Capitolo XLVIII
Ore 17.00 – Carcere di Los Angeles, Sezione femminile
Tutto sommato, Irina non poteva dire di essersi trovata male, nel Carcere femminile di Los Angeles.
Aveva una cella singola con una finestra che dava sul cortile esterno, un letto non troppo comodo ma pulito, una scrivania e una televisione da quattordici pollici con tanti canali ma con un'audio un po' gracchiante. Le servivano tre pasti al giorno, che per lei continuavano ad essere troppi, e in un modo o nell'altro riusciva a ottenere qualche quotidiano. Un'agente le aveva allungato anche una rivista di auto, un paio di giorni prima.
Non era un posto di villeggiatura ne tantomeno l'hotel di Nene, ma poteva resistere, anche perché non era mai stata servita e riverita in quel modo, a casa.
<< Mi manca l'erba... >>.
Irina sorrise appena, sentendo la voce della sua dirimpettaia di cella; stava leggendo il giornale locale di Los Angeles, ma lo mise da parte e guardò oltre il corridoio. Tutto sommato, non poteva lamentarsi nemmeno delle sue vicine di "casa": per quanto strane, le avevano fatto compagnia, ed erano risultate anche simpatiche, qualche volta.
<< Scommetto che ti riferisci all'erba dei prati di campagna >> commentò Irina, avvicinandosi alla porta della cella.
<< No. E' quella che si fuma >> ribatté la ragazza, acidamente, << Cazzo, qui dentro mi annoio a morte. Almeno un po' di fumo, una sigaretta... >>.
Irina si affacciò, e incontrò lo sguardo scocciato di Biv, una ragazza di colore che doveva avere appena qualche anno meno di lei, appoggiata alle sbarre con aria annoiata, la tuta a righe che faceva un accostamento strano con la sua pelle scura.
<< Sono in astinenza da tre settimane >> continuò, << Tre settimane, capisci? L'umanità dovrebbe pagare per aver negato a una dolce fanciulla come me i suoi vizi... No, Rob? >>.
<< Ah ah, certo >> commentò la sua compagna di cella fingendo di ridere, nascosta dal muro, forse seduta su uno dei letti della cella, << La prossima volta allora vedi di non farti beccare in flagrante... >>.
<< Oh, stai zitta, che tu dovevi controllare lo sbirro, solo che era troppo figo e ti sei distratta! >> sbottò Biv, irritata.
Irina sorrise, vedendole battibeccare; lo facevano quasi tutto il giorno, quindi era perfettamente normale sentirsi scannarsi a parole. Non sapeva esattamente per cosa fossero state condannate, non aveva voluto chiederlo perché in fondo non erano affari suoi e perché non voleva rompere quel minuscolo idillio che era nato con quelle due strane ragazze. Sapeva solo che erano insieme quando erano state arrestate, e il giudice era stato così clemente da farle mettere nella stessa cella. Dicevano un sacco di parolacce e facevano casino, ma erano soggetti interessanti con cui chiaccherare, anche perché sembravano praticare quella che Irina definì come "religione dell'insulto libero". E sicuramente non dovevano aver combinato chissà cosa, perché dovevano solo scontare qualche mese, forse addirittura solo qualche settimana.
<< Quanto dovete stare ancora qui dentro? >> chiese a Biv, distraendola dalla rissa con Rob.
<< Boh, quattro settimane, forse cinque >> rispose la ragazza, << Dopo che fanno, ci mettono in riformatorio, Rob? >>.
<< A te sicuramente >> rispose l'altra.
Irina sorrise; erano solo due piantagrane, non una criminale come lei.
<< Tu quanto devi stare ancora qui dentro? >> domandò Biv, osservandola con improvviso interesse.
<< Non ne ho idea >> rispose Irina, << Devo ancora affrontare il processo, se ce ne sarà uno >>.
<< Perché ti sei fatta beccare? >> chiese all'improvviso Biv, facendo penzolare le braccia oltre le sbarre, << Cazzo, potevi scappare con quel gran figo di russo con la faccia tutta sfregiata... Come si chiama? >>.
<< Emilian >> rispose sorridendo Irina, << E' sposato e sta per diventare padre, comunque. E non ho avuto scelta: o catturavo Selena Velasquez e mi facevo prendere, o scappavo e scappava anche lei. E' solo responsabilità mia, se sono qui dentro. Almeno credo >>.
Biv scoppiò a ridere.
<< Ah, la paladina della moralità! >> sbottò, << Tu non sai proprio cosa sia l'egoismo, eh? Oltre a essere una complessata del cazzo, ti dai pure la colpa di tutto... Bah, io non ti capisco. Con tutto quello che hai fatto fino ad adesso, dovresti avere un po' di fiducia in più in te stessa, ragazza! >>.
Rob, capelli lunghi scuri e pelle chiara, si affacciò alla cella, inarcando le sopracciglia.
<< Dai Biv, quando vuole le palle le tira fuori, ed è pure simpatica >> disse, << Poi ha un sacco di problemi mentali, tipo che si butta giù per ogni minima cosa... Quante vite ha a disposizione, una Fenice? >>.
Irina sorrise.
<< Non lo so >>, rispose, << Magari le mie sono finite >>.
<< Cazzate >> disse Biv, sventolandosi con una mano, << Devi solo ridurre i tuoi tempi di elaborazione dei traumi e sei a cavallo. Tra l'altro, ormai dovresti avere una certa esperienza, no? >>.
<< Biv Biv Biv! Inizia l'ultima puntata di Pretty Little Liars! >> gridò improvvisamente Rob, e Irina sentì il cigolio del letto sul quale stava saltando, << Vieni! >>.
La ragazza si voltò di scatto e sparì nella cella, mentre Irina tornava a guardare il giornale abbandonato sul letto.
Non si stupiva che le sue due vicine si lanciassero in giudizi morali sulla sua vita, visto che ormai tutti gli Stati Uniti sapevano chi era Irina Dwight, alias Fenice. L'inseguimento a Los Angeles e la gara al Nurburgring avevano fatto il giro del mondo, un po' come il suo nome e forse la sua faccia. Si era parlato per giorni della sua corsa lungo le strade della città, della cattura di Selena, del volo con la Punto sul ponte della Regina dei Mari. I telegiornali le avevano dedicato uno speciale in tarda serata, facendo un collage di immagini di lei poliziotta, e di lei pilota, condite con qualche vecchia intervista e tutta una serie di informazioni sulla sua vita privata che Irina avrebbe preferito non far sapere in giro. Persino il New York Times le aveva dedicato più di un trafiletto.
Il bello di tutta quella questione era che l'F.B.I. stava manipolando la questione in modo che non fosse ben chiaro se Irina Dwight fosse un'agente speciale o una pilota clandestina... L'operazione "Scacco alla Regina" era stata magistralmente condotta dall'agente Dwight, sfruttando le sue conoscenze del mondo delle corse clandestine, peccato che fosse finita dietro le sbarre.
Era ridicolo.
Era in carcere e nel contempo era un'agente dell'F.B.I....
In ogni caso, era stata lei a chiedere espressamente che la mettessero in cella, quindi non poteva lamentarsi.
Le avevano proposto gli arresti domiciliari, ma non avendo più una casa propria avrebbe dovuto scontarli da suo padre, e lei non voleva. Non perché non sopportasse più Todd, o perché era rimasta delusa da lui, tutt'altro. Aveva superato nuovamente il suo problema con l'alcool senza troppi problemi e con l'aiuto di Tommy, ed era contenta che si fosse risoluto tutto.
Voleva solo stare da sola.
A casa ci sarebbe stato tuo padre, i suoi fratelli; poi ci sarebbe stata Jenny che sarebbe venuta a trovarla, le altre sue amiche, qualche collega, Sally con Tommy e Dominic... Ci sarebbe stato un via vai di gente, e lei non aveva voglia di raccontare mille volte la sua storia, o di giustificare le sue azioni. In fondo, non doveva spiegare niente a nessuno.
In carcere, invece, aveva tutto il tempo di cui necessitava per pensare e per elaborare; le visite erano brevissimi e limitate ad alcuni giorni, e poteva dormire di giorno e stare sveglia di notte. Poteva stare zitta quanto le pareva e parlare quando le andava. Poteva rimanere tutto il tempo sdraiata nel letto a sfogliare giornali o a dormire, o a guardare la tv e ridere di come la stavano dipingendo. Il mondo, e tutto quello che c'era di collegato, era fuori.
Si era imposta la cella come terapia, insomma.
Aveva incontrato suo padre una sola volta, ed era l'unica visita che aveva autorizzato. Dopo aveva chiesto espressamente di non far venire nessuno. Gli aveva chiesto come stavano tutti, soprattutto Tommy, e non gli aveva raccontato nulla di quello che era successo in quei mesi, perché bastava accendere la tv per sapere tutto. Aveva garantito di stare bene e di non avere bisogno di nulla, e che non sapeva cosa sarebbe accaduto nei prossimi giorni.
Todd sembrò tanto sconvolto dalla vicenda da non sapere cosa ribattere.
Xander invece fu una presenza più costante, ma per fortuna mai non invadente. Si presentò alla sua cella ogni mattina prima di pranzo, scatenando l'interesse di quasi tutte le detenute, portandole un paio di quotidiani, un cambio di abiti e qualcosa da mangiare che non avrebbe trovato in mensa. Tutte le volte le chiese se avesse bisogno di qualcosa, e tutte le volte Irina aveva risposto che non le serviva nulla, che stava benissimo così. Non le chiese mai di parlare di nuovo; non le chiese di nuovo scusa e non le domandò spiegazioni. Sembrò accettare la sua voglia di silenzio e solitudine come non aveva mai fatto in passato.
Dal canto suo, Irina gli chiese solo il primo giorno di cella come stessero tutti. Quando fu certa che Dimitri stava bene, così come il resto della sua famiglia, che Selena e Felix erano stati chiusi nel carcere di massima sicurezza di Sacramento, che Brendan e Spark non erano stati presi dalla polizia, che Nina era nascosta da qualche parte e che sia Diego sia Sean erano in ottime mani, decise che non avrebbe voluto sapere altro, per il momento.
Avrebbe affrontato tutto dopo, dopo essersi concentrata esclusivamente su se stessa e aver capito quali pezzi rimanevano di lei e quali no. E come rimettere insieme quello che era rimasto.
Passò una decina di giorni così, in quel limbo mentale delimitato da tre muri e una porta fatta di sbarre, prima che Erik Senderson si presentasse davanti alla sua cella annunciandole che sarebbe stata scarcerata.
<< Con quali motivazioni? >> domandò.
<< Dovrai chiederle a McDonall >> rispose Senderson, contrariato, << Non sei più sotto la nostra giurisdizione, quindi non sono io a gestire la tua situazione >>.
Aprì la porta della cella e la invitò a uscire, ma Irina rimase immobile davanti alla finestrella. Sapeva benissimo perché il Vicepresidente la scarcerava, non aveva bisogno di chiederlo. Era solo curiosa di sapere quale fosse scusa avesse inventato.
<< Prepara le tue cose, puoi uscire >> aggiunse Senderson, << Adesso >>.
Irina ci mise qualche secondo a decidere se voleva lasciare davvero quella cella oppure no. Dieci giorni di isolamento le erano bastati per mettere a posto le cose nella sua testa? Forse no, forse le sarebbe servita una vita intera, ma qualcosa aveva già iniziato a fare.
Prese la borsa che le porgeva Senderson e la riempì con le poche cose che aveva, e lasciò i giornali con la sua auto in prima pagina sul letto. Sentì Biv e Rob affacciarsi sul corridoio, curiose.
<< Dove vai? >> chiese la nera.
<< Non ne ho idea >> rispose Irina, << Fuori di qui, immagino >>.
<< Non è giusto! >> sbottò Rob, << E noi? >>.
<< Ci mandi qualcosa? >> chiese Biv, << Un po' di fumo? >>.
Senderson le rivolse un'occhiata in tralice, e la ragazza mostrò un sorriso a trentadue denti.
<< Una penna con il puntatore laser? >> aggiunse lei, innocentemente, << Dai... Quella si può, no? >>.
Irina non aveva idea di cosa se ne facesse di un aggeggio del genere, ma sorrise e annuì.
<< E le mie cuffie? >> aggiunse Rob, sventolando le mani per farsi vedere.
<< Va bene, vedrò di farvele avere >> disse Irina alla fine, << Fate le brave. Ci vediamo fuori di qui >>.
La salutò con la mano e seguì Senderson lungo il corridoio del carcere. Qualche detenuta si sporse per guardare, qualcun'altra per rivolgerle un cenno di saluto. Non aveva avuto problemi con le altre donne chiuse lì dentro: Fenice sembrava godere di un rispetto particolare, anche tra chi non l'aveva mai conosciuta di persona. Nemmeno durante le docce o i pasti era stata infastidita.
L'aria calda dell'estate di Los Angeles le fece quasi bruciare gli occhi, mentre si lasciava il carcere alle spalle e saliva sulla volante con la quale era venuto a prenderla Senderson. Quando uscirono dal cortile un piccolo drappello di giornalisti era fermo davanti al cancello, le telecamere accese e i microfoni in mano. Irina ebbe cura di nascondersi sotto un cappellino da baseball e di tenere il finestrino dell'auto ben chiuso.
<< Sono agli arresti domiciliari, o posso considerarmi libera? >> domandò, allungando le gambe sul sedile del passeggero, mentre la volante superava il cancello sotto lo sguardo indagatore della guardia.
<< Libertà vigilata >> rispose Senderson.
Irina sbuffò. Forse preferiva tornare in cella.
<< Dove mi sta portando, visto che non ho una casa a disposizione, in questo momento? >> chiese.
<< Ti hanno trovato un piccolo appartamento vicino alla costa >> rispose Senderson, evasivo, << Potrai stare lì finché non verranno definite un po' di cose >>.
<< Hanno? Hanno chi? >> ribatté Irina, perplessa.
<< Non fare troppe domande >> la zittì Senderson.
<< Dimitri? E' stato scarcerato anche lui? >>.
Senderson ridacchiò.
<< Goryalef non ha fatto nemmeno un giorno di carcere, Irina >> rispose, << Non preoccuparti per lui >>.
Irina inarcò un sopracciglio, ma non si fece domande. Non se ne faceva più, da quando sapeva che McDonall riusciva a pianificare le loro vite con precisione e spietatezza.
<< Sarà già scappato, allora >> commentò.
<< No, è ancora qui a Los Angeles >> rispose Senderson.
Svoltò lungo la Paradise Ave, l'oceano alla loro destra che brillava sotto il sole caldo. Le spiagge iniziavano ad essere piene, e Irina aprì appena il finestrino per respirare l'aria che sapeva di salsedine. L'auto si fermò davanti a un bel palazzo di tre piani, proprio a una cinquantina di metri dal primo stabilimento balneare. Le pareti erano grigio chiaio e brillavano sotto il sole cocente.
Senderson parcheggiò vicino al marciapiede e tirò fuori un paio di chiavi, porgendogliele.
<< Il tuo è l'appartamento all'ultimo piano >> disse.
Irina annuì.
<< Devo rimanere in casa? >> chiese.
Senderson scosse il capo.
<< No. Teoricamente qualcuno dovrebbe passare ogni sera a controllare che tu sia a casa, ma ho come l'impressione che non accadrà >> rispose.
Irina appoggiò la mano sulla maniglia della porta, prima di ricordarsi di volergli chiedere un'altra cosa.
<< E' vero che non ha seguito le istruzioni di McDonall, quando le ha chiesto di ostacolarmi? >> chiese.
<< Sì, non l'ho fatto >> rispose Senderson, << O almeno, l'ho fatto solo in minima parte. Non sapevo che Went fosse vivo, ma avevo capito che McDonall stava facendo qualcosa di sporco e non mi piaceva... Sei sempre stata un'ottima agente, e non ti abbiamo riservato un grande trattamento. Non potevo aiutarti più di così, me... >>.
<< Non importa >> lo interruppe Irina, << Non si deve scusare. Si è solo attenuto altri ordini >>.
Irina gli rivolse un'occhiata: era sempre grosso come lo ricordava, ma aveva qualche ruga in più. Forse anche lei appariva così invecchiata? O magari era solo una sua impressione?
Senderson non disse nulla, e Irina sorrise. Poi scese dall'auto e si voltò un'ultima volta.
<< Immagino che saprò qualcosa sul mio destino, nei prossimi giorni >> disse.
<< Saprai qualcosa >>convenne Senderson, << Chiama, se hai bisogno >>.
<< Ok. Buona serata >>.
Irina si incamminò lungo il vialetto, risalì le scale e raggiunse il terzo piano, il borsone in spalla e la sensazione che quella palazzina fosse deserta, perché non sentiva alcun rumore che indicasse la presenza di una vita di qualsiasi tipo. O forse i suoi abitanti erano estremamente discreti, visto che sembrava una casa molto signorile, diversa sicuramente dal suo alloggio in Santa Monica.
In effetti, l'appartamento era davvero bello.
Luminoso ma non grandissimo, la porta di ingresso si apriva su un soggiorno color crema e una stampa di un paesaggio innevato appesa sopra il divano di pelle. La cucina a vista sembrava nuovissima e tirata a lucido, e il disimpegno conduceva a due stanze e al bagno di marmo bianco. Quello che le piacque di più fu però l'enorme, grandissimo terrazzo del soggiorno, che aveva la vista sul mare.
McDonall la stava viziando, era evidente. L'avrebbe trattata con i guanti finché non le avesse fatto la sua proposta, a questo Irina aveva pensato più volte, durante i suoi giorni da reclusa.
Si aggirò per casa con cautela, accorgendosi che una delle due stanze da letto era chiusa a chiave, forse dal proprietario che non voleva intrusi. L'arredamento aveva l'aria di essere molto costoso, ma non pacchiano. Alla fine uscì sul terrazzo, osservando la spiaggia a pochissimi metri dalla casa; il sole era ancora caldo, anche se l'ora di cena era vicina, e gli ombrelloni aperti erano pochi. Si sedette sulla sdraio di bambu che trovò in un angolo e ascoltò i versi dei gabbiani.
Sospirò, mentre si godeva il sole e il vento che sapeva di mare, e sentiva l'oceano scrosciare dolce nelle orecchie.
Le sembrò tutto improvvisamente così strano... Le sembrò assurdo trovarsi lì, seduta sul terrazzo di una casa lussuosa e vuota, aspettando una proposta che le avrebbe cambiato l'esistenza per sempre, dopo tutto quello che era successo. Forse era solo la quiete prima della tempesta, forse nel giro di un paio di giorni la situazione sarebbe precipitata e lei sarebbe finita in un carcere di massima sicurezza, o in mezzo a una strada... Aveva sempre creduto che una volta catturata l'avrebbero chiusa in cella e gettato via la chiave. Questo però prima di conoscere il ruolo di McDonall.
Rimase in terrazza per un po', prima di tornare dentro casa e accertarsi che il frigo fosse vuoto. Si procurò un cappellino da baseball e inforcò un paio di occhiali da sole per rendersi poco riconoscibile e uscì fino al supermarket lì vicino, camminando lentamente sul lungomare di Los Angeles che si svuotava completamente. Per fortuna nessuno la riconobbe.
Quella sera nessuno venne a controllare che fosse a casa o no; cenò da sola, sul terrazzo, accendendosi una candela profumata e guardando l'oceano nero.
Non aveva idea se qualcuno sapesse che era stata scarcerata, ma andava bene così. Non aveva ancora molta voglia del contatto umano, anche se non poteva fuggirlo per sempre, e presto o tardi avrebbe dovuto affrontare una serie di domande scomode e ripetitive.
Nei giorni che seguirono, Irina visse in completa solitudine in quella casa che trovava stranamente accogliente, per non essere la sua. Passò molte ore in terrazzo, leggendo articoli di giornale che parlavano della "ormai leggendaria Fenice, la pilota-sbirra che aveva messo a soqquadro la città e aveva catturato un sacco di criminali", della "ragazza arrivata dai bassifondi di Los Angeles e con una storia drammatica alle spalle, che era stata in grado di riscattare se stessa", di una "donna che doveva essere d'esempio per molte altre, che scardinava i luoghi comuni", scoppiando a ridere ogni volta che qualcuno tirava fuori nuove frasi sulla sua vita, credendo di sapere esattamente cosa aveva passato; passò altrettante ore nella vasca idromassaggio di quel bagno di marmo dall'aria costosissima, crogiolandosi nell'acqua e chiedendosi dove fosse la Punto, o Dimitri.
Nessuno venne a trovarla, quindi nessuno sapeva che era libera.
Ebbe altro tempo per pensare, per ragionare, e per capire che alla fine poteva solo accettare.
Selena Velasquez non era altro che una pazza psicopatica che aveva cercato di incastrare Xander facendosi mettere incinta, e che per puro caso era anche la sorellastra di William Challagher. Per vendicarsi di quello che la vita le aveva riservato, aveva pensato bene di sfruttare la provvidenza e l'eredità dei Challagher per farsi giustizia da sola e a modo suo.
Xander era stato tradito da McDonall e si era ritrovato a fare i conti con delle responsabilità che non era mai stato pronto a prendersi. Però aveva cercato di fare il possibile, e di fronte alla scelta di salvare Diego o mentire a Irina, aveva preso la decisione più dolorosa ma anche la più giusta. Anche lui stava facendo i conti con la delusione e la rabbia, anche a lui il terreno era stato tolto da sotto i piedi all'improvviso, e gli ci sarebbe voluto tempo per ritrovare l'equilibrio.
E Irina... Irina non aveva altro da comprendere. Era lì dall'inizio di tutto, era lì anche da prima di Xander, e aveva vissuto sulla sua pelle tutto il peggio ma anche il meglio che Los Angeles e il mondo delle corse erano state in grado di darle. Ed era ancora lì, in piedi, nonostante fosse stata presa in giro un po' da tutti.
Poteva tornare indietro? No.
Poteva chiedere di cambiare le cose? No.
Poteva solo accettare, e decidere quello che ancora doveva accadere.
Nella sua testa fu chiaro fin da subito cosa fare.
Doveva solo iniziare.
Dopo quattro giorni di solitudine, Irina scese in strada e fece una cosa che non faceva da una vita: si mosse per la città con i mezzi pubblici. Non aveva idea di dove fosse finita la Punto, anche se avrebbe tanto voluto saperlo, e non aveva voglia di noleggiare alcuna auto. Poteva prendere un taxi, o chiedere un passaggio a Senderson o Xander, ma preferì camminare tra la gente come una persona qualunque, anche con il rischio di essere riconosciuta.
Girò per la città una giornata intera, senza avere una meta ben precisa, con il solo scopo di riappropriarsi di Los Angeles e dei suoi luoghi. Scoprì che ogni incrocio, ogni angolo, ogni spiaggia, le riportavano alla mente immagini del passato, ricordi di cose vissute senza sapere a dove avrebbero portato. Si sedette persino sulla spiaggia di Dalton Beach, il sole che le baciava la pelle e capelli più corti che le svolazzavano sulle spalle.
Non era diventata un'estranea in quella città; non lo sarebbe mai diventata, non poteva. Ogni angolo parlava di lei, di William, della Black List. Qualcosa però era cambiato, come un piccolo pezzo perduto in un puzzle completo, e lei lo percepì.
Quando tornò a casa, le guance arrossate dal sole e i piedi doloranti, trovò nella buca delle lettere una busta bianca. Dentro c'era un foglio con l'intestazione del Dipartimento dell'F.B.I..
"Scrivi quello che vuoi, Irina, quello che desideri. Si può sempre trovare un accordo".
Era di McDonall, ovviamente.
Non ebbe bisogno di pensare.
Irina scrisse una semplice parola: "tutto".
Quella sera fu Xander a venire a ritirare la busta, e si presentò con l'aria di chi non si voleva fermare un minuto più del necessario. Irina però lo invitò ad entrare in casa e lo fece sedere in soggiorno, preparandogli un caffè. Alla fine si sedette anche lei, però sull'altro divano, lontana.
<< Quindi lavori ancora per McDonall? >> gli domandò Irina, senza alcuna nota di accusa nella voce.
<< Probabilmente le mie dimissioni verranno formalizzate quando sarà sicuro di avere qualcuno con cui sostituirmi >> rispose, confermandole che aveva capito cosa la aspettava, << Non è uno che ama perdere >>.
Xander era a disagio, e Irina se ne accorse dalla tensione che percorreva la sua mascella serrata. Però era pronto a rispondere alle domande, perché non era scappato. Nonostante tutto, nonostante quello che era successo, la affrontava e l'aveva affrontata ogni giorno, da quando si erano ritrovati. Non si era mai tirato indietro, quando lei lo aveva in qualche modo cercato.
<< Hai visto Diego? >> chiese Irina, sapendo che era la domanda più dura e difficile che potesse fargli.
Xander annuì.
<< In questo momento si trova in una struttura protetta, con una psicologa che lo segue dal distacco con da sua madre>> spiegò, << Non sembra trovarmi particolarmente simpatico, ma piano piano stiamo migliorando >>.
Irina si lasciò andare a un piccolissimo sorriso. In quel momento Xander sembrò ricordare che Selena era la sorella di Challagher: erano parenti, praticamente, e questo doveva essere inconcepibile per lui, un po' come lo era stato per lei i primi momenti in cui lo aveva scoperto.
<< Avresti mai immaginato che il caso mi portasse a questo? >> continuò lui, stringendo la tazzina di caffè come se volesse romperla, << Ad essere il padre del nipote di William Challagher? >>.
<< Avresti mai immaginato che il destino mi portasse a cercare di onorare il nome dello Scorpione? >> ribatté Irina.
Fu Xander a sorridere appena, questa volta.
<< Se c'è una cosa ho imparato, è che la vita è imprevedibile >> continuò Irina, << Non possiamo sapere cosa ci riserva, né tantomeno scegliere quello che vogliamo ci accada >>.
Xander sorseggiò il suo caffè, prima di rivolgerle un'occhiata. Sembrava perplesso; si era aspettato di essere attaccato, forse? Si era aspettato che lo aggredisse verbalmente o che lo prendesse a schiaffi? Fenice riusciva addirittura a spaventare Alexander Went?
<< Mi dispiace >> aggiunse Irina, << Ho venduto tutte le tue auto e la casa, quando... quando è successo. Purtroppo i tuoi genitori non hanno voluto che gli... >>.
Xander scosse il capo.
<< Non importa >> disse, <<Non è un problema. Mi dispiace per la Maserati, però; era un'ottima auto. Ci ero... Ci ero affezionato >>.
Ci si era affezionata anche lei, a quell'auto, un po' come a tutte quelle che aveva usato per scalare la Black List. Ricordò all'improvviso quello che aveva trovato nella Granturismo, prima di portarla a demolire, e per un attimo indugiò.
L'anello.
"Se vuoi fare quello che hai in mente, Irina, da qualche parte devi iniziare. Inizia da questo".
<< Puoi aspettare un minuto? >> chiese a Xander, alzandosi.
Lui la guardò e annuì.
Irina sparì in camera da letto e tornò con una scatolina di velluto, che Xander sembrò riconoscere immediatamente. Spalancò gli occhi e la vena sul suo collo pulsò per una frazione di secondo, quel tanto che le bastò a capire che era sorpreso.
C'era tutto, in quella scatolina; c'era un anello ma c'erano anche loro. C'erano le paure, c'erano le speranze, c'erano gli errori e c'erano le illusioni. C'era la vita vissuta ma c'era anche quella che non sarebbe stata, quella che alla fine nessuno di loro due aveva scelto.
Quello che non c'era, lì dentro, era la rabbia. La rabbia non esisteva; esisteva solo la consapevolezza che entrambi avevano raggiunto. In modi diversi, in tempi diversi, ma che li aveva portati alla stessa conclusione.
Con delicatezza, Irina appoggiò la scatolina sul tavolino e si sedette, osservando l'espressione di Xander e sperando solo che non lo stesse per ferire.
<< Questo è tuo >> disse solo.
Xander guardò la scatolina e poi lei, gli occhi azzurri che non lasciavano trasparire nulla, se non una leggera punta di dispiacere.
<< L'ho trovato nella Granturismo >> spiegò Irina, << Sotto il sedile del passeggero. So che lo avevi da settimane. Riprendilo, per favore. Non mi devi alcuna spiegazione >>.
Non glielo avrebbe mai dato, questo lo sapevano tutti e due. Xander aveva indugiato troppo, per poter essere davvero convinto di quello che stava facendo; se non l'aveva fatto subito, non l'avrebbe fatto dopo.
Irina si sentì quasi più leggera, quando Xander annuì e prese la scatolina senza aprirla, con la stessa delicatezza con cui gliela aveva portata lei.
Stavano pensando la stessa cosa tutti e due: era sembrato tutto perfetto. Loro erano sembrati perfetti. Erano sembrati indistruttibili. Erano sembrati destinati.
Invece era stato solo un passaggio.
Erano stati bruciati da un sentimento che li aveva resi quasi ciechi, un sentimento potente che aveva oscurato tutto il resto, perfino loro stessi. Non si erano compensati, si erano annullati, e il tempo sveva sgretolato ogni loro condizione.
Senza di lui, Irina aveva capito che era più forte.
Senza di lei, Xander aveva ricordato di essere più libero.
Lo riscoprivano ora, quando forse entrambi erano stanchi e delusi dal loro stesso mondo; ritrovavano se stessi ma non ciò che avevano lasciato. Questa però era un'altra storia, una storia il cui svolgimento riguardava solo ognuno di loro due.
<< So che ora è tardi, Irina >> disse Xander lentamente, stringendola scatolina, << So che alla fine non funzioniamo perché abbiamo sempre rappresentato un ostacolo l'uno per l'altro, che per un momento ci siamo anche feriti a vicenda, però... Non cambierei nulla, di tutto quello che è stato. Lo rifarei cento, mille volte. Rivivrei sempre tutto, questo voglio che tu lo sappia >>.
Irina sorrise. Come rinnegare quello che era stato? Come rinnegare quei sentimenti che l'avevano fatta sentire viva, che le avevano ridato speranza nel momento più buio della sua vita? Forse il suo amore si era trasformato in altro, ma Xander sarebbe rimasto comunque nel suo cuore per sempre. Le aveva dato tanto, tantissimo, e senza di lui l'Irina di oggi non sarebbe mai esistita.
<< Anche io, Xander >> rispose, << Anche io non vorrei mai cambiare nulla di quello che abbiamo passato, perché è grazie a ciò che è successo che siamo diventati quello che siamo ora. Con qualche cicatrice in più, ma più grandi, più forti >>.
Ne era convinta nel profondo. Ogni cosa vissuta, nel bene o nel male, l'avevano resa la donna che era adesso. Come William le aveva aperto un mondo e al contempo l'aveva chiusa in un incubo, Xander l'aveva strappata dalla paura e le aveva dato delle sbarre dorate. Aveva imparato a lottare con e per entrambi.
Xander le rivolse un'ultima occhiata.
Avrebbero potuto dirsi qualsiasi cosa, in quel momento; passare le ore successive a raccontare, a spiegare che cosa era successo, cosa era passato nella loro testa, cosa avevano fatto, cosa avevano capito.
Non ce ne era più bisogno, ora. Erano due entità distinte che si comprendevano, ma non si tenevano più per mano.
Xander si alzò e si avviò verso la porta, la busta per McDonall e la scatolina con l'anello in mano.
Era finita.
Per un attimo Irina provò la stessa sensazione che aveva provato quella sera al Nurburgring, quando aveva parlato con Dimitri e si erano chiariti. Si sentì più leggera, più serena.
<< Cosa farai adesso? >> chiese all'improvviso Xander, sulla soglia della porta, quasi indugiando.
<< Non lo so >> mentì Irina, << Tu? >>.
<< Non lo so nemmeno io >> rispose Xander.
Si guardarono un'ultima volta, il vento caldo dell'estate che scompigliò i capelli di Irina stropicciò il colletto della camicia di Xander.
Mentivano entrambi, ed entrambi ne lo sapevano.
Sapevano tutti e due cosa fare.
<< Buona fortuna, Xander >>.
<< Buona fortuna a te, Fenice >>.
E Irina lo guardò andare via a piedi, senza mai voltarsi indietro, la testa bassa e l'anello in tasca, mentre con lui andava via quell'Irina bambina, quella fatta di illusioni, quella fatta di ingenuità e debolezza. Andava via la ragazza di William Challagher e quella di Alexander Went.
La seconda persona che Irina andò a trovare, il giorno seguente, fu ovviamente Jenny.
Quando l'amica se la trovò sulla soglia di casa, con un taglio di capelli diverso ma soprattutto con un'espressione diversa, per una decina di secondi non sembrò quasi riconoscerla. In compenso, Jenny era praticamente uguale a come l'aveva lasciata: un po' più cicciottella ma sempre felice e spettinata.
Si abbracciarono solo come due vecchie amiche come loro potevano abbracciarsi, e in quel gesto Irina ritrovò un po' di passato e un po' di dolcezza. I loro occhi si riempirono di lacrime, ma furono forti abbastanza da trattenerle entrambe.
Jenny sapeva di Xander: era andato prima da Jess, e poi era passato a trovarli per un'oretta quando l'informatico aveva spiegato più e più volte a una Jenny completamente sconvolta, che il loro amico era vivo. Aveva voluto conoscere Luke e si era scusato molte volte per non essere stato presente al loro matrimonio, né al battesimo del bambino. In ogni caso, il coma fu considerato dalla coppia una giustificazione più che valida alla sua assenza.
Luke era cresciuto; ora riusciva a stare seduto da solo e osservava il mondo con gli stessi occhi vivaci di Jenny. Piangeva un po' di meno, ma era sempre afflitto dai mal di pancia che sua madre ormai aveva imparato a gestire. Irina giocò un po' con lui, mentre aspettava che Jenny le portasse qualcosa da bere, ma non se la sentì di prenderlo in braccio, questa volta.
Jenny fu l'unica persona a meritare un resoconto dettagliato di tutto quello che era successo in quei sei mesi, perché dopo gli anni di silenzi a cui l'aveva condannata ai tempi della Black List, ora Irina riteneva meritasse tutta la verità fino all'ultima parola.
Le raccontò di come aveva ripreso possesso della strada, di come aveva selezionato i nuovi membri della Black List, e poi della Torec. Raccontò di Selena, del fatto che fosse la sorellastra di Challagher, e che il bambino di otto anni che si chiamava Diego era il figlio di Xander. Pensò di gettarle addosso una secchiata di acqua gelida, con quelle rivelazioni, invece sfondò una porta aperta: ci aveva pensato già Xander, a raccontare quei dettagli.
Raccontò dei suoi compagni di avventura, della famiglia Goryalef in particolare, ma cercò di farlo in modo neutrale e non troppo appassionato. Menzionò il nome di Dimitri una sola volta, chiamandolo poi sempre il Mastino, eppure Jenny si accorse immediatamente che qualcosa era cambiato.
<< Il Mastino? >> disse, quasi con disinteresse, << Non era quello che lavorava per Challagher? >>.
Irina annuì.
<< Quello che è venuto a Mosca con te tre anni fa? >> aggiunse Jenny.
Irina annuì nuovamente.
L'amica rimase una frazione di secondo in silenzio, prima di gettarle un'occhiata eloquente. Com'era cambiata: sei anni prima non avrebbe fatto che ridacchiare e dire trovare un modo per conoscere quel nuovo ragazzo, ora sembrava solo preoccupata.
<< Quello con la faccia scura e gli occhi grigi? >> domandò, << L'ho visto al processo di Challagher... E ho visto ovunque la sua foto segnaletica, nei mesi scorsi >>.
Irina annuì per la terza volta.
<< Esattamente quante accuse di reato penali ha, sulla testa? >> chiese. Luke singhiozzò improvvisamente, come a rimarcare che fosse qualcosa di decisamente poco positivo.
<< Forse è meglio che non te lo dica >> rispose Irina.
Jenny scosse il capo.
<< Sì, non farlo >> convenne alla fine.
Ci fu un altro momento di silenzio, poi Jenny aggiunse: << E con Xander? >>.
Irina fece un minuscolo sorrisetto, perché sapeva che se l'amica poneva una domanda così diretta era solo perché sapeva già come stavano le cose. Chissà se era delusa, sorpresa o sconcertata. Era stata la loro prima fan, quando si erano conosciuti.
<< E' finita >> rispose semplicemente Irina.
<< E' finita quando sei tornata dalla Russia >> ribatté Jenny, e di fronte all'occhiata sorpresa di Irina continuò, << Sono sempre stata l'unica a non chiederti o chiedermi quando ti avrebbe messo un anello ad dito, ricordi? Sapevo che non lo avrebbe fatto... Avete smesso di funzionare quando tu sei tornata ad essere quella che ho conosciuto all'università >>.
Irina la guardò, stupefatta.
<< E' stato stranissimo vederti fare la brava ragazza impegnata, dopo che Challagher è finito in prigione >> spiegò Jenny, << Tu non sei nata per fare la brava mogliettina, Irina. Io ti ho sempre vista come pilota, e solo quando lo sei stata gli occhi ti brillavano. Xander ti ha amato alla follia, ma non ha mai compreso che fondamentalmente sei uno spirito libero. Esattamente come lo è lui >>.
Irina ringraziò il cielo che non le dovesse dare spiegazioni, che Jenny avesse capito tutto da sola. Era e sarebbe rimasta la sua migliore amica, anche ora che le cose non erano più come prima.
<< Che cosa farai adesso? >> aggiunse Jenny, come per toglierla dall'imbarazzo.
Irina abbassò lo sguardo.
<< Mentre aspetto che mi venga detto quale sarà il mio destino? >> ribatté lentamente, << Non lo so. Non lo so cosa farò. Devo prima chiudere delle cose, poi mi prenderò del tempo per decidere >>.
<< Sai che se avrai bisogno di qualsiasi cosa, noi saremo sempre qui >> disse Jenny, << Io sarò sempre qui >>.
<< Grazie... >>.
Forse non le sarebbe servito affatto del tempo, ma questo Irina lo tenne per se. Era tutto nella sua testa, tutto pronto. Tutti quei giorni passati in solitudine le erano serviti per capire a cosa avrebbe potuto e dovuto rinunciare.
Era pomeriggio inoltrato quando varcò la soglia del Cimitero Monumentale di Los Angeles, rischiarato dal sole e con un leggero venticello che pettinava l'erba verde.
Passò per prima da sua madre, dove trovò fiori freschi bianchi e un alberello appena piantato. Non si fermò troppo, solo il tempo di un saluto, di una parola, di una carezza. Gli anni ormai avevano sbiadito il marmo e la foto, e presto avrebbero dovuto essere sostituiti. Magari ci avrebbe pensato Todd, questa volta.
Andò da Vera e da Max, che il destino aveva voluto sistemare a pochissimi metri di distanza l'uno dall'altro. Irina non aveva potuto presenziare al loro funerale, visto che era chiusa in cella, ma forse era meglio così: avrebbe aggiunto altro dolore a quello che già aveva addosso, che anche se ben nascosto, pulsava costantemente dentro di lei.
Lasciò un mazzo di fiori sulla lapide di entrambi, prima di concedersi solo qualche minuto.
Una volta sarebbe rimasta lì davanti ore, adesso non lo avrebbe più fatto.
Rimanere lì non li avrebbe riportati indietro.
<< Ti prometto, Vipera, che farò il possibile perché tuo figlio abbia una vita serena e felice >> sussurrò, << Che non conosca mai quello che noi abbiamo conosciuto, che non faccia gli errori di suo padre. So che è quello che avresti voluto, perché è quello che ogni madre vuole >>.
Nemmeno il vento rispose alle sue parole. La colpa di strappare una madre al proprio figlio non poteva essere perdonata.
<< A te, Max, non posso promettere nulla. Posso solo chiedere scusa, e ringraziarti per ogni cosa che hai fatto per me. Senza di te, io non sarei nessuno adesso. Sicuramente non sarei Fenice >>.
Max.
Il suo meccanico, il suo amico, quello che l'aveva vista diventare Fenice.
Max.
Per una frazione di secondo, Irina credette di morire. Credette di vedere la propria anima strapparsi dal corpo e fluttuare via per cercare sollievo da quel dolore sordo, dilaniante, oscuro che la soffocava, che la bruciava, che le affondava gli artigli nella carne.
Durò solo un attimo, però, perché poi Irina ingoiò tutto. Aveva tutta la vita davanti per esprimere il proprio dolore, e ora non era il momento.
Passò oltre, senza voltarsi nemmeno una volta, senza che le lacrime le rigassero le guance, e raggiunse la lapide di William Challagher.
Anche qui appoggiò un mazzo di fiori freschi, diede una pulita al marmo nero e poi guardò la scritta dorata.
Sorrise appena, immaginando l'espressione tronfia dello Scorpione.
<< E se fossi sceso tu dalla Veyron? >> sussurrò.
Chissà cosa sarebbe successo...
<< Adesso puoi riposare in pace >> aggiunse, << Nessuno oserà mai più mettere in dubbio il tuo nome, e non importa che tu non fossi davvero il numero uno della Black List... Lo eri a tutti gli effetti. Non importano gli errori che hai fatto, non importa niente. Grazie per avermi portata fino a qui, Will >>.
Forse lo Scorpione la stava guardando, ora. Forse stava ridendo di lei e di come si era ridotta; forse era infuriato come nei suoi sogni; forse era felice come quando le aveva detto di amarla.
O forse, era rinato. In un altro corpo, in un'altra vita, in un altro nome.
"Avrai la sua stessa espressione, Sean?".
Quando arrivò a casa, Irina trovò un'auto parcheggiata sul vialetto davanti a casa, e le venne quasi da ridere, trovandola lì.
La Punto.
Howard McDonall le faceva riavere indietro la sua auto, riparata e ripulita. Credeva che bastasse così poco per comprarla?
Si diede il tempo di osservarla meglio, alla luce del sole, e ammirare lo splendido lavoro che Max aveva saputo fare.
Ricordò la prima volta in cui l'aveva vista, così bianca, così perfetta, così sua. I fari appuntiti, gli specchietti cromati, i cerchi che brillavano e la serigrafia nera della fenice. Ora si aggiungevano tutti i nomi dei piloti della Black List, uno dopo l'altro, in ordine sparso perché la classifica non era più importante, piccoli tatuaggi sulla pelle bianca della Punto. L'auto da due soldi, il macinino a pedali.
La chiuse in garage.
Poi, tirò fuori il cellulare e scorse la rubrica, sapendo che aveva ancora il suo numero in elenco; non l'avrebbe mai cancellato, anche se la coscienza le suggeriva il contrario.
McDonall.
"Ci sono ancora tante cose che rivoglio indietro, e lei sa quali. Mi manca ancora un'auto bianca, per esempio".
Inviò il messaggio al Vicepresidente, sapendo che avrebbe capito cosa intendeva. Se voleva proporle qualcosa, Irina si sarebbe prima presa tutto quello che voleva. Dopo avrebbe accettato.
Rimase a casa, quella sera, ad ascoltare il telegiornale dove parlavano ancora di lei. C'erano delle indagini in corso, ma sicuramente la Dwight sarebbe stata scagionata, perché era evidente che aveva agito aiutando l'F.B.I. e la polizia... Tutti ne erano fermamente convinti; Fenice era l'eroina della città, non poteva essersi macchiata di qualche crimine, e se lo aveva fatto, doveva essere per una giusta causa...
Irritata, spense tutto e si sedette in terrazzo, sotto il cielo stellato, sulla sdraio di bambù che aveva scoperto di amare molto, e si lasciò cullare dal suono dell'oceano in sottofondo. Il palazzo continuava a rimanere vuoto e silenzioso.
Aveva pensato diverse volte a loro, alla famiglia Goryalef e a Yana in particolare, però non poteva ammetterlo. Non li aveva visti nemmeno una volta, ma aveva saputo da Senderson che stavano tutti bene e che erano ancora a Los Angeles; Dimitri era agli arresti domiciliari, almeno finché anche su di lui non si fosse deciso qualcosa. Lo immaginò girare per casa, irrequieto e nervoso.
Era certa che Dimitri sapesse che era fuori di prigione; di solito scopriva sempre tutto. Se non si era né visto né sentito era perché voleva che fosse così.
In ogni caso, Irina non era affatto sorpresa che sembrasse essersi volatilizzato. Al Nurburgring si erano praticamente detti addio; dopo tutto quel casino ognuno avrebbe preso la propria strada, e lui di solito faceva quello che diceva.
Andava bene così, per il momento.
Era passata ora di colazione da un bel po', quando Irina ricevette la telefonata di McDonall che la invitava gentilmente fino a San Francisco, nel suo ufficio del Quartier Generale. Immaginò le avesse preparato l'auto che voleva, quindi decise di andarci in treno.
Arrivò a San Francisco nel tardo pomeriggio, dopo aver chiaccherato in viaggio con una signora di novantue anni che andava a trovare i nipoti due e dopo aver scaricato completamente le pile del suo lettore musicale. Prese un taxi e raggiunse il Quartier Generale dell'F.B.I., ancora brulicante di attività nonostante l'ora e il giorno prefestivo.
McDonall era seduto dietro la sua scrivania di legno scuro con l'aria di chi stava per ottenere una vittoria, o era molto certo di averla. Irina si sedette senza nemmeno salutarlo, osservando i suoi baffetti pettinati che le davano i nervi e la finestra alle sue spalle che illuminava l'ufficio.
<< Quindi? >> gli disse solo.
McDonall appoggiò una busta bianca davanti a lei.
<< Erano queste, che volevi? >> chiese.
Irina aprì la busta e tirò fuori un paio di chiavi con un cavallino rampante; un talloncino attaccato recitava "Ferrari California, targa XX00000".
La California bianca di Dimitri. Sotto sequestro da due anni.
<< Sì, era questa >>.
Le mise in tasca e guardò McDonall. Ripensò a quando era riuscito a convincerla a partire per la Russia.
<< Hai altro da chiedere, Irina? >>.
<< Sì. Voglio che al figlio di William Challagher venga garantita la migliore assistenza possibile, in ogni campo >> rispose, << E se sarà preso in adozione, voglio sapere da chi >>.
<< Sarà fatto >> rispose McDonall, annuendo.
<< E voglio che le dimissioni di Xander vengano accettare, e che sia libero di fare quello che vuole >> aggiunse Irina, percependo che il Vicepresidente in quel momento era propenso ad accettare le sue richieste per il semplice motivo che sapeva meglio di lei come ottenere quello che voleva.
<< Anche questo sarà fatto >>.
Irina lo fissò dritto negli occhi chiari, mentre il computer sulla scrivania ronzava appena.
<< Voglio che la fedina penale di Dimitri Goryalef sia pulita >> disse, << Più pulita di quanto non lo sia mai stata la mia. Voglio che domani possa andarsene dove vuole e nessuno abbia nulla da dire in contrario >>.
McDonall si mosse con soddisfazione sulla sedia.
<< Questo era già previsto, Irina >> ribatté.
Tirò fuori due fascicoli bianchi, che appoggiò sulla scrivania con deliberata lentezza. Gliele porse uno e Irina lo aprì.
Dentro c'era la sua cartella, la sua fedina penale, con elencati uno a uno tutti i suoi reati, presunti o veri.
Gare clandestine.
Violazione del codice della strada.
Furto.
Appropriazione indebita.
Oltraggio a pubblico ufficiale.
Minacce.
Apologia di reati contro la polizia.
Violazione della quiete pubblica.
Porto d'armi non autorizzato.
Violenza contro la polizia.
Reati contro il patrimonio pubblico.
Irina non arrivò alla fine, tanto sapeva che l'accusa più dura, omicidio, non l'avrebbe mai trovata. Guardò i fogli successivi e trovò varie carte intestate dell'F.B.I.: accordi tra le parti, contratti e una serie di altre cose a cui non prestò attenzione. Sapeva già a grandi linee di cosa si trattava.
<< Mi faccia la sua proposta >> lo apostrofò.
<< E' molto semplice, Irina >> spiegò McDonall, calmo come quando le aveva spiegato cosa fare in Russia, << Entra nell'F.B.I. come agente speciale ai miei ordini, per fare quello che sai fare meglio: dare la caccia a piloti clandestini e criminali. In cambio ti offro molto più di quanto chiunque possa dart: cancellerò ogni tuo reato e sarai pulita come questo foglio bianco. Avrai tutte le auto che ritieni di dover avere a tua disposizione, una casa, uno stipendio da capogiro e l'ammirazione di tutto il nostro Dipartimento. Se tu accetterai, farò la stessa identica proposta a Dimitri Goryalef, alle stesse identiche condizioni >>.
Irina inarcò un sopracciglio.
<< Perché lo propone prima a me, e non a Dimitri? Non è lui il migliore tra noi due? >> ribatté.
<< Vi voglio entrambi >> rispose McDonall, << Ma se tu accetterai, lo farà anche lui >>.
Irina lo dubitava; diversamente dal Vicepresidente, sapeva che Dimitri non poteva essere piegato, a nessun prezzo. Se ne sarebbe andato, o sarebbe fuggito, piuttosto.
<< E' una proposta allettante, la sua, soprattutto ora che non ho davvero più niente, nemmeno una casa >> convenne Irina, giocando con i fogli, << Però voglio fare alcune modifiche al contratto >>.
McDonall le rivolse un'occhiata tranquilla, come se si fosse aspettato una nuova richiesta. Irina non voleva che la trattativa fosse così semplice.
<< Conviene con me che fino ad oggi, io e Dimitri abbiamo lavorato per lei e le abbiamo fatto avere Selena Velasquez e la sua banda senza ricevere niente in cambio? >> continuò Irina, << Abbiamo praticamente lavorato a nostro rischio e pericolo e solo con i nostri mezzi. Tralasciando i danni di Los Angeles, la vostra operazione Scacco alla Regina è stata quasi a costo zero >>.
Irina si interruppe, per dare il tempo a McDonall di comprendere cosa stava dicendo.
<< Vuoi un compenso, per l'operazione? >> chiese alla fine lui, << Non è un problema. Possiamo... >>.
<< No, al compenso voglio rinunciare >> lo interruppe Irina, << Per quanto lei consideri Scacco alla Regina una sua operazione, io la sento solo ed esclusivamente mia. Io rinuncio al compenso, alla casa, al parco auto e anche all'ammirazione del suo Dipartimento, ma lei ripulisce non solo la mia fedina penale, ma anche quella di Dimitri Goryalef. Adesso >>.
Negli occhi chiari di McDonall passò una scintilla, mentre si rendeva che la sua nuova agente iniziava a saper condurre le trattative.
<< Se io accetterò, accetterà anche Dimitri >> aggiunse Irina, ripetendo le sue parole, << Non dovrebbe essere un problema >>.
<< Allora perché me lo chiedi, se sai già che ti seguirà? >> ribattè McDonall.
<< Perché a lui dovrà offrire altro >> rispose Irina, secca, << Dovrà offrire una casa a tutta la sua famiglia, un lavoro onesto ai membri della sua famiglia che lo vorranno, e scuole di primordine per i suoi nipoti. Io lo conosco molto più di quanto lo conosce lei, e so che dovrà proporgli questo, per farlo accettare >>.
McDonall sorrise appena, mentre apriva i due fascicoli e metteva da parte due fogli. Alzò il telefono e parlò con Colette, la segretaria.
<< Gentilmente, Colette, modifica i due contratti in questo modo >> disse, << Su quello di Irina Dwight cancella tutte le proposte e lascia solo quella sulla fedina penale. Aggiungi "Concessione della grazia e depennamento dei reati per il signor Dimitri Goryalef"... Sì, possiamo farlo >>.
Continuò per cinque minuti a dare istruzioni alla segretaria, poi mise giù il telefono e lui e Irina rimasero a guardarsi in silenzio, in attesa. Poco dopo Colette bussò all'ufficio e lasciò due nuovi fogli a McDonall, che li lesse con attenzione.
<< Va bene, Irina, avrai quello che vuoi, in fondo te lo meriti >> disse poi, porgendoglieli.
Verificò che in quello di Dimitri ci fosse ciò che aveva chiesto e poi lo mise da parte; lesse più volte con attenzione il suo e annuì. C'era tutto quello che le serviva per decidere con serenità.
<< Mi da una biro, per favore? >> domandò.
Il Vicepresidente le passò una penna che aveva l'aria ci costare cento dollari, e la mano di Irina non indugiò nemmeno per un secondo, quando appoggiò la penna sul foglio.
Firmò con lentezza, sapendo che ora il suo destino cambiava, cambiava per sempre.
Alzò gli occhi su McDonall.
Non avrebbe mai più visto un'espressione di trionfo come quella che il Vicepresidente aveva sul volto in quel momento.
<< Adesso tocca a lei >> lo invitò.
McDonall spostò lo sguardo sul monitor del computer, digitò qualcosa e poi attese qualche secondo. I suoi occhi sembrarono scorrere un elenco o qualcosa di simile, fino a fermarsi e a cliccare due volte con il mouse. Digitò tre password e poi mandò in stampa due fogli. Glieli porse e Irina li esaminò.
C'erano i suoi dati anagrafici e quelli di Dimitri, su carta intestata dell'F.B.I., e sotto ognuno di loro una sola dicitura.
"Tutti i capi d'accusa cancellati".
Irina sorrise, poi tornò a guardare McDonall; tirò fuori il cellulare, il suo contratto ancora stretto in mano.
<< Bene. Se mi permette, però, voglio prima fare una verifica >> disse, << In fondo è stato lei a insegnarmi a non fidarmi di nessuno >>.
Il Vicepresidente le fece un cenno con il capo, accondiscendente.
<< Fa' pure >>.
Senderson rispose quasi subito, dall'altra parte della linea, probabilmente ancora seduto alla sua scrivania al Distretto.
<< Può farmi un favore, Senderson? Controlli nel database della polizia la mia fedina penale e quella di Dimitri Goryalef, per favore >>.
Passò qualche minuto, poi il Capo della Polizia rispose, perplesso ma non troppo sorpreso.
<< Sono bianche, non c'è niente >> rispose.
<< Ed è giusto che sia così >> ribatté Irina, << Grazie >>.
Chiuse la chiamata e guardò McDonall, che sembrava estremamente soddisfatto.
<< Hai ottenuto quello che volevi? >> le chiese, versandosi un bicchiere di acqua. Era molto più rilassato, adesso, quasi felice. Allungò persino le gambe sotto la scrivania, segno che aveva finito di trovare il modo migliore per manipolarla.
<< No, non ancora >>.
Irina si alzò e vide gli occhi chiari di McDonall seguire i suoi movimenti.
Li vide spalancarsi, quando lei strappò in due pezzi il suo contratto.
E poi in quattro.
E poi in sei.
E una nuvola bianca di minuscoli, delicati frammenti di carta senza valore finirono sul pavimento, silenziosi.
<< Adesso sì >>.
Irina Dwight non si sarebbe più piegata al volere degli altri, e questo lo aveva deciso nel momento stesso in cui aveva capito di aver vinto, in cui aveva capito di avere la forza anche di ricominciare da zero, in cui aveva capito di voler dimenticare tutto, di lasciarsi alle spalle una intera vita.
Diventando un agente non avrebbe mai dimenticato nulla.
Aveva dato tutto quello che poteva dare; ora rivoleva indietro almeno qualcosa.
Howard McDonall non parlò, però Irina capì che non si era aspettato un gesto del genere da lei, una coltellata in pieno stomaco come quella che aveva appena ricevuto.
Il tradimento bruciava, e lui lo scopriva adesso.
<< Lo ha voluto lei questo, Vicepresidente. Io sono prima di tutto Fenice, una pilota clandestina, una criminale, e una poliziotta tradita. L'ho ripagata con la sua stessa moneta. E adesso, dica ai giornali di gettare fango su di me, dica che non sono altro che una pazza come Selena Velasquez, dica che sono solo una pilota da quattro soldi. Dica in giro che io l'ho fregata, che l'ho ingannata. Faccia quello che vuole. Ma sappia che io sarò la prima a dire al mondo quante persone sono morte per colpa sua, quanto subdolo è stato il suo piano, e quante famiglie ha distrutto. Dirò al mondo che l'F.B.I. è in mano a una persona come lei, e rivelerò ogni cosa. Dovrà uccidermi, per farmi stare zitta >>.
Howard McDonall rimase in silenzio, nel più completo silenzio, quando Irina gli voltò le spalle e uscì dall'ufficio, con le chiavi della Ferrari California in tasca e la fedina penale bianca come i pezzi di carta sul pavimento.
"Mi faccia inseguire dai suoi agenti. Mi metta un elicottero alle calcagna. Li seminerò ancora, e ancora, e ancora. Io sono Fenice, l'erede dello Scorpione".
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