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Capitolo XVI


https://youtu.be/t2NgsJrrAyM


I had made every single mistake
That you could ever possibly make
I took and I took and I took what you gave
But you never noticed that I was in pain
I knew what I wanted; I went in and got it
Did all the things that you said that I wouldn't
I told you that I would never be forgotten
I know that's part of you

And I'm still breathing
I'm still breathing
I'm still breathing
I'm still breathing
I'm alive

[ Alive – Sia ]

Sette mesi prima – Los Angeles

<< Perché non vuoi parlarmi di quello a cui stai lavorando? >> domanda Irina, guardando Xander davanti a un piatto di spaghetti italiani, entrambi seduti al ristorante dove ormai da mesi suoi padre lavora come cuoco, la gente intorno a loro cena allegramente, i camerieri che si muovono veloci tra i tavoli. << Di solito qualche cenno me lo dai >>.

Irina è semplicemente curiosa, ma l'espressione che si dipinge sul volto di Xander alla sua domanda le fa capire che è infastidito. Normalmente fa l'evasivo, quando è ora di parlare del suo lavoro, e lei lo sa; in questo caso, però, non sembra proprio disposto a rivelarle qualcosa, e la cosa la lascia perplessa. In più, il nervosismo che ha sembrato contraddistinguerlo negli ultimi tempi la fa preoccupare.

Xander ingoia una forchettata, prima di rispondere.

<< Sono cose che è meglio che tu non sappia >> risponde con voce piatta, rivolgendole un'occhiata.

Irina non si lascia spazientire; ultimamente si è dovuta abituare allo strano mutismo di Xander, e alla sua distanza. Sono settimane che tra loro sembra esserci di nuovo quel muro che aveva segnato il momento prima della partenza per Mosca.

<< Ok, ma almeno posso sapere in che posto del mondo ti hanno spedito, in queste ultime settimane? >>.

Xander appoggia la forchetta, mentre Irina percepisce la tensione nei sui movimenti.

<< No, non posso dirtelo >> risponde.

"Non vuoi dirmelo".

Irina trattiene il respiro per un paio di secondi, prima di abbassare lo sguardo sul suo piatto ancora quasi pieno. E' evidente che nemmeno la litigata del giorno prima è servita a rendere Xander più comprensivo, e lei meno impicciona. Teoricamente, è quello a cui dovrebbe servire quella cena in territorio neutrale: metterli uno di fronte all'altro per tentare di chiarire cosa sta succedendo tra loro.

Irina si sta sforzando, ma non sta ottenendo nessun risultato; l'idea della cena è sua, per Xander non ci sarebbe nulla da chiarire, invece per lei ci sono molte cose che non vanno. Le sembra quasi un film già visto, e la cosa la preoccupa.

<< Ok... Allora perché continui a essere offeso? >> domanda lentamente, spingendo via il piatto.

<< Lo sai >> risponde Xander, quasi sospirando.

Improvvisamente, Irina si rende conto che il tono del ragazzo è quello di qualcuno che si sta trascinando, che in qualche modo Xander sembra stanco di quel tira e molla che sembra esserci tra di loro. Non sembra più in grado di gestire la nuova vita di Irina come poliziotta; anzi, non sembra proprio più in grado di gestirla. Continua ad avere la sensazione che ogni cosa che fa, indipendentemente che sia legata al lavoro o meno, gli dia fastidio.

<< Dimmi la verità: tu vorresti semplicemente che tutto tornasse come prima, vero? >> chiede Irina, senza astio, ponendo una semplice domanda che ha dento tante implicazioni.

Xander la guarda per un lunghissimo istante, gli occhi azzurri che si posano sul suo viso pieni di fastidio, ma anche di vergogna. Non lo ha mai visto così, in cinque anni da quando lo conosce.

<< Non posso chiedertelo >> risponde alle fine, << L'ho fatto una volta, e come sappiamo entrambi non è andata bene. Però, sì, è vero, non riesco ad accettare passivamente questa nuova te... Né tutto quello che è successo >>.

<< Non possiamo trovare un compromesso? >> chiede Irina, << A te non piace quello che sto facendo, e a me non piace il fatto che mi nascondi tutto ciò che riguarda il tuo lavoro... Non voglio litigare più per queste cose, voglio solo trovare una soluzione. E se un giorno McDonall mi chiedesse di diventare un'agente dell'F.B.I.? Cosa farai? Smetterai di parlarmi? >>.

Un sorrisetto si dipinge sul volto di Xander, un sorrisetto strano, che Irina non riesce a interpretare.

<< Nemmeno io voglio litigare >> risponde, << Però non ci sono compromessi da raggiungere. La pura e semplice verità è che noi non possiamo fare lo stesso lavoro. Avevamo un equilibrio prima di tutto questo, ora non lo abbiamo più... Ma io non ti chiederò di lasciare, come tu non lo chiederai a me. Ci vorrà tempo, ci abitueremo >>.

Il tono accondiscendente, cedevole di Xander prende Irina contropiede. Certo che lei non gli chiederebbe mai di cambiare lavoro, sapendo quanto è bravo e quanto gli piace ciò che fa, ed è altrettanto ovvio che tra loro due, quella che avrebbe più motivi per lasciare è lei. Lui non lo dice chiaramente, ma lo pensa.

E poi, la verità è un'altra. Non riguarda solo il loro lavoro.

Nel cuore di Irina brucia ancora la frase che Xander le ha ringhiato il giorno prima, quando hanno discusso per l'ennesima volta. Probabilmente l'ha tenuta per se per mesi, cercando di nascondere il suo pensiero finché non è scoppiato.

<< Che tu sia cambiata lo dimostra il fatto che hai impiegato una manciata di secondi per andare a letto con Dimitri Goryalef e William Challagher >>.

Xander non lo ha accettato, e probabilmente non lo farà mai, ma quella frase ha ferito Irina più di ogni altra, più di un insulto gratuito, più del fatto che lui è andato con Nina Krarakova.

Soffre ogni giorno per quello che ha fatto, per aver preso in giro William e averlo condotto alla morte, e per ogni più piccola azione che ha messo in atto a Mosca. Se ne vergona persino, ma Xander non sembra capirlo. Ciò che lo fa imbestialire è che lo ha scelto volontariamente lei. Se fosse stata costretta, lui se ne sarebbe dimenticato in fretta, ma così no. Così quando la sfiora probabilmente l'unica cosa che pensa è che Challagher aveva fatto lo stesso e lei non ha tentato di fermarlo.

E poi c'è quella storia di Dimitri, mai davvero approfondita, mai davvero discussa. Irina ringrazia il cielo, fino ad allora non è mai stata tirata in ballo, perché se c'è una cosa che non sa è proprio la risposta a quella situazione.

Al russo non ha mai voluto pensare davvero. Ogni volta che le è tornato in mente è stato per puro caso... O forse no? O forse non ci ha voluto pensare perché si è resa conto che il Mastino è stato l'unico che probabilmente ha veramente capito chi è lei?

Magari lo sanno in due, e nessuno lo vuole ammettere.

Irina spinge definitivamente il piatto che ha davanti, e sospira. Quella sera è uno dei pochi sabati liberi che Senderson le ha concesso, e l'unica cosa che ha pensato di fare è dedicarlo a Xander e alle cose tra loro. Eppure lui non sembra intenzionato a parlare; non sembra nemmeno arrabbiato. Sembra solo stanco e deciso a ignorare i suoi tentativi di chiarire.

All'improvviso, il telefono cellulare di Irina squilla, e lei sbuffa. Molto probabilmente la sua serata è terminata, deve essere successo qualcosa al Dipartimento che richiede la sua presenza. Sfila il telefono dalla borsa, sotto lo sguardo corrucciato di Xander, e vede che si tratta di Jenny.

<< Pronto? >>.

<< Irina! Mi sposo! Mi sposo! Mi sposo! >>.

La voce estatica di Jenny quasi la stordisce, quando la sente gridare dall'altra parte della linea; per un attimo, non afferra nemmeno il senso di quello che sta dicendo.

<< Jenny... Che diavolo? >> inizia, poi registra le parole dell'amica.

<< Jess mi ha chiesto di sposarlo! >> grida Jenny, e persino Xander riesce a sentire la sua voce dal microfono del cellulare. La guarda tranquillo, quasi senza emozioni. << Ci sposiamo, capisci?! >>.

<< Oh... >>.

Irina non sa cosa dire; in realtà, era tutto nell'aria da tempo, e lei non vedeva l'ora che accadesse. Diversamente che tra lei e Xander, Jess e Jenny in quattro anni erano stati una coppia stabile e affiatata. Finalmente Jess aveva preso coraggio e aveva fatto la sua proposta.

<< Jenny, è bellissimo >> sussurra Irina, il sorriso che le affiora sulle labbra mentre anche a distanza la felicità dell'amica la travolge, << Sono... >>.

<< Lo so, lo so, ma in questo momento non credo di essere in grado di parlare! Ci sentiamo domani! >>.

Jenny mette giù improvvisamente e Irina guarda il telefono con un sorriso luminoso sulle labbra; rivolge un'occhiata a Xander e lo vede ridacchiare, un po' meno teso. Non si offende per il comportamento dell'amica, in fondo il momento deve essere molto particolare, ed è giusto che lo tenga solo per se.

<< Lo sapevi, vero? >> domanda a Xander.

<< Jess me ne parlava da un po' >> risponde, con una alzata di spalle. << Sono felice per loro. Stanno bene insieme... E poi era ora, no? >>.

Xander la guarda in modo strano, come se volesse aggiungere qualcos'altro, però rimane in silenzio. Forse dovrebbe essere lei a dire qualcosa, a chiudere quella parentesi che sembra essersi aperta nel discorso, ma Irina non ci riesce. Cosa dovrebbe dire? "Ora tocca a noi?".

No, non tocca a loro, non ancora e non adesso. Non finché sembrano ancora imprigionati nella tempesta russa in cui si sono infilati. Sanno di essere nello stesso posto, vicini, ma non si sentono più. Qualcosa si è rotto, e lei ha imparato a essere realista e a vedere le cose come stanno davvero. Xander invece no, per lui il problema non esiste, è tutto passeggero, è come se credesse che presto lei si stuferà di fare la poliziotta e tornerà a essere quello che era prima.

Irina sa che non sarà così; lo sa per certo, perché ha imparato a riconoscere cosa vuole e cosa non vuole. Di certo non vuole lasciare quel lavoro che la prosciuga di energie, ma che la soddisfa, perché le da la possibilità di fare qualcosa per la sua città, la stessa che con la Black List ha dominato.

Vorrebbe riprendere il discorso da dove lo ha lasciato, ma non lo fa, tanto Xander non collaborerebbe. Improvvisamente, ed è la prima volta che le succede, preferirebbe essere a bordo della Punto a pattugliare le strade buie, che lì seduta a mangiare un piatto che non le va giù, in tutti i sensi.

Quando torneranno a casa, lei non sfiorerà Xander... E Xander non sfiorerà lei.






Ore 17.00 – Autostrada, Direzione Los Angeles

L'asfalto scorreva sotto le ruote della Punto come una macchia indistinta, il guard-rail alla sua sinistra una striscia argentata quasi senza contorni. Il tachimetro segnava i duecento all'ora, mentre Irina teneva il piede premuto sull'acceleratore senza mai staccarlo.

Voleva tornare a casa il prima possibile, voleva raggiungere il cimitero di Los Angeles e correre sulla lapide di William Challagher per gridare al vento che suo figlio si chiamava Sean, aveva quattro anni e la sua auto preferita era una Porsche gialla.

C'era qualcosa nell'anima di Irina, in quel momento, che premeva per uscire, così forte da darle quasi la nausea.

Di chi era la colpa? Di chi diavolo era?

Sua? Di William? O di Xander?

Perché il destino sembrava accanirsi su di loro?

Irina odiò la Black List, in quel momento. Se non fosse mai esistita, nulla di tutto quello sarebbe mai accaduto.

Era isolata in una bolla, nel disperato tentativo di non sentire quel profondo dolore che le faceva torcere le viscere, ignorando la velocità a cui correva, il rombo del motore, la musica della radio.

"Se fossi morta io, quattro anni fa, ore le cose sarebbero diverse".

Qualcosa nel suo specchietto retrovisore brillò, attirando la sua attenzione; gettò un'occhiata indietro, e capì che non aveva tempo per i rimpianti, per le lacrime, per il dolore. In un attimo, Fenice fu costretta ad accantonare tutti i suoi sentimenti in un angolo del cuore, in quello più buio.

Una Koennisegg Agera nera correva alle sue spalle, e Irina non dubitò nemmeno per un secondo di chi fosse. I fari a mandorla gettavano bagliori alle sue spalle, come a intimarle di fare strada, o semplicemente per annunciarle la sua presenza; dietro di lei c'era la Nissan GTR di Felix, e a chiudere il corteo due Audi Q7, le inconfondibili strisce rosse sugli specchietti.

"Figli di puttana".

In un attimo, si ritrovò accerchiata. La Agera e la GTR si piazzarono ai suoi fianchi, e le due Audi dietro di lei. Erano così vicini che rischiavano di sfiorarsi, e a quella velocità sarebbe stato un suicidio.

Irina accelerò, per vedere cosa avrebbero fatto. Sia Jorgen che Felix accelerarono a loro volta, segno che non l'avrebbero lasciata andare facilmente.

"Bene, hanno deciso di farmi fuori proprio oggi..." pensò, irritata.

Che fossero lì per ucciderla o semplicemente per spaventarla non le interessava; fino a un attimo prima aveva pensato che da morta avrebbe fatto meno danni, ma adesso era decisa a non farsi togliere di mezzo tanto facilmente.

La Punto correva veloce, schivando le utilitarie che viaggiavano tranquille sull'autostrada, con le quattro auto che la seguivano senza mollarla un attimo. Sia la Agera sia la Nissan erano veloci, forse più della Punto, perché in un attimo riprendevano il vantaggio che lei aveva guadagnato.

Irina imprecò, mentre i due grossi suv la tallonavano con l'intenzione di speronarla. Superò un tir che correva lento e pesante sulla sinistra, e si ritrovò la Agera di fianco, pronta a intralciarle la carreggiata.

Conosceva i punti deboli della sua auto, e sapeva che la velocità pura non era mai stata il suo forte. Doveva uscire dall'autostrada e sfruttare l'agilità della Punto nelle vie cittadine dove la Koennisegg, così larga e bassa, avrebbe avuto qualche difficoltà a muoversi; anche i due suv, grossi e sgraziati, avrebbero fatto fatica a starle dietro. L'unica incognita rimaneva la Nissan, anche se sapeva che era un'ottima auto, più grossa della Punto ma agile e rapida.

Mancavano venti miglia a Los Angeles, e Irina capì di non avere così tanto tempo a disposizione. Si rese conto che la Agera la stava spingendo lentamente sempre più a destra, nella corsia di emergenza. Ancora qualche metro, e sarebbe finita a strisciare la fiancata della Punto contro il guard-rail.

Era un'imboscata in piena regola, e lei odiava le imboscate.

Infuriata, Irina premette il piede sull'acceleratore, facendo schizzare avanti la Punto con un ruggito del motore, mentre le lancette sul cruscotto si muovevano impazzite. Si infilò tra due furgoncini, che sbandarono terrorizzati, e tentò la fuga, lanciando l'auto il muro dei duecentocinquanta all'ora.

Con un rombo assordante, Irina vide i due furgoncini venire letteralmente falciati dalla Agera, catapultati ai due lati della carreggiata. Con uno stridore di metallo che le fece digrignare i denti, uno si schiantò contro il guard-rail, mentre l'altro finì fuori dalla carreggiata, ribaltandosi in mezzo ai prati.

La Punto quasi balzò, quando Irina la spinse in avanti per evitare uno dei Q7 che voleva speronarla. Zigzagò, cercando di confonderla, ma con la coda dell'occhio vide la Nissan nera avvicinarsi sempre più. Riusciva a sentire il rombo sordo del motore quasi dentro le orecchie...

Le auto civili si fecero da parte, quando fiondò la Punto a duecentocinquanta all'ora, mentre la Agera la riprendeva senza sforzo, i fari a mandorla che incombevano dietro di lei. Aveva una progressione disarmante, merito dei quasi mille cavalli di potenza, alla quale solo una Bugatti Veyron poteva tenere testa.

Zigzagò, superò un tir a sinistra e si ritrovò di lato la Nissan, così vicina da vedere il sorrisetto sul viso di Felix oltre il vetro anteriore.

Per un secondo, Irina si rese conto che la sua auto forse non poteva bastare.

Un tonfo sordo e ripetuto la distrasse per un attimo, e sembrò fare lo stesso con Felix e Jorgen. All'orizzonte, prima piccolo come un puntino indistinto, poi sempre più grande, comparve un elicottero della polizia.

Il velivolo, le luci rosse che si accendevano a intermittenza, si avvicinò rapidissimo fino a raggiungerli; virò e si mise al loro inseguimento.

Era nei guai, in guai molto grossi. Sapeva per esperienza che quando l'elicottero veniva messo in azione, significava che non molto distante da lì c'era un posto di blocco. E su una strada dritta e lunga come l'autostrada lei poteva trovarseli solo davanti.

Doveva riuscire imboccare una rampa d'uscita che l'avrebbe portata in qualche modo su una strada isolata, o un quartiere, una città... Qualunque cosa andava bene, purché non rimanesse lì, dove la sua auto non era sufficientemente veloce e lei in difetto numerico.

Con Felix alla sua sinistra, Irina vide il cartello della prossima uscita a quattro miglia; le sembrarono un'eternità. L'elicottero continuava a seguirli, e Irina strinse le dita sul volante, il rumore del motore che invadeva l'abitacolo.

<< Accostate le auto! Ripeto, accostate le auto! >>.

Irina sentì appena la richiesta del poliziotto provenire dall'altoparlante dell'elicottero; era troppo impegnata a guardare la carreggiare e trovare un modo per andarsene.

La Nissan perse qualche metro, e anche la Agera sembrò rallentare; probabilmente sia Felix sia Jorgen non si aspettavano di incontrare la polizia, o forse era la prima volta che si ritrovavano inseguiti da un elicottero.

Poteva sfruttare quell'attimo di distrazione per spostarsi a destra e guadagnare un po' di spazio per finire sulla rampa di uscita... Mancavano poche miglia, poteva farcela, bastava scivolare lentamente verso la corsia di emergenza...

Poi le vide: quattro Ford Mustang della polizia, i lampeggianti accesi, ferme di traverso sulla carreggiata, una di fianco all'altra, in un perfetto muro automobilistico che non avrebbe fatto passare nessuno.

Irina imprecò, mentre sentiva il cuore battere all'impazzata e l'adrenalina renderla incredibilmente lucida. Buttarsi contro di loro equivaleva a un suicidio, a quella velocità e a quelle condizioni. Volevano costringerli a fermarsi, a rallentare quel tanto che bastava a prendere la mira per sparargli alle gomme.

Capì perché Felix e Jorgen l'avevano lasciata andare avanti: ora c'era solo lei a fare da apripista, proprio nella giusta direzione per fare da ariete o da scudo, dipendeva dai casi. Le Q7 dietro di lei le stavano attaccate, impedendole anche solo di sfiorare i freni.

Non avrebbe sfondato quel posto di blocco per loro, di questo ne era certa. Non voleva finire sfracellata contro un'auto della polizia a duecento all'ora, perlomeno se non era lei a deciderlo.

Ebbe un paio di secondi per ragionare, ma il suo cervello di pilota clandestina era sufficientemente allenato per calcolare il rischio e scegliere. In fondo, la paura era qualcosa che aveva imparato a dominare molto tempo addietro.

Affondò il piede sull'acceleratore, schizzando in avanti e prendendo alla sprovvista sia Jorgen che Felix; il contagiri sfiorò la zona rossa, quando la Punto sembrò prendere la rincorsa, le auto della polizia che si avvicinavano sempre di più, le luci rosse e blu che lampeggiavano quasi accecandola...

Irina guardò lo specchietto destro, poi il sinistro, poi quello centrale: le due Audi Q7 nere erano esattamente dietro di lei, quando affondò con tutta la forza che aveva il piede sul freno.

Gli pneumatici della Punto artigliarono l'asfalto, stridendo e sollevando una nuvola nera che sapeva di bruciato; Irina si sentì spingere la nuca in avanti da una forza invisibile, mentre l'auto si fermava a pochissimi centimetri da una volante, lo sbirro dentro con gli occhi spalancati dal terrore.

Con un rombo, le due Audi la evitarono per un soffio, sbandando di lato per via del loro enorme peso e dell'altezza, e come proiettili impazziti finirono sulle Mustang senza riuscire a fermarsi.

Pezzi di vetro, lamiera e plastica volarono in aria, quando le Q7 si schiantarono contro le auto della polizia, spingendole in mezzo alla strada in una nuvola nera di detriti. Una rotolò come una macchinina giocattolo oltre il guard-rail, finendo nella corsia opposta e provocando un tamponamento a catena tra i poveri automobilisti che tentarono di evitare la sua carcassa.

Irina affondò il piede sull'acceleratore, sfruttando il buco lasciato libero nel posto di blocco per scappare a tutta velocità lungo l'autostrada, mentre alle sue spalle si consumava un dramma; ne capì la portata quando vide una Mustang della polizia prendere fuoco, di fianco a lei uno dei Q7 con il muso completamente distrutto e i vetri sbriciolati.

Imboccò l'uscita, la Agera e la Nissan ancora dietro di lei. Non si fermarono a soccorre i loro compagni, anzi, non sembrarono nemmeno soffermarsi poi molto sulla scena. Forse in città avrebbe avuto più possibilità di seminarli, ma poi li vide svoltare dalla parte opposta alla sua, sparendo tra le case.

Irina sentiva le pale dell'elicottero emettere ancora quel tonfo sordo sopra la sua testa, e avrebbe scommesso la sua auto che stava cercando lei, non Jorgen né Felix. Erik Senderson era un tipo vendicativo, e non si sarebbe dedicato ad altro finché non l'avesse catturata; oltretutto, doveva averla presa come una cosa personale.

C'era un sottopasso, da quelle parti. Poteva sfruttarlo per confondere gli sbirri sull'elicottero...

Svoltò a sinistra, in una via poco trafficata tra alti palazzi di cemento. Superò un piccolo furgoncino rosso e si buttò oltre l'incrocio, scatenando l'ira degli automobilisti che iniziarono a suonare il clacson inviperiti. Zigzagò tra le vie, finché non vide la strada scendere sotto terra, i cartelli che le davano due possibilità: direzione zona industriale e autostrade o direzione centro.

Rallentò mentre scendeva lungo la rampa, moderando deliberatamente la velocità per prendere tempo, mentre dietro di lei qualcuno le faceva segno con i fari. Fece un rapido ragionamento, e scelse di girare a destra, verso il centro della città.

Il sottopasso era lungo, quasi un miglio, che lei percorse a passo d'uomo spostata sulla destra, mentre le altre auto la superavano rivolgendole occhiate perplesse. L'elicottero doveva essere sopra la sua testa, indeciso sulla decisione da prendere, o forse sperando nella fortuna mentre sceglieva una direzione a caso.

I secondi passarono interminabili, mentre Irina vedeva la luce in fondo al tunnel, la strada che risaliva in superficie e l'impressionante sensazione di sentire le pale dell'elicottero ruotare proprio dietro le sue orecchie...

E se una volta uscita dal sottopasso si fosse trovata davanti l'intero dipartimento di polizia, arrivato lì solo e apposta per lei?

Respirò a fondo, prima di premere l'acceleratore fino a fine corsa, la Punto che rombò sinistramente e si catapultò fuori dal tunnel, piombando nella strada centrale di Los Angeles, piena di auto, bus, furgoncini, ma nessuna Mustang della polizia.

Zigzagò tra le macchine, si infilò in una stradina laterale e a tutta velocità raggiunse il quartiere di Santa Monica, controllando ogni secondo che nessuno la seguisse. Solo quando fu certa di essere completamente sola, imboccò il vialetto che l'avrebbe portata in garage a bassa velocità. Nascose la Punto dentro e si chiuse in casa, in attesa.

Nessuno dei suoi vicini avrebbe parlato, di questo era certa. Vigeva una regola non scritta, per la quale ognuno si faceva gli affari propri: lei non si impicciava dei lavori poco puliti che facevano i suoi dirimpettai, e loro non avrebbero fatto la spia con la polizia. Però non poteva che sentirsi inquieta, per via di quell'inseguimento nel quale la polizia aveva dato l'idea di voler catturare solo lei.

Mezz'ora dopo, sentì l'elicottero della polizia passare sopra casa sua; la stavano ancora cercando, ma a giudicare dalla velocità con cui erano passati non dovevano sospettare che si trovasse a Santa Monica. Quando vide l'elicottero sparire all'orizzonte, nascosta dalle tende della finestra, si rilassò appena. Accese la radio e si preparò una tazza di the, l'unica cosa che trovò nella dispensa.

Fu in quel momento, quando aspettava che l'acqua iniziasse a bollire, che la rivelazione di Vera le piombò addosso con tutto il suo peso.

Si sentì strana, mentre ripensava al suo passato, a quelle notti passate con lo Scorpione, a fargli da bambola, sperando che prima o poi si stufasse di lei... Quanto dolore in quei giorni, quanta paura e quanto disprezzo aveva provato. Eppure nemmeno per un attimo aveva pensato che William Challagher potesse generare un figlio.

In quel momento trovò più ingiusto che mai il corso della vita. Mentre sorseggiava la sua tazza di the che si mescolava con le lacrime salate che le rigavano le guance, si sentì impotente.

Il suo dolore negli anni era cambiato; non era più il dolore nero e profondo che aveva provato quando la sua anima era imprigionata in un mondo di violenza. Non era più un dolore che riguardava lei, era un dolore che riguardava quelli che aveva perso. Ed era questo a farla sentire vuota; il fatto che dovesse accettare tutto senza poter fare niente.

Il telegiornale radio parlò del suo inseguimento, ma lo ascoltò distrattamente; rimase a guardare la pioggia che iniziò a scendere leggera dal cielo grigio, appoggiata al davanzale della finestra. Quella sera non avrebbe potuto uscire, dopo il casino di quel pomeriggio, così scese in strada e andò al minimarket lì vicino a comprare qualcosa per la sua ennesima, misera cena in solitudine.




Irina osservava le lancette della sveglia vecchio modello che ruotavano lentamente, la testa appoggiata sul cuscino, il respiro lento e le mani che stringevano il lenzuolo. La pioggia batteva oltre la finestra, e lo aveva fatto per tutta quella notte in cui William era venuto a trovarla.

Era stato particolarmente duro questa volta, lo Scorpione, e lei non aveva saputo cosa ribattere, quando le aveva rinfacciato di avergli rubato la possibilità di conoscere suo figlio. Come dargli torto, in fondo?

Avrebbe voluto voltarsi e trovare qualcuno con cui parlarne, o per ricevere un semplice abbraccio, ma non accadeva nemmeno quando c'era Xander. Se non la capiva lui, chi poteva farlo?

"Molto probabilmente è questo che ti aspetta fino alla fine dei tuoi giorni, Fenice. E' questo: svegliarti in un letto da sola, perchè le tue scelte ti portano sempre in un modo o nell'altro alla solitudine".

Si alzò stancamente, i brividi di freddo che le percorrevano la schiena, e nonostante quello che era successo il giorno prima decise di fare una cosa molto poco saggia, ma necessaria: portare la Punto da un meccanico che non era Max.

Casey Valaghan aveva la sua officina a Pasadena, non troppo distante dal centro di Los Angeles. Come si era immaginata, il suo garage era tre volte quello di Max, anche se la metà era ovviamente sotterraneo e ben nascosto. Irina ci era stata un paio di volte, non di più, e sapeva che trattava ricambi per auto potenti e di lusso, quindi dubitava fortemente che ne avesse per la Punto. Quello che le serviva, però, era semplicemente una controllata, e qualche aggiustamento. Non voleva coinvolgere Max, non ora che le acque erano decisamente agitate.

<< Fenice, benvenuta >> la salutò Casey, accogliendola nel garage, grande, più scuro di quello di Max, e pieno di scaffali colmi di merce. Un paio di ragazzi stava servendo dei clienti, tizi dall'aria ricca, che forse cercavano dei nuovi cerchi in lega per le loro Porsche parcheggiate fuori. << Non avevi il tuo meccanico di fiducia? >>.

Irina gli rivolse un'occhiata, neutra.

<< Sì, ma so che anche tu fai riparazioni meccaniche >> rispose, << Ho solo bisogno di un'occhiata alla macchina. Ieri non ho avuto una giornata facile >>.

Casey annuì, senza fare ulteriori domande.

<< Ok, la faccio vedere a uno dei miei >> rispose, e Irina gli porse le chiavi, anche se un po' titubante, << Ho saputo cosa è successo >> aggiunse, mentre con un cenno ordinava a un ragazzo dai capelli biondi e una tuta nera da lavoro di prendere in carico la Punto. << Un gran casino avete tirato su, eh? >>.

Irina si guardò intorno, per essere certa di non essere sentita da orecchie indiscrete.

<< Questa è casa mia, nessuno può permettersi di tendermi un'imboscata >> rispose.

Casey fece un ghigno ironico, prima di accompagnarla di sotto, nel garage. Come ricordava, la parte nascosta dell'officina stava nel sotterraneo, e parcheggiate con i cofani aperti trovò una Dodge Charger verde bottiglia, una Nissan Silvia azzurra e una Vauxhall Insignia nera.

<< Queste non sono auto per il tuo garage >> commentò Irina, mentre la sua Punto sbucava da una rampa e veniva parcheggiata in un angolo. << Non lavoravi solo su auto di lusso? >>.

Casey non sembrò ne offeso né divertito dal suo commento.

<< Il mercato è cambiato, Fenice >> rispose, << Lo Scorpione non c'è più, e nemmeno i suo piloti, a parte te. Ho dovuto scendere di livello, ma mi consente comunque di guadagnare. Il mondo delle corse in questo momento è fatto da piloti giovani, con pochi soldi e poche risorse, escludendo Velasquez e la sua banda. Ci vorrà del tempo, prima che le auto di lusso tornino a gareggiare da queste parti >>.

Il meccanico biondo le venne incontro, e le strinse la mano.

<< Lui è Giuliano >> lo presentò Casey, << Sei fortunata, visto che ha origini italiane; lui lavorava sulle Ferrari, quando ne avevamo in officina. Probabilmente qui è il migliore, per la tua auto italiana >>.

Irina gli strinse la mano, mentre notava gli sguardi curiosi degli altri ragazzi posarsi sulla Punto. Giuliano sembrava molto sorpreso e onorato di servire proprio lei, a giudicare dal modo vigoroso con cui le afferrò la mano.

<< Di cosa hai bisogno? >> domandò subito, mentre Irina si avvicinava alla Punto.

<< Metti solo un po' a posto la fiancata, basterà una passata di vernice >> rispose Irina, << E vorrei anche un parere su alcuni rumori che sento provenire dall'anteriore e dal posteriore... Al momento però non mi sta dando problemi, ha solo lo sterzo un po' più leggero >>.

Il ragazzo annuì.

<< Ok, vedo cosa si può fare. Non abbiamo ricambi originali per quest'auto qui, ma posso valutare di usarne di compatibili >>.

<< Non serve, da quel punto di vista è ha posto. Si tratta solo della carrozzeria e di quei rumori, non dovrebbe esserci altro >>.

Lasciò Giuliano a fare il suo lavoro, anche se l'unica cosa che le venne da pensare fu che con l'ultimo italiano con cui aveva avuto a che fare non aveva avuto grande fortuna. Casey le offrì un caffè, mentre osservavano Giuliano rimettere a posto la Punto.

<< E' successo qualcosa ieri sera, in città? >> domandò Irina, << Sono rimasta a casa perché sapevo che la polizia mi stava con il fiato sul collo... >>.

<< Qualcosa? >> domandò ironicamente Casey, << Solo qualcosa? Jorgen Velasquez ha fatto la peggiore gara della sua esistenza: ha distrutto cinque macchine e ammazzato due persone... Le altre tre sono finite in ospedale, e se va bene una sola di loro rimarrà paralizzata >>.

Il caffè quasi le andò di traverso. Aveva pensato che Jorgen fosse pazzo; ora ne aveva la conferma.

<< Perché lo fa? >> esalò, a voce bassa.

<< E' completamente fuori, Fenice >> rispose Casey, << Ma la gente vuole comunque entrare nella sua lista; dicono che abbia un sacco di agganci, e che per i suoi lavori ricopra di soldi la gente... Sono loro che stanno svuotando i garage dei ricchi di Los Angeles e Las Vegas dalle auto di lusso >>.

Quella notizia era nuova, per Irina.

<< Non ho mai sentito parlare di questa cosa... >>.

<< Sono due mesi che va avanti questa storia >> spiegò Casey, << Appena Jorgen ha selezionato qualche membro per la sua squadra, ha iniziato una serie di furti di auto. Entra nei garage delle ville sulla costa, non importa quanta sicurezza ci sia. Ha portato via Ferrari, Lamborghini, Porsche, Mercedes, Bentley. La gente è terrorizzata, entrano in casa in piena notte e riempiono di botte chiunque cerchi di fermarli... >>.

Non ne avevano mai parlato al telegiornale, né era mai venuta a sapere nulla da Senderson. Che le avesse tenuto nascosto quel particolare per un motivo?

<< Cosa se ne fanno, di tutte quelle auto? >> domandò, << Le rivendono in Sudamerica nel mercato nero? >>.

<< Probabilmente. Alcune rimangono qui, forse come premio ai suoi piloti, ma le altre spariscono. Ho chiesto in giro, e non sembra che qualcuno di queste parti le abbia acquistate. Non sono auto che qui possono permettersi, in questo momento >>.

<< Con chi hai parlato? >> domandò Irina.

<< Con Zlatan Lebedev >> rispose Casey, << Un ucraino di Santa Ana. Smercia macchine di lusso rubate ormai da venticinque anni. Se auto da duecentomila dollari si muovono per Los Angeles, lui lo sa >>.

Irina non aveva mai sentito parlare di lui, nemmeno ai tempi di Challagher. Non era certa di potersi fidare delle informazioni di Casey, ma preferì non metterle in dubbio. Ufficialmente era uno dei suoi uomini fidati, anche se in realtà non si fidava nemmeno di se stessa.

<< Altro? >>.

<< Sei tornata a essere davvero famosa, Fenice. Ti vogliono ovunque. Quelli del Vertical Drag hanno fatto sapere che hanno un tavolo riservato per te ogni sera, a spese loro >>.

Casey sembrava trovare quella cosa molto divertente, a giudicare dalla sua espressione.

<< Il Vertical Drag? >> domandò lei, senza capire.

<< Quello che una volta era il Gold Bunny >> spiegò Casey. << Locale di basso profilo, ma è lì che si concentrano la maggior parte dei piloti, a parte la banda di Velasquez >>.

Irina fece una smorfia. Era diventata anche una macchina da marketing... Quanti clienti credevano potesse portare?

<< Davvero? >> commentò, << Dovrò farci un salto, allora >>.

<< Dovresti trovarci Scott Trevor. Va spesso da quella parti >> disse il ragazzo.

Irina annuì. Nel frattempo, Casey andò a sbrigare qualche affare di sopra, e lei rimase a guardare le auto e i meccanici che lavoravano, scoprendo che era piuttosto rilassante sentire il vibrare dei trapani, le chiavi inglesi tintinnare per terra e i motori accendersi. Notò anche la curiosità che i ragazzi sembravano nutrire nei suoi confronti; non era abituata a sentirsi trattata con tutto quel rispetto e quella deferenza, perché in passato l'unica cosa che aveva avuto era stata derisione e disprezzo.

Giuliano ci mise un po' a mettere a posto la fiancata della Punto: nel complesso, il lavoro era fatto bene, ma il colore della vernice non era perfettamente uguale; riusciva a percepire una sfumatura leggermente più chiara, nel bianco. Solo Max aveva la vernice originale, perché sapeva dove procurarsela, ma come riparazione temporanea poteva andare bene.

<< Per il problema che mi dicevi >> disse Giuliano, una volta finito di il suo lavoro, << Credo che si tratti di qualcosa che riguarda il telaio. Da quello che ho capito, sono state fatte modifiche molto pesanti in passato, che hanno messo alla prova la scocca e le sospensioni... Sinceramente, per capire in che stato si trova dovrei smontarla completamente >>.

Irina annuì.

<< Ho capito >> disse solo, << In questo momento però non posso permettermi di rimanere senza auto. Quando credi sia grave? >>.

Giuliano assunse un'espressione dubbiosa.

<< Non particolarmente >> rispose, << Dici che si guida bene, quindi non dovresti avere problemi ancora per un po' di mesi... Poi, l'auto è tua, sei l'unica che può avere la sensazione che qualcosa non vada in lei >>.

"Mi porterà fino alla fine, di questo ne sono certa".

Irina lo ringraziò, trovando conforto nel fatto che l'opinione di Giuliano era stata identica a quella di Max, il che significava che il l'italiano era uno che ne capiva di auto italiane. Lo salutò e tornò da Casey.

<< Non voglio trattamenti di favore >> disse, quando fu ora di mettere mano al portafoglio, << Quanto? >>.

Casey la guardò per un lungo istante, poi rispose.

<< Cinquecento dollari >>.

Era un prezzo onesto. Irina pagò in contanti e recuperò le chiavi dell'auto.

<< Ci vediamo stasera? >> domandò.

Casey sembrò non capire.

<< Hai detto tu che ho un tavolo riservato al Vertical Drag >> aggiunse Irina, << Credo che farò un bello show, stasera >>.

Casey non fece nessun commento; si limitò a guardarla, poco convinto, mentre nella testa di Irina prendeva forma una parte del suo nuovo piano, un piano che aveva iniziato a elaborare quando si era ritrovata faccia a faccia con Jorgen e Felix.

Aveva bisogno di alleati, più alleati possibile. Non importava quanto fossero forti o quanto fossero influenti: aveva bisogno di gente che stava dalla sua parte, gente che credeva ancora alla vecchia Black List.

Erano le undici passate, quando Irina parcheggiò la Punto davanti al Vertical Drag; era pieno, forse anche di più rispetto a quando si chiamava Gold Bunny. Il coniglio giapponese dell'insegna era sparito, lasciando spazio a una scritta al neon, illuminata di azzurro e giallo. Vide auto modificate, ragazzi che si avvicinavano all'ingresso e i buttafuori davanti alla porta.

Intravide la Chevrolet verde di Spark, e la Camaro rossa di Scott Trevor. Si avvicinò all'ingresso, dove un corridoio largo e corto portava a un bancone e alla vera entrata del locale; c'era un tizio con i capelli cortissimi e un pizzetto nero, seduto su uno sgabello alto.

Quando la vide avanzare, nel suo giubbotto nero di pelle e sulle vertiginose scarpe con i tacchi, l'uomo si alzò in piedi, stupito. Irina assunse la sua espressione migliore, quella della numero uno della Black List, prima di parlare.

<< Dicono che tu abbia riservato un tavolo per me, qui >> disse solo, senza nemmeno un saluto, senza nemmeno un'ombra di incertezza nella voce.

L'uomo, che era il titolare del locale, annuì.

<< Sei sempre la benvenuta qui, Fenice >> rispose, uscendo da dietro il bancone e facendole cenno di seguirlo all'interno, << Io sono Sam; questo posto è mio. Vieni, ti mostro il tuo tavolo >>.

Era interessante notare quanto un semplice posto come numero uno della Black List le facesse guadagnare un sacco di privilegi. Era sempre stata abituata a vedere quel trattamento riservato allo Scorpione, non a Fenice.

Irina lo seguì all'intero, scoprendo che l'intera struttura del Gold Bunny era stata stravolta: dove una volta c'era il bancone, ora c'era una grande pista da ballo; i divanetti erano stati sostituiti da tavolini alti con sgabelli altrettanto alti, e l'enorme, gigantesco bar ora si trovava vicino all'uscita che dava sul lungomare. Una intera parete era stata decorata con una pila di bottiglie di superalcolici, mentre led gialli illuminavano il pavimento.

Sam la condusse dall'altra parte, dove c'erano una serie di tavoli più grandi e contornati da divanetti e poltrone di pelle blu elettrico. Mentre camminava, Irina sentiva gli sguardi dei ragazzi voltarsi verso di lei, mormorii eccitati provenire dai tavolini e persino qualche "ooh" di stupore. Non degnò nessuno di un'occhiata, mentre il proprietario del locale sembrava godere della sua presenza nemmeno fosse venuta portandosi dietro un centinaio di clienti. Evidentemente, gli avrebbe portato un sacco di affari solo con la sua presenza.

Si fermarono davanti a un tavolo rettangolare, che permetteva di vedere tutto il locale fino alla porta di ingresso.

<< Prego Fenice, accomodati >> disse Sam, allargando le braccia in modo teatrale.

Irina non si mosse. Finse di valutare la posizione, prima di rivolgere un'occhiata al proprietario.

<< Bene >> disse alla fine, << Tienimi questo tavolo tutte le sere, non importa quanto mi costerà. Non voglio gente qui, a meno che non sia io a invitarla. Non voglio scocciatori, non voglio curiosi e non voglio spacconi. Se devo passare le mie serate nel tuo locale, non ho intenzione di vedere risse né tra ubriachi né tra gente lucida. Da questo momento in poi, questo sarà il locale di Fenice, quindi mi aspetto per lo meno un po' di ordine >>.

Per un attimo, pensò di aver esagerato; chi diavolo era lei per potersi permettere richieste di quel tipo?

Sam però la guardò, serio.

<< Ok, Fenice, cosa ti porto da bere? >> domandò alla fine, senza fiatare di fronte alle sue pretese.

Irina si trattenne dallo scoppiare a ridere, sentendosi incredibilmente ridicola e sciocca al tempo stesso. Prese posto al tavolo, e ordinò una birra ghiacciata; mentre aspettava, notò che Sam aveva mandato uno dei bodyguard all'ingresso a presidiare la sua zona dai curiosi che lei aveva espressamente detto di voler evitare.

Ben presto, Irina si ritrovò seduta da sola, in mezzo al caos del locale, con una guardia del corpo e con un tavolo tutto a sua disposizione. Nessuno si avvicinò, ma nel giro di mezz'ora tutto il Vertical Drag era passato nelle vicinanze per vedere dal vivo Fenice, la numero uno della Black List.

Non si mostrò troppo amichevole, e lo fece con l'intenzione di far capire che non era lì per giocare. Lasciò che il locale si affollasse, che si riempisse a seguito della voce che Fenice, la vera Fenice, era al Vertical Drag e che la sua auto era parcheggiata lì fuori.

Tra la folla sbucò Spark, incuriosito dalla sua presenza, ma decisamente molto più colpito dal suo abbigliamento e dal suo trucco, tanto da apparire intimorito, quando si avvicinò. Ricordava di aver suscitato spesso quell'effetto, ai tempi dello Scorpione.

Irina aveva tirato fuori la parte più nera di lei, quella fatta di rabbia e voglia di vendetta; abiti e occhi segnati di nero la rendevano la Fenice più oscura che avesse mai solcato le strade di Los Angeles. Non importava cosa pensassero di lei, importava quanto l'avrebbero rispettata.

Fece segno a Spark che poteva sedersi di fianco a lei, e il buttafuori lo fece passare.

<< Che fai qui? >> domandò a voce bassa il ragazzo.

<< Mi creo degli alleati >> rispose lei seccamente, mentre osservava ombrosa la folla che si muoveva nel locale, l'alcool che scorreva come un fiume in piena e la musica non ancora abbastanza alta da stordire tutti. La serata doveva ancora iniziare, ma non c'erano già più sedie libere, al Vertical Drag.

Scott Trevor arrivò defilato, la maglietta scura che strizzava il suo fisico non troppo esile, quasi preferisse essere in un altro posto, in quel momento. Irina lo invitò a sedersi, mentre un vassoio non ordinato veniva appoggiato da un cameriere al loro tavolo, pieno di salatini e bibite.

<< Stasera ci sarà una gara >> disse improvvisamente Irina, guardandoli entrambi, << E forse non solo una. Vi voglio pronti a prendere nomi e organizzare tutto alla perfezione. E se ci sarà qualche sbirro in giro, voglio essere la prima a saperlo, chiaro? >>.

I due annuirono.

<< E sarà così per le prossime due settimane >> aggiunse.

Sia Spark che Scott si guardarono per un attimo, sorpresi. Irina non diede loro il tempo di elaborare qualsiasi domanda; gettò un'occhiata al locale e valutò che fosse sufficientemente pieno di gente. Buttò giù l'ultimo sorso di birra e prese un respiro profondo, più che altro per guadagnare l'ultimo briciolo di coraggio che le serviva.

Prima che qualcuno potesse anche solo pensare di fermarla, Irina scostò i bicchieri e salì in piedi sul tavolo, scavalcando il vassoio dei salatini e guadagnando in un attimo tutta l'attenzione del locale. Nemmeno avesse avuto un faro puntato su di lei, gli occhi della gente si voltarono immediatamente dalla sua parte.

Non le importava di passare per pazza; i giochi erano finiti, e non era l'unica a doverlo capire.

Guardò le facce dei ragazzi puntate su di lei, il buttafuori che non sembrava capire se era lucida o ubriaca, Sam dall'altra parte vicino all'ingresso che la osservava estasiato per lo show che di lì a qualche secondo avrebbe messo in atto.

Irina non era mai stata più pronta di così a rendersi visibile; non si era mai sentita così sicura di quello che stava facendo, perché aveva tanti motivi per esserlo. Aveva degli obiettivi prioritari a tutto il resto, persino a se stessa.

<< Sapete tutti chi sono >> disse a voce alta, in modo che chiunque potesse sentirla, anche chi sedeva in fondo al locale, << Sono l'ultimo elemento vivente della Black List, e ne sono la numero uno. Sono Fenice, e il mio unico scopo è ridare questa città ai piloti clandestini che come me ricordano lo Scorpione.

<< Non mi importa che in questo momento ci sia qualcuno che voglia prendere il posto di William Challagher, o che terrorizzi i piloti trasformando le auto in ammassi di rottami. Non mi interessa che abbia auto potenti, più armi e più conoscenze di quante ne abbia io o voi. E non mi importa nemmeno quanta polizia mi starà addosso, quanti sbirri mi daranno la caccia... Non mi interessa nulla di tutto questo. Questa è la città della Black List, e voi ne siete e ne sarete parte >>.

Si fermò, per accertarsi che l'attenzione fosse ancora su di lei. I ragazzi la guardavano quasi in adorazione, mentre lei continuava a rimanere in piedi sul tavolo tra i bicchieri rovesciati.

<< Da questa sera, questo locale sarà il mio locale. Sarò io a decidere quando, dove e come gareggiare; sarò io a valutare se siete buoni piloti o meno; sarò io a salvarvi il culo quando gli sbirri si faranno vivi... Sarò io il vostro punto di riferimento, e voi sarete i miei piloti.

<< Da stanotte, dichiaro ufficialmente aperte le gare per guadagnare un posto nella mia Black List. Chiunque pensa di essere all'altezza potrà partecipare, ma dovrà stare alle mie regole. Non mi importa che auto abbiate, quanto siate famosi o quanti soldi ci siano nel vostro portafoglio: mi interessano solo i piloti migliori, solo i più forti. E se qualcuno pensa di potermi battere, è il benvenuto. Chi ha il coraggio di cominciare? >>.

Nessuno si mosse; nel locale calò un silenzio assordante, gli occhi di tutti rivolti su quella ragazza con i tacchi a spillo e i capelli legati, che parlava come aveva fatto lo Scorpione in passato. Irina rimase in attesa, il cuore che le batteva nella cassa toracica come un tambuto, mentre Spark e Scott guardavano la folla, terrorizzati dall'assenza di movimento.

Poi, Irina vide la prima mano alzarsi; era quella di un ragazzo dai capelli rossi, che fu seguito subito dopo da un altro, e poi un altro ancora.

Irina sorrise. Abbassò lo sguardo su Scott, che aveva tirato fuori un foglio di carta e una penna.

<< Segna tutti i loro nomi >> ordinò, << Iniziamo a divertirci >>.

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