrare, giusto per ribadire il fatto che essendo lei Fenice poteva fare un po' quello che le pareva, o almeno doveva fingere di pensarlo.

Il locale era silenzioso, all'apparenza vuoto. Per un attimo, fu quasi certa di sentire qualche movimento del retro, ma poi capì che doveva essere stata la sua immaginazione, perché non arrivò nessuno ad accoglierla. C'erano solo lei, le scatole di accessori per il computer e tanta polvere.

<< Thile? >> gridò, << Ci sei? >>.

Non ottenne risposta. Rimase ferma dov'era, mentre osservava il negozio con attenzione; sembrava tutto a posto, eppure qualcosa le pizzicava la nuca, come un avvertimento. Si avvicinò al bancone, lentamente, e proprio appoggiato sullo scaffale lì dietro, all'altezza degli occhi, c'era un pezzo degli scacchi. Una torre.

Qualcosa nello stomaco di Irina si contrasse, mentre sentiva il sangue gelarsi nelle vene. Non era un bel messaggio, qualunque cosa fosse.

Aggirò il bancone, prese il pezzo degli scacchi e lo osservò per un momento, prima di rivolgere la sua attenzione alla porta che dava sul retro, appena appoggiata. Si ritrovò a non avere il coraggio di entrare, ma dovette farlo quando sentì un telefono cellulare squillare a vuoto, proprio dal magazzino.

La porta si aprì senza nemmeno un cigolio, quando la spinse. Lentamente, entrò nel retro, pieno di scaffali ricolmi di ricambi per pc e decine e decine di aggeggi informatici. Lo stesso strato di polvere che permeava il negozio si era posato sugli scaffali, segno che Thile non amava le pulizie o che il suo business non fosse davvero la vendita di accessori informatici.

Aggirò un mobile, seguendo il suono del cellulare che continuava a squillare insistentemente, e dovette aggrapparsi allo scaffale per non cadere, quando vide cosa c'era per terra.

Il cadavere di Greg Thile era circondato da una pozza di sangue denso e scuro, steso in modo scomposto sul pavimento, il cellulare stretto in mano e un pezzettino di carta abbandonato a pochi centimetri dalle sue dita.

Per un attimo, Irina sentì il suo cuore smettere di battere; solo i ricorsi del suo brevissimo corso da poliziotta le impedirono di correre sul corpo di Thile e cercare di prestargli aiuto, anche se era evidente che non gliene serviva.

Strinse lo scaffale, cercando di mantenere la calma, il respiro corto e il dolore che le attanagliava le viscere. Non si era preparata a una cosa come quella, e aveva commesso un errore.

Jorgen Velasquez, c'era lui dietro. La torre che aveva trovato sul ripiano ne era la prova. In qualche modo aveva saputo cosa aveva chiesto a Thile, e aveva fatto in modo che non avesse successo nelle sue ricerche... Aveva più occhi e orecchie di quanto credesse, nonostante fosse a Los Angeles relativamente da poco tempo.

Irina deglutì, mentre la rabbia iniziava a montare nuovamente in lei. Questa era l'ennesima morte inutile che Jorgen lasciava sulla strada. In nome di cosa poi?

Fece un passo avanti, stando attenta a non lasciare tracce da nessuna parte, e si avvicinò al corpo di Thile. Si abbassò, sentendo l'odore metallico del sangue che le dava il voltastomaco, e toccò la mano del ragazzo; la sua pelle era gelida, il polso senza alcun battito. Era stato ammazzato con quattro colpi di pistola al torace, esattamente come Xander. Non sapeva quantificare quando, ma qualcosa le disse che fino a pochissime ore prima Greg stava ancora lavorando tranquillamente nel suo negozio.

<< Mi dispiace... >> mormorò Irina, un enorme groppo nella gola che non le permetteva quasi di respirare.

Thile non centrava nulla. Anche se era sempre stato pagato per i suoi lavori, l'aveva pur sempre aiutata; a modo suo, era stato un amico. Era lui che aveva identificato Xander, che le aveva dato una mano a evitare che sbirri ingenui finissero nella rete dello Scorpione e ci lasciassero la pelle. Senza di lui, avrebbe avuto molte più vite sulla coscienza.

Non si era mai abituata a quella variabile della vita dei criminali: un attimo prima c'eri, un attimo dopo potevi anche non esserci più. Nonostante essere pilota clandestina le aveva insegnato che si poteva morire, che nel loro mondo qualcuno si arrogava il diritto di decidere chi poteva vivere e chi no, ogni volta era un trauma. Ora lo capiva più che mai, perché mai come adesso le era chiaro che la morte era definitiva.

Raccolse il pezzettino di carta abbandonato a terra, per scoprire che era quello che le aveva lasciato lei, con il numero di tracking dei ricambi Torec. Se lo mise in tasca, e senza guardare il volto distorto di Thile, gli sfilò il cellulare dalle mani gelide e irrigidite. Non era abituata ad avere a che fare con la morte così da vicino, e lo stomaco contratto le suggerì di allontanarsi in fretta, prima che anche le sue gambe non fossero più state in grado di portarla fuori di lì.

Sempre attenta a non lasciare impronte, Irina uscì dal retro e dal negozio, senza guardarsi indietro nemmeno una volta. Si ritrovò a correre verso la TT, fiondandosi dentro come se fosse stato un rifugio sicuro. Solo allora, chiusa nell'abitacolo silenzioso della sua auto, Irina si rese conto a che gioco stava giocando.

Stava davvero rischiando la pelle. Si era davvero messa contro qualcuno più forte di lei, ma soprattutto più spietato. La misera pistola che si portava dietro non era niente in confronto alla volontà di uccidere di cui erano armati i suoi nemici.

Lei sarebbe stata capace di uccidere, se fosse stato necessario?

"Trova chi c'è dietro a tutto questo, Fenice. Trovalo. Le morti che devi vendicare iniziano a essere troppe".

Strinse il cellulare di Thile nella mano, e spulciò tra le ultime chiamate. La maggior parte erano le sue e di gente che dovevano essere suoi clienti. Però c'era un sms in bozza, qualcosa che forse Greg stava scrivendo prima di essere ucciso.

Irina lo aprì.

"Fede".

C'era scritto Fede. Nessun nome, nessun destinatario, nessun vero senso in quel messaggio che Thile voleva mandare. Sperò solo che significasse qualcosa, perché tutto le era sembrato tranne che l'informatico credesse in un Dio. Fede in cosa? Che diavolo significava?

Molto probabilmente non centrava nulla con lei, e la cosa la frustrò. Era stato tutto inutile ed era nuovamente punto a capo.

Doveva andarsene, perché quel posto non era sicuro, e molto probabilmente Jorgen e la sua gente dovevano essere ancora lì dei dintorni. Decise di tenere il cellulare di Thile per chiamare un'ambulanza e la polizia appena avesse messo qualche chilometro tra il suo negozio e lei, dopo di che lo avrebbe gettato in un cassonetto.

Mise in moto la TT, ma quando puntò lo sguardo nello specchietto retrovisore l'unica cosa che vide fu un paio di fari spigolosi. I fari di una Lamborghini Gallardo; una Gallardo con la livrea della polizia di Los Angeles.

"Merda".

I lampeggianti della Gallardo si accesero nello stesso identico istante in cui lei affondò il piede sull'acceleratore della TT, facendola schizzare indietro con una sgommata. Ruotò il volante e inserì la prima, mentre la Lamborghini si metteva al suo inseguimento a sirene spiegate.

Irina sentì il cuore salirle in gola, mentre spingeva l'Audi tra le strade cittadine cercando di far ragionare il cervello anchilosato. Dietro di lei, la Gallardo era accompagnata da due Mustang della polizia, e lei oltre che a essere in inferiorità numerica era anche a bordo di un'auto diversa dal solito.

In quel momento si pentì di non avere mai fatto alcuna modifica alla TT.

Doveva trovare un modo per scappare, e farlo in fretta. Qualcuno aveva fatto una soffiata agli sbirri sperando di incastrarla...

Perché lo sapeva, che oltre che come pilota clandestina, tra un paio d'ore sarebbe stata ricercata anche come sospettata di omicidio.

La TT non sbandò di lato, quando tagliò una curva sfiorando un semaforo, e la Gallardo dietro di lei. Chiunque fosse al volante di quell'auto, era qualcuno che aveva un po' di esperienza; non tanta quanto la sua, ma sapeva guidare.

"Bravo Senderson. Hai visto che sei riuscito a trovare un mio sostituto?".

Irina non poteva contare sulla potenza dell'auto, in quel momento, e l'unica idea che le venne fu quella di seminarli in un territorio dove loro non avrebbero mai osato rischiare troppo.

Svoltò a destra, sulla Park Lane, diretta verso l'enorme parcheggio coperto del Centro Commerciale di Los Angeles. A cinque piani, era stato costruito per ospitare duemila auto, e qualche volta di notte era stato teatro di gare tra i pilastri di cemento. Roba da gente alle prime armi, lei non ci era mai andata, ma ora sapeva che quel posto poteva tornarle utile per come era fatto: l'entrata da un lato, l'uscita dall'altro.

Superò a tutta velocità le auto in fila al semaforo, terrorizzò un paio di passanti e si fiondò verso la rampa di ingresso.

La TT, bassa come era, toccò con il fondo con un tonfo quando iniziò ad arrampicarsi sulla salita circolare, ma era sufficientemente rigida e bassa da rimanere ben stabile, le ruote che fischiavano sull'asfalto.

La Lamborghini strisciò la fiancata contro il muretto, quando iniziò a salire, e lei sorrise di fronte alla mancanza di bravura di quel poliziotto... Non aveva ancora preso bene le misure della Gallardo, ma anche se lo avesse fatto, Irina era sicura che nessuno avrebbe saputo condurla come faceva lei.

Accelerò, la TT che si spingeva sempre più su, il suono delle sirene che le martellava nelle orecchie, finchè non si ritrovò all'ultimo piano.

Sbucò nel garage dove le auto erano parcheggiate una di fianco all'altra. Vide una ragazza chiudere la sua citycar e guardarla spaventata, mentre lei le passava a tutta velocità di fianco. Una signora con un carrello della spesa pieno si gettò per terra, per evitare la Gallardo che cercava di seguirla a ruota, ma evidentemente aveva paura di fare del male a qualcuno, perché rallentò, forse per accertarsi di non aver fatto del male alla donna.

Le due Mustang non c'erano; molto probabilmente, se erano stati furbi, la aspettavano alla fine della rampa d'uscita del garage, per impedirle di scappare. Però Irina aveva in mente un piano, che poteva escogitare solo una pilota clandestina come lei.

Imboccò la rampa, la TT che continuava a rispondere bene ai comandi, anche se non come poteva farlo la Punto, la Gallardo che impacciata la seguiva a qualche metro di distanza.

Quinto, quarto, terzo piano...

Irina vide i lampeggiati delle Mustang brillare di sotto, sulla strada, ed ebbe la conferma della loro tentata trappola. Credevano si fosse attenuta alle regole, o non la conoscevano davvero abbastanza.

Uscì al secondo piano, schivando per poco due anziani con i sacchetti della spesa, e puntò dritta verso l'altra rampa, quella di risalita.

La fortuna avrebbe dovuto assisterla, questa volta, e pregò che lo facesse, visto che ultimamente sembrava essersi dimenticata di lei.

La Gallardo inchiodò, quando Irina prese la rampa contro mano, in discesa. Le gomme della TT stridettero, mentre schizzava fuori senza incontrare nessuno, superando una Ford azzurra che stava per salire. Zigzagò sempre controsenso per duecento metri, infilò Park Lane e filò via a tutta velocità, senza nessuna auto della polizia alle calcagna.

Ci mise cinque minuti a raggiungere il quartiere di Santa Monica, senza rispettare alcun cartello stradale né nessun semaforo, mentre guardava in continuazione lo specchietto retrovisore, sperando di non veder comparire la Gallardo né tantomeno le Mustang.

Quando si chiuse la porta di casa alle spalle e vi si appoggiò sopra, Irina tornò a respirare.

Non si era aspettata niente di tutto quello; non si era aspettata di trovare Thile morto e di dover sostenere un inseguimento con l'Audi TT.

Era stata incastrata. Quando la polizia sarebbe entrata nel negozio di Thile e lo avrebbe trovato morto, la prima sospettata sarebbe stata lei. Non importava che nella sua vita non avesse mai ucciso nessuno, non importava che non lo avrebbe mai fatto... Gli indizi sarebbero stati contro di lei, visto che era appena scappata dal fermo della polizia.

E per di più, ora anche la TT era un bersaglio. Se prima poteva usare l'Audi per passare in incognito, ora la polizia conosceva la sua targa e non poteva più girare tranquilla.

Si mise a camminare su e giù per il minuscolo soggiorno di casa sua, cercando di ragionare.

Thile era stato ammazzato prima che potesse darle le informazioni che le servivano, quindi era costretta a trovare qualcun altro che la potesse aiutare... Ma chi? Di chi si poteva fidare così tanto da chiedere un lavoro di quel tipo?

Tirò fuori il cellulare di Greg, e le vennero i brividi quando lo toccò, perché era stata l'ultima cosa che l'informatico aveva stretto in mano prima di morire per colpa sua. Se non avesse mai preso quel lavoro, sarebbe stato ancora vivo.

Non c'erano messaggi, chiamate o appunti che potessero farle pensare che Thile avesse trovato qualche informazione. Quello sembrava solo un telefono per le normali comunicazioni con i clienti. C'era solo quella bozza, con scritto "Fede", che non sembrava avere senso. Chissà cosa davvero voleva scrivere Thile.

Forse poteva trovare qualcun altro a cui affidare l'incarico, ma doveva sicuramente parlare con Spark. Magari lui aveva dei contatti, nomi da proporle...

"Che casino...".

Doveva parlare con Spark, Scott e Casey, e doveva farlo il prima possibile. La situazione stava peggiorando rapidamente, ma soprattutto aveva il presentimento che adesso chiunque fosse in pericolo, non solo lei.

Chiamò Spark al cellulare, aspettando solo pochi secondi prima che lui rispondesse.

<< Ho un problema Spark. Dobbiamo fare una riunione d'emergenza >>.




Ore 22.00 – Mosca, Sokol

<< Per chi lavori? >>.

La voce dura di Dimitri cadde nel silenzio del fabbricato abbandonato, mentre osservava Edgar Matveev seduto su una vecchia sedia di legno, le gambe legate con delle corde e le braccia immobilizzate dietro la schiena. Aveva rivoli di sudore freddo che gli colavano sulla fronte, un taglio sulla tempia che sanguinava leggermente e gli occhi piccoli e scuri ridotti a fessure, nel tentativo di vedere nella penombra. Aveva la camicia spiegazzata e i pantaloni macchiati, ma era ancora perfettamente integro.

Se c'era una cosa che Dimitri non sapeva provare, era la compassione per i colpevoli. Non aveva ancora davvero interrogato Edgar con le maniere forti, ma era sicuro di dover arrivare anche a quel punto. Purtroppo i russi avevano il difetto di essere molto stoici, quando volevano.

<< Non lavoro per nessuno >> rispose Edgar, guardandolo con il disprezzo dipinto sul viso.

<< So che hai rilevato la Torec >> ringhiò Dimitri, << La conosco. Cosa ti serve modificare auto? E perché le hai vendute a chi ha cercato di uccidermi? >>.

Edgar gli sorrise in faccia, mostrando i denti in un ghigno malvagio. Dimitri era abituato a quelle dimostrazioni di forza e strafottenza, ma era altrettanto abituato a strapparle dal viso di chi gli stava davanti.

<< Non ho rilevato niente >> rispose il russo, << Da chi hai avuto questa informazione? >>.

<< Da fonti molto attendibili >> ribatté Dimitri, mentre osservava la grande stanza in cui si trovavano con falso interesse.

Era un capannone industriale abbandonato, abbastanza piccolo da non destare l'interesse di nessuno ma sufficientemente grande per ospitare la sua sala delle torture, come la definiva ironicamente. L'aria era fredda, umida, e la luce che proveniva da un paio di neon giallastri appesi alle pareti dava all'insieme un'atmosfera tetra e oscura. Disposti lungo un unico muro, c'erano due soli armadi. Uno conteneva pistole e armi da fuoco di vario tipo, che Dimitri teneva nascoste lì per le emergenze. L'altro, chiuso da un lucchetto, era quello che raccoglieva gli strumenti che potevano mutilare il corpo dei suoi prigionieri, e che in ogni caso strappavano a pezzi la sua anima.

Ci andava poco, a Sokol, e se si recava lì doveva avere sempre un buon motivo. Quando entrava in quel capannone, perdeva completamente la sua parte umana, sempre che ne avesse una. Tutta la sua famiglia sapeva che Sokol significava solo vedere il peggio del Mastino, e lui voleva che fosse così, soprattutto per i suoi nemici.

In fondo, era quello il luogo in cui aveva trovato sua sorella Lora con un coltello piantato nel collo.

Esattamente su quel pavimento.

<< Hai intenzione di torturarmi, Lince? >> domandò Edgar, alzando il mento in tono di sfida, << Vuoi informazioni da me? Cosa ti interessa sapere di così importante da rischiare di metterti contro la mia famiglia? >>

Dimitri girò intorno all'uomo, cercando di capire che strategia psicologica usare contro di lui.

<< Torturarti? >> ribatté, sardonico, << Io voglio ucciderti. Torturarti è solo la parte iniziale, quella un po' più divertente. Sono mesi che cerco chi vuole ammazzarmi, e vengo a scoprire che quelli che mi hanno teso agguati sono gli stessi che in questo momento stanno facendo casino a Los Angeles... E viaggiano tutti su auto della Torec. La ditta è intestata a te, ho i documenti che me lo comprovano >>.

<< Allora mostrameli >> sbottò l'uomo.

Dimitri gli appiccicò alla faccia il plico che Demidoff gli aveva dato, dove campeggiava in nome di Edgar Matveev in calce. Sapeva che erano informazioni attendibili, quindi Matveev stava mentendo, e la cosa lo innervosì.

<< Sono falsi >> sentenziò Matveev.

Dimitri si abbassò al suo livello, le ginocchia piegate e gli occhi puntati in quelli del russo. Poteva sembrare un po' più accondiscendente, in quella posizione, ma in realtà era tutto il contrario.

<< So che mi vuoi morto >> ringhiò, << Te lo vedo scritto in faccia. Ho dato troppi fastidi ai tuoi affari, e da quando sono qui non puoi più fare quello che vuoi... E' ovvio che tu abbia voglia di uccidermi >>.

<< Sarei stupito a farlo. Avrei addosso tutta la tua famiglia e mezza Mosca >>.

<< Infatti ti nascondi dietro gente straniera >> lo interruppe Dimitri, << Le cose sono semplicemente due, Matveev: o mi dici esattamente se stai lavorando per qualcuno, e io posso decidere di lasciarti libero, oppure fingi di non sapere nulla e a quel punto sarò autorizzato a farti soffrire >>.

<< Se mi uccidi, scatenerai l'ennesima guerra >> ringhiò Matveev.

Dimitri lesse la paura, nei suoi occhi, il che significava che il russo non voleva morire, nonostante dimostrasse il contrario. Era una crepa nella sua convinzione, perciò poteva sperare che un po' di sangue lo avrebbe fatto parlare. In fondo, la famiglia Matveev non era così potente, e controllava solo Tula; c'erano decine di gruppi molto più forti e importanti del suo. E comunque, rimaneva il fatto che in quanto Lince poteva più o meno fare ciò che gli pareva, soprattutto se aveva le prove del suo tradimento.

<< Non mi interessa >> rispose Dimitri, << A dire la verità, non mi importa nemmeno quanta gente cerchi di uccidermi. E' l'incolumità della mia famiglia, che mi preoccupa, e tu sai quanto io sia suscettibile da quel punto di vista >>.

L'espressione di Matveev cambiò in un attimo. Era risaputo quando la Lince fosse disposta a fare per avere vendetta per i torti subiti dalla sua famiglia; dieci anni di attesa erano un temibile biglietto da visita, Dimitri ne era sempre stato consapevole. Soprattutto perché a quell'episodio era legato il suo nome vero, non quello della Lince.

<< Cosa ti aspetti che ti dica? >> domandò l'uomo, cercando di mascherare la punta di paura nella sua voce.

Dimitri si diresse verso l'armadio chiuso dal lucchetto. Lo aprì lentamente, mettendo in mostra una lunga serie di coltelli, da quelli sottili come spilli a quelli grossi come da macellaio. Poteva provocare un foro piccolo come un ago o amputare un arto, la scelta era molto vasta.

<< Sai perché porto qui la gente che non vuole collaborare? >> domandò, lasciando l'armadio aperto in modo che l'uomo potesse vedere bene cosa c'era dentro.

Matveev non rispose. Un rivolo di sudore gelato gli colò sulla tempia.

<< Ho trovato mia sorella Lora sgozzata qui, proprio dove sei seduto tu >> continuò il Mastino, gelido.

Osservò l'espressione impietrita di Matveev, e decise di usare l'ultima arma psicologica che aveva a sua disposizione, prima di passare a quella fisica.

<< Ti lascio due ore, Matveev >> disse, << Due ore per pensare a cosa vuoi raccontarmi e cosa no... Il tempo di bere un drink al Black Diamond e tornare qui. Mi sembra un buon compromesso >>.

Lasciò Matveev dov'era, sapendo che Emilian lo avrebbe sorvegliato a vista, fintanto che lui non fosse stato presente. Sarebbe andato al Black Diamond, ma non avrebbe bevuto nessun drink; si sarebbe limitato a disputare qualche incontro di lotta, per sfogare un po' di energie e tornare per lavorare su Matveev senza il rischio di ucciderlo.

Al Black Diamond trovò Milad Buinov bighellonare in giro per le sale, nonostante la minore età non gli permettesse di essere lì.

<< Allora? Hai parlato con Matveev? >> gli domandò, osservando con interesse le ragazze che servivano da bere.

Dimitri fece una smorfia.

<< Non sono affari tuoi cosa sto facendo, ragazzino >> rispose, << Tu non dovresti essere qui, comunque >>.

<< Ho falsificato la mia carta d'identità >> rispose Milad, il tono orgoglioso, << Combatti, stasera? >>.

Dimitri grugnì.

<< Scommetto su di te mille rubli >> continuò Milad, << E se li vinco li spendo in puttane >>.

Dimitri gli rivolse un'occhiata inferocita, costringendolo ad andarsene. In quel momento, l'unica cosa che voleva era ribaltare un paio di russi dal ring, senza fregarsene di quali danni gli avrebbe provocato. Avere un ragazzino troppo cresciuto che gli girava intorno, per di più del quale non si fidava, lo innervosiva.

Un paio di ore dopo, lasciato il Black Diamond e i suoi introiti in denaro a Radim, passò da casa per verificare che tutto fosse a posto. Yana e Sergey dormivano, e Darina finalmente si teneva alla larga; non aveva lasciato casa sua, ma ora almeno sembrava aver deciso di non tormentarlo più.

Trovò Vilena ad attenderlo, in piedi, con il viso corrucciato, nel soggiorno di casa sua. Lo osservò in silenzio, e Dimitri ignorò la sua espressione, mentre salutava il marito.

Stava per andarsene, quando sua sorella lo fermò, afferrandolo per un braccio, e lui la guardò in cagnesco; non gli piaceva essere toccato a tradimento, e lei lo sapeva molto bene.

<< Cosa stai facendo, Dimitri? >> gli domandò, fissandolo negli occhi.

Lui si scostò, arrabbiato. Vilena sapeva: sapeva di Mavteev e sapeva dell'interrogatorio. Qualcuno doveva averglielo detto, perché di norma lui non parlava dei suoi affari con lei... Se avesse scoperto chi era stato, gli avrebbe legato la lingua.

<< Il necessario a rendere sicuro questo posto >> rispose ringhiando, e Vilena capì di avergli posto la domanda nel modo sbagliato. Assunse un'espressione addolorata, quasi colpevole, come se tutto dipendesse in qualche modo da lei.

<< Cosa gli farai? >> chiese a voce bassa.

<< Tutto quello che devi >> rispose Dimitri, prima di infilare la porta ed andarsene. Non voleva che gli venissero poste altre domande, e non voleva dare altre risposte, sulla questione.

Matveev doveva parlare, perché lui voleva sapere a ogni costo. Non gliene fregava nulla di quanto dolore avrebbe dovuto provocare, né di quanto in basso si sarebbe dovuto spingere. Era la Lince, gli era concesso tutto contro chi era sospettato di tradimento, e gli era concesso di più quando serviva per mettere al sicuro la sua famiglia.

Raggiunse Sokol in fretta, l'Audi R8 che correva lungo le strade buie e deserte, l'area industriale desolata e sinistra, in un'atmosfera perfettamente adatta a ciò che stava per fare. Ogni metro che lo avvicinava a quel magazzino lo rendeva sempre più rabbioso, era così tutte le volte.

Aveva scelto Sokol proprio per quel motivo, proprio perché lo rendeva più bestiale di quanto fossero in grado di fare altri luoghi, qualsiasi luogo in tutta la Russia. La dentro si era consumata la tragedia che aveva cambiato irrimediabilmente la sua vita e le sue prospettive, e non voleva dimenticarlo... Non gli era servita a niente la vendetta, la rabbia bruciava ancora dentro di lui, e l'unico modo era sfogarla facendo qualcosa che avrebbe aiutato la sua famiglia.

Chissà se Darina, se avesse saputo cosa erano in grado di fare le sue mani, avrebbe voluto ancora andare a letto con lui.

Trovò Matveev ancora seduto dove lo aveva lasciato, Emilian in piedi e in silenzio dall'altra parte del capannone.

<< Ha detto qualcosa? >> domandò a suo cugino, mentre Edgar cercava di muovere appena le gambe, per sgranchirle dopo le ore di immobilità forzata.

<< No >> rispose Emilian, prendendogli la giacca che si era tolto, << Dice solo che tutto questo scatenerà un casino... >>.

<< Casino o no, deve parlare >> ribatté lui.

Dimitri raggiunse Matveev, che dava segni di sofferenza per via delle corde troppo strette. Gli diede un colpo sulla gamba, per guadagnare la sua attenzione.

<< Che cosa vuoi fare? >> ringhiò, << Hai intenzione di parlare, oppure no? >>.

Edgar piegò le labbra in un sorriso cattivo.

<< Impiega bene il tuo tempo per cercare di tirare fuori qualcosa da me >> rispose, << Fra qualche ora i miei uomini saranno qui, e ritroveranno la Lince appesa per le caviglie e con la gola tagliata nello stesso identico posto dove hanno ammazzato sua sorella... Almeno morirete nello stesso luogo >>.

Dimitri lo fissò, perplesso. Di solito, chi finiva lì dentro dopo non aveva mai la possibilità di raccontare dove era stato, quindi dubitava che qualcuno degli uomini di Matveev potesse davvero sapere dove si trovava. L'allusione a Lora però gli diede fastidio; raggiunse l'armadio e tirò fuori uno dei coltelli più piccoli, sottile come uno spillo e dalla lama a punta.

Si piazzò davanti a Matveev e lo guardò dritto in faccia.

<< Per chi stai lavorando? >>.

Il russo non rispose.

Molto probabilmente non sarebbe stato facile farlo parlare, ma conosceva abbastanza il corpo umano da sapere dove un coltello di quel tipo poteva fare più male. Lo appoggiò sul ginocchio destro di Matveev di punta, osservando l'uomo che si tendeva come una corda.

Il coltello scivolò lentamente nella carne, affondando di qualche centimetro, il sangue che iniziò a zampillare a gocce, denso e scuro. Dimitri vide l'espressione di Edgar cambiare, mentre stringeva i denti e rimaneva in silenzio, trattenendo il grido che la sua bocca voleva lanciare.

<< Ti ripeto la domanda >> ringhiò << Per chi stai lavorando? >>.

Matveev non rispose. Il coltello affondò ancora di qualche millimetro nel suo ginocchio, inzuppando i pantaloni di sangue rosso scuro.

<< Se scendo ancora di mezzo centimetro, ti reciderò un tendine >> sussurrò Dimitri, << A quel punto, proverai dieci volte il dolore che stai provando adesso... E molto probabilmente non camminerai più per molto tempo. Perché hai rilevato la Torec? >>.

<< Troppa gente ti vuole morto, Lince >> rispose Matveev, << Non sei uno di noi. Per anni te ne sei stato lontano da tutto questo, e ora torni qui sperando di dettare le regole... Credi davvero che la gente ti rispetti? >>.

Sul volto di Dimitri si dipinse un'espressione ironica, mentre guardava Matveev dritto negli occhi. Sapeva già tutto, di quello che stava dicendo; sapeva che la gente lo considerava diverso, che la maggior parte dei russi fingeva di portargli rispetto perché erano tutti troppo terrorizzati da lui. Sapeva che il potere faceva gola a molti, che la facoltà di dettare regole era troppo allettante... Quello che non sapevano tutti gli altri era che a lui non fregava un cazzo di essere la Lince; quello che non sapevano era che l'unico obiettivo che aveva in quel momento era tenere la sua famiglia al sicuro, perché era l'unica cosa che gli era rimasta. Visto che per se stesso non nutriva alcuna speranza, doveva almeno tenerla viva per Yana e Sergey, e non lo spaventava nessun tipo di sacrificio. Nessuno, nemmeno torturare la gente o gestire un potere che non voleva.

<< La gente mi teme, non mi rispetta >> ringhiò, << Ed è questo che voglio. Voglio obbedienza, e i russi me la daranno, perché sanno che io posso spingermi oltre limiti che loro non supererebbero mai >>.

Dimitri mentiva spudoratamente, e ne era consapevole. Sapeva che il terrore non lo avrebbe portato da nessuna parte, che preso o tardi qualcuno si sarebbe coalizzato contro di lui per mandarlo via, anzi, lo stavano già facendo. Era un estraneo in casa sua, lo era sempre stato, ed era solo questione di tempo, prima che riuscissero ad ucciderlo davvero.

Fino ad allora, aveva tempo per capire da chi doveva guardarsi la sua famiglia e mettere al sicuro i più indifesi.

<< Tu sarai il primo a vedere cosa sono disposto a fare >> sussurrò sulla faccia di Edgar, prima di affondare il coltello non solo nella carne, ma anche nella sua anima.

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