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Capitolo XI

Ore 23.00 – Los Angeles, Hermosa Beach

Irina guardava con un sorriso ironico l'insegna installata sul tetto del grande locale che aveva davanti agli occhi: mostrava una scritta in lettere quadrate illuminate di rosso, visibili anche da lontano, che risaltavano contro il cielo nero della notte di Los Angeles. Forse, a occhi che non erano i suoi, sarebbe risultata sofisticata, o forse addirittura chic.

"E si ritrovano qui... C'è qualcosa di più ironico?".

Il locale, una discoteca di lusso dall'ingresso piuttosto piccolo, forse per scoraggiare l'accesso a gente che non poteva permettersi consumazioni da cinquanta dollari in su, si chiamava The Scorpion, e Irina lo trovava assolutamente ridicolo. Conosceva quel posto solo di nome, perchè quando stava in polizia ci aveva bazzicato intorno per beccare qualche pilota solitario, ma non sapeva che lì si incontravano i pezzi più importanti della nuova vita criminale di Los Angeles. L'infiltrata era sempre stata l'unica cosa che nella sua città non poteva certo fare.

Era stato Spark a indirizzarla lì, dopo una settimana passata a farsi vedere in giro e a partecipare a gare dalle quali era sempre uscita vincitrice. Si era data da fare, nelle sue nuove serate da numero uno della Black List, un po' per riprendere la mano che in realtà non aveva mai perso, e un po' per tornare in mezzo alla gente. Nel giro di qualche giorno, tutta la Los Angeles aveva saputo che Fenice era di nuovo per strada, e che sembrava intenzionata a dare del filo da torcere alla polizia. Per lo meno, era quello che Spark le aveva detto: in molti erano venuti a conoscenza del suo ritorno, e la curiosità intorno alla sua figura era cresciuta. Che credessero o meno alla storia che aveva raccontato, i piloti parlavano di lei, ed era l'unica cosa che voleva.

Tutto sommato, era stata una settimana tranquilla: Irina aveva seguito il suo piano senza fretta, calcolando bene ogni passo. Si era fatta vedere in qualche quartiere, aveva fatto delle gare, e aveva spiegato la sua storia, in modo che la gente avesse qualcosa di cui parlare. Aveva evitato accuratamente tutti i locali o i luoghi di possibile ritrovo di piloti che non fossero sulla strada, per dare l'idea che non le interessasse sapere chi comandava ora, o se rischiava di pestare i piedi a qualcuno; dovevano pensare che fosse lì solo per correre. Aveva continuato a presentarsi come la numero uno della Black List, legittimata in tutto e per tutto a prendere parte alle gare che preferiva. L'accoglienza, nella media, era stata buona: la maggior parte delle volte aveva incontrato inizialmente diffidenza, che poi era scemata in curiosità; solo una volta, proprio dalle parti di Hermosa Beach, i piloti con cui aveva gareggiato erano stati piuttosto freddi nei suoi confronti, come se la sua presenza non fosse gradita da quelle parti.

Era in una posizione difficile, e lo sapeva. Il suo passato tra piloti e polizia la rendeva poco cristallina, ma la sua fama di pilota della Black List sembrava aver resistito, e in molti erano disposti a crederle; non doveva commettere nemmeno un passo falso, altrimenti avrebbe rovinato davvero tutto.

Dall'altro lato, non aveva avuto problemi, con la polizia, e la cosa si faceva strana. Non aveva notato nessun aumento del numero delle pattuglie che giravano per la città, né di particolari notizie al telegiornale. Tutto sembrava estremamente tranquillo, come se Senderson la stesse osservando. Se lo conosceva bene, stava studiando il modo migliore per metterla nel sacco, ed era sicura che prima o poi le sarebbe piombato addosso credendo di trovarla impreparata.

Per non rischiare ulteriormente, aveva lasciato casa sua e affittato in nero un minuscolo appartamento a San Pedro, nella zona vicino al porto; un posto non tanto signorile, famoso per lo spaccio di droga, ma abbastanza anonimo da farla sentire un po' più sicura di non essere trovata. Ovviamente aveva gettato il cellulare e ritirato tutto il denaro contante possibile dal suo conto, tenuto nascosto in una valigetta al sicuro dentro casa. Praticamente nessuno sapeva dove si trovava in quel momento, e la cosa la faceva sentire incredibilmente tranquilla, e anche molto in colpa. Sperava solo che Jenny avesse avvisato suo padre che stava bene, anche se forse era completamente impazzita.

Fino ad adesso, però, aveva giocato. Informazioni sull'Audi Q7 Torec non ne aveva trovate, ma sapeva di non aver cercato nei posti giusti. Ora che un po' tutti sapevano del ritorno di Fenice, doveva farsi vedere da chi contava.

Le auto parcheggiate davanti al The Scorpion erano tutte modelli sportivi, qualcuno di serie qualcuno modificato; costose, ma non propriamente di lusso, il che significava che quelli che davvero contavano dovevano aver parcheggiato all'interno o nel retro del locale. Anche il via via davanti all'ingresso era scarno, ma probabilmente il body guard faceva bene il suo lavoro.

Parcheggiò vicino a una BMW Z4 grigia e scese dalla Punto, raccogliendo tutta la determinazione e il coraggio di cui avrebbe avuto bisogno.

Si stava gettando nella tana del lupo, disarmata e soprattutto da sola. Qualsiasi cosa poteva andare storta, ma non era quello a preoccuparla davvero; ciò che la spaventava era la possibilità di essere fatta fuori prima di aver scoperto la verità. Non avrebbe sopportato di morire senza scoprire chi aveva ucciso Xander e perché.

I tacchi delle scarpe alte ticchettarono sul marciapiede, quando Irina raggiunse l'ingresso, il grosso buttafuori che la guardava con sospetto, nonostante fosse una semplice ragazza vestita in jeans aderenti, camicia verde e giacca di pelle. Le decolletè erano un vezzo richiesto dal locale, non da Fenice.

Irina si accostò all'ingresso, dal quale proveniva una musica dance ad alto colume, e la voce di un dj che invitava a divertirsi.

<< Chi sei? >> domandò l'uomo, facendole capire che non poteva entrare, se prima non passava il suo esame.

Irina alzò il mento, guardandolo in modo sprezzante.

<< Fenice >> rispose solo lei, facendogli capire di non dover aggiungere altro.

Il buttafuori le fece cenno di avvicinarsi. Irina capì immediatamente cosa voleva fare, e lo fulminò con gli occhi.

<< Prova a perquisirmi e ti ritroverai a fare la cameriera per il resto dei tuoi giorni >> ringhiò, << Non sono armata e non ho bisogno di esserlo, soprattutto per entrare in un locale che si chiama The Scorpion >>.

L'uomo la lasciò passare con una smorfia, e Irina si addentrò nel locale, mentre il volume della musica diventata sempre più alto. Vide uno dei barman in pausa che parlava al cellulare, nel corridoio di ingresso, e proseguì a passo spedito, i tacchi che facevano rumore sul pavimento. Scoprì che nonostante tutto, quei locali non le erano mancati, ma tutto continuava a esserle familiare, come se quel mondo non lo avesse mai lasciato. Quante volte era entrata al Gold Bunny barcollando sui tacchi troppo alti e respirando l'odore dell'alcool?

Irruppe nella sala da ballo piena, ma non quanto si era aspettata. Non era un locale per chiunque, e lo capì dall'arredamento lussuoso. Divanetti neri, illuminati da led bianchi, occupavano tutto il perimetro del locale, e tavolini alti con sgabelli di un lucido color petrolio si concentravano negli angoli, la gente seduta che sorseggiava drink mangiando noccioline; il lunghissimo bancone del bar, nel lato nord della sala, era contornato da luci rosse; alle sue spalle, intere pareti di bicchieri, calici e bottiglie. In alto, quasi fosse lo stemma di una casata reale, c'era uno scorpione stilizzato.

Qualche testa si voltò dalla sua parte, quando Irina entrò, ma lei ignorò gli sguardi e prese posto di fronte al bancone, dove ordinò una semplicissima birra chiara, e attese. Spark le aveva detto di presentarsi lì, dire di essere Fenice, e sperare che qualcuno volesse riceverla.

Con il bicchiere di birra le venne consegnato anche un fogliettino ripiegato, che Irina osservò con curiosità. Si guardò intorno, prima di aprirlo, ma non vide nessuno che dava segno di averle scritto; solo gente che beveva, ballava e rideva. Per un attimo, pensò che William Challagher potesse sbucare da un gruppetto di ragazzi, ridendo per la situazione in cui si era ficcata.

Scosse il capo e aprì il biglietto.

"Fenice? La divisa da poliziotta non era un indumento abbastanza provocante, per te? Cosa ti porta qui?".

Chiunque le avesse scritto quella frase, voleva provocarla, e lei era pronta ad accettare qualunque sfida le si fosse posta davanti. Non pensò quando scrisse la risposta, lo fece senza ragionare, perché in qualche modo essere istintiva era l'unico modo per non sembrare sospetta.

"Vendetta" scrisse solo.

Fece un cenno al barista, che si avvicinò e prese il fogliettino, sparendo nella penombra del locale. Attese dieci minuti buoni, prima di vederlo tornare, mentre lei ancora sorseggiava la sua birra.

Questa volta, il pizzino non conteneva alcuna domanda, solo un'indicazione.

"Privè numero 3".

<< Dov'è il privè 3? >> chiese Irina al barman, che la stava guardando con curiosità. Doveva averla riconosciuta.

Lui fece un cenno al lato destro del locale, dove un arco nero che si confondeva con il buio della sala portava a un corridoio largo e molto corto. Irina si alzò e lo raggiunse, trovando immediatamente una porta spalancata, con il numero 3 illuminato da led bianchi proprio sopra l'ingresso.

Se non fosse stata più che determinata nel trovare le informazioni che le interessavano, entrando in quella stanza Irina avrebbe immediatamente abbassato gli occhi, imbarazzata, perché tutti gli sguardi erano inequivocabilmente puntati su di lei. Ma era Fenice, quindi non lo fece.

C'erano otto uomini, in quel locale con le finestre che davano sul dehor esterno, e lei non ne riconobbe nessuno. I tempi dello Scorpione e dei suoi amici erano finiti, e ora a calcare le scene erano facce nuove. Una di quell, apparteneva a un uomo alto, molto probabilmente vicino ai due metri, grosso come un armadio, dalla carnagione olivastra e i capelli neri e cortissimi. Indossava una t-shirt grigia, abbastanza anonima, che mostrava le decine di tatuaggi che portava sulle braccia: teschi, serpenti, croci, armi e persino fiori. Era abituata a conoscere criminali di dubbia provenienza, gente violenta e poco incline all'educazione, ma non aveva mai avuto di fronte un tipo come quello: aveva l'aria feroce e gli occhi scuri come due pozzi infernali. Con quelle braccia enormi, molto probabilmente poteva spezzare il collo a un uomo adulto come se avrebbe spezzato uno stuzzicadenti. C'era una sola persona che poteva apparire altrettanto feroce, in certi frangenti, e veniva soprannominata da tutti Mastino.

<< Chi ti da il permesso di venire qui è nominarti numero uno della Black List? >> domandò l'uomo, che doveva avere tra i trenta e i trentacinque anni, a giudicare dalle poche rughe che gli si formarono intorno agli occhi mentre la sbeffeggiava, << Soprattutto dopo essere diventata una sbirra? >>.

Se fino ad allora le cose erano filate abbastanza lisce, Irina capì che ora la musica cambiava.

<< Non credo di dovervi dare delle spiegazioni >> rispose lei, mentre quello che stava alla destra del tizio tatuato la osservava in silenzio, gli occhi grigi che la scrutavano attentamente. Era un po' più basso, e nemmeno tanto robusto, dai capelli castani un po' arruffati, << In assenza dello Scorpione e del Mastino, io sono la numero uno, e non devo nemmeno dimostrarlo >>.

L'uomo tatuato ridacchiò, ma il suo amico lo afferrò per un braccio e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Qualcosa le disse che dovevano essere quei due quelli che dettavano in qualche modo le regole, eppure nessuno dei due le sembrò americano, a giudicare dai lineamenti.

Il tatuato annuì, mentre Irina sentiva la tensione renderla rigida e particolarmente sveglia. Percepiva il pericolo, ma riusciva ancora a dominare la paura.

<< Siediti, Fenice. Io sono Jorgen >> disse lui, mentre le veniva lasciato libero un posto su un divanetto, << Poggia il tuo bel culo lì e facciamoci quattro chiacchere. Non è mai morto nessuno facendo due parole con una puttana >>.

Irina lo fissò, mentre sul viso di Jorgen si dipingeva un sorrisetto cattivo, sopra denti ingialliti dal fumo. I suoi amici ridacchiarono, ma lei si sentiva tutt'altro che offesa. Non si era aspettata un'accoglienza da principessa.

<< Oh, invece con me è morta un sacco di gente >> ribatté, afferrando un sedia e spostandola proprio davanti al tavolo dove sedeva Jorgen. Si rendeva conto di essere diventata una copia ancora peggiore della vecchia Fenice, in grado di recitare alla perfezione una parte che fino a poco tempo prima aveva rifuggito... La vendetta riusciva a spingere le persone fino a rinnegare se stesse?

Molto probabilmente non sarebbe uscita viva da lì, e quella sensazione le diede la determinazione necessaria per andare avanti. Il sorriso sul volto di Jorgen morì, lasciando spazio a una espressione feroce.

<< Chi ti ha mandato qui, Fenice? >> ringhiò, << Non sei la benvenuta, e non lo sarai mai >>.

<< Voglio informazioni >> rispose lei, mentre sentiva gli occhi del tizio dai capelli castani su di lei, << Chi mi ha mandato non ha importanza. Una persona a me vicina è stata uccisa, e voglio sapere chi è stato >>.

Buttò sul tavolino la foto dell'Audi Q7 Torec, e qualcuno si sporse a guardarla. Dall'assenza di espressioni sui loro volti, e dall'eccessiva tranquillità con cui osservarono l'immagine, capì che non le avrebbero rivelato nulla anche se avessero saputo qualcosa.

Jorgen mise una mano sulla foto, spingendola verso di lei. Aveva persino le dita tatuate.

<< La Torec non produce più da anni >> rispose, << E poi noi non ammazziamo gente a caso. Noi ammazziamo i membri della Black List >>.

Irina impietrì, mentre guardava Jorgen dritto negli occhi, e nella sua testa qualche tassello iniziò ad andare al proprio posto. Non aveva ancora posto quella domanda, ma aveva già ottenuto una risposta.

<< Avete ucciso voi Kawashima e Whitman? >> domandò, la voce di ghiaccio.

Jorgen ridacchiò.

<< Oh, sì. E abbiamo ammazzato più o meno tutti quelli che rimanevano... >> rispose, << Ce ne manca solo qualcuno, ma lo stiamo cercando... >>.

In quel momento, qualcosa nello stomaco di Irina si chiuse, e lei ritrovò a pensare all'ultimo che era stato ammazzato era Hiro Kawashima, il numero 5, se non faceva male i conti... Whitman, il numero 4, era morto quattro anni prima nell'incidente durante la sua seconda scalata alla Black List.

Mancavano ancora lei e... Dimitri.

Il sangue le si gelò nelle vene, al pensiero del russo. Non lo vedeva da quando lo aveva lasciato scappare, ma era sempre stata certa che fosse in grado di cavarsela da solo, che avesse la scorza molto dura... Era vivo?

<< Perché? >> domandò lei, di getto, << Perché volete morti tutti i piloti della Black List? >>.

<< Perché siete vecchi >> rispose quello che stava alla destra di Jorgen, e lo fece con un accento strano, pizzicando la r, << Questa città non ha più bisogno di una Black List >>. Era francese, lo capì dalla pronuncia.

<< Chi sei tu per dirlo? >> ribatté Irina.

L'uomo fece un sorrisetto, allungando la mano sul tavolo.

<< Felix Moreau >> rispose, << Ed è un piacere conoscerti, Fenice. William Challagher è stato un fallito, e la sua morte lo conferma. Aveva creato un impero che ha lasciato sbriciolare a causa delle sue debolezze. Ha perso questa città, e la sua Black List non vale più nulla >>.

<< Avete intenzione di uccidere anche me, allora? >>.

La domanda uscì piatta dalla voce di Irina, mentre capiva di essersi messa in trappola da sola. Era andata lì senza pensare di poter essere un bersaglio, perlomeno non ancora. Spark lo sapeva? L'aveva fatto a posta? No, era sicura che il ragazzo avesse agito in buona fede.

Felix guardò per un momento Jorgen, ma nessuno dei due sorrise.

<< Dobbiamo solo decidere quando >> rispose Jorgen malignamente, << Però potresti darci una mano, e guadagnare ancora qualche settimana di vita. Stiamo cercando Dimitri Goryalef >>.

Anche se avesse saputo dove si trovava, Irina non avrebbe parlato.

<< Non lo so, e comunque non ve lo direi >> rispose, << Ci volete morti solo perché siamo ancora fedeli a un fantasma? Lo stesso fantasma a cui è intitolato il locale in cui vi ritrovate? >>.

Felix e Jorgen si guardarono di nuovo, e Irina si tese come una molla. Era pronta a scappare, anche se probabilmente sarebbe servito a poco.

<< Lavoriamo per qualcuno che, esattamente come te, vuole vendetta >> rispose il francese.

<< Chi? I russi? >> ribatté Irina, << Gente di Las Vegas? Gente del Messico? Challagher aveva tanti nemici dai quali guardarsi... >>.

Jorgen scoppiò a ridere, una risata sgradevole e fastidiosa. Una zaffata di alcool le arrivò alle narici, mentre persino sul volto del francese di disegnava un sorrisetto. Gli altri sei non si mossero, quasi completamente invisibili.

<< Non c'entra un cazzo, tutto questo >> rispose, << Non hai idea per chi lavoriamo noi, e non credo l'avrai nemmeno quando ti verremo a cercare per spezzarti quel bel collo sottile che ti ritrovi >>.

Per quanto dovesse sentirsi in pericolo, in quel momento Irina provava solo rabbia. Una rabbia profonda per come la stavano trattando, per quello che stavano facendo, per la gente che avevano ammazzato, per la memoria di chi stavano infangando.

Non si era aspettata di poter provare qualcosa di simile all'orgoglio, ripensando alla Black List, eppure era quello ciò che provava in quel momento. Per quanto avesse disprezzato ogni singolo pilota, per quando avesse creduto che fossero tutti nel torto, mai aveva pensato che quei piloti non meritassero il loro posto: erano i migliori in ciò che facevano, cioè guidare, e nessuno avrebbe mai potuto privarli del loro titolo, anche se si trattava di un titolo criminale. E lei, anche se costretta, era stata una di loro, una delle più forti, così forti che le sue capacità erano state riconosciute e sfruttate persino da quel mondo che doveva definirsi "civile", da quella gente che si vantava di stare alle regole.

<< Che cosa volete? >> domandò solo.

Jorgen la guardò e si sporse verso di lei, mostrando i denti gialli in un sorriso orribile.

<< Vogliamo la città >> rispose, << Vogliamo Los Angeles e Las Vegas. Vogliamo una nuova Black List, con un nuovo nome e nuovi piloti >>.

Solo in quel momento, sul suo polso, Irina vide un tatuaggio che prima non aveva notato: era un pezzo degli scacchi, una torre nera stilizzata.

<< Non so per quale motivo voi vogliate vendetta >> rispose, gelida, << Non so da dove arrivate, né perché stiate cercando di appropriarvi di quello che una volta apparteneva allo Scorpione, e non so nemmeno chi sia il vostro capo. So solo che la Black List è ed è stata anche mia, e non me ne frega un cazzo se volete ammazzarmi. Prima dovete prendermi, perché mi farò ammazzare solo da chi è in grado di battermi in una gara >>.

Irina si alzò in piedi, lasciando che le sue parole scavassero un segno nei volti di Jorgen e Felix. Aveva appena dichiarato guerra a una banda di criminali di cui non conosceva le potenzialità, ma Fenice non poteva accettare quell'affronto, come non aveva potuto accettare il tradimento da parte della polizia. Non poteva lasciare che un paio di piloti sbucati fuori dal nulla distruggessero la Black List, guidati da un capo che non aveva il fegato di mostrare la sua faccia...

Si voltò, sapendo di correre un rischio enorme, dando le spalle al nemico, e si avviò verso la porta. Prima di uscire si girò un'ultima volta, per fissare dritto in faccia Felix.

<< Scoprirò perché avete fatto ammazzare l'agente Alexander Went >> aggiunse, << Perché è evidente che ci siate voi, dietro alla sua morte >>.

Non attese la risposta; uscì dalla sala e raggiunse l'esterno del locale, senza guardarsi indietro. Sapeva che non l'avrebbero seguita, non questa volta.

La Punto era parcheggiata sotto la luce dei lampioni, e solo quando fu a bordo Irina si prese il tempo per pensare a quello che era appena successo. La sua vendetta per Xander si stava intrecciando con la volontà di non vedere la memoria della Black List distrutta da una banda di criminali fuori controllo. Non era giusto, lo sapeva. Xander non l'avrebbe mai accettato; non avrebbe mai tollerato che lei difendesse a spada tratta lo Scorpione e quello che aveva creato, così come William non avrebbe mai accettato di vedere un membro della sua Black List vendicare la morte dell'agente dell'F.B.I. che lo aveva fatto arrestare.

Eppure, Irina sentiva che erano giuste entrambe le cose; sentiva di non poter lasciare tutto come stava.

Los Angeles era stata sua quando era stata la numero tre della lista di Challagher, ed era stata sua quando era diventata agente speciale della polizia. In ogni caso, nel bene e nel male, lei c'era sempre stata, e aveva capito che entrambi i suoi due mondi avevano il diritto di esistere.

Ora capiva che forse il destino esisteva. Che forse il suo era quello di vivere tra quelle vie, di guidare tra quelle strade, come pilota o come poliziotta, era indifferente, perché lei voleva solo che la gente potesse vivere la propria vita in tranquillità; le gare non erano nulla, in confronto a tutto ciò che le contornava. Come aveva detto a Spark, era così che dovevano rimanere: auto modifiche, corse per le strade deserte e qualche inseguimento con la polizia ogni tanto, nient'altro. Finché ci fosse stata lei, poteva sperare che un mondo del genere, in bilico tra il legale e l'illegale, potesse esistere.

Poteva lasciare che quel poco che rimaneva dello Scorpione venisse distrutto? No.

Poteva lasciare che chi aveva ucciso Xander vagasse libero per le strade? No.

Poteva portare avanti due battagli contemporaneamente?

Era Fenice, poteva fare qualsiasi cosa, anche tentare di onorare la vita di due persone completamente diverse e che si erano sempre odiate.

Afferrò il cellulare e cercò il numero di Spark.

<< Pronto? >>.

<< Sono Fenice >> disse, mettendo in moto la Punto, << Sono appena entrata in guerra con un certo Jorgen. Non so da dove arrivi questo tizio, ma voglio sapere tutto quello che sta succedendo in questa città. Tra mezz'ora sono al vostro spiazzo. Voglio gente ancora fedele allo Scorpione. Cerca chi ha contatti con chiunque abbia lavorato con lui, anche per un solo giorno. Voglio sapere tutto quello che c'è da sapere. Ho smesso di giocare, adesso >>.




Ore 22.00 – Mosca

Dimitri inchiodò l'Audi R8 sulla linea di partenza, alzando una nuvola di vapore per via degli pneumatici che scaldavano l'asfalto gelido. Sentì il motore scendere di giri, i muscoli del collo sciogliersi e l'adrenalina calare nelle vene. Il buio della notte non riusciva a mascherare il volto soddisfatto di suo cugino Emilian, che lo guardava dall'altro lato della strada, di fianco a Edgar Matveev. Non erano gli unici ad aver osservato la gara con interesse: in ordine sparso, c'erano un po' di boss locali, e qualcuno venuto anche da più lontano.

Alle sue spalle, Severin Burenko fermava con una brusca frenata la sua Porsche Cayman GT4 nera e rossa, gli scarichi fumanti e il paraurti ammaccato. Pochi secondi dopo, Miroslav Woboroba inchiodava dietro di lui con la Aston Martin DB9 blu scuro, lo specchietto retrovisore sinistro divelto e il parabrezza crepato. Per ultima arrivò la Lotus Evora bianca di Timur Romanesko, con il posteriore completamente schiacciato.

Dimitri poteva considerarsi soddisfatto: era stata una gara combattuta, divertente e violenta al punto giusto. Inoltre, aveva sfidato tre avversari che davvero avrebbero fatto di tutto per ammazzarlo, e batterli era stato anche un bel colpo alla loro autostima.

Burenko era quello che aveva cercato di soffiargli il posto di Lince; Woboroba era il fratello più piccolo di Konstantin , un tipo che in effetti aveva del talento, al volante; e Timur Romanesko, il figlio di di Anatoly Romanesko, il capo famiglia che aveva tentato, e tentava, di innescare una faida con la Lince ormai da diverso tempo

Tuttavia, non era per loro che la gente era venuta; i russi erano lì per vedere una delle rare gare ufficiali della Lince. L'aveva indetta lui, dando il compito a Radim e Ivan spargere la voce e invitare chi aveva dei conti in sospeso con la Lince a gareggiare, per chiudere le questioni in un modo un po' meno violento del solito. Aveva racimolato ben tre avversarsi abbastanza incoscienti da sfidarlo sul suo terreno preferito. Forse sarebbe stato più semplice vederlo perdere sul ring, che sulla strada.

Scese dalla R8 e esaminò la fiancata, un po' rovinata per via della botta che aveva rifilato a Burenko. Aveva perso uno specchietto retrovisore e scheggiato i fari posteriori, ma non era niente in confronto alla Porsche, alla Aston Martin e alla Evora. Per un attimo, la gara gli aveva ricordato quelle fatte a Los Angeles, dove il suo unico compito era stato quello di distruggere l'avversario.

Il fiato di Dimitri si condensò in nuvolette di vapore, quando rimase a guardare per qualche istante la gente lì intorno annuire con convinzione di fronte alla sua vittoria. Non gli piacevano i cerimoniali, ma in quel caso erano necessari e servivano ai russi per consolidare nella loro testa la fiducia che riponevano nella Lince.

Non disse nulla, mentre raggiungeva Emilian. Suo cugino si complimentò, proprio mentre Dimitri notava una chioma bionda baluginare tra i capelli e le barbe scure dei russi. Non si stupì di trovarla lì.

Nina Kraracova, avvolta nella sua pelliccia bianca di ermellino, lo osservava da lontano, gli occhi azzurro cielo illuminati da una luce sinistra, i capelli morbidi che si muovevano nel vento gelido. Evidentemente suo padre, nonostante fosse decaduto dalla carica di Ministro, aveva trovato il modo di farle aggirare anche i gli arresti domiciliari...

<< Sei davvero un pilota fenomenale >> commentò Edgar Matveev, guardandolo con i suoi occhi neri come la pece, << Dicevano il vero, quando descrivevano le tue gare a Los Angeles >>.

Dimitri fece una smorfia. I complimenti di quell'uomo non sarebbero stati mai sinceri, nonostante si stesse sforzando di mantenere buoni rapporti, dopo il loro primo incontro. Annuì in silenzio.

<< Come promesso, pagherò da bere a tutti voi al Black Diamond, stasera >> rispose, << Ma ho un problema con il tuo protetto che voglio risolvere, prima >>.

Matveev sembrò allarmarsi; si mosse sul posto, nervoso.

<<Chi? >> domandò, fingendo di non capire.

<< Milad Buinov >> rispose Dimitri, duro, << L'ho visto troppe volte dalle mie parti... E le mie orecchie mi riferiscono che fa troppe domande, soprattutto su di me e la mia famiglia >>.

Matveev sbiancò all'improvviso, ed Emilian ridusse gli occhi a due fessure, fissandolo.

<< Non... Non lo vediamo da un po' >> rispose l'uomo. Nonostante il freddo, qualcosa che sembrò sudore brillò sulla sua fronte.

<< Bè, allora cercalo. E quando lo hai trovato, fagli capire che non è saggio darmi troppo fastidio... Sanno tutti che non sono particolarmente paziente >> rispose Dimitri, la voce bassa come un ringhio, << Se sei il suo patrigno, dagli delle regole, e fallo subito. Non tollero nessuno chi si intromette negli affari miei e della mia famiglia >>.

Edgar annuì, e Dimitri capì di essere stato sufficientemente convincente. L'uomo si allontanò, la testa incassata nel collo e la tensione visibile nei movimenti. Sicuramente avrebbe fatto qualcosa, perché anche lui avrebbe riconosciuto il fatto che mettere in pericolo la famiglia della Lince sarebbe stato poco saggio, soprattutto perché sapeva come era finita con Vladimir.

Dimitri se ne sarebbe voluto andare immediatamente, ma poteva approfittare della presenza in quel frangente di un po' di persone con cui voleva parlare. Molto probabilmente non avrebbe ottenuto nulla, ma fare un tentativo gli sarebbe servito per sondare le acque. Era ancora interessato a scoprire chi aveva cercato di ucciderlo.

Si rivolse a Emilian, già pronto a scattare ai suoi ordini. Il ruolo di Referente era perfetto per lui, e ogni giorno che passava lo capiva; per quanto fosse ruvido di carattere e di aspetto poco rassicurante, cosa che lo rendeva molto simile a lui, aveva sempre potuto contare sul suo supporto. Gli era stato fedele anche nei momenti peggiori, fino a mettere se stesso in secondo piano. La faccia sfregiata era un regalo fatto proprio da Vladimir Buinov, quando lo avevano cercato insieme.

<< Occupati tu di loro >> gli disse, << Portali al Black Diamond. Offri loro da bere a spese mie. Devo parlare con la Krarakova >>.

Emilian annuì.

<< Vuoi qualcuno con te? >>.

<< No. Andrò direttamente a casa, non aspettatemi >>.

Dimitri salutò con un cenno il cugino, e si voltò, raggiungendo a grandi passi Nina. La sua inconfondibile pelliccia bianca brillava sotto la luce dei lampioni, esattamente come i suoi lunghi capelli biondi, tenuti lisci come fili di seta. Era sempre intollerabilmente bella, ma nei suoi occhi brillava una luce strana, meno tronfia di quella che li aveva animati nel passato. E il suo naso non era esattamente perfetto come due anni prima: un'impercettibile gobbetta spuntava proprio al centro.

Nina sembrò sorpresa, quando lo vide avvicinarsi. Fece un passo indietro, prima di stamparsi sul viso un sorrisetto di circostanza, la guardia del corpo che ultimamente si portava dietro che si irrigidì di colpo di fronte alla Lince in persona. Era un tizio grosso, ma dall'aria stupida.

<< Non ho intenzione di farti del male, quindi dì al tuo cane da guardia di stare calmo >> proruppe Dimitri, osservando la finta espressione sicura che Nina ostentava. << Non mi va di spargere il suo sangue in giro, stasera >>.

<< Allora cosa spinge la Lince ad abbassarsi a rivolgere la parola proprio a me? >> ribatté lei, stringendosi nella pelliccia.

Dimitri fece un cenno verso il piccolo bar al lato della strada.

<< Ti offro da bere >> rispose.

Sul viso dai tratti perfetti di Nina si dipinse un po' di diffidenza. Da quando era finita in carcere con il naso spaccato dal pugno di Fenice, un po' della sua sicurezza sembrava svanita; si era fatta vedere di meno in giro, e lo aveva fatto con maggiore discrezione. Aveva ricevuto una bella lezione, e aveva rischiato davvero di finire in una cella del carcere femminile, senza smalto, profumo e soprattutto senza il suo parrucchiere di fiducia. Si sarebbe ricordata per un bel po', di quella vicenda.

Alla fine Nina lo seguì fin nel bar, in silenzio. Dimitri lasciò che prendesse posto dove preferiva, prima di sedersi di fronte a lei, la guardia del corpo che si appostava all'ingresso del locale, guardinga. Ordinarono un Martini con ghiaccio e della vodka liscia, r Dimitri la lasciò parlare per prima.

<< In dieci anni che ci conosciamo, non mi hai mai invitato a bere qualcosa >> esordì Nina, ironica, << Il potere ti ha forse dato alla testa? >>.

<< Continuo a pensare che tu sia una donna di cui non bisogna mai fidarsi, Nina >> rispose Dimitri, gelido, << Nemmeno quando una come te si è abbassata a farsi trovare nuda nella mia stanza... Ma non mi piace nemmeno umiliare la gente >>.

Molto probabilmente, Dimitri era l'unico ad aver mai visto Nina Krarakova arrossire come una bambina. Quella notte in cui si era infilata nel suo letto senza vestiti e lui l'aveva respinta piuttosto freddamente dovevano essere rimasti impressi nella sua memoria in modo indelebile. Il rifiuto non era qualcosa che aveva mai dovuto contemplare, nella sua esistenza.

Nina non arrossì questa volta, ma sembrò in imbarazzo. Afferrò il suo bicchiere ed abbassò lo sguardo, e Dimitri capì che per un brevissimo, assurdo istante, Nina si era illusa che le avesse chiesto di bere un drink con lei per un motivo che non fosse semplicemente fare affari. Nonostante tutto, niente era cambiato, ma lui si ritrovò a essere infastidito.

<< Allora cosa vuoi? >> domandò lei seccamente, per togliersi dall'imbarazzo.

<< Qualcuno sta cercando di uccidermi >> rispose Dimitri, << E quello che voglio è che mi confermi di non essere tu la mandante >>.

Nina lo guardò, gli occhi azzurri ridotti a fessure, palesemente confusi.

<< Cosa diavolo vuoi dire? >> ribatté.

<< Sono quasi certo che non sia tu la persona che ha assoldato sei squadre per farmi fuori, anche se hai le risorse e le conoscenze per farlo >> spiegò Dimitri, fissandola dritta in faccia.

Nina sorseggiò il suo Martini, prima di ridacchiare.

<< Cosa ti fa credere che non sia stata io? >> domandò.

<< Tu odi molto più Fenice, che me >> ribattè Dimitri.

Il sorriso sulle labbra di Nina morì all'istante, e lui capì di aver colto nel segno.

<< Non sono stata io a mandare dei sicari a ucciderti >> rispose lentamente, << Contento di saperlo? E sì, voglio Fenice dentro una bara e la sua stupida auto da quattro soldi in uno sfasciacarrozze... Ma questi sono affari tra me e lei >>.

<< Sai qualcosa su questa storia? >> domandò Dimitri.

<< Di chi ti vuole fare fuori? >> disse lei, sprezzante, << C'è un sacco di gente che vorrebbe farlo, primi fra tutti i Woboroba. Ma no, non so niente. Perché dovrei? Ho passato l'ultimo anno tra avvocati e aule di tribunale per riguadagnarmi la libertà per colpa della tua amica americana e di quel cazzo di agente dell'F.B.I.... Non ho avuto tempo da perdere a farmi gli affari degli altri >>.

<< In ogni caso, sei fuori di galera >> commentò Dimitri.

Nina sorrise appena.

<< Sappiamo entrambi che i servizi segreti russi sono facili da comprare >> rispose.

Dimitri allontanò il bicchiere di vodka vuoto, mentre Nina non gli staccava gli occhi di dosso, quasi si aspettasse da lui qualcos'altro. Osservava il suo orecchio con interesse, come si trattasse di un accessorio molto alla moda. Era una cosa che facevano quasi tutte le ragazze che lo incontravano, a dir la verità

<< Bene >> disse lui, << Ho solo un avvertimento da darti, Nina: non provare a mandare assassini a Los Angeles >>.

Nina lo guardò allarmata, ma poi fece una smorfia. I suoi capelli si mossero come fili di seta scossi dal vento, catalizzando su di lei l'attenzione degli uomini del bar, attenzione che in realtà non era mai calata.

<< Potrei averlo già fatto, no? >> ribattè, guardandolo negli occhi, ma Dimitri capì che stava bluffando, o almeno lo sperò, << In questo caso, cosa faresti? >>.

Dimitri la fissò, alzandosi con lentezza. La ragazza sembrò allarmarsi, quando lo vide incombere su di lei.

<< Ti ucciderei >> rispose solo, voltandosi e andando a saldare il conto, prima di lasciare il bar, gli occhi azzurri di Nina incollati alla sua nuca.

Mentre guidava la R8 tra le strade buie di Mosca, diretto al suo appartamento, quello della palazzina dei Goryalef, Dimitri ripensò alla chiaccherata con Nina. Era sempre stata pericolosa, e con un torto da ripagare lo diventava ancora di più; non era del tutto certo che non fosse in grado di assoldare qualcuno che andasse fino a Los Angeles a uccidere Irina... Ma se fosse successo qualcosa, sicuramente Went sarebbe piombato lì a piantare casino nel giro di qualche giorno, e a quel punto lui sarebbe stato al corrente della questione. Went non si era visto né sentito, quindi a Los Angeles doveva essere tutto tranquillo.

Quella sera voleva passarla a casa sua, nel suo appartamento, per avere sotto controllo Vilena, Yana e Sergey, anche se comportava avere Darina tra i piedi. Aveva bisogno di alcune cose a casa sua, e voleva il suo sacco da boxe in soffitta per fare allenamento.

Parcheggiò l'auto nel garage sotterraneo, dove l'Hummer nero riluceva nella penombra, e la Lamborghini Huracan arancione metallizzato, l'ultimo acquisto della sua collezione, riposava pacata e tranquilla al posto della Ferrari California bianca che aveva occupato quel posto due anni prima. Era stata sequestrata, e molto probabilmente giaceva inutilizzata in qualche deposito a San Francisco, o forse, ancora peggio, era nelle mani di qualche riccone grasso e sudato.

Raggiunse la tromba delle scale, e mentre percorreva il piccolo corridoio freddo, pestò qualcosa di strano sotto il tappetino di fronte all'ascensore; si abbassò, perplesso, e quello che trovò praticamente sotto i suoi piedi fu un piccolo coltellino, dalla lama di sei centimetri circa, e dal manico rosso.

Dimitri lo osservò per qualche istante, mentre addosso sentiva crescere il fastidio. Era un avvertimento, un avvertimento che lo mandò in bestia come poco altro poteva fare.

Si voltò di scatto, quando nella tromba delle scale sentì un rumore di passi, attutito. Ci mise un attimo a risalire il piano e trovare Milad Buinov cercare di sgattaiolare fuori, sul vialetto di uscita del palazzo.

Prima che potesse uscire, Dimitri lo afferrò per il collo e lo sbattè con violenza contro il muro, facendogli battere i denti. Portò la sua faccia a un centimetro dalla sua, le labbra arricciate in un ringhio muto, le dita che gli stringevano la gola abbastanza da mozzargli il respiro.

Se non fossero esistite regole, se non fosse stato la Lince e non si fosse chiamato Dimitri Goryalef, lo avrebbe ucciso in quel momento. Non tollerava minacce da nessuno, soprattutto da un ragazzino idiota figlio di quello che aveva sgozzato per vendetta nei confronti di sua sorella.

Dovette trattenere la forza, per non stringere la morsa sulla sua gola e soffocarlo. Era minorenne, non poteva ammazzarlo, anche se praticamente non aveva più una famiglia e nemmeno un vero ruolo nel giro di Matveev. Nessuno sarebbe venuto a reclamarlo, ma lui sarebbe andato contro le regole.

<< Non accetto minacce da te, chiaro? >>ringhiò Dimitri, scadendo le parole una a una.

Milad, che lo fissava in silenzio, troppo controllato e troppo poco spaventato per i suoi gusti, rispose piano.

<< Non l'ho messo io >>.

Dimitri strinse la presa sul collo, facendogli staccare i piedi da terra.

<< Non prendermi per il culo, ragazzino >> disse, << Questa è casa mia, e questa è la mia città. Avvicinati ancora a questo posto, rivolgi il tuo sguardo su qualche Goryalef che non sia io, e questo coltello te lo pianto nella gola >>.

Milad lo guardò in modo strano, quasi vacuo.

<< Qualcuno verrebbe a chiedere di me... >> ribatté.

<< Chi? Edgar Matveev? >> ringhiò Dimitri, mentre sentiva sotto le dita i battiti del cuore del ragazzino accelerare, << Per come sta facendo il suo lavoro di mentore, ammazzerei anche lui. Sarai anche bravo come informatico, ma non vali tutti i problemi che dai. Vattene immediatamente da qui, e augurati che non decida di chiedere a Edgar di affidarti a me... >>.

Dimitri lo lasciò andare di colpo, e Milad non se lo fece ripetere due volte: sgattaiolò fuori senza nemmeno guardarsi indietro, mentre lui chiudeva il portone lasciando fuori l'aria gelida di Mosca. Lo guardò scappare e sparire oltre l'angolo della strada buia e deserta, furioso.

Fissò per qualche istante il coltello che teneva stretto in mano, e capì che aveva davvero due soluzioni: uccidere quel ragazzino o costringerlo a stare con lui, per tenerlo sotto controllo. Poteva educarlo a suon di bastonate, dandogli le regole che nessuno gli aveva insegnato e sperare che potesse redimersi, in qualche modo. Nessuna delle due alternative gli piaceva, ma in quanto Lince doveva mettere da parte l'orgoglio e mostrare di saper essere equo, quando doveva.

Iniziava a odiare quella posizione. Ecco perché in passato, quando era stato suo padre a proporgliela, l'aveva sempre rifiutata: troppi vincoli, per uno come lui. Se le era sempre dato da solo, le regole; non aveva bisogno che una posizione gliele imponesse.

Risalì le scale, ma prima passò da Vilena per controllare che tutto fosse ok. I bambini dormivano e sua sorella non dava segni di aver visto strani movimenti in giro, quindi non le disse nulla riguardo a Milad. Le augurò buona notte con un grugnito e raggiunse il suo appartamento, cercando di sbollire la rabbia.

Si innervosì, quando qualcuno bussò alla sua porta pochi minuti dopo che era entrato. Andò ad aprire, trovando una Darina un po' irrequieta e avvolta nella vestaglia da notte, i capelli raccolti sulla nuca con uno chignon.

<< Ciao... >> lo salutò, stringendosi le mani, << Posso parlarti? >>.

Dimitri la fissò in silenzio per qualche secondo, poi si fece da parte e la lasciò entrare; per fortuna bussava ancora, prima di entrare, anche se aveva le chiavi.

<< Cosa c'è? >> domandò, brusco.

<< Ho visto un tizio che si aggirava qui intorno, poco fa... >> rispose piano lei, e l'idea sembrava spaventarla molto, << Non so, però aveva un'aria strana... >>. Solo in quel momento sembrò notare il coltello dal manico rosso appoggiato sul tavolino, e lei si irrigidì ancora di più.

<< Me ne sono già occupato >> rispose Dimitri, asettico, << Per il momento, la situazione è sotto controllo >>.

Darina si stropicciò nuovamente le mani.

<< Ehm... Ok >> disse, << Rimarrai qui anche le prossime notti? >>.

Dimitri capì in quel momento cosa voleva quella ragazza: aveva paura di rimanere di sotto nell'appartamento di Ivan, in piena notte e da sola. Chiunque avrebbe colto l'occasione per sfruttare quella ragazzina ingenua, ma lui non aveva alcuna intenzione di farlo.

<< Forse >> rispose, neutro, << Dirò a mia sorella di trovarti un letto nella stanza con Yana e Sergey, se questo ti fa sentire più tranquilla >>.

Darina scosse rapidamente il capo.

<< No, no, non voglio scomodare nessuno >> si affrettò a dire, facendo un passo indietro.

<< Allora puoi dormire sonni tranquilli >> disse Dimitri, afferrando il coltello sul tavolino, << Lo ucciderò, se lo vedrò girare di nuovo da queste parti >>. Rigirò l'arma tra le dita, sotto lo sguardo di Darina.

<< Ehm... Buona notte, allora >> disse lei, voltandosi e raggiungendo la porta.

Dimitri fece una smorfia, quando finalmente rimase di nuovo solo nel suo appartamento che troppe volte quella ragazza aveva già violato. Si diresse verso la camera da letto, passando davanti a quella degli ospiti, la porta spalancata sulla stanza vuota, stranamente fredda.

Aveva posto, ma non lo avrebbe ceduto. Quella era casa sua, decideva lui chi poteva e non poteva starci, e niente gli avrebbe fatto cambiare idea, nemmeno sua sorella.

Gettò una rapida occhiata alla stanza degli ospiti; quella era stata la sua stanza. Non ci era più entrato, e non lo avrebbe fatto nessun'altro. Non serviva a cambiare le cose, ma effettivamente era quello che voleva.

Afferrò la maniglia della porta della camera e la chiuse, lasciando lì dentro uno degli ultimi pezzetti di umanità che gli rimanevano.

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