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Capitolo X


Ore 01.00 – Dalton Beach

<< Sono Fenice, e voi dovreste ricordarvi ancora di me. Sono la numero uno della Black List >>.

Le parole di Irina, pronunciate con forza e decisione, caddero in un silenzio sorpreso, teso e strano. Nessuno si mosse, nessuno fece un passo verso di lei, nessuno disse qualcosa. Per un momento, l'unico rumore che sentì fu lo scrosciare delle onde che si infrangevano sulla sabbia della spiaggia poco lontana, mescolato alla musica improvvisamente abbassata.

Non aveva paura, se ne rese immediatamente conto. Nonostante fosse da sola, e molto probabilmente vista come nemica, capiva di essere qualcuno che poteva dire ancora la sua, da quelle parti. Forse proprio in base a quello si sarebbe deciso il suo destino. Sapeva cosa doveva dire, ci aveva pensato a lungo.

<< So cosa state pensando >> continuò, osservando i volti dei ragazzi davanti a lei, sospettosi, diffidenti, << Fino all'altro giorno per voi ero solo la sbirra più pericolosa di tutta la città, quella da cui dovevate guardarvi. Alcuni dei vostri amici sono dietro le sbarre perché sono stata proprio io a catturarli... Ma sapete anche chi ero prima di tutto questo: ero Fenice, la numero tre della Black List. Ero il braccio destro dello Scorpione, quello che voi conoscete come il miglior pilota clandestino di tutti i tempi. Quello di cui voi sognate di emulare le gesta.

<< Conoscete tutti la sua storia, e sapete che è stato catturato anche per colpa mia. Non mi interessa cosa stiate pensando di me, non mi interessa che crediate io sia una traditrice. Forse lo sono, o forse sono solo una pentita. Quello che dovete sapere è che io sono qui in veste di Fenice, e lo faccio per un solo motivo: anche io sono stata tradita. Sono stata usata dalla polizia come agente per catturare voi, con la promessa di avere qualcosa in cambio. L'unica cosa che ho avuto sono state bugie. Sono sei mesi che ho smesso di essere il vostro incubo, lo sapete; chi di voi mi ha visto ultimamente per la strada? Ora l'unica cosa che voglio è essere l'incubo della polizia. Rivoglio la Black List, rivoglio tutto ciò che lo Scorpione ha creato>>.

Non poteva dire la verità; non poteva raccontare che tornava tra loro per indagare dall'interno, per trovare chi aveva ucciso l'agente dell'F.B.I. che aveva catturato lo Scorpione. Ma tutto il resto, forse, era vero. Era vero che voleva essere l'incubo della polizia, era vero che era stata tradita. E nel profondo del suo essere, forse voleva addirittura di nuovo la Black List.

Irina fissò in silenzio la gente che la guardava, e non abbassò mai gli occhi. Doveva reggere la parte, e ciò significava convincere prima di tutto se stessa, di essere la numero uno. Doveva essere esattamente la maschera che in passato aveva costruito per se stessa: Fenice, la donna dello Scorpione.

Ad un certo punto, un ragazzo sui trent'anni, magro e dinoccolato, con una rada barba scura, fece un passo avanti. A giudicare dalla cartellina nera che teneva in mano, doveva essere quello che gestiva le scommesse sulle gare.

<< E se questa storia fosse una trappola? >> domandò seccamente, mentre qualcuno mormorava il suo assenso.

Irina fece un sorrisetto, prima di rispondere.

<< Una trappola? >> rispose, << Secondo voi avrei sfruttato questa occasione per prendere pesci piccoli come voi? So meglio di te che questa è una gara aperta, che quelli che gestirai stasera sono solo pivelli... La verità è che qui non siete nessuno, i pezzi grossi di voi non gareggiano da queste parti. Sempre che di pezzi grossi ne esistano ancora... Ma ciò non toglie che tra di voi non ci sia qualcuno da prendere in considerazione per la mia Black List >>.

Di fronte al suo tono sprezzante, un paio di ragazzi sembrarono offendersi, e fecero qualche passo avanti. Il tizio magro però li fermò muovendo un braccio, e loro non si mossero ulteriormente, i volti arcigni illuminati dalla luce dei lampioni.

"Non mi sono sbagliata. E' lui che gestisce la corsa, stasera".

<<Nemmeno William Challagher si è mai fidato di te >> ribatté il ragazzo.

Irina capì di non poter sfruttare l'ignoranza di quei piloti; aveva sperato che nessuno sapesse, o ricordasse, quello che era davvero successo quattro anni prima. Le voci che l'avevano accompagnata in passato non si erano completamente dissolte.

<< Non vi sto chiedendo di fidarvi di me >> rispose, << Vi sto dicendo di ridarmi il mio posto di pilota clandestina. Perché? Perché io sono più forte di tutti voi messi insieme, e posso dimostrarvelo >>.

Il ragazzo con la barba la fissò per qualche istante, mentre Irina si rendeva conto di essere diventata come lo Scorpione... Forse era l'effetto di essere i primi della Black List.

<< Vuoi gareggiare, Fenice? >> domandò.

<< Se qualcuno ha il coraggio di sfidarmi >> ribatté.

Il ragazzo ghignò, voltandosi verso la gente raggruppata nella piazzola.

<< Allora signori, abbiamo qui la numero tre della Black List! >> gridò, sottolineando la sua vecchia posizione, << Qualcuno vuole tentare di farle il culo? Qualcuno ha qualche amico da vendicare? Perché Fenice è pronta a essere sfidata... E si dice che abbia perso la mano! >>.

In un primo momento, nessuno si mosse. La osservavano sospettosi, intimoriti, qualcuno addirittura spaventato. Poi, i due ragazzi di prima, forse suoi coetanei, si fecero avanti.

<< Io voglio gareggiare! >> disse uno, quello più basso, dai tratti vagamente orientali.

<< Anche io! >> disse l'amico, sventolando in aria le chiavi di un'auto.

Poi fu la volta di un ragazzino che sembrava aver appena preso la patente, e poi di due bestioni dall'aria feroce, forse fratelli. Si unirono anche un tizio di colore vestito in modo sgargiante, e un ragazzo dai capelli rasta. Nessuna donna osò provare.

Irina guardò con un misto di approvazione e soddisfazione i suoi cinque sfidanti. Il ragazzo dello scommesse si voltò verso di lei, sorridendo. Quella situazione sembrava eccitarlo molto.

<< Fenice, hai i tuoi avversari! >> annunciò, trionfante.

La musica venne nuovamente alzata di volume, e Irina capì di essere riuscita nel suo obiettivo. Se la facevano partecipare, significava che stavano credendo alla sua storia. Annuì, avvicinandosi al gruppetto che si stava formando e che avrebbe delineato il tracciato della gara.

<< Come ti chiami? >> domandò Irina al ragazzo delle scommesse, incrociando le braccia.

<< Io? Sono Stephen >> rispose lui, mentre apriva la sua cartellina nera, << Ma puoi chiamarmi Spark >>.

Irina inarcò un sopracciglio.

<< Spark? >> ripetè.

Lui ridacchiò. Con il capo indicò un punto lontano nel parcheggio, quasi al limitare. Irina vide un'auto un po' fuori posto, la in mezzo: una Chevrolet Spark verde brillante. Era una specie di piccolissima monovolume, un'auto adatta a una madre che doveva portare i figli a scuola, e non a un pilota clandestino. Però era stata modificata in modo molto evidente: sul posteriore spiccava un vistoso alettone in tinta carrozzeria, e aveva paraurti ribassati e cerchi in lega bianchi.

<< Era l'auto di mia nonna >> spiegò Spark con una punta di divertimento nella voce, << L'unica cosa che mi ha lasciato. Ottanta cavalli di pura potenza >>. Le strizzò l'occhio, e Irina vide baluginare un sorrisetto dietro la sua barba scura.

<< Non sta a me giudicare la tua auto >> ribatté tranquillamente, << Nessuno ha mai puntato un dollaro sulla mia >>. Fece un cenno con il capo verso la Punto, da sempre considerata di categoria inferiore.

<< Io non corro, Fenice >> disse Spark. << Non sono portato >>.

Istintivamente, Irina si ritrovò a sorridere di fronte alla sua schiettezza. Per un attimo, le ricordò Max i primi tempi che si erano conosciuti.

<< Quindi gareggiamo alla tua maniera? >> aggiunse il ragazzo, guardandola.

Irina annuì.

<< Ci giochiamo le auto >> rispose lei, percorrendo con gli occhi i suoi sfidanti, che si erano raggruppati intorno a lei, << Conserva i libretti nella tua cartellina, e consegnali al vincitore a fine gara. E' così che si fa, tra veri piloti. Chi vuole scommettere denaro può farlo, ma non noi. Noi rischiamo le macchine >>.

Controvoglia, i piloti consegnarono a Spark i libretti della auto, mentre Irina si dirigeva verso la Punto. Passò la mano sul muso, tiepido, mentre sentiva l'adrenalina iniziare a scorrere lentamente nel suo corpo. Respirò a fondo l'odore del mare, della salsedine mescolata a quello della benzina, degli pneumatici, del fumo e dell'alcool.

Si rese conto di non sapere se tutto quello le era mancato; era difficile. Ogni occhiata, ogni odore, ogni rumore, le riportavano alla mente ricordi antichi, ricordi di serate passate in quello stesso parcheggio, prima per cercare di fare un nome, poi per mantenere la nomea di Fenice. Ricordava ogni istante, perché anche se lei aveva amato quella sensazione che l'aveva sempre pervasa prima e durante una gara, ricordava anche quel senso di abbandono, di solitudine, di paura che l'aveva sempre accompagnata. Quello non era mai stato il suo mondo, fatto di crimini, superalcolici, feste e denaro; ma non lo era stato nemmeno quello di serate passate a casa, o in compagnia di amici, o di ronde con le volanti della polizia. Forse, e ora lo capiva perché aveva vissuto entrambe quelle vite, nessuna delle due era davvero la sua dimensione.

Se tutto fosse filato liscio, se lei fosse stata riammessa tra i piloti di Los Angeles, avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco: sarebbe dovuta andare alle feste, nei locali, a conoscere e parlare con le persone giuste. Lo aveva già messo in conto. Per certi versi, avrebbe dovuto sopportare nuovamente quello che della sua vecchia vita non le era mai piaciuto.

Salì sulla Punto, cercò il libretto nello sportello e lo porse a Spark, quando lui si avvicinò per comunicarle che la gara stava per cominciare.

<< E se perdi? Non avrai più la tua auto... >> disse lui, prendendo il libretto e impilandolo insieme agli altri.

Irina gli fece un mezzo sorrisetto.

<< Allora significherà che ho davvero perso la mano >> rispose, << In quel caso, ti offrirò da bere >>.

Spark diede una pacca alla Punto, divertito. La sua barba fremette in un ghigno.

<< Ok, ci sto >> disse, << Schierati. Siamo impazienti di vedere dal vivo le capacità di Fenice >>.

Lentamente, la Punto si diresse verso il punto di partenza, segnalato da una ragazza dai capelli rossi e pantaloncini corti. Irina si fermò, in attesa, le dita che tamburellavano sul volante.

Esattamente come aveva sempre fatto prima di una gara, gettò un'occhiata alle spie sul cruscotto: acqua, benzina e giri motore. Controllò gli specchietti e la profondità del volante. Sfiorò il pedale del gas, giusto per accertarsi che tutto fosse davvero a posto. Erano movimenti meccanici, quasi scaramantici, che le ritornarono in mente immediatamente, senza sforzo. Era evidente, li aveva nel DNA.

Rapidamente, le auto degli sfidanti si piazzarono ai suoi lati, quasi a volerla circondare: erano un'Audi A4 dorata, con adesivi cangianti sugli specchietti, una BMW serie 1 bianca con dei vistosissimi cerchi in lega azzurri, una Nissan Skyline blu notte con l'alettone nero, una Ford Mustang rosso rubino con le strisce centrali bianche, e una Toyota GT86 verde scuro, ricoperta di adesivi sponsor.

Erano auto abbastanza potenti, anche senza modifiche, ma Irina sapeva che non contava quanti cavalli avessero sotto il cofano; quello che importava era in che modo sapevano guidarle.

Sentì le auto far salire di giri il motore, quando la ragazza rossa passò davanti a loro, osservandoli uno a uno. Lei però non si mosse; rimase in attesa, il piede che sfiorava appena il pedale.

"L'esperienza è quello che vi manca, ragazzi. La partenza migliore non prevede mai una sgommata".

La rossa fece un cenno con il capo, alzò la mano e gridò qualcosa. La piazzola venne invasa dal ruggito dei motori, la gente che urlava e incitava.

Poi, la ragazza calò la mano, e Irina premette l'acceleratore, facendo schizzare avanti la Punto senza alcuna fatica, senza far pattinare le ruote, mentre lo stridore delle gomme della Mustang copriva il suono della folla.

Prima, seconda, terza, quarta... Le marce sfilarono sotto le mani di Irina alla velocità della luce, veloci come il suo stesso pensiero. Non aveva bisogno di ragionare, di calcolare, lo ricordò quando si ritrovò senza alcuna fatica in testa, i fari della Punto che illuminavano il breve rettilineo davanti a lei.

Sorrise, mentre sterzava destra, imboccando la decima strada, mentre nello specchietto retrovisore vedeva la Skyline blu decisa a tallonarla, dietro di lei gli altri quattro piloti.

"Devo rallentare, per giocare con voi?".

Svoltò a sinistra, mentre il semaforo rosso le rimaneva stampato negli occhi. La Punto reagiva come sempre: leggera, maneggevole, agile. Era per quello che l'aveva scelta, perché era fatta per correre in città, per sgusciare via tra i vicoli e le auto come non sapevano fare le altre.

Sentì la Skyline avvicinarsi, il rombo del motore che cercava di intimorirla. Irina strinse il volante, spostandosi a destra, poi a sinistra, mentre vedeva in lontananza la sopraelevata che l'avrebbe portata a Redondo Beach...

Lo stava provocando, e il tizio della Nissan lo aveva capito. Accelerò, cercando di toccarle il posteriore con il muso, ma Irina sterzò a sinistra, zigzagando per la strada, incurante di essere contromano. Un furgoncino solitario inchiodò sul marciapiede, vedendoli arrivare, terrorizzato.

Irina scalò di una marcia, mentre la Skyline tentava di sorpassarla a destra, accelerando all'improvviso. Lei lo lasciò passare, la Mustang rossa si avvicinava alle loro spalle, intralciando la strada all'Audi e alla BMW. In fondo, la Toyota cercava di recuperare terreno.

Un bus notturno suonò il clacson, quando la Skyline gli tagliò la strada, e la Punto dietro di lei. Irina affondò il piede sul gas, mentre la sopraelevata si avvicinava... Era importante arrivare alla fine nella posizione giusta, perché li aspettava un'inversione di marcia di quasi trecentosessanta gradi. Un solo errore, e finiva la gara.

Lanciò che la Nissan le facesse strada, salendo sulla rampa a tutta velocità, e accelerò ancora. Per un attimo, ebbe la sensazione che la Punto prendesse il volo, e fu una sensazione nuova, per lei. Molto probabilmente non aveva mai preso una salita a così alta velocità, ma non aveva il tempo per pensarci ora...

Le luci dei lampioni sembravano palle di fuoco inchiodate al cielo, mentre passavano a tutta velocità all'altezza di venti metri, le finestre delle case oscurate ai loro lati e il rumore del motore nelle orecchie.

Approfittò della scia della Nissan anche in discesa, finchè non vide l'incrocio. Dovevano svoltare a destra, prendere la strada che li riportava indietro di duecento mentre e li faceva sbucare sul lungomare...

La Skyline si mise a sinistra, per avere un maggior margine di sterzata, e Irina la seguì. Nella frazione di un secondo valutò quando poteva rischiare, senza schiantarsi contro il pilone della sopraelevata, e decise.

Con uno scatto, Irina sterzò a destra, si portò di fianco alla Nissan e tirò il freno a mano.

Come la pennellata in un pittore, la Punto disegnò un cerchio perfetto sull'asfalto, lasciando a terra nient'altro che i segni neri degli pneumatici sul terreno; si infilò nella via come un proiettile, quasi senza nemmeno sbandare, lasciando la Skyline indietro.

Irina si lasciò scappare una risata, mentre guardava lo specchietto retrovisore e vedeva lo stupore del ragazzo con i capelli rasta a bordo della Nissan. Le riuscivano ancora alla perfezione, quei giochetti. Se quello significava aver perso la mano...

Affondò il piede sull'acceleratore, superò un camion dei pompieri con la sirena accesa, e sbucò sul lungomare, lasciando dietro di se solo la polvere sollevata dalle ruote. Il motore della Punto ruggiva beato, mentre lei la spremeva fino all'ultimo sul rettilineo con il mare alla sua sinistra, i lampioni quasi una scia luminosa sopra la sua testa.

180... 200... 210...

La Punto correva senza lasciare speranza ai suoi avversari. Non era mai stata la più veloce, ma era sempre stata una delle più brave, e lei lo ricordò con piacere, in quel momento, mentre la ragazza rossa che aveva dato loro il via li aspettava sventolando un fazzoletto bianco, sotto le luci del parcheggio, la musica di sottofondo e la gente che gridava e festeggiava, ricordando improvvisamente chi erano i piloti della Black List.

Irina inchiodò la Punto con uno stridore di gomme, mentre vedeva la Skyline, l'Audi, la BMW, la Mustang e la Toyota tagliare il traguardo, molto, troppo indietro.

Il suo cuore iniziò a rallentare, mentre vedeva gli occhi della gente su di lei, gli sguardi stupiti, i volti estasiati, le labbra aperte in sorrisi ed esclamazioni. Era un primo passo, ma era un buon segno. Forse quelli non erano i piloti che avrebbero potuto dargli una mano, ma era pur sempre il suo rientro nel mondo delle corse, e stava andando alla grande.

Rimase in auto, in attesa che i suoi avversari sbollissero la rabbia. Vide il tizio della Mustang rossa gridare qualcosa a Spark, che comparve tra la folla, la cartellina in mano e la gente mormorava. La raggiunse, porgendole i libretti delle auto con un sorriso sulle labbra, mentre un gruppetto di ragazzi si avvicinava per guardare la Punto... Cominciavano a fidarsi di nuovo di lei.

<< E questi sono tuoi, allora, Fenice! >> gridò Spark, << Sei proprio come dicevano! >>.

Irina aprì la portiera e scese dall'auto, mentre il tizio della Mustang si avvicinava e sembrava avere tutta l'intenzione di prenderla a pugni. Per uno stranissimo motivo, non la spaventò; una volta c'era lo Scorpione a difenderla dalle teste calde, ora non più. Ora sapeva difendersi da sola.

<< Ehi Ed, hai perso, non puoi farci niente >> disse Spark, rivolto all'uomo, mentre Irina gli faceva cenno di scostarsi.

<< Bene Ed, hai qualche problema con me? >> ribatté lei, e l'uomo inchiodò di scatto, forse colto alla sprovvista da un atteggiamento così tranquillo.

Ed grugnì, e qualcuno ridacchiò. In effetti, era piuttosto grosso, e a giudicare dal collo taurino doveva frequentare molto la palestra.

<< Si gareggia così, dalle mie parti >> continuò Irina, << Fa le corse chi è in grado di guidare... Chi non lo è, perde l'auto. Questa è la mia città, e io sono Fenice. Lo Scorpione è morto, il Mastino è sparito, quindi ho tutto il diritto di essere la numero uno della Black List, e lo sarò finché qualcuno non sarà in grado di battermi. Sicuramente quel qualcuno non sei tu >>.

Sventolò davanti ai suoi occhi i libretti delle auto, e Ed fece una smorfia. Aveva tra le mani un bel gruzzolo, lo sapeva; poteva rivendere cinque auto al mercato nero e farci un sacco di denaro che le sarebbe tornato utile per cercare informazioni. In più, sarebbe stata una bella lezione per chi in futuro avesse avuto l'idea di sfidarla.

Le era bastata una gara per guadagnare del potere. Potere che non le interessava.

Irina sfogliò i libretti con deliberata lentezza, finché non trovò quello della Mustang. Lo prese e gli gettò un'occhiata, poi alzò lo sguardo su Ed. Si accorse che non era l'unico a guardarla, in attesa. Anche gli altri suoi sfidanti erano fermi, silenziosi.

<< Sono Fenice, non lo Scorpione >> disse lei alla fine, << Posso decidere di gestire le gare, non i vostri soldi. Riprendetevi le vostre auto, non mi appartengono >>.

Irina gli porse il libretto, e Ed per un momento esitò. Improvvisamente sembrava fosse diventata un'aliena, agli occhi dei presenti; persino Spark la guardò stupito.

<< Non lo facevo ai tempi di Challagher, non lo farò oggi >> aggiunse, mentre Ed si riprendeva il libretto e poi distribuiva i rimanenti agli altri piloti.

<< Ve l'ho detto, non sono qui per interferire con i vostri affari >> continuò Irina, dirigendosi verso la Punto, tra un corridoio di ragazzi curiosi, << Sono qui per avere informazioni, per trovare delle persone. La polizia mi ha tradito, e al momento la mia intenzione è quella di darle il più fastidio possibile. Sto cercando chi possiede questo >>.

Dalla tasca, Irina tirò fuori la foto della Audi, e immediatamente l'attenzione fu catalizzata dall'immagine. Persino Ed tornò a guardarla.

<< E' una Audi Q7 Torec, e sapete meglio di me che Torec è un vecchio preparatore fallito >> disse a voce alta, in modo che tutti potessero sentirla, << Un preparatore che sembra essere ancora in attività, a quanto pare. Devo scoprire chi ha preparato quel suv, quindi se sapete di qualcuno che lavora per conto della Torec, vorrei saperlo >>.

Ci fu un mormorio generale, e Irina vide Spark scuotere il capo. Molto probabilmente, lì nessuno sapeva nulla. O forse non si fidavano ancora abbastanza da parlare.

<< Non mi aspetto che vogliate aiutarmi già da ora >> continuò, abbassando la foto, << Ma se qualcuno dovesse venire a sapere qualcosa, vi prego di farmelo sapere. Sarò in debito con voi, e ogni debito di Fenice viene sempre ripagato >>.

I ragazzi mormorarono qualcosa, e lei si diresse verso la Punto, decisa a mettere fine alla sua serata di gala. Molto probabilmente, di lì a poco la polizia sarebbe piombata da quelle parti, e lei non poteva certo già farsi trovare. E comunque, non si era aspettata di scoprire qualcosa già quella sera, ma era abbastanza fiduciosa.

Notò Spark in piedi in disparte, mentre Ed e i suoi amici tornavano alle loro auto. Nonostante tutto, le era sembrato un tipo a posto. Gli fece cenno di avvicinarsi, e il ragazzo la raggiunse, rapido.

<< Lavori per qualcuno? >> domandò Irina, la mano appoggiata al tetto della Punto, mentre intorno a loro i ragazzi tornavano alle loro occupazioni: guardare e commentare auto, ascoltando musica e bevendo birra.

Spark scosse il capo.

<< No, siamo tutti pesci piccoli qui, come hai detto tu >> rispose, << Piloti di seconda scelta. Da quando lo Scorpione è stato arrestato, non si è visto più nessuno in questa zona. La gente più importante si è spostata di zona, in luoghi più tranquilli. Sono solo pochi mesi che siamo tornati a ritrovarci qui... Sono io che ho proposto le gare da queste parti >>.

<< Eri già nel giro ai tempi dello Scorpione? >> chiese Irina, intuendo che Spark non fosse poi tanto nuovo.

<< Ho iniziato a bazzicare nel vostro giro solo pochi mesi prima che venisse arrestato >> rispose lui, << Ho visto le sue ultime gare... Era davvero un grande >>.

Gli occhi di Spark quasi si illuminarono, mentre parlava, e Irina sorrise appena, di fronte al suo tono rispettoso e sognante. William era stato un grandissimo pilota, forse il migliore, ma aveva avuto le sue debolezze, debolezze che era stato in grado di mascherare con maestria. Gli avrebbe sempre riconosciuto il fatto che era stato capace di diventare leggendario, agli occhi del mondo.

<< E' stato lui ad avere l'idea della Black List >> ammise Irina, << Doveva per forza essere un grande >>.

<< Lo eravate tutti e tre, dei grandi >> disse Spark, sorridendo, << I primi tre, intendo. Tu, il Mastino, lo Scorpione... Davvero, sapevate fare cose che tutti noi abbiamo sempre e solo sognato >>.

<< Anche noi avevamo i nostri limiti >> ribatté Irina, mentre un brivido le percorreva la schiena, al ricordo di quel passato che tutti definivano un sogno, ma che lei aveva vissuto come se fosse un incubo, << Il fatto che la Black List non esiste più conferma che non siamo mai stati invincibili >>.

Ci fu un momento di silenzio, nel quale Irina puntò gli occhi sui ragazzi che si accalcavano intorno al cofano di una Audi nera.

<< Perché sei tornata, Fenice? >> domandò Spark all'improvviso serio, << Sanno tutti che anche tu hai collaborato con la polizia per far catturare lo Scorpione... Poi sei addirittura diventata una poliziotta. Perché sei tornata sulla strada come pilota? >>.

Irina strinse le labbra, alzò il mento in segno di sfida e incrociò le braccia. Era pronta a quel genere di domanda, doveva esserlo per forza, con un passato come il suo.

<< Sei informato >> disse lentamente, << Cosa si dice in giro di me, Spark? >>.

Il ragazzo attese un momento, prima di rispondere. Non riuscì a vedere la piega della sua bocca, per via della barba.

<< Che non sei mai stata davvero fedele a Challagher >> rispose, con titubanza, << Che hai aiutato l'F.B.I. a farlo catturare, che sei sparita per due anni e poi ti hanno rivista in Russia in cerca di aiuto per far fuggire Challagher di prigione. Che in realtà lavoravi per la polizia, e che lo Scorpione piuttosto che farsi catturare si è lasciato morire. E che poi sei tornata qui e sei diventata una sbirra a tutti gli effetti >>.

<< Questo lo so già >> ribatté Irina, sorridendo, << Cosa si dice davvero? >>.

<< Che sei una puttana traditrice >>. Spark sembrò vergognarsi, per le sue parole.

Irina sorrise, divertita.

<< Bè, pensavo peggio >> disse alla fine, e notò l'occhiata stranita che Spark le rivolse, << Sono una traditrice, è vero. Ma non sono una puttana >>. Guardò Spark, pronta a prendersi tutta la responsabilità delle proprie parole, perché le sue ferite si erano rimarginate, lasciando cicatrici che l'avevano resa più dura, << La gente mi conosceva come la donna dello Scorpione, ma il nostro rapporto è sempre stato più complicato di quanto lui abbia mai dato a vedere >>.

<< Dicevano ti avesse comprata... >> buttò lì Spark.

<< Non mi ha comprata >> ribatté duramente Irina, << Mi ha tenuta con una catena al collo per via dei debiti di mio fratello... >>.

A quel punto, Irina tacque. Se avesse parlato, avrebbe smontato la maschera mistica e leggendaria che William Challagher aveva dipinto su se stesso, e scoprì di non volerlo fare. Scoprì che almeno per la sua città voleva che rimanesse famoso come lo era stato da vivo.

Scosse il capo, improvvisamente triste.

<< Il nostro rapporto non era così semplice come lui lo ha sempre voluto dipingere >> ribadì, << Ma questo non deve interessare alla gente. Se vogliono credere che io sia una puttana traditrice, lo facciano pure. Sono tornata perché la polizia mi ha usata e ha lasciato che uccidessero una persona molto importante per me. In passato ho pensato che il nostro fosse un mondo terribile, violento, basato solo sul crimine, ma mi sbagliavo. Ne ho conosciuto un altro peggiore, uno dove le bugie sono all'ordine del giorno, e le bugie sono peggiori anche di un colpo di pistola. Voglio vendetta, per la Black List e per la persona che mi hanno portato via >>.

Fissò Spark, che non sembrava avere parole da aggiungere al suo discorso.

"Se parlassi, potrei distruggere tutto ciò che rappresenta la tua leggenda in una manciata di secondi... La verità è che voi non avete idea, di quello che sia il nostro mondo".

<< Allora perché sei ripartita da noi? >> domandò Spark.

<< Perché voi siete quello che dovevamo rimanere >> rispose Irina, << Siete piloti che amano correre per le strade e basta. Vi piacciono le auto, vi piace modificarle, vi piace scappare dalla polizia quando capita... Non vi interessano i soldi, o il potere. Questo è quello che doveva essere la Black List, nient'altro >>.

Irina guardò ancora una volta i ragazzi assiepati intorno alle auto, e comprese di aver detto la sua verità. Forse non sarebbe stata condivisa, forse non sarebbe stata ciò che Spark voleva sentir dire, ma era quello che voleva lei. Niente droga, niente denaro, niente controllo; solo le auto e le corse. Era un'utopia, lo sapeva.

<< Forse... Forse hai ragione >> convenne Spark, incerto, << Ma Los Angeles non è mai stata tutto questo >>.

<< Lo so >>. Irina tornò a incrociare le braccia, << Una volta il centro della vita di questa città era il Gold Bunny. Dicevi che i pezzi grossi si sono spostati? Dove devo andarli a cercare? >>.

<< C'è un locale, a Hermosa Beach >> rispose Spark, << Forse troverai qualcuno lì che può darti una mano >>.

Irina annuì, rientrando nella Punto.

<< Grazie, Spark >> rispose, << Vai piano, con la macchina di tua nonna >>.

Il ragazzo le bussò sul finestrino, e lei lo abbassò. Un piccolo sorriso era tornato a increspargli le labbra.

<< Spargerò la voce che sei tornata a correre, Fenice >> disse, poi le porse un foglietto, << Questo è il mio numero di telefono. Se vuoi una mano, puoi chiamarmi >>.

Irina prese il foglietto, annuendo.

<< Può essere che ci rivedremo, allora >>.

Premette l'acceleratore e si lasciò alle spalle Dalton Beach.





Ore 01.00 – Mosca, Black Diamond

Dimitri fissava quasi senza vederlo il bicchiere di vodka vuoto appoggiato sul tavolino, Emilian che parlottava al cellulare con la moglie, nonostante l'ora. Cercava di parlare con un tono basso, ma la sua voce rasposa era comunque ben udibile. Forse Ivana stava male, o forse sentiva semplicemente la mancanza del marito.

Aveva ascoltato distrattamente per mezz'ora le lamentele di un paio di russi che tenevano d'occhio la zona est di Mosca; Konstantin Woboroba stava cercando di dar fastidio ai loro smerci di droga nel quartiere, e lo faceva per intralciare la Lince. Dimitri aveva garantito il suo intervento, ma non aveva specificato in quale modo. Forse poteva chiedere a Konstantin di vedersela con lui sul ring, in un faccia a faccia nel quale un buco nella mano sarebbe stato per lui quasi un regalo...

La cravatta gli stringeva il collo, e la camicia gli tirava sulle spalle. Doveva essere per via degli incontri di mezz'ora prima: aveva i muscoli ancora tesi. Cercò una posizione più comoda sulla poltrona, ma non la trovò.

<< Emilian, va a casa >> disse all'improvviso, voltandosi verso suo cugino, in piedi vicino alla finestra.

L'uomo, la faccia sfregiata che tentava di mostrare un qualche tipo di espressione, lo fissò.

<< Ivana sta bene >> ribatté, con ancora il telefono incollato all'orecchio. La sua voce però ebbe un'inflessione.

Dimitri fece una smorfia; mai come con suo cugino Emilian aveva capito come una donna potesse cambiare le prospettive di un uomo, anche di un mezzo mostro come lui. Aveva sempre saputo che la gente non avrebbe scommesso un soldo bucato, sul fatto che Emilian potesse trovare un giorno una moglie. Ma forse era stata Ivana a trovare lui; Dimitri riteneva che fosse un bene, in ogni caso.

<< Tua moglie potrebbe essere incinta >> ringhiò per essere convincente, << Va' a casa e accertati che lo sia. Se non lo è, rimedia >>.

Emilian lo fissò, e per un secondo sembrò balenare un sorrisetto, sul suo volto. Dimitri sapeva che con lui bisognava essere espliciti; lo innervosiva parlare in quel modo di Ivana, ma era giusto dire le cose come stavano. Quella donna meritava le attenzioni di suo marito più di lui.

<< Non ho bisogno di te qui, in questo momento >> aggiunse, << Radim è fuori; se ho bisogno chiamerò lui. Ho tutto quello che mi serve, in ogni caso >>. Fece un cenno verso le due valigette appoggiate di fianco alla sua poltrona.

<< Mentre scendi controlla se c'è Milad Buinov, da qualche parte >> aggiunse Dimitri, guardandolo uscire.

Quando rimase solo nella stanza, Dimitri tornò a fissare il bicchiere vuoto, un po' più tranquillo. Tutto sommato, le cose procedevano abbastanza bene: stava riprendendo contatto con tutti i piccoli capi mafiosi locali, aveva dato chiare e poche regole, e stava iniziando a pensare all'organizzazione della Mosca-Cherepova di quell'anno. Doveva mettere a posto ancora un paio di cose, e forse almeno Mosca sarebbe stata una città ordinata. Molto probabilmente non sicura, ma ordinata.

I suoi problemi più grossi erano altri. Primo fra tutti, Milad: lo aveva beccato un paio di volte a gironzolare al Black Diamond con aria falsamente innocua, ma lui era convinto che fosse lì per un motivo preciso.

Poi c'erano quegli strani movimenti di cui gli aveva accennato Ivan, a Los Angeles. Gli aveva detto di cercare informazioni, e quello che era venuto a scoprire era molto strano: come aveva già detto Boris, sembrava che in città i piloti clandestini si fossero fatti più aggressivi... E che qualcuno stesse cercando i membri della Black List.

Si era chiesto se centrasse lei, ma era sicuro che non era così. Fenice aveva chiuso con il loro mondo, forse in generale aveva chiuso con le auto che avevano più di cento cavalli.

Bussarono alla porta, riscuotendolo dai suoi pensieri. Radim entrò, la pistola stretta in mano.

<< E' arrivato >>.

<< Fallo entrare >>.

Rafail Demidoff varcò la soglia con un sorrisetto sardonico sul volto, i baffetti grigi ben pettinati, il completo grigio perfettamente stirato. Si gettò un'occhiata intorno, poi si diresse verso di lui.

Dimitri non si alzò, nemmeno per stringergli la mano. Demidoff si accomodò sulla poltrona davanti a lui, perfettamente a suo agio, nonostante fosse lì per fare affari molto lontani dal suo corretto e onorevole lavoro da agente dei servizi segreti. Si sentiva tranquillo, e Dimitri si chiese come facesse, quando l'ombra della corruzione lo avvolgeva così palesemente.

<< Lince >> lo salutò il russo, per aprire la conversazione.

<< Chiudiamo questa cosa, Demidoff >> ringhiò Dimitri, senza preamboli, << Sono stanco di vederti girare dalle mie parti, seguire i miei uomini e chiedere un contatto con me. Soprattutto perché non fai il tuo lavoro; cerchi solo denaro. Ho quasi pensato di ucciderti, per togliermi questo problema, ma non ho voglia di avere i servizi segreti tra i piedi, e dover comprare troppi silenzi >>.

Demidoff sembrò rimanere impassibile, ma una leggera contrazione della sua mascella fece capire a Dimitri che sapeva che la sua non era una minaccia vana. Era vero, aveva valutato quella possibilità.

<< Potremmo instaurare un'ottima collaborazione >> iniziò Demidoff, passandosi una mano sul mento, << Fare qualche affare insieme... >>.

Dimitri gli rivolse un'occhiata gelida.

<< Non voglio nessuna collaborazione con te >> rispose, << Voglio solo che ti levi dai piedi per un po'... Al massimo, quello che puoi fornirmi sono informazioni >>.

Gli occhi del russo brillarono.

<< Possiamo valutare... >> mormorò.

Dimitri afferrò una valigetta ventiquattro ore e la appoggiò violentemente sul tavolino, che tremò sinistramente.

<< Qui dentro c'è l'equivalente in rubli di duecentocinquantamila dollari >> disse, << Credo siano sufficienti per farti sparire per un bel po' da Mosca, e per tenere occhi, orecchie e bocca chiusi. Sei d'accordo? >>.

Non era propriamente una domanda, ma Dimitri voleva essere corretto: se non andava bene, voleva saperlo subito.

Demidoff sorrise, e fu abbastanza furbo da non replicare.

<< Siamo d'accordo >> disse.

<< Bene >>.

A quel punto, Dimitri appoggiò sul tavolo una seconda valigetta, e tornò a guardare l'agente russo. Ricordò quel giorno in cui si erano visti la prima volta, per programmare la missione in Russia con Fenice. Aveva lo stesso sguardo baldanzoso, ma quella volta la sua gamba non si muoveva così convulsamente...

<< Qui ci sono altri centomila dollari >> disse Dimitri, << Questi mi servono per comprare informazioni >>.

<< Cosa vuoi sapere? >>.

<< Qualcuno ha tentato per sei volte di uccidermi >>. Con un dito, Dimitri indicò l'orecchio maciullato e la cicatrice sulla nuca, << E l'ultima volta qualcuno ha tirato in ballo la Black List. Pare che a Los Angeles stiano succedendo cose strane. Voglio sapere di cosa si tratta, se ci sono collegamenti con la Russia, se qualcuno ritiene di avere conti in sospeso con me. Voglio sapere tutto >>.

Demidoff appoggiò le mani sulle valigette, famelico, ma Dimitri non le lasciò andare.

<< Ci vorrà del tempo >> rispose il russo, << Devo riuscire a parlare con l'F.B.I.... >>.

<< Quattro settimane, non di più >> ribatté Dimitri, << Ti sto pagando in anticipo >>.

Demidoff deglutì.

<< Ok, siamo d'accordo >> rispose alla fine.

Dimitri tornò a poggiare la schiena sulla poltrona, mentre Demidoff afferrava le valigette e le metteva da parte. Gli versò un bicchiere di vodka, che bevvero insieme tutto d'un fiato per suggellare il loro accordo.

<< Puoi andartene >> lo liquidò, impaziente.

Demidoff fece un cenno con il capo, prese le sue valigette e lasciò Dimitri nuovamente solo.

Guardò l'orologio, e decise di andarsene.

Forse sarebbe dovuto passare al primo piano, ai tavoli da poker, per vedere dove si trovava Darina, ma non aveva voglia di vederla. La ragazza era venuta al Black Diamond con il suo permesso, perché il padre era al casinò per fare qualche scommessa, quindi aveva lasciato che si ritrovassero in quel posto, anche se non era certo il migliore per una riunione di famiglia. Bronislav l'avrebbe tenuta d'occhio.

Però non fu fortunato. Bronislav Pektrovic lo aspettava seduto a uno dei tavolini del bar, circondato a debita distanza dalle sue guardie del corpo. Era solo, segno che era lì per parlare con lui. Era un uomo corpulento, con due grossi baffi grigi, una testa quasi calva e un abbigliamento molto formale. Stava sorseggiando qualcosa di caldo, forse un the.

Uno dei suoi uomini lo invitò rispettosamente Dimitri ad avvicinarsi, e lui lo accontentò, dirigendosi verso il tavolo di Pektrovic.

<< Buonasera, Lince >> disse Bronislav, avvolgendogli la mano in tutte e due le sue, in segno di profondissimo rispetto, << Mi dispiace interrompere le tue attività, ma posso bere qualcosa con te? >>.

<< Non interrompi nulla, stavo per andarmene >> rispose Dimitri, prendendo posto di fronte a lui, << Hai qualche problema? >>.

Bronislav sorrise, scuotendo il capo.

<< No, Lince, no > rispose, << Sono solo preoccupato per mia figlia >>.

<< Può tornare a casa quando vuole, è mia ospite, non mia prigioniera >> rispose Dimitri, cogliendo l'occasione per ribadire la sua visione sulla questione.

<< Certo, certo, ti conosco Lince, so che sei corretto, da questo punto di vista >> disse Bronislav, mentre venivano serviti loro due bicchieri di un liquore scuro, molto forte, << Ma... E' Darina a non voler tornare a casa >>.

<< Sì, la compagnia di mia sorella Vilena le ha fatto male >> commentò Dimitri, caustico.

L'uomo lo guardò sorpreso, ma rimase serio.

<< Mia figlia ti da qualche tipo di dispiacere? Qualche fastidio? >> domandò.

<< No >> rispose Dimitri, << Ma mia sorella vuole tenerla con lei. Per quanto mi riguarda non sarà in pericolo, tornando a Kovrov... >>.

<< Perdonami se ti interrompo, Lince >> disse Bronislav, << Ma mia figlia rimane per te >>.

Dimitri arricciò il labbro, infastidito. Quella storia iniziava a diventare pesante, e la sua pazienza scarseggiava.

<< Tua figlia è già stata umiliata a sufficienza >> ringhiò, << Devo umiliarla anche io? Non ho intenzione di farlo. Che trovi una persona in grado di darle quello che le serve. Non ho intenzione di parlarne nuovamente >>.

Bronislav non sembrò offendersi, e la cosa insospettì Dimitri. Era sempre molto formale, e un rifiuto così diretto nei confronti della figlia poteva indisporlo...

<< Parlerò con lei >> convenne, << Mi dispiace crearti questo fastidio >>.

Per pacificare la situazione, alzò il bicchiere del liquore e lo bevve alla sua salute. Dimitri fece altrettanto, anche se un po' freddamente.

<< Convinca Darina a tornare a casa >> disse, alzandosi per andarsene, << Altrimenti la farò finire a letto con mio cugino Radim. Non difenderò il suo onore, in quel caso >>.

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