Capitolo XV
Ore 8.00 – Mosca
Dimitri fissò Milad Buinov dall'altra parte della strada, le auto che passavano veloci e che scaricavano i bambini di fronte alla scuola prima di ripartire dirette ai loro luoghi di lavoro. Il ragazzo lo guardava a sua volta, serio, immobile, come se non aspettasse altro che lo venisse a prendere.
Per un momento, il Mastino sentì addosso l'istinto di corrergli incontro, afferrarlo per la testa e spezzargli il collo, ma il fatto che Milad lo osservasse in quel modo lo strano lo fece insospettire. Era troppo calmo, per essere impreparato a una reazione del genere, e per quanto fosse giovane, era chiaro che era anche molto furbo. Fumava una sigaretta, stretta tra le dita della mano sinistra.
All'improvviso, il ragazzo gettò il mozzicone e attraversò la strada, raggiungendolo con passo rapido, quasi nervoso. Si fermò a qualche metro da lui, le mani nascoste nelle tasche del giubbotto e la testa coperta da un cappellino di lana nero.
<< Ti avevo detto di non farti più vedere da queste parti >> ringhiò Dimitri a voce bassissima, mentre il piazzale davanti alla scuola si svuotava e la campanella segnava l'inizio delle lezioni. Prima di qualsiasi azione voleva essere certo che non ci fosse nessun bambino nei dintorni, né tanto meno qualche madre innocente.
<< Lo so, ma ti devo parlare >> rispose Milad, mostrando i palmi delle mani vuoti, in segno di resa, << Non posso più aspettare >>.
Dimitri lo guardò con gli occhi ridotti a fessure, il freddo di Mosca che era niente in confronto al suo cuore in quel momento. Era molto vicino alla perdita totale della pazienza, che era stata fin troppo buona fino ad allora.
<< Di cosa? >>.
<< Di chi sta cercando di ucciderti >> rispose il ragazzo, serio.
Dimitri aveva conosciuto troppa gente brava a mentire, nella sua vita, e aveva imparato a diffidare di ogni informazione gratuita. Per di più, Milad fino a pochi giorni prima sembrava avere tutta l'intenzione di infastidirlo, non di aiutarlo, il che lo rendeva poco affidabile. O forse, era semplicemente una trappola... Sarebbe stato un buon motivo per farlo fuori sul serio, dopo.
Valutò attentamente la situazione; Milad sembrava disarmato e solo, a giudicare dall'assenza di auto sospette nei dintorni. Dal canto suo, lui aveva le mani e anche una pistola, pronta usarli entrambi se ce ne fosse stato il motivo.
Dimitri gli fece cenno di salire in auto, mentre lui si metteva al posto di guida della Huracan. Per un attimo, il ragazzo osservare con stupore gli interni della Lamborghini, ma il Mastino tenne d'occhio ogni suo movimento, sospettoso.
Non gli chiese dove volesse andare; mise in moto e sgommò via in mezzo al traffico, zigzagando a folle velocità tra le auto cittadine, diretto verso il centro di Mosca, al caffè Smirnov, dove aveva sempre un tavolo riservato. Emilian bazzicava da quelle parti ogni tanto, e avrebbe potuto venire a dargli una mano, se ce ne fosse stato bisogno.
Milad non si mosse e non disse niente, mentre Dimitri faceva schizzare la Lamborghini come un proiettile tra i semafori e gli incroci, finché non si fermò di fronte a un bar dall'aria comune, con le pareti tinte di verde, tavolini e sedie di metallo, e un bancone con il piano di marmo bianco. Sarebbe stato un locale qualunque, agli occhi di Dimitri, ma quello era il bar della migliore amica di sua sorella Lora.
Flaviyia Smirnov era stata compagna di scuola di Lora, tanti anni prima, e ora lavorava nel bar di famiglia. Di solito faceva il turno di mattina, e lui la vedeva poco, perché andava allo Smirnov sempre nel tardo pomeriggio quando aveva voglia di bere qualcosa di non alcolico, che la gente comune chiamava "aperitivo". Era un posto tranquillo, in passato era stato il ritrovo di Lora e delle sue amiche, e che in qualche modo conservava il suo aspetto innocente e ordinario.
Flaviyia era una ragazza piccola, alta non più di un metro e cinquantacinque, robusta, con gli occhi grigi e i capelli tagliati a caschetto di un brillante color castagna. In quel momento era insieme alla madre, una donna molto simile a lei ma con i capelli tenuti corti, che preparava un vassoio di brioches da dare a un uomo in giacca e cravatta in piedi di fronte alla cassa.
Dimitri afferrò Milad saldamente per un braccio, per fargli capire che sua presa poteva passare rapidamente da quel punto al suo collo, perciò era meglio non fare cazzate. Il ragazzo si irrigidì, e sembrò molto distante dalla sua versione strafottente e sicura di se che aveva incontrato a Tula.
Flaviyia lo vide quasi subito.
<< Dimitri! Che piacere vederti! >> disse, lasciando la madre a servire il cliente e raggiungendoli.
Dimitri le fece un cenno di saluto con il capo, stringendola morsa sul braccio di Milad fino a fargli perdere la sensibilità della mano; in quel modo si sarebbe reso conto che nonostante il luogo sembrasse innocuo, non doveva farsi venire strane idee in testa.
<< Ciao Flavivya, stai bene? >> domandò il Mastino, neutro.
Lei annuì. Lo conosceva abbastanza da sapere che non avrebbe parlato più del necessario, così gli fece segno di sedersi pure.
<< Cosa vi porto? >> domandò.
Dimitri ordinò due semplici caffè, mentre lui e Milad sedevano all'ultimo tavolino in fondo, quello più appartato. Lo spinse sulla sedia, lasciandolo a massaggiarsi il braccio, con una smorfia in faccia.
<< Perché mi hai portato qui? >> domandò alla fine, guardandolo. Sulla sua faccia sembrò tornare un barlume di strafottenza.
Dimitri fece una smorfia cattiva, tenendo gli occhi puntati su di lui.
<< Se dopo dovrò ucciderti, almeno l'ultima cosa che avrai visto sarà un luogo che può definirsi decente >> rispose.
Milad non sembrò particolarmente spaventato dalla minaccia; evidentemente, il fatto di essere ancora minorenne lo faceva sentire protetto, perché nemmeno la Lince poteva uccidere i ragazzini a cuor leggero. Ma il tempo passava, e un giorno avrebbe avuto diciotto anni anche lui.
<< Di cosa dovevi parlarmi? >> aggiunse Dimitri seccamente, mentre Milad si toccò ancora un po' il braccio.
<< Edgar Matveev è pericoloso, è lui che vuole ucciderti >> rispose, quasi neutro.
Dimitri inarcò un sopracciglio, perplesso.
<< Questo lo so già >> ribatté.
Milad sembrò colto alla sprovvista, dalla sua rivelazione. Forse aveva creduto di avere una grossa informazione.
<< Come...? >> iniziò, ma Dimitri lo interruppe.
<< Sono la Lince, posso sapere anche quante volte al giorno ti accendi una sigaretta. Dimmi qualcosa che non so, altrimenti per la noia potrei ucciderti >>.
Milad fece una smorfia.
<< Volevano incastrare me >> rispose, << Volevano farmi passare per quello che ti vuole morto, ma io non centro niente... Non sono così stupido da pensare di uccidere la Lince e non cacciarmi nei guai >>.
Dimitri assunse un'aria annoiata, per fargli intendere che la cosa lo lasciava abbastanza indifferente. In effetti, ultimamente chi è che non voleva ucciderlo?
<< Spiegati meglio >>.
<< Me ne sono andato da Tula perché Matveev voleva farmi passare per quello che dava fastidio, ma non è così. E' lui che ti vuole uccidere. Prende ordini di qualcuno >>.
L'attenzione di Dimitri iniziò a farsi viva. Anche se c'erano dei punti poco chiari, in quella storia, forse poteva trarne qualche informazione interessante.
<< Chi gli da ordini? >>.
<< Non so come si chiama, ma si fa riconoscere con un soprannome >> rispose Milad, << "L'Alfiere" si fa chiamare. Firma tutte le sue lettere con il disegno di una pedina degli scacchi >>.
<< Cosa altro sai? >>.
<< E' sicuramente russo, l'ho sentito parlare una volta al telefono con Edgar >> rispose il ragazzo, << Parlava troppo velocemente e con un accento da madrelingua... >>.
<< E' da lui che Matveev è andato, quando si è recato in Venezuela? >> chiese Dimitri.
Milad non rispose subito; gettò un'occhiata verso l'esterno del locale, come se l'informazione gli fosse nuova.
<< Non lo so... >> rispose, << Forse. Ma ci è andato una sola volta... Non me ne ha parlato >>.
Il ragazzo tirò fuori un'altra sigaretta, e Dimitri si limitò a fissarlo in silenzio, poco convinto.
<< Che cosa ti ha detto Matveev? >> chiese.
<< Poco. Ha detto che vuole ucciderti e che sta lavorando per qualcuno di importante >> rispose, << Probabilmente, una volta al tuo posto vuole iniziare una collaborazione con qualcuno negli Stati Uniti >>.
Dimitri incrociò le braccia, mentre assimilava quelle informazioni come un calcolatore asettico. La storia di Milad poteva essere plausibile, compreso il fatto che Matveev volesse iniziare qualche lavoro con gente americana per incrementare i suoi affari. Ma c'era altro che non gli tornava.
<< Perché me lo vieni a dire? >> domandò seccamente.
<< Non sono stupido >> rispose subito il ragazzo, quasi ridacchiando, << So a chi è meglio non dare fastidio >>.
<< Allora perché ti ho beccato nel mio garage? >>.
<< Pensavo di poterti parlare, ma tu non sei una persona molto affabile >>.
La solita espressione sicura di se tornò a solcare il viso di Milad, e Dimitri si chiese cosa passasse nella testa di quel ragazzo.
<< Non mi fido di te, Buinov >> disse Dimitri, gelido, << Per di più ora che hai trovato il coraggio di avvicinarti alla mia famiglia, nonostante ti abbia intimato di non farlo. Per come la vedo io, ti ucciderei adesso, ma ti sei guadagnato una possibilità. Che sia adesso, tra una settimana o tra un anno, quando l'amico americano o russo che sia e che da ordini a Matveev verrà qui, lo voglio sapere >>.
Milad sorrise, in un modo che ricordò molto suo padre. Aveva diciassette anni ma l'espressione di un quarantenne navigato.
<< Ok, ci sto >> disse, aspirando una boccata di fumo, << E' interessante fare affari con te >>.
<< Lo decideremo alla fine, se hai fatto un affare >> ribatté Dimitri, << Ora vattene, e non farti vedere dalle mie parti. Se mi cerchi, mi trovi al Black Diamond >>.
Milad si alzò velocemente e uscì dal locale senza guardarsi indietro nemmeno una volta. Solo quando sentì la porta chiudersi, Dimitri seguì la sua scia fino a fuori dal bar. Lo osservò arrancare nell'aria gelida del mattino fino all'incrocio, credendo di essere sufficientemente lontano per non essere notato.
Dimitri lo vide guardarsi intorno, finché un enorme Audi Q7 nero con strisce rosse sugli specchietti non si fermò davanti a lui. Milad salì sopra e in una manciata di secondi l'auto sparì nel traffico di Mosca.
"Le cose troppo facili mi hanno sempre insospettito".
Ore 8.00 – Los Angeles, Casa di Irina
<< Quindi è ufficiale, il Capo del Distretto di Polizia di Los Angeles ha confermato questa mattina le notizie che si sono susseguite durante la notte. La Black List è di nuovo in città, e a capo non c'è niente meno che l'ex agente speciale Irina Dwight, la stessa che un anno fa, insieme a Erik Senderson, ha dato la caccia ai piloti clandestini della città >>.
Irina guardava la tv seduta al tavolo della cucina, il computer portatile acceso e una tazza di the caldo con i biscotti alla sua sinistra. Al posto della faccia della giornalista vestita di giallo canarino, comparve una foto di Fenice e della sua auto, con tanto di ricompensa per chi avesse contribuito a farla catturare.
La sua taglia ora ammontava a cinquecentomila dollari, più del doppio di quella che aveva ai tempi di Challagher.
La foto era vecchia, la stessa che c'era nel suo fascicolo al Dipartimento, ma era quella che i giornali e la tv stavano diffondendo a tappeto, una foto che secondo lei non aveva più niente a che fare con la Irina di ora. La Fenice che girava per le strade adesso era decisamente più pericolosa, più cattiva e più nera; non assomigliava per niente a quella ragazzina spaesata e troppo ingenua di quello scatto.
L'inseguimento della sera precedente aveva innescato qualcosa che non aveva immaginato potesse accadere così in fretta, né in modo così aggressivo. Se per settimane la polizia aveva taciuto sulla sua condizione e si era fatta vedere poco, ora Senderson sembrava deciso a recuperare il tempo perduto, ma soprattutto a renderla una vera criminale agli occhi della città.
Non importava che in giro si fosse Jorgen Velasquez che faceva fuori piloti clandestini distruggendo le loro auto come se fossero modellini, né che fosse lui effettivamente a reclutare i nuovi piloti per una lista che non si chiamava Black List ma era qualcosa di simile... Il nemico numero uno ora era lei.
Su ogni quotidiano locale e nazionale era stata menzionata Fenice e la sua auto, ogni telegiornale del mattino aveva mostrato la sua foto e aveva parlato di lei e del ritorno dei piloti di William Challagher.
Era opera di Senderson, tutto quello, e lei lo sapeva. Stava montando contro la sua figura un caso mediatico, per destabilizzarla e convincersi a consegnarsi. Forse credeva che vedendosi una taglia così grossa in testa si sarebbe pentita dei suoi comportamenti e sarebbe tornata sui suoi passi.
Era solo l'inizio, perché il suo ex capo non si sarebbe fermato a quello; molto probabilmente stava organizzando una task force solo per catturare lei, e vendicarsi di come lo aveva preso in giro la sera precedente.
Irina bevve un sorso di the, mentre la giornalista raccontava per l'ennesima volta la sua storia, iniziando dal passato di pilota clandestina e passando per la parentesi in polizia. Inarcò le sopracciglia, mentre si rendeva conto di essere appena diventata un personaggio famoso, e capì che non le interessava. Potevano dire tutto quello che volevano su di lei, ma tanto nessuno avrebbe saputo il modo in cui era stata trattata.
Spense la tv e tornò a osservare il monitor. Con il codice di spedizione che aveva recuperato da Kane non aveva ottenuto nulla; in realtà si trattava molto probabilmente di un codice interno all'azienda di trasporti, che non poteva essere tracciato dal sito internet messo a disposizione dalla ditta.
Non aveva i mezzi né le capacità informatiche sufficienti per hackerare il database dell'azienda trasportatrice e cercare di capire da dove veniva quel pacco, ma era convinta che potesse davvero aiutarla a trovare l'assassino di Xander.
Sapeva a chi rivolgersi, ma non era certa che tutto fosse ancora come tanti anni prima.
Un'ora dopo, Irina fermava l'Audi TT davanti a un negozio di informatica nella zona ovest di Los Angeles, con le vetrine sudicie e l'insegna quasi illeggibile, pochissimi prodotti in vetrina e un cartello appeso alla porta che declamava a grandi caratteri gli orari di apertura al pubblico. In quel momento era chiuso, anche se la luce interna era accesa.
A giudicare dal fatto che quel negozio fosse ancora lì, e che sembrasse molto meno improntato alla vendita di prodotti di informatica che in passato, fece intuire a Irina che gli affari non andassero poi tanto male al suo proprietario.
Senza attendere l'orario di apertura, Irina spinse la porta e si ritrovò dentro il negozio, pieno di carcasse di computer, cellulari usati e tablet rotti. Rumori di cianfrusaglie che venivano smosse arrivò dal retro, mentre qualcuno imprecò, infuriato.
<< E' chiuso, cazzo! Non siete capaci di leggere un cartello? >>.
Greg Thile, venti chili in più di cinque anni addietro, lenti degli occhiali spesse ma un abbigliamento decisamente costoso addosso, irruppe nel negozio, e sulla sua faccia con qualche ruga comparve un'espressione di stupore, quando la vide.
Ci mise qualche secondo per pensare a cosa dire, o forse per assimilare la situazione, e Irina lo fissò in silenzio.
<< Fenice? >> esalò Thile, incredulo, << Allora è vero che sei tornata? >>.
Irina gettò un'occhiata verso la porta di ingresso, seria.
<< Non me ne sono mai andata >> rispose solo.
Thile rimase dov'era, dietro il bancone, come se improvvisamente la sua presenza lo spaventasse. Era lui che le aveva confermato che Xander era un agente della polizia, quando era arrivato a Los Angeles.
"Allora alcune cose sono rimaste le stesse".
<< Che diavolo stai facendo? >> domandò Thile, mostrando la prima pagina di un giornale da un tablet di qualche cliente, << Sono settimane che dicono che sei in giro... >>.
<< Non fare domande >> lo interruppe Irina, mettendo sul bancone un foglietto con il numero di tracking scritto sopra, << Mi serve uno dei tuoi lavoretti... Sempre se li fai ancora >>. Non voleva perdersi in troppe parole, voleva dargli l'impressione di avere pienamente la situazione sotto controllo.
Thile osservò il foglietto, poi alzò lo sguardo su di lei.
<< Da quando la compagnia di Challagher è stata fatta fuori, ho incrementato un sacco i miei affari >> spiegò, come se dovesse giustificarsi per l'abbigliamento costoso, << C'è un sacco di gente che vuole informazioni... Cos'è? >>.
<< Il numero di spedizione di un pacco >> rispose Irina, << Non è il solito codice di tracking... Devi entrare nei sistemi nella compagnia di trasporti, per capire chi lo ha spedito, da dove arriva e quando. Dovrebbe essere un gioco da ragazzi per te >>.
Thile si grattò la testa.
<< Ci vorrà un po' di tempo, ho del lavoro da smaltire >> rispose Thile, << E avrà un costo... >>.
Irina appoggiò una banconota da cento dollari sul bancone, fissandolo.
<< Questo è solo un anticipo >> disse, << Non ho più alcun debito da ripagare, quindi posso permettermi ogni spesa. Dai priorità alla mia ricerca e avrai il tuo extra >>.
Thile la guardò in un modo diverso da come l'aveva sempre guardata in passato, come se comprendesse che qualcosa era cambiato in lei, come se la sua autorità fosse improvvisamente aumentata. O forse era semplicemente il potere dei soldi, un potere che prima Irina non aveva mai avuto, e che rendeva tutti accondiscendenti e disponibili.
<< Che cosa stai cercando, Fenice? >> domandò, intascando la banconota.
<< Non hai bisogno di risposte, per cercare le informazioni che ti chiedo. Servimi bene, Thile, e tornerai a essere il mio informatore principale >> disse Irina, eludendo la domanda, << Tradiscimi, e rimpiangerai ciò che ero una volta >>.
Gli rivolse un cenno di saluto, prima di uscire dal negozio e tornare in strada. Tornò a casa, anche se l'unica cosa che non voleva fare era rimanere con le mani in mano.
Avrebbe voluto andare al cimitero da Xander e William e posare un fiore sulle loro tombe, ma era luogo troppo pericoloso, in quel momento. Era ricercata, ed era ufficiale, perciò doveva fare attenzione a ogni cosa che faceva. Represse l'istinto di andare e si guardò nello specchio del bagno, le occhiaie che ormai erano diventate il suo marchio di fabbrica.
"Servimi bene".
Avrebbe voluto ridere di se stessa, in quel momento. Ogni ora che passava, ogni giorno che trascorreva, il destino la stava spingendo a diventare quello che aveva sempre rifiutato in passato. Aveva tranciato i legami con il mondo, aveva intrapreso una strada che la stava conducendo a qualcosa di oscuro, dal quale forse non sarebbe mai potuta tornare indietro.
"A che cosa serve tenere un basso profilo, ora? Il mondo sa che ci sei, adesso, che sei di nuovo per strada... ".
Ricordò che aveva lasciato qualcosa in sospeso, il giorno prima.
Per quanto fosse pericoloso, Irina non sarebbe rimasta a casa in quel momento. Se doveva lanciare la sua sfida alla polizia, a Jorgen Velasquez e a tutti quelli che la volevano morta, non doveva avere paura di nulla, nemmeno alla luce del giorno.
Vera Gonzalez la stava ancora aspettando.
La Fiat Punto bianca correva sull'autostrada in direzione di Moonpark, un proiettile bianco sulla corsia di sorpasso. Irina fissava la strada, il volante stretto nelle mani, la radio con la musica ad alto volume e l'assurda tranquillità che la permeava quando percorreva l'asfalto a quella velocità fuori codice.
La sua vita aveva finito di essere prudente la sera prima; visto che ormai era ufficiale il ritorno di Fenice, non aveva senso nascondersi dietro l'Audi TT di giorno e far uscire la Punto solo di notte. Los Angeles non doveva avere dubbi su di lei, sul fatto che ora non avesse davvero paura più di nulla.
La Punto, a parte la fiancata rigata, era perfettamente integra, anche se il rumore che proveniva dal posteriore continuava a sentirsi. Avrebbe dovuto portala da Max per farla mettere nuovamente a posto, ma qualcosa le diceva che gli inseguimenti per lei sarebbero stati all'ordine del giorno, e in ogni caso voleva coinvolgere Max il meno possibile ora che era davvero ricercata.
La strada scorreva sotto di lei rapida, il traffico non troppo intenso e nessuna volante della polizia all'orizzonte. Arrivò a Moonpark in fretta, subito dopo l'ora di pranzo.
Non era certa di trovare Vera Gonzalez a casa; era agli arresti domiciliari, ma da quello che aveva letto in giro forse aveva dei permessi giornalieri per uscire, per andare a fare la spesa o a svolgere qualche piccola commissione. Sinceramente, non si era fatta troppe domande prima di partire, e sperava solo nella fortuna.
La zona dove si trovava l'abitazione di Vera era un quartiere popolare, abitato da famiglie povere, immigrati per lo più del Messico e dell'Argentina, ma non sembrava malfamato come quello di Santa Monica in cui stava lei. Le case erano vecchie, ma tenute dignitosamente, e nei cortili di cemento dei palazzi giocavano dei bambini, forse usciti da scuola poco prima.
Qualche signora che stendeva i panni al bancone la guardò con sospetto, quando vide la Punto muoversi tra le strade con lentezza, il grugnito del motore che attirava l'attenzione, e la classica livrea da auto da corse clandestine a renderla inconfondibile. Svoltò in un vialetto stretto tra due palazzoni grigi, trovando una costruzione un po' più bassa, dai muri giallo scolorito e con un'accozzaglia di tende di diversi colori ai balconi. Una donna anziana di colore stava pulendo il vialetto di accesso, il grembiule verde che svolazzava nel vento.
Irina parcheggiò la Punto tra due vecchie utilitarie coreane dall'aria consumata, e scese. Se Vera era ancora lì, in quel palazzo giallo c'era la sua nuova vita, sempre che l'avesse cambiata.
Per un attimo, Irina esitò. Qualcosa la spinse a chiedersi se fosse giusto presentarsi lì, irrompendo nell'esistenza di una sua vecchia conoscenza che, per quanto non fossero andate mai davvero d'accordo, aveva pur sempre deciso di andarsene da Los Angeles forse proprio per lasciarsi tutto alle spalle. Era un po' come se lei, mentre cenava a tavola con Xander, si fosse vista arrivare davanti la porta di casa Jim Whitman.
Forse non era giusto, ma Irina non poteva sprecare quella possibilità di avere informazioni. E comunque, quando mai qualcuno si era fatto il problema a sconvolgere la sua, di vita?
La vecchia di colore si fermò a guardarla, quando con passo deciso raggiunse il vialetto. Brandiva la scopa come se fosse quasi quasi intenzionata a usarla come arma, se l'avesse ritenuta pericolosa, e Irina comprese che la sua auto aveva parlato per lei. Aveva riconosciuto la sua appartenenza a gente poco raccomandabile.
<< Buongiorno >> la salutò Irina, cercando di apparire tranquilla, << Vive qui Vera Gonzalez? >>.
La donna annuì in silenzio, diffidente.
<< Sa se è in casa? >>.
La vecchia continuò a guardarla in modo sospettoso.
<< Tu chi sei? >> chiese alla fine, con voce gracchiante.
<< Oh, una vecchia amica >> rispose Irina sorridendo, << Non ci vediamo da molti anni, ed è un po' che la cerco >>.
La donna non sembrò davvero convinta dalle sue parole, però forse la valutò poco pericolosa, perché le fece cenno di salire al secondo piano. Irina la ringraziò e proseguì.
Si ritrovò davanti a una porta di legno scuro, rigata, oltre la quale si sentiva un televisore trasmettere dei cartoni animati. Irina suonò il campanello e attese, sperando di non dover fare a botte con nessuno. In polizia le avevano dato qualche rudimento di difesa personale, ma non era certa di saper affrontare una rissa... E Vera era certamente una molto più abituata di lei a usare le mani.
La televisione venne spenta, e Irina sentì dei rumori oltre la porta. Un'istante dopo, Vera Gonzalez, i riccioli neri raccolti sulla testa con una molletta, il viso struccato e addosso quella che sembrava una tuta da ginnastica, le aprì la porta.
Fu come tornare indietro di cinque anni, perché Irina percepì negli occhi scuri di Vera lo stesso disprezzo e la stessa antipatia che aveva sempre visto quando lei era Fenice e la spagnola Vipera. Il tutto mescolato con una certa dose di sorpresa, sorpresa che rese i lineamenti di Vera più duri e ironici di quanto già non fossero.
<< Chi non muore si rivede >> commentò, lasciandola sulla porta e guardandola con un mezzo sorrisetto.
Chissà se lo aveva fatto apposta, o se la sua frase era calcolata. Irina evitò di chiederselo.
<< Ciao Vera >> la salutò, senza farsi impressionare dalla sua accoglienza, << E' un po' di tempo che non ci vediamo >>.
<< Infatti mi dispiace interromperlo >> ribatté la spagnola, la mano appoggiata allo stipite della porta come se volesse proteggere l'entrata di casa sua, << Che cosa fai qui? >>.
<< Devo parlare con te >> rispose Irina, sincera, << Sta succedendo qualcosa a Los Angeles e forse tu puoi aiutarmi >>.
Vera la guardò perplessa, poi alla fine si scostò dalla porta e la lasciò entrare. Quando Irina mise piede nell'appartamento, piccolo e molto modesto, Irina capì immediatamente che lì c'era un bambino, cosa che aveva già pensato quando aveva sentito la tv. C'erano giocattoli sul pavimento del minuscolo soggiorno, e una scatola di pennarelli sul tavolo della cucina.
Qualcosa nello stomaco di Irina si chiuse, quando si rese conto che la donna che aveva davanti forse aveva qualcosa in più nella sua vita, da quando si erano lasciate. Molto probabilmente, le sue prospettive dovevano essere cambiate, e comprese il suo nervosismo, in quel frangente.
<< Non sono qui per dare fastidio >> spiegò lentamente, << Non faccio più parte della polizia, ma... >>.
<< Lo so >> la interruppe bruscamente Vera, << Ho sentito i giornali... Non sono più nella Black List, cosa sei venuta a chiedermi? >>.
Era nervosa, quasi spaventata dalla sua presenza. Forse pensava che fosse andata lì per chiederle di tornare a fare la pilota... Avrebbe dovuto raccontarle la storia dall'inizio, e la cosa la sfiancò ancora prima di iniziare.
<< Posso sedermi? >> chiese.
Vera annuì, facendone cenno di andare in cucina. Irina si sedette al tavolo, mentre la spagnola prendeva posto di fronte a lei.
<< Sai che sono tornata per strada, ma sai perché l'ho fatto? >> domandò Irina, picchiettando con la mano sul ripiano di legno per scaricare la tensione che sembrava essersi accumulata improvvisamente in lei.
<< No >>.
Così, con voce piatta, Irina raccontò a Vera della morte di Xander, dei mesi passati a chiedersi chi l'avesse ucciso e della decisione di tornare a fare la pilota clandestina. Fu strano, ma si ritrovò a parlare come un automa, senza sentimenti nella voce, quasi stesse recitando una preghiera. La spagnola sembrò sorpresa di apprendere che Alexander Went, il bell'agente dell'F.B.I. che in qualche modo aveva colpito anche lei, fosse morto ammazzato con quattro colpi di pistola. Non espresse dispiacere, ma Irina lesse nei suoi occhi qualcosa di simile alla pena, mentre la guardava raccontare.
Alla fine, l'ex Vipera la osservò con un mezzo ghigno su volto.
<< Porti sfiga, Fenice, è evidente >> commentò, mentre dalla stanzetta di fianco alla cucina qualcosa di mosse, << Ci hai fatti finire tutti dietro le sbarre per poi tornare a fare la pilota senza di noi... Potevi risparmiarci tutto questo >>.
La provocazione era l'atteggiamento che Vera aveva sempre usato con lei, perciò Irina lasciò correre, tanto comunque sembrava aver ragione. Era vero, quello che aveva appena detto.
<< Mi sembri la più fortunata >> ribatté seccamente, << Sei agli arresti domiciliari, ma sei... viva >>.
Vera smise di ridacchiare e la guardò.
<< Non ho avuto il tempo di cacciarmi nei guai >> rispose.
<< Allora sai già che la Black List non esiste più, e che rimaniamo io, il Mastino, e te? >> domandò Irina, conoscendo già la risposta.
<< Non metto piede a Los Angeles da anni >> rispose Vera, irritata, << Non so cosa sta succedendo. Non me ne frega un cazzo che fine hanno fatto gli altri piloti... E comunque anche tu sei viva >>.
<< Sono viva perché sono stata sei mesi a fare la larva, chiusa in casa a piangere per la morte di Xander >> rispose brutalmente Irina, per dimostrarle che continuava a essere la stessa con cui non tirare troppo la corda, << E sono viva perché sono stata anche una poliziotta. Comunque, potrei non esserlo ancora per molto >>.
<< E il Mastino? Lui dov'è? >>.
Irina inghiottì immediatamente il nodo che le si formò in gola, al suono di quel soprannome. Non era l'unica a farsi quella domanda.
<< Non ne ho idea >> rispose, << Ma credo abbastanza lontano da qui da essere al sicuro. Il punto è questo, Vera: i membri della Black List sono stati uccisi da un certo Jorgen Velasquez, che si fa chiamare Torre e va in giro con un francese di nome Felix Moreau, un ex pilota di rally. Hanno fatto fuori tutti i piloti, uno a uno, e hanno risparmiato me perché so per certo che sono l'ultima della loro lista. La domanda ora è: perché tu sei ancora viva? >>.
Vera sembrò presa in contropiede, dal suo tono secco e dalla domanda diretta. Afferrò il bordo del tavolo, la vena sul collo che sembrò tendersi, e rivolse istintivamente gli occhi verso i giocattoli appoggiati a terra, nel soggiorno.
<< Non lo so >> rispose.
Mentiva, e Irina lo capì dal movimento del suo sopracciglio; anche la sua voce la tradì, perché non sembrava poi così sicura di quello che stava dicendo.
<< Te l'ho detto, non sono qui per piantare grane >> ribadì Irina, << Sono qui per avere informazioni. Se sai qualcosa devi dirmelo. Questa è gente che vuole prendere il controllo della città, gente che ammazza e che lo fa senza alcun senso. Hanno ucciso anche Xander, e hanno ucciso Jim Whitman, Kawashima e tutti gli altri che erano rimasti... Vogliono morta persino me. Ma quello che è peggio, è che stanno cercando di uccidere anche ciò che rimane dello Scorpione >>.
Vera la fissò, gli occhi stranamente profondi, come se la vedesse per la prima volta. Qualcosa nelle sue parole doveva averla risvegliata, o scossa. Di nuovo, un rumore dalla stanza attigua, come qualcosa che cadeva a terra, la distrasse.
<< Ho già incontrato Jorgen Velasquez >> disse alla fine, come se le costasse molto ammetterlo, << Hai ragione, stanno cercando di ucciderci tutti... >>.
Le orecchie di Irina si tesero, mentre aspettava che lei continuasse.
<< E' venuto qui per uccidere anche me, un po' di mesi fa, ma... >>. Vera fece un cenno verso la stanza di fianco, << Credo che abbia cambiato idea quando ha visto lui >>. Sorrise. << Mio figlio Sean >>.
Irina non fece nessuna domanda, al riguardo, anche se non fu sorpresa dalla notizia; Vera non sembrava disposta a mostrarle il bambino, visto che lo aveva fatto andare nell'altra stanza, ed era un suo diritto. Molto probabilmente voleva tenerlo lontano da ogni cosa che riguardasse il mondo dei piloti clandestini, e la considerò una scelta saggia.
<< Ho parlato con Jorgen >> continuò Vera, << E' venuto qui con un gruppetto di cinque persone. Aveva l'aria pericolosa, e sembrava dispiaciuto quando mi ha detto che il suo capo ha ritenuto meglio non uccidermi. Non mi ha dato vere e proprie spiegazioni, ma mi ha fatto intendere che Sean meritava di stare ancora un po' con sua madre... >>.
Sembrò improbabile a Irina che uno come Jorgen avesse il cuore tenero, tanto da cambiare idea di fronte a un bambino, ma non sapeva chi c'era ad agire dietro di lui e a dargli ordini... Poteva essere un vantaggio, da qualche punto di vista.
<< Però mi hanno chiesto se volevo lavorare per loro >> disse Vera, << Visto che ho esperienza di auto da corsa. Volevano offrirmi un posto come corriere di droga, o qualcosa di simile >>.
<< Hai accettato? >>.
<< No, Fenice >> rispose Vera, << Io ho chiuso con le corse. Non ho più auto da pilota da quando sono stata arrestata, e comunque non ho un soldo per comprarne una. Vivo con il sussidio di disoccupazione, e finché non terminerò gli arresti domiciliari non posso muovermi da qui e ho l'obbligo di firma la sera... E comunque, ho un figlio a cui rendere conto, e la nostra esistenza fa già abbastanza schifo così, senza infilarsi in casini con gente che non conosciamo >>.
Sì, la gente cambiava, e Irina ne aveva la conferma anche con Vera. Era successo con William, e succedeva anche con lei.
<< E loro hanno accettato il tuo rifiuto? >> chiese.
<< Sì >>.
Irina era perplessa, ma cercò di non farlo vedere. Qualcosa in quella storia non quadrava, e lei non riusciva a capire cosa.
<< Che cosa sai ancora? >> domandò, << Ti hanno detto per chi lavoravano, da chi ricevevano ordini? >>.
Vera fece un mezzo sorrisetto.
<< Non è gente stupida, sa quello che fa >> rispose, << Non si sono sbottonati, con me. Che non siano di qui è evidente, ma potrebbero venire da qualsiasi paese dell'America Latina... >>.
Irina capì che anche quella pista non l'avrebbe portata a nulla. Stava quasi per alzarsi, quando Vera la osservò con attenzione, quasi con curiosità.
<< Sei stata tu a mettere fine alla nostra vita >> disse all'improvviso, << Sei stata tu a distruggere per prima la Black List... Perché stai facendo tutto questo? >>.
Irina la fissò negli occhi, in un modo in cui non era abituata a fare con gli altri. Forse perché davanti a lei aveva una donna che in qualche modo aveva conosciuto il suo mondo esattamente come lei, o semplicemente perché qualcosa le diceva che Vera avrebbe capito, o almeno avrebbe intuito i sentimenti che in quel momento la guidavano. Erano sempre state le due uniche donne della Black List, e più di chiunque altro avevano lottato per esserne membri, non potevano negare che quello le accomunasse, in qualche modo.
<< Sono stata tradita, Vipera, sia dal nostro mondo sia da quello che credevo di trovare la fuori. Tutto quello che ho capito in questi anni è che le persone cambiano raramente, ma se lo fanno è perché ne hanno avuto la possibilità. Ho vissuto cose che mi hanno portata a vedere i miei nemici come amici, e i miei amici come nemici. La Black List era sbagliata, ma aveva anche dei lati positivi: ci permetteva di correre, che è tutto ciò che abbiamo sempre voluto. E ognuno di noi era sbagliato, ognuno di noi è stato un criminale, però ognuno di noi ha anche avuto dei principi. William Challagher è stato il peggiore tra tutti noi, ma lo era perché non gli è mai stata data la possibilità di cambiare. Quando lo ha fatto era troppo tardi, è l'unica cosa che è rimasta di lui è la sua fama. Non permetterò a nessuno di distruggere la memoria di ciò che ha fatto, glielo devo, nonostante tutto >>.
Qualcosa passò negli occhi di Vera, a quelle parole, qualcosa che Irina non comprese. Era forse rimpianto? Era forse tristezza? Non lo seppe, perché in quel momento una presenza discreta la costrinse a voltarsi verso la porta di ingresso della cucina.
C'era un bambino, un bambino di circa quattro anni, con un viso rotondo e paffuto, lisci capelli castano chiaro e un paio di pantaloncini blu e una maglietta verde. Teneva in mano una macchinina gialla, forse una Porsche, e la guardava con curiosità, quasi intimorito. Sembrava aver preso veramente poco da sua madre, a giudicare dalla carnagione molto più chiara di quella della spagnola.
<< Sean, torna in camera tua >> ordinò seccamente Vera.
Il bambino però rimase fermo sulla porta, incerto. Non era lì per pura curiosità, Irina capì che voleva qualcosa.
<< Ma io volevo la merenda... >> mugolò, quasi mettendosi a piangere. Forse non era abituato a un tono così duro da parte di sua madre, segno che la situazione rendeva Vera nervosa.
La spagnola gli fece cenno di avvicinarsi, e il bambino alla fine fece un passo avanti, stringendo la sua macchinina e senza mai levare gli occhi di dosso da quell'ospite che sembrava incuriosirlo molto. Irina finalmente vide bene il suo faccino rotondo, intenerita dalla sua espressione.
Aveva dei profondissimi occhi verdi, di un verde limpido e smeraldino.
Il fiato si condensò nei polmoni di Irina all'improvviso, quasi soffocandola. Avrebbe riconosciuto quegli occhi ovunque, quel taglio così perfetto, quel colore così intenso... Erano gli stessi che ogni tanto rivedeva nei suoi sogni, quando il passato veniva a trovarla.
"Non è possibile... Non... Non può essere...".
Si alzò di scatto, mentre il suo cervello cercava di spiegare, di trovare un senso a quello che aveva davanti, perché le sembrò che non lo avesse.
Il destino non era beffardo, era crudele.
Il bambino si avvicinò a Vera, e la spagnola gli mise una mano sulla testa. Con un sorriso mesto, quasi da presa in giro, tornò a rivolgersi a lei.
<< Ti presento Sean Gonzalez, Fenice. Il figlio mai riconosciuto di William Challagher >>.
Irina avrebbe voluto staccare il cervello dal corpo, pur di non provare quella sensazione di vuoto doloroso che dallo stomaco arrivò fino al petto, dove forse aveva ancora il cuore. Era come se qualcuno le avesse appena strappato un altro pezzo della sua anima, e la stesse bruciando davanti ai suoi occhi senza che lei potesse fare nulla.
"Non è giusto... Tutto questo non è giusto".
Guardava il bambino, guardava quegli occhi identici a quelli di suo padre, e dentro di lei qualcosa si sbriciolava, forse la sua anima che andava davvero in pezzi.
Padre.
Che parola assurda, accostata a William Challagher.
<< Lo sapeva? >>.
Fu l'unica cosa che Irina riuscì a dire, in quel momento. Perché se c'era qualcosa di importante, era che William avesse saputo.
<< No >> rispose solo Vera, mentre si alzava lentamente e prendeva per mano il bambino, dandogli quella che sembrò una merendina, << E forse è meglio così >>. Lo spinse delicatamente verso la porta, e Sean tornò nella sua stanza a giocare, mentre Irina non riusciva a togliergli gli occhi di dosso.
William non lo sapeva. Era morto senza sapere che aveva un figlio nascosto da qualche parte... Che aveva una creatura di cui prendersi cura, che magari sarebbe stata in grado di aiutarlo molto più di quando non sarebbe stata capace lei.
<< Avanti Fenice, di cosa ti stupisci? >> fece Vera, la voce cattiva, << Challagher aveva più puttane che auto... Lo sai meglio di me >>.
Certo che lo sapeva; sapeva tutto della sua vita, sapeva tutto della sua voglia di divertimento quando era lo Scorpione, sapeva quanto potesse essere ingordo da quel punto di vista. Però sia lui sia le ragazze con cui andava non erano così stupide da rischiare... William era il primo a non volere inconvenienti di quel tipo.
Guardò Vera, che sembrava molto divertita dalla sua espressione confusa.
<< Come è potuto...? >> iniziò, ma Vera rise.
<< E' stato quella notte in cui lui ha detto il tuo nome, mentre eravamo a letto insieme, Fenice >> rispose, disgustata, << Eravamo tutti e due ubriachi fradici, cosa credi? A lui non fregava un cazzo di quello che faceva, e io non ho avuto la testa di fare attenzione. E' successo e basta, come poteva succedere a te >>.
C'era odio profondo nella voce di Vera, in quel momento, però non sembrava pentita. Era come se, in fondo, considerasse quel bambino un evento fortuito ma non... sfortunato.
<< Subito dopo hai scatenato tutto quel casino >> continuò, << E un mese dopo Challagher è finito in prigione. Quando mi sono accorta di essere incinta, lui era nel bel mezzo di un processo, e io anche... >>.
<< E' per questo che non sei mai finita in carcere, ma ti hanno dato i domiciliari... >> commentò Irina a voce bassa, collegando tutto, << Non hai abortito per questo... >>.
<< Abortire? >> ringhiò Vera, offesa, << Mi hanno sempre chiamata "Pazza", ma non sono così crudele. Credo che sia l'unica cosa normale che mi è capitata in tutta la mia vita >>.
Irina la guardò, e non riuscì a non provare un minimo di compassione, per quella ragazza così diversa da lei, che la vita aveva punito tanto quanto aveva fatto con Fenice. Si era sempre lamentata della sua condizione, eppure aveva dimenticato che tutti loro erano criminali perché alle spalle avevano esistenze difficili, probabilmente più della sua. Chi era lei per giudicare le scelte degli altri, soprattutto quando erano giuste?
<< Perché non lo hai detto a William? >> domandò lentamente, << Ci sarebbe stato un modo per farglielo sapere... >>.
<< A Challagher non sarebbe fregato un cazzo, di suo figlio >> rispose nervosa Vera, << Aveva occhi solo per te, Fenice. Perché io scommetto la mia testa che anche quando lo hanno chiuso in una cella e hanno buttato via la chiave, lui non ha fatto altro che pensare alla sua piccola pilota bastarda che lo aveva fatto finirei in cella. A lui non è mai fregato nulla del resto del mondo, a parte se stesso e te >>.
Irina avrebbe voluto dirle quello che era successo in Russia, quello che lei aveva fatto a quel ragazzo che Vipera ora odiava a morte, ma rimase in silenzio. Le faceva ancora troppo male, ricordare quanto dolore aveva provocato con le sue scelte.
Si avvicinò alla porta, guardando quella Vera diversa, più madre che pilota.
<< Credo che tu ti stia sbagliando >> disse solo, << William Challagher molto probabilmente non sarebbe stato un padre modello, ma sarebbe stato comunque un padre >>.
Vera non sembrò in grado di replicare, questa volta. Quanto le era costato e le sarebbe costato crescere quel bambino da sola? Quanto aveva sofferto, diventando madre nella più completa solitudine?
<< Guarda te stessa, Vera >> aggiunse, << Un bambino ti ha dato la forza di non cadere negli stessi errori del passato, e di dire no a una vita da criminale... Forse sarebbe stato lo stesso per lui >>.
Non voleva essere crudele, non voleva incolparla di aver taciuto; forse lei avrebbe fatto lo stesso, in quella situazione. Non poteva saperlo, perché almeno quella cosa non le era mai capitata. Voleva solo che Vera capisse che William non era così crudele come aveva sempre pensato. Anche lui era stato una vittima.
Senza chiedere il permesso, Irina raggiunse la stanza si Sean; non entrò, si fermò semplicemente sulla soglia, osservando il bambino seduto a terra, a giocare con le automobiline in miniatura. Le faceva correre su una pista immaginaria, le manine che mimavano derapate e curve.
Aveva il suo sangue; nel corpo di quel bambino c'era il DNA dello Scorpione, e lei lo vedeva benissimo. Vedeva i suoi occhi, i suoi capelli, il suo modo di far correre quelle piccole macchine in miniatura. Si sentì gelare, mentre si rendeva conto che la vita di William, in qualche modo, continuava in quel bambino.
Le venne da piangere, e con tutta la forza che aveva nel corpo, trattenne le lacrime.
Sean si accorse di lei e tornò a guardarla. Irina avrebbe voluto sedersi li con lui, e raccontargli chi era suo padre, cosa aveva fatto, come era morto, ma non sarebbe stato giusto. Non era giusto nemmeno che lui crescesse senza un padre, né che William non lo avesse mai conosciuto.
<< Qual è la tua macchinina preferita, Sean? >> domandò solo, la voce che le si impigliava in gola.
Il bambino la guardò, perplesso.
<< Questa >> rispose, mostrandola, << La Porsche gialla >>.
Irina sorrise stupidamente.
William aveva una Porsche gialla; era stata la sua prima auto.
Si voltò, tornando nel soggiorno. Vera era ferma davanti al tavolo della cucina, e nei suoi occhi Irina credette di vedere qualcosa, forse lacrime trattenute a forza come stava facendo lei.
<< Jorgen sa che Sean è figlio di William? >> domandò.
<< No >>.
Irina sospirò, mentre pregava dentro di lei che non lo venisse mai a sapere.
<< Grazie per le informazioni. Anche se sono poche, potrebbero sempre tornarmi utili >> disse alla fine, << Non tornerò qui, a meno che non ne possa davvero fare a meno. Nessuno saprà che ho parlato con te, questa è una promessa. Sean sarà al sicuro, lo giuro su me stessa, Vera. In qualunque momento tu o tuo figlio abbiate bisogno di qualcosa, chiamami. Che sia per soldi o per protezione, sono disposta a darti qualunque cosa ti serva. Tieni Sean lontano dal nostro mondo; non permettere che diventi come suo padre >>.
Scrisse su un tovagliolo il suo numero di cellulare e lasciò l'appartamento con il cuore gonfio di angoscia e di dolore. Voleva mettere quanta più distanza tra lei e quella creatura che rappresentava la parte più pura di William Challagher.
Che cosa avrebbe detto lo Scorpione, se avesse saputo di avere un figlio la cui auto preferita era una Porsche gialla? Sarebbe stato orgoglioso, o lo avrebbe considerato solo una perdita di tempo? Sarebbe stato in grado di essere un padre, o davvero il suo mondo iniziava e terminava in se stesso?
Quante possibilità negate, quante vite spezzate e non vissute...
E mentre Irina correva a duecento all'ora sull'autostrada, in un mondo ovattato e fatto di ricordi, ogni istante la sua anima continuava a gridare che non era giusto.
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