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Capitolo XIV


Ore 23.00 – Los Angeles

Irina infilò la chiave nel nottolino di avviamento, e il motore della Punto si accese con un rombo sordo, inondando il garage con un ringhio feroce. La lancetta del contagiri schizzò in alto, sfiorando l'acceleratore, e il cruscotto si illuminò a giorno, quando accese i nuovi fari a led che Max le aveva montato. Una luce bianca inondò il vialetto di fronte al garage, potente e abbagliante nella notte limpida e fredda di Santa Monica.

Sentì l'adrenalina iniziare a scorrerle nelle vene, mentre con gli occhi controllava il livello del serbatoio, la temperatura dell'acqua e l'orologio. Doveva essere veloce per raggiungere Dalton Beach, molto veloce.

"Adesso Senderson vedrai cosa significa avermi come nemica...".

La Punto schizzò fuori dal garage con un ruggito, sollevando una nuvola di polvere e lasciando strisce nere sull'asfalto del vialetto, la saracinesca del garage aperta e solo qualche occhio indiscreto a osservare la sua partenza dalle finestre buie dei vicini. Il quartiere iniziava ad abituarsi alle uscite di Fenice.

Irina si lanciò in strada, facendo piombare la Punto in mezzo a qualche utilitaria lenta e ordinaria ancora in giro a quell'ora, che spaventata si fece da parte per farla passare. Sgommò tra gli incroci e i semafori, terrorizzando i pochi passanti in giro e non lasciando dietro di se altro che un'ombra bianca con una fenice disegnata sopra.

La Punto rispondeva ai comandi come non mai, come se quello che aveva detto Max quel mattino le avesse acceso un moto d'orgoglio tale da ricordarle chi era e cosa aveva fatto; Irina affondò il piede sul pedale dell'acceleratore, il tachimetro che schizzava in alto, la musica del motore che invadeva l'abitacolo.

Il lungomare sfilava alla sua destra, quando Irina vide i primi lampeggianti in lontananza, e qualche auto sportiva correre nella direzione opposta. Accelerò, mentre lo spiazzo di Dalton Beach si faceva sempre più vicino e il suono delle sirene più forte...

Una camionetta della polizia di Los Angeles era ferma a una cinquantina di metri, un paio di agenti a presidiare la strada, quando Irina passò a tutta velocità senza che loro ebbero nemmeno il tempo di provare a fermarla. Non riuscirono nemmeno a puntare la pistola verso di lei, colti alla sprovvista.

Una Mustang gialla sbucò da una via laterale, seguita da una volante della polizia a sirene spiegate. Irina la guardò sparire dallo specchietto retrovisore, prima di infilarsi nella via dalla quale era uscita fuori, il volante stretto tra le mani e le nocche bianche. I muri delle case sfrecciavano indistinti ai suoi lati, le ruote che fischiavano sull'asfalto...

Percorse la strada con i fari che illuminavano a giorno i marciapiedi, tesa come una molla mentre aspettava di vedere le luci posteriori delle auto della polizia, o la Chevrolet verde di Spark, o qualsiasi altra auto del suo gruppo... Sentiva le sgommate, sentiva le sirene, sentiva i motori, ma non vedeva nulla...

Svoltò a destra, ritrovandosi lungo la quinta strada che portava dritta dritta verso il centro di Los Angeles, qualche auto civile che procedeva rapida cercando di allontanarsi dal casino. Un palo della luce era stato divelto e un paio di cartelloni pubblicitari invadevano la carreggiata, distrutti...

Come un proiettile, una BMW serie 2 modificata sbucò come un proiettile alla sua sinistra e Irina affondò il piede sull'acceleratore, facendo schizzare in avanti la Punto riuscendo a evitarla per un soffio. Dallo specchietto retrovisore vide la BMW correre via seguita a ruota da una Chevrolet Spark verde ramarro, da una Camaro arancione e da una mezza dozzina di volanti della polizia in una nuvola di polvere e pezzi di metallo.

Quella poteva essere solo l'auto di Spark, e le altre due forse di Scott Trevor e Casey Valaghan, e sicuramente in quel momento avevano bisogno di aiuto.

Con uno scatto secco, Irina tirò il freno a mano, facendo ruotare la Punto su se stessa, il rumore degli pneumatici che fischiavano sull'asfalto così forte da trapanarle i timpani. Sentì l'odore della gomma bruciata arrivare fin dentro l'abitacolo, mentre faceva ringhiare il motore della Punto, spingendola quasi al limite.

Era un vicolo cieco, quello in cui si stava ficcando Spark, Irina lo sapeva. Quella via laterale portava a un complesso di edifici senza via d'uscita, se non il vicolo da cui erano arrivati. Si stavano mettendo in trappola da soli.

Imboccò la strada a tutta velocità, il cuore che le batteva forte in gola ma l'adrenalina che la rendeva perfettamente lucida: aveva sei volanti della polizia contro, ma aveva il vantaggio dell'esperienza. Dovevano saperlo, che era meglio non sfidarla sul suo terreno...

Con un ruggito, la Punto piombò proprio in mezzo alle Ford della polizia che stavano rallentando, la Spark, la BMW e la Camaro che davano loro le spalle, in trappola di fronte agli alti palazzi che bloccavano loro ogni via di fuga.

Irina immaginò con un sorriso le facce degli sbirri, quando videro inchiodare il muso della Punto a pochi centimetri dalle loro fiancate, così vicino da riuscire a vedere il suo volto oltre il vetro. Diede un colpo di fari, poi aprì il finestrino e li salutò con una mano, prima di infilare la retro e fare dietrofront, mentre le volanti si disperdevano nel vano tentativo di non lasciare fuggire i tre piloti e non dare modo a lei di andarsene.

Irina approfittò un di un varco tra due volanti, si infilò nel mezzo e ne spinse una contro il cancello di un palazzo, stridendo i denti mentre la fiancata della Punto appena messa a nuovo sparava scintille. Vide la Spark schizzare via, approfittando del buco per fuggire, seguita a ruota dalla BMW e dalla Camaro.

In un attimo, le sei volanti le furono addosso, e l'unica mossa che Irina fece fu affondare il piede sul pedale e far ruggire il motore, quasi travolgendo la polizia mentre si lanciava in avanti, la Punto che sembrava decisa a far vedere di che pasta era fatta la sua meccanica "vecchia e datata".

Vide baluginare i fari della Spark verde a poca distanza da lei, mentre il suo amico spremeva il motore della piccola utilitaria fino all'ultimo cavallo. Non era abbastanza veloce per riuscire a scappare, e Irina lo capì quando vide la Camaro e la BMW sparire in lontananza...

"Avanti Spark, fa correre la macchina della nonna!".

I fari di una delle volanti la abbagliò riflettendosi nello specchietto destro, e Irina imprecò quando si rese conto di quanto era vicina. Riusciva a sentirne il rumore del motore portato al massimo, molto vicino al punto di fusione...

Iniziò a zigzagare, innervosendo i poliziotti ma dando a Spark il tempo di prendere un po' di vantaggio. Voleva farlo avanzare, dargli la possibilità di scappare o nascondersi...

Quando vide un incrocio che portava al centro della città, Irina sperò che Spark svoltasse a sinistra, imboccando il sottopasso e sfruttando una delle tante uscite per fuggire. Il ragazzo sembrò leggerle nel pensiero, perché girò rapidamente e lei si ritrovò da sola sulla strada, seguita da sei volanti della polizia. Era lei il pezzo grosso da catturare, e non l'avrebbero mollata tanto facilmente...

Forse si sarebbe dovuta preoccupare, perché non aveva nessuno su cui contare in quel momento, ma lei era Fenice e l'unica cosa che pensò fu che ora la strada era solo sua.

Irina fece arrivare il pedale dell'acceleratore a fine corsa, mentre la Punto guadagnava velocità, le ruote che mordevano l'asfalto trascinandola oltre i centocinquanta orari, il vento che fischiava sulla carrozzeria e le volanti che tentavano di rimanerle incollate al posteriore...

Frenò, svoltò a destra e si diresse verso la superstrada, il miglior luogo dove poter umiliare i suoi ex colleghi. Sentiva già le voci degli sbirri che si avvertivano l'un l'altro di "Non fatela entrare in autostrada!".

Eppure, Irina riuscì a imboccare la rampa di accelerazione come un proiettile, piombando tra due tir in fila indiana, le volanti sempre alle costole e la sensazione addosso che stava diventando tutto troppo facile, per Fenice.

Lanciò la Punto sul rettilineo avvolto dall'oscurità, i fari che gettavano un'incredibile luce bianca davanti a lei, e lasciò a briglia sciolta i duecentocinquanta cavalli della sua auto italiana, facendola schizzare avanti senza nessun ostacolo.

Sapeva benissimo che non sarebbero state le auto non abbastanza potenti a fermare gli sbirri, ma la loro paura. Perché i poliziotti non erano piloti clandestini, e Senderson glielo aveva ricordato ogni giorno; perché a duecento all'ora in piena notte, loro non avrebbero provato l'adrenalina che provava lei. Non avrebbero gustato il suono del motore, l'aria che accarezzava la carrozzeria e l'asfalto che scivolava sotto le sue ruote come faceva lei.

La Punto toccò la punta dei duecentocinquanta, quando Irina vide i fari delle volanti farsi più piccoli alle sue spalle, il suono delle sirene diradarsi e la strada farsi più sgombra. Il guard rail sfilava alla sua sinistra come una indistinta striscia grigia, mentre capiva che lei poteva andare avanti così per ore, senza paura e senza fatica, anche perché non aveva nessuno da cui tornare a casa. Gli sbirri avevano una famiglia e forse dei figli, a cui rendere conto del loro operato, lei no.

Era quella la differenza tra loro, in quel momento; la paura.

Quando fu certa che fossero abbastanza lontani da non vederla più, approfittò di un camion per farsi coprire mentre prendeva l'uscita e si fermava in uno spiazzo isolato, ormai praticamente fuori da Los Angeles. Un paio di lampioni illuminavano un gruppetto di alberi scuri, e parcheggiò la Punto sul lato sinistro, seminascosta da un cartellone pubblicitario. Sentì qualche cigolio provenire dal posteriore dell'auto, ma spense il motore e i fari e rimase in attesa, in silenzio.

Aveva ancora il cuore che batteva all'impazzata nel petto, ma era soddisfatta. Era stato facile, perché conosceva i metodi della polizia e la città meglio di chiunque altro, e difficilmente qualcuno avrebbe potuto metterla in trappola.

E poi era evidente, quello era solo un avvertimento. Non le avevano sparato addosso, perciò non erano ancora sufficientemente determinati a catturarla.

Preferiva aspettare un po', prima di imboccare nuovamente l'autostrada e dirigersi verso casa, perché gli sbirri sarebbero rimasti in giro almeno un'altra ora, per poi gettare la spugna e rientrare al Dipartimento. In realtà, l'idea di rimanere ferma in quello spiazzo deserto non la allettava, così si accertò di avere la pistola in tasca e di essere pronta alla fuga in qualsiasi evenienza.

Mentre osservava il cielo buio sopra la sua testa, Irina si sentì strana; per quanto dovesse vergognarsi di quello che stava facendo, per quanto sentisse ancora nella testa la voce di Xander che la riprendeva per la sua irresponsabilità, capì che quello era davvero il suo elemento. Persino sfuggire alla polizia, piombare in mezzo alle gare e spingere la sua auto al limite le veniva naturale... Ed era sbagliato, perché lei non voleva essere una criminale.

Afferrò il cellulare per cercare di distrarsi dalla deriva in cui stavano andando i suoi pensieri, e cercò il numero di Spark.

<< Ehi, dove sei? >> domandò lui, il fiato corto ma il silenzio che lo circondava.

<< Al sicuro >> rispose Irina, rimanendo sul vago, << Voi? >>.

<< Siamo riusciti a scappare >> disse Spark, << Forse hanno fermato un paio di ragazzi, ma è tutto ok >>.

Irina tirò mentalmente un sospiro di sollievo.

<< Bene. Non fatevi vedere in giro per un po' >> disse, << E non cacciatevi nei guai, per favore. In questo momento non posso venire ad aiutarvi >>.

<< Ok, grazie Fenice >>.

Irina mise giù e tornò a guardare la strada deserta e silenziosa.

Era strano, ma non ricordava di essersi mai sentita così in pericolo, quando in passato era fuggita dalla polizia. Cercò di fare mente locale e tornare al passato, e capì che allora, in quei casi, c'era lo Scorpione a mettere le pezze ai suoi casini. In realtà, non era mai servito, perché non era mai stata davvero beccata sul fatto e William non aveva mai dovuto usare i suoi soldi e il suo potere per corrompere la polizia. In qualche modo, non era mai davvero stata sola, anche se lo aveva creduto. In quel momento, invece, dipendeva solo da se stessa.

"Ora capisco cosa significa, quando dicono che si stava meglio quando si stava peggio...".

Poi, Irina fu distratta da un rumore.

Lo sentì arrivare prima di vederlo.

Il rombo sordo, quasi un ringhio sommesso, precedette la Nissan GTR nera di Felix, che sinuosa come un felino si avvicinò allo spiazzo deserto, i fari che illuminavano la strada e la carrozzeria che rifletteva la luce dei lampioni.

Irina sentì montare l'apprensione addosso, quando la Nissan si fermò a pochi metri da lei, a motore acceso. Afferrò la pistola, tolse la sicura e osservò la GTR.

Allora era vero che Felix la seguiva, ne aveva avuto la sensazione più di una volta.

Forse era lì per ucciderla, ma era strano che fosse venuto da solo. Aveva creduto che tra lui e Jorgen, fosse il sudamericano a far fuori la gente. Molto probabilmente non era così importante da dover scomodare più di una persona.

Una punta di rabbia infiammò l'anima di Irina, al pensiero che sarebbe stata uccisa in uno spiazzo deserto e isolato, senza nemmeno essersi avvicinata al suo obiettivo. Era pazzesco come riusciva a pensare con lucidità alla sua morte, in quel momento, ed era altrettanto folle che era infastidita, non spaventata.

"Non sono ancora disposta a farmi ammazzare".

Afferrò la maniglia dell'auto e uscì fuori, gli occhi incollati alla GTR per cogliere qualsiasi movimento. Felix uscì dall'abitacolo con un lieve sorriso sulle labbra, ma senza alcuna arma in mano. Non si mosse, quando vide che Irina gli puntava addosso la pistola con la sicurezza che aveva guadagnato stando in polizia.

<< Se sei qui per uccidermi, questa non è la serata giusta >> disse Irina, alzando la testa in un moto di orgoglio.

Il francese scosse il capo, e lei abbassò l'arma. Non lo fece perché si fidava, ma perché riconobbe la situazione e il fatto che Felix era troppo rilassato, per avere l'intenzione di ucciderla.

<< Hai la fortuna di essere una donna, Fenice >> ribatté, << Ma la tua sfortuna è che il mio capo se la prenderà molto comoda, prima di ammazzarti >>.

Irina lo guardò, cercando di capire cosa volesse dire con quelle parole.

<< Cosa significa? >> ringhiò.

Lui si strinse nelle spalle, poi si appoggiò alla GTR con aria tranquilla.

<< Significa che questo è un avvertimento >> rispose lui, << Significa che sarebbe troppo semplice spararti un colpo in testa e dire a tutti che sei morta. Perché prima di ucciderti distruggeremo pezzo per pezzo il tuo mondo... E l'ultima a morire sarà proprio la numero uno della Black List >>.

Irina sentì il sangue gelarsi nelle vene, osservando la faccia del francese mentre pronunciava quelle parole. Non c'era alcuna emozione, nella sua voce, ma non era quello a spaventarla; era la minaccia a tutto quello che faceva parte della sua vita, a inchiodarla dov'era. Anche se il suo mondo si era in parte sgretolato, qualcosa ancora rimaneva.

<< Per chi lavori? >> domandò, cercando di mantenere la voce piatta.

Felix sorrise.

<< Per qualcuno che ha molti soldi e tanta determinazione >> rispose.

<< E perché ce l'ha con me? >>.

<< Non vi conoscete, Fenice, e molto probabilmente non vi conoscerete mai >> disse Felix, rientrando lentamente in auto, << Spero solo che la tua motivazione a tornare in strada sia sufficientemente forte, perché da questo momento in poi Los Angeles avrà una sola regina >>.

Quando Felix richiuse la porta della Nissan, Irina vide per la prima volta l'adesivo applicato sullo specchietto; piccolo e stilizzato, era una pedina degli scacchi... Il re.

La Nissan sgommò via, e Irina rientrò nella Punto, troppo turbata per volersi gettare all'inseguimento di Felix.

Aveva fatto bene a tagliare i ponti con tutti, e ora era sicura che tutto fosse iniziato con Xander. Lui era stato solo il primo, ma perché? Perché avevano iniziato da lui, quando con la Black List non centrava poi nulla?

Semplice, perché centrava molto con lei.

Il cellulare con il numero del corriere pesava nella sua tasca, e Irina capì di non poter perdere altro tempo. Doveva trovare chi c'era dietro alla pedina della regina.





Mosca, Black Diamond – Ore 23.00

<< Quindi stanno facendo fuori i membri della Black List uno a uno? >>.

La voce di Dimitri cadde in uno strano silenzio, mentre guardava Rafail Demidoff seduto di fronte a lui, le dita strette intorno a un bicchiere di liquore trasparente, gli occhi puntati su di lui e quasi sardonici.

<< E' quello che l'F.B.I. mi ha voluto riferire >> rispose il russo, << A Los Angeles non è rimasto praticamente nessuno che ne faceva parte. Ammazzati uno dopo l'altro con un colpo in testa. Ci stanno lavorando, ma non hanno ancora capito chi ci sia dietro. Sicuramente è lo stesso che vuole uccidere te >>.

Dimitri lo guardò, perplesso. Era già a conoscenza di quella storia, e ci aveva riflettuto sopra. A parte lui e Challagher, i membri della Black List erano pesci piccoli, gente a cui piaceva guidare e basta, senza troppi affari in giro; non aveva senso che qualcuno li volesse uccidere, non tutti insieme. A che scopo, poi?

<< Chi è rimasto, a parte Fenice? >> domandò.

<< La Gonzalez, almeno credo >> rispose Demidoff, << Non mi è arrivata nessuna notizia di morte, su di lei >>.

<< Chi ti ha fornito le informazioni? >>.

<< Gente in alto >> rispose evasivo Demidoff, << Attendibile >>.

Dimitri avrebbe deciso più avanti, se di trattava davvero di persone attendibili.

<< Posso mettere la mano sul fuoco che su questa storia sta lavorando Alexander Went >> disse seccamente.

<< Di questo non so niente. Nemmeno il mio contatto si è voluto sbottonare >> rispose Demidoff, << Pare abbiano dei problemi con le indagini >>.

Dimitri non ci mise molto a fare due più due: Fenice era sparita dalla circolazione da mesi, ed era ovvio che era stata assoldata dall'F.B.I. per fare luce su quella storia. Era del tutto plausibile, perché l'avevano già fatto per Mosca; magari l'avevano mandata sotto copertura da qualche parte, inventandosi una bugia che funzionasse, e ora era in America Latina a cercare il pazzo che voleva ammazzare tutti i membri della Black List... Sempre che non fosse stata davvero incinta come aveva pensato.

<< Hai trovato collegamenti tra me e qualcuno di questa gente? >> domandò Dimitri.

<< No, a parte che i tizi che hanno cercato di farti fuori erano tutti del Venezuela. Di Caracas, per la precisione >>.

Dimitri fece mente locale, cercando di capire se avesse mai avuto affari andati male da quelle parti. No, era stato a Caracas solo con Challagher, quando lui si riforniva di droga da quelle parti, ma si era limitato a un paio di volte. Dopo qualche lavoro di prova, alla fine avevano preferito il Messico, perché lì le bande erano organizzate meglio. La gente di Caracas era sempre stata senza regole e poco gestibile, oltre a fare prezzi sempre più alti della concorrenza.

<< Qualche russo è andato lì di recente? >>.

<< Edgar Matveev >> rispose Demidoff, sorseggiando il suo bicchiere di liquore con aria disinteressata.

Sul volto di Dimitri si dipinse una sorrisetto; finalmente aveva una scusa per ucciderlo che non fosse solo il fatto che non si fidava di lui.

<< Altro? >>.

Demidoff lo guardò quasi di sottecchi, e Dimitri lo trovò strano. Attese che parlasse, senza staccargli gli occhi di dosso.

<< Pare che l'auto di Fenice si stata rubata >> disse.

Dimitri alzò un sopracciglio.

<< E pare che l'abbiano vista in giro, negli ultimi giorni >> aggiunse Demidoff.

<< E chi la guida? >>.

<< L'F.B.I. non ha informazioni ufficiali a riguardo >>.

Dimitri si ritrovò a guardare Demidoff con gli occhi ridotti a fessure.

<< Informazioni ufficiali? >> ringhiò, << Sei il capo dei servizi segreti russi, tu usi solo informazioni non ufficiali >>.

Demidoff sembrò infastidito, dalla sua risposta diretta, ma non osò ribattere. Era suo ospite, nel suo territorio e oltretutto era lì dopo essere stato ben pagato; provare a mettergli i piedi in testa significava solo andarsele a cercare.

<< L'F.B.I. non vuole confermare, ma dietro dovrebbe esserci la stessa Irina Dwight >>.

Dimitri rimase immobile, il bicchiere di vodka a mezz'aria e il cervello che ragionava, immaginando tutti gli scenari possibili.

Fenice era diventata una poliziotta, non aveva alcun senso che rubasse la sua auto e soprattutto non aveva senso che tornasse in strada con il suo nome e la Punto, quando tutti sapevano chi era. Non stava lavorando sotto copertura, non poteva visto che praticamente tutti conoscevano la storia della Black List e dei suoi piloti... E non aveva nemmeno senso che tornasse a correre, visto che lei era stata la prima a volerne uscire.

E poi, c'era Went. Conoscendolo, lui avrebbe impedito a Irina di fare una cazzata del genere.

Per un'istante, l'istinto di Dimitri gli suggerì di fare altre domande, di chiedere ulteriori informazioni che Demidoff sarebbe stato in grado di trovare, ma non lo fece. Rimase in silenzio a fissarlo, mentre ricordava un semplice fatto, lo stesso che fino ad allora lo aveva in qualche modo guidato il suo pensiero, senza fargli mai commettere un errore.

Irina era libera di fare quello che voleva, e a lui non doveva riguardare.

Anche a decine di migliaia di chilometri di distanza, a lui non doveva importare cosa facesse Fenice, che decisioni prendesse, che azioni iniziasse a compiere. Avevano imboccato due strade completamente diverse, e la distanza era l'unica cosa che doveva accomunarli.

Guardò Demidoff irritato, per dimostrargli che gli stava dando solo notizie inutili.

<< Non c'entra niente con me, tutto questo >> ribadì, << E comunque, ti ho pagato troppo, per le informazioni che mi hai dato... Voglio altro, nelle prossime settimane. Voglio dei nomi >>.

Demidoff arricciò il labbro, ma non disse nulla. Annuì e lo salutò, mentre Dimitri si alzava e gettava un'occhiata fuori dalla finestra della saletta, nel parcheggio sottostante illuminato dai lampioni.

Ripensò alla questione di Edgar Matveev per distrarsi dal fatto che era curioso di sapere cosa stava succedendo a Los Angeles. Il russo stava giocando un po' troppo con la sua pazienza, e anche se aveva finto molto bene la sua iniziale redenzione, Dimitri era sempre stato sospettoso nei suoi confronti.

Trovò Emilian seduto al tavolino di uno dei bar dell'ultimo piano, perché era uno dei più tranquilli del Black Diamond: la Lince aveva ordinato che l'accesso venisse consentito solo ai membri della sua famiglia, e nessuno aveva osato contrariarlo.

Suo cugino sembrava stranamente rilassato, e il suo volto sfregiato aveva un'espressione che raramente gli si vedeva in faccia: era felice. Dimitri gli si sedette di fronte, osservandolo con curiosità, ma senza dire nulla. Non aveva il diritto di impicciarsi nei suoi affari personali.

<< Quindi? >> domandò Emilian, versandogli un bicchiere di vodka.

<< Niente di troppo nuovo >> rispose Dimitri, << Chi mi vuole uccidere arriva dal Venezuela. E ultimamente Mavteev è stato lì >>.

<< Non abbiamo affari in Venezuela, quella è gente senza regole >> ribatté Emilian, << Credi che abbia cercato aiuto da quelle parti? >>.

<< Forse >>.

Dimitri non aveva voglia di parlare, l'idea di proseguire il discorso e arrivare a Los Angeles lo innervosiva...

<< Voleva che qualcuno che non fosse riconducibile alla Russia ti ammazzasse, in modo da scaricare la colpa su qualcun altro >> ipotizzò Emilian, a voce bassa, << Se vieni assassinato, avrebbe mezza Mosca addosso, noi compresi. Sarebbe molto più comodo incastrare qualcuno >>.

<< Se è la verità, devo ucciderlo >> sentenziò Dimitri secco, bevendo d'un fiato la vodka.

Emilian annuì. Con il suo comportamento, Matveev metteva in pericolo non solo l'equilibrio delle loro bande, ma metteva a rischio anche la vita della sua famiglia, Vilena, Yana e Sergej compresi. Toglierlo di mezzo era l'unica soluzione, ma Dimitri non era pienamente convinto della sua colpevolezza... Un semplice viaggio a Caracas poteva voler dire tutto e niente, e ucciderlo sulla base di semplici supposizioni non era una mossa saggia. Anche perché la questione non si limitava alla Russia.

<< Hanno ucciso tutti i membri della Black List >> aggiunse Dimitri, << E si tratta della stessa persona che vuole morto me. A Matveev cosa importa di loro? >>.

Suo cugino lo osservò, la faccia storta e il bicchiere stretto in mano. Lesse nei suoi occhi un punto interrogativo, una domanda che voleva fare ma che non osava.

<< Fenice è viva >> aggiunse Dimitri, seccamente.

Per quanto l'avesse odiata all'inizio, Emilian aveva iniziato a nutrire un certo rispetto per quella ragazza dal momento in cui aveva scambiato la sua vita con quella di Yana, quando era nelle mani di Challagher. Quel sentimento valeva un po' per tutta la sua famiglia, in realtà; nessuno l'aveva mai detto a voce alta, ma Fenice si era guadagnata un posto d'onore tra loro.

<< Dici che potrebbe non essere Matveev? >> domandò.

<< Dico che ci conviene aspettare di altre informazioni >> ribatté Dimitri. << Nel frattempo, terrò gli occhi aperti >>.

Salutò Emilian e uscì dal Black Diamond, risalendo sull'Audi R8. Guardò il palazzo alto e signorile di fronte al locale, le luci delle stanze quasi tutte spente e il suo appartamento completamente chiuso. Avrebbe voluto tornare lì, ma da quando aveva trovato Milad Buinov nel garage di casa di Vilena non si fidava a stare lontano troppo a lungo.

Aveva dovuto trovare un compromesso, che a sua sorella non era piaciuto: aveva assegnato una scorta sia a lei che hai bambini, in modo che fossero sempre ben controllati. Aveva chiesto discrezione, ma era comunque difficile per loro accettare la presenza di una persona ogni volta che lasciavano casa. Yana era accompagnata a scuola da Radim tutte le mattine e Vilena andava a fare la spesa portandosi dietro uno dei suoi uomini. Suo marito Iosif era d'accordo, e molto spesso cercava di essere più presente possibile, ma la situazione stava snervando sua sorella.

Sembravano dormire tutti, quando Dimitri arrivò a casa, così approfittò di quel silenzio per sedersi al tavolo della cucina del suo appartamento, bevendo una birra, il pc portatile davanti.

Aveva un po' di mail da leggere, la maggior parte riguardavano i conti sugli affari della settimana, qualche pubblicità e spam. Diede di malavoglia un'occhiata alla contabilità dei traffici di Tula e di Mosca, la birra fredda stretta in mano e gli occhi che ogni tanto correvano alla finestra. Solo allora si accorse di una teglia coperta appoggiata al ripiano della cucina.

Si alzò per andare a vedere, e trovò un bigliettino scritto con la grafia storta e disordinata di sua nipote.

"Per zio Dimitri da Yana".

Quando alzò il coperchio, trovò una torta che conosceva già, perché era la stessa che aveva assaggiato in quella stessa cucina due anni prima: mele e pesche tagliate a pezzettini. Emanava un profumo dolce e fragrante, leggermente fruttato, ma non fu l'odore a farlo indugiare un po' più del dovuto su quella torta.

C'erano tante cose in quel dolce, troppe. C'era l'affetto sempre più distante e flebile di quella bambina che lui stava tenendo lontana, ma che nonostante tutto cercava di mantenere un contatto con lui. C'era la consapevolezza di quanto Yana fosse in grado di capire, ora, e di ricordare gli esempi positivi che involontariamente una ragazza straniera le aveva dato. C'era il fatto che Yana aveva capito prima di lui qual era la strada giusta, e non aveva alcuna paura di prenderla. C'era una richiesta sottile, una speranza che la accumunava a quella stessa ragazza a cui si era affezionata.

Dimitri aveva perso quel treno, lo sapeva e non si crogiolava nella tristezza. Non serviva a niente ricordare o rammaricarsi di cose che erano successe o non erano successe. Non aveva colto la sua possibilità non perché non l'aveva compresa, ma perché non aveva voluto farlo.

In quel momento l'unica cosa che provò fu un po' di fastidio. Sembrava che tutto volesse per forza riportargli alla mente Fenice, che in quel momento a migliaia di chilometri di distanza aveva rimesso addosso la sua maschera e correva per le strade di Los Angeles. Non erano affari suoi ciò che faceva, eppure persino Yana ora si metteva a fare quella torta, quando erano mesi che non ne faceva nemmeno una.

Ne tagliò una fetta e la mangiò, seduto davanti al computer. Quella sera non aveva fatto incontri ne gare, e sentiva la tensione accumularsi nei muscoli del collo, anche per via di quei pensieri poco attinenti al suo ruolo di Lince. Il giorno seguente doveva sicuramente andare al Black Diamond per recuperare e vedersela con un altro po' di russi.

Andò in camera da letto e si sfilò il maglione, le cicatrici che rilucevano nella luce della lampada sul comodino. Si accorse di un movimento alle sue spalle, nel disimpegno, ma gli ci volle un secondo per capire di chi si trattava. Si muoveva con troppa insicurezza e con troppa leggerezza insieme, per essere qualcuno di pericoloso.

Era una ragazza e lui sapeva di chi si trattava.

Rimase di spalle, fingendo di osservare fuori dalla finestra, anche se il suo istinto l'avrebbe spinto a trovare il modo peggiore per spaventarla. Forse sarebbero bastate le sue cicatrici, magari. Non ammetteva nessun tipo di intrusione in casa sua, soprattutto con lui dentro, e non avrebbe iniziato a tollerarle quella notte.

Molto probabilmente la ragazza si fermò di fronte alla porta; ne percepì solo il respiro trattenuto. Stava fissando le striature sulla sua schiena, perché Dimitri le sentiva pizzicare.

Non si voltò a guardarla, e lo fece per coglierla alla sprovvista.

<< Cosa sei venuta a fare qui, Darina? >>.

La ragazza trattenne di nuovo il respiro, e Dimitri voltò appena la testa per vedere la sua espressione. Teneva i capelli biondi legati in una lunga treccia, ed era avvolta in una vestaglia azzurrina di raso. Lo osservava intimorita ma quasi risoluta, come se farsi trovare lì fosse il frutto di una profonda riflessione.

Darina non rispose. Dimitri si voltò completamente, percependo gli occhi della ragazza che si fissavano sulle sue cicatrici bianche, e vide due sentimenti contrastanti farsi largo nelle sue iridi, gli stessi che lui aveva visto decine di volte: pena e paura. Pena per quelli che erano segni testimoni di dolore e violenza, e paura per il mondo che rappresentavano.

<< Questa è casa mia, non hai il permesso di entrare quando ti pare, anche se mia sorella ti ha dato le chiavi >> ringhiò, mentre sentiva l'irritazione crescere di nuovo dentro di lui, << Meno che mai di notte, a meno che tu non voglia che ti uccida >>.

Per tutta risposta Darina fece un altro passo avanti, combattendo la paura che aveva negli occhi.

<< Perché mi ignori, Dimitri? Che cos'ho che non va? >> domandò a voce bassa, come se non avesse nemmeno compreso la sua minaccia, o volesse far finta di non sentirla. << Cosa non ti piace in me? >>.

In un attimo, il tessuto leggero della vestaglia ricadde ai suoi piedi, lasciando il corpo di Darina completamente nudo, lei che lo guardava con aria risoluta e concentrata al tempo stesso, la luce della lampada che disegnava morbide ombre sulla sua pelle. La penombra della camera sembrò diventare ancora più scura, la notte fuori dalla finestra più nera e l'aria della stanza più fredda, come se quello fosse il gesto più innaturale del mondo.

In quel momento, Dimitri avrebbe voluto scoppiare a ridere, se solo ne fosse stato capace, perché il destino sembrava prendersi gioco di lui in modo infantile e fastidioso. O forse voleva metterlo alla prova, costringendolo prima ad ammettere di aver sbagliato e poi mettendogli davanti una strada ancora peggiore.

Era ironico come il destino gli facesse trovare sempre ragazze bionde e senza vestiti nella sua stanza.

Solo che lui non credeva nel destino.

I suoi occhi non scivolarono mai verso il basso, non sfiorarono nemmeno un centimetro della pelle nuda di Darina, ma rimasero incollati al suo viso, senza vacillare. Sapeva controllare tutto del suo corpo, ogni nervo e ogni muscolo, soprattutto quando rimaneva gelido come in quel momento.

<< E' per questo che sei qui? >> domandò Dimitri, fissandola, << Per farti trovare da me in questo stato e sperando di ottenere la mia attenzione? >>.

Molto probabilmente, Darina non si era aspettata una reazione del genere, perché rimase muta. Forse pensava che le sarebbe saltato addosso? Pensava che lui sarebbe caduto vittima dei bassi istinti che era consapevole di poter instillare negli uomini? Lo credeva davvero?

<< Perché mi ignori? >> ripetè Darina, la voce quasi un sussurro, << Perché non mi vuoi? >>.

Dimitri fece una smorfia. E così anche la povera e piccola Darina era vittima della scarsa attenzione... Era per quello che piaceva alle donne? Perché le ignorava? Nessuna di loro era in grado di capire che lui era sbagliato e pericoloso, ed era consapevole di esserlo?

<< Rivestiti >> le ordinò, lei però non lo fece.

Dimitri rimase di ghiaccio fermo dov'era. Quella ragazza non voleva capire o era troppo ingenua per farlo, ma lui voleva mettere definitivamente un freno a quella storia, a qualsiasi costo.

<< Vuoi che ti usi come una puttana? >> ringhiò, facendola sobbalzare, << Vuoi che ti umili più di quello che non hanno già fatto? Vuoi farti scopare dalla Lince, sperando che sia capace di tirare fuori un po' di umanità? Vuoi questo? Vuoi finirei vittima di te stessa, oltre che della tua famiglia? >>.

Usò le parole più dure e violente che trovò, per esprimere la rabbia e il disprezzo che aveva addosso. Voleva costringerla a vedere le cose come stavano davvero, voleva costringerla vedere cos'era lui veramente e voleva farle capire che doveva stargli lontano. Non l'avrebbe usata per lenire le sue ferite, quelle che non si vedevano, e non avrebbe illuso lei facendole del male.

<< Sei così stupida che non ti rendi conto che tuo padre ti sta usando >> continuò, mentre di colpo Darina si abbassava e si infilava la vestaglia di seta, gli occhi pieni di lacrime tenuti bassi, come se improvvisamente avesse capito in che situazione si era infilata, << Ti sta usando per arrivare a me, e lo fa sfruttando la tua debolezza e il mio senso dell'onore... >>.

Darina alzò lo sguardo, confusa.

<< Mi padre... >> iniziò, ma Dimitri la interruppe.

<< Tuo padre ha incastrato il tuo ragazzo, Darina >> ringhiò Dimitri, costringendola a fare un passo indietro di fronte al suo sguardo di ghiaccio, << Tit non ti aveva tradito, non mirava a nessuno dei tuoi soldi. Tuo padre lo ha incastrato, costringendolo a fuggire, e io l'ho ammazzato spezzandogli il collo e consegnandogli la sua testa su un piatto d'argento. Solo che ho scoperto tutto questo quando ormai era troppo tardi >>.

Darina lo fissò, senza fiato, le lacrime che scorrevano sulle sue guance lisce, e Dimitri rimase in silenzio, arrabbiato e irritato.

Era la verità, era stato tutto un inganno. Pektrovic aveva voluto lui come Testimone al Giuramento di Tit perché sapeva che Dimitri avrebbe cercato il ragazzo ovunque, pur di tener fede alla promessa, ma soprattutto perché lui era la Lince e aveva potere. Quella sciocca e debole di sua figlia ci avrebbe messo un attimo a innamorarsi di lui, che aveva difeso il suo onore, e aveva sperato di potergliela far sposare. Un legame del genere poteva aprirgli un sacco di porte, a Mosca.

Non era colpa di Darina, se suo padre la usava per i suoi affari, e non avrebbe dovuto trattarla in quel modo, ma Dimitri si sentiva furioso. Ogni giorno che passava odiava sempre di più la sua posizione, odiava il suo potere e odiava quell'eredità che gli era stata lasciata e che lui non aveva rifiutato per dovere.

Tutti volevano qualcosa da lui: soldi, aiuto, potere, favori. Avrebbe dovuto sentirsi onorato, orgoglioso del suo soprannome di Lince, eppure l'unica cosa che voleva era lasciare tutto e andarsene.

Fissò Darina, le lacrime che continuavano a colarle sul viso, e per un folle istante si chiese perché riuscisse a essere così brutale con lei. Si chiese cosa lo rendesse così poco umano, così intollerabilmente diretto...

Poi si ricordò che era fatto così, e che Darina non si sarebbe dovuta aspettare niente di meno, da un uomo con un orecchio strappato e pieno di cicatrici.

<< E' questo che vuoi? >> ringhiò, fissandola in segno di sfida, << Vuoi venire a letto con quello che ha spezzato il collo del tuo ragazzo innocente? >>.

Darina fece un passo indietro, e Dimitri capì di essere stato sufficientemente violento.

<< Vattene >> aggiunse solo.

La ragazza si voltò di scatto e lasciò la stanza, sbattendosi la porta dell'appartamento alle spalle. Dimitri rimase qualche istante a osservare il vuoto che aveva lasciato, per poi girarsi nuovamente verso la finestra.

Non si stupì nel constatare che era così poco umano che nemmeno il bel corpo di Darina aveva risvegliato qualcosa in lui.

Il nervosismo lo fece dormire poco; il mattino seguente si alzò molto presto, quando ancora non era sorto il sole, e passò un paio di ore in mansarda ad allenarsi con il sacco da boxe, scaricando la tensione che gli faceva quasi bruciare i muscoli.

Non avrebbe parlato dell'episodio di quella notte con nessuno, perché non voleva rendere ridicola Darina di fronte a tutta la sua famiglia, soprattutto di fronte a Vilena, che aveva un'alta opinione di lei e le si era affezionata. Sperava che il trattamento che le aveva riservato la convincesse a tornare a casa sua, nonostante il padre avesse incastrato il suo ragazzo. Sicuramente però aveva risolto il problema della sua invadenza.

Alle sette e mezza precise bussò alla porta dell'appartamento di Vilena, trovando la sorella indaffarata a preparare la merenda per la scuola alla figlia. Yana stava controllando che nel suo zainetto ci fossero tutti i quaderni giusti per la giornata, e lo osservò incuriosita quando lo vide entrare. Era strano vederlo a quell'ora lì, di solito si faceva vedere il pomeriggio o la sera.

<< Vuoi del caffè? >> gridò Vilena dalla cucina.

<< No >> rispose lui, secco. Poi aggiunse, neutro: << Accompagno io Yana a scuola >>.

Vilena si affacciò dalla cucina, osservandolo perplessa, ma durò giusto una frazione di secondo, poi sparì di nuovo nella stanza. Annuì, mentre Yana lo osservava con aria strana, un misto di diffidenza e felicità dipinto sul suo visetto rotondo.

<< Davvero mi accompagni tu, zio? >> domandò.

Lui annuì.

Yana sorrise raggiante, si infilò il cappottino facendo attenzione a non incastrare le trecce nelle bretelle dello zaino e si avvicinò. Di solito gli porgeva la mano, ma questa volta non lo fece, come se non fosse ancora convinta della situazione, anche se appariva contenta.

Salutarono Vilena e presero l'ascensore, Yana che stringeva gli spallacci dello zaino con aria allegra. Quando arrivarono in garage, si arrischiò a parlare.

<< Con che macchina andiamo? >> domandò.

Dimitri aprì la porta, facendola passare, e accese la luce del sotterraneo. Sapeva che sarebbe stato più saggio usare l'Hummer, lo stesso che utilizzava Radim tutti i giorni, ma la bambina meritava un trattamento particolare.

<< Quella che vuoi >> rispose lui, neutro.

Gli occhi azzurri di Yana si illuminarono, e battè le mani eccitata come era solita fare quando era piccola. Era da un po' che non la vedeva così contenta in sua presenza, e Dimitri si sentì stranamente meno teso. La bambina Percorse con lo sguardo tutto il garage, per poi fermarsi verso il fondo.

<< Quella arancione >> disse alla fine.

La Lamborghini Huracan li fissava dall'angolo del sotterraneo, i fari dal taglio minaccioso, come se li stesse prendendo in giro e si sentisse sminuita per essere utilizzata come mezzo di trasporto scolastico per una bambina di otto anni. Dimitri fece cenno a Yana di avvicinarsi all'auto, e la aiutò a sfilarsi lo zaino.

Con un po' di fatica, la bambina si sedette al posto del passeggero e Dimitri di fianco a lei. Era eccitata e osservava l'interno dell'auto curiosa, toccando la pelle dei sedili, il carbonio dei bocchettoni dell'aria e la morbida plastica degli interni. La aiutò ad allacciarsi la cintura e osservò con la coda dell'occhio la sua reazione quando girò la chiave e il motore si avviò.

Il grido del V10 da seicentodieci cavalli fece sobbalzare Yana, che afferrò la maniglia della porta e guardò verso di lui, rimbombando nel garage come il ruggito di un animale feroce. Le lancette del cruscotto si accesero, muovendosi nervose, e Dimitri sfiorò l'acceleratore, facendo avanzare la Lamborghini piano, quatta e tranquilla come un gattino.

<< Questa macchina va veloce? >> domandò Yana, mentre uscivano dal garage nel freddo di Mosca, osservando il mondo intorno a loro con una nuova prospettiva, quella di un'auto che la faceva sentire speciale.

<< Sì, è molto veloce >> rispose Dimitri, percorrendo il viale deserto che li avrebbe portati alla sopraelevata, in mezzo al traffico mattutino.

<< La più veloce? >> domandò Yana, sfiorando con il dito i comandi della radio.

<< No, ci sono auto più veloci >>.

<< Tipo? >>.

<< La Bugatti Veyron, la Lykan Hypersport, la Koennisegg Agera... >>.

Yana lo osservò, probabilmente senza capire, e Dimitri rimase in silenzio. Era abituato alle sue domande, ma era strano vederla così guardina, nei suoi confronti. In effetti, sembravano entrambi un po' rigidi, perché era da un po' che non stavano così vicini.

<< Era buona la torta che hai fatto per me ieri sera >> aggiunse il russo, gettandole un'occhiata.

<< Sì, è quella che mi ha insegnato Irina >> rispose con semplicità Yana, << L'aveva lasciata scritta su un foglietto alla mamma. Possiamo andarla a trovare? >>.

Dimitri strinse le dita intorno al volante, mentre iniziava a pensare che in quelle ore ci fosse una specie di congiura, nei suoi confronti.

<< No >>.

Yana non insistette. Avevano già parlato di quella cosa in passato, e aveva sempre accettato il suo "no" come se sapesse già che non c'erano alternative, anche se alla fine non smetteva di provarci. Guardò fuori dal finestrino, mentre dalle auto comuni la gente li fissava stupita. La Huracan procedeva a velocità da codice, senza manovre azzardate, ma attirava comunque l'attenzione, anche per via dell'arancione metallizzato con cui era verniciata.

<< Mi accompagni sempre tu a scuola? >> domandò Yana, mentre si fermavano proprio dietro lo scuolabus che lasciava i bambini di fronte all'istituto. << Non mi piace andare in giro con quel tizio brutto, con gli occhi neri. Puzza di cipolla. E poi tutti mi chiedono chi è, e io non lo so chi è >>.

Dimitri la guardò, sorpreso. Comprese quanto dovesse essere difficile per Yana andare in giro con la scorta, e quando potesse essere complicato per lei gestire quella cosa. Anche se a lei e a sua madre era stato garantito di rimanere fuori dagli affari degli uomini di famiglia, iniziavano a pagarne le conseguenze. Come anni prima, la loro vita criminale stava di nuovo invadendo quella di donne e bambini.

<< Non ti chiederebbero chi sono io? >> ribatté lui.

Yana si strinse nelle spalle.

<< Lo so chi sei tu, sei mio zio >> rispose, << E poi i miei compagni saranno tutti invidiosi della tua macchina arancione! >>.

<< Non potrò venire tutti i giorni >> rispose Dimitri, sapendo che non poteva prometterle nulla.

Yana lo guardò, supplice.

<< Mi vieni a prendere all'uscita, allora? >> domandò.

Dimitri la aiutò a scendere dall'auto, mentre qualche bambino indicava la Huracan, docilmente parcheggiata a bordo strada. Le infilò lo zainetto sulle spalle e le diede una leggera spinta verso il vialetto di ingresso.

<< Va bene >> rispose alla fine.

Yana saltellò contenta, prima di salutarlo con la mano e dirigersi verso l'ingresso della scuola. Qualche mamma guardò lui e la Huracan arancione decisamente sorpresa, e la cosa lo infastidì. Attese che sua nipote fosse entrata nell'istituto, prima di voltarsi e appoggiare la mano sulla maniglia dell'auto.

Solo allora vide dall'altra parte della strada Milad Buinov.

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