Capitolo VIII
You speak to me,
and I listen Like your words are curing me I know I wandered far until I couldn't see all that I need
[ Find my way back - Cody Fry]
Ore 15.00 – Santa Monica, Casa di Irina
<< Mi fa piacere rivederti qui, Irina, esattamente al punto di partenza >>.
William Challagher, la camicia bianca aderente al busto e con il primo bottoncino aperto, guardava Irina con aria divertita, i capelli castani tagliati di fresco e gli occhi verdi che scintillavano di derisione. Era seduto proprio di fronte a lei, in un tavolo di qualche locale buio e fumoso, che non riusciva a riconoscere, perché i contorni dello sfondo erano sfocati come se lei avesse bevuto. In realtà, era lucidissima, e il cuore che le batteva forte nel petto glielo confermava.
<< Avanti, dì qualcosa >> la incalzò lui, un drink stretto in mano e la catenella al collo con la targhetta e il suo nome che scintillava nella luce soffusa del locale.
Irina avrebbe voluto parlare, ma aveva la lingua incollata al palato, e non per la paura. Lo Scorpione la guardava come sapeva fare solo lui, con quel misto di strafottenza, derisione, rimpianto e tristezza, così lontani da quelli pieni di supplica che una sola volta gli aveva visto.
<< Mi dispiace, William >> mormorò, << Mi dispiace per come è finita, ma sei stato tu a scegliere... >>.
<< A scegliere cosa, Irina? >> ribatté lo Scorpione, irritato, << Avevo solo bisogno di aiuto, e tu non sei mai stata in grado di darmelo... Sei scappata con uno sbirro dell'F.B.I., e poi sei tornata per illudermi. Sei persino riuscita a venire a letto con me, quando non ti facevi nemmeno sfiorare. Mi hai guardato morire, come hai guardato morire il tuo amato Went... Davvero sei sempre stata tu la vittima, Irina? Sono gli uomini che ti amano a morire, non tu >>.
Irina si svegliò di scatto, spalancando gli occhi nella sua camera da letto silenziosa e invasa dalla luce del primo pomeriggio. Ansimò, mentre metteva a fuoco il soffitto e cercava di far smettere al cuore di battere come se volesse sfondarle la cassa torica.
Non dormiva quasi mai tranquilla, e quella notte William Challagher aveva deciso di tornare a trovarla. Lo aveva fatto diverse volte, nell'ultimo anno e mezzo, ma ultimamente le sue visite si erano fatte più frequenti. E aveva aggiunto nuove frasi, al suo discorso. Per fortuna, questa volta si era svegliata molto prima di iniziare a piangere di rabbia e di frustrazione.
Si mise a sedere a fatica, scuotendo il capo, stordita da quel sonno fuori orario, ma forse più dal fatto che aveva passato ventiquattro ore di inferno. Sentiva ancora il salato delle lacrime incrostato sulle guance, i muscoli delle gambe irrigiditi per via del lungo viaggio di andata e ritorno da San Francisco.
Fuori il tempo era migliorato, la pioggia era sparita e il cielo sembrava essersi sgombrato dalle nuvole. Si alzò, dirigendosi verso la finestra, per guardare la strada poco trafficata di fronte al vialetto di casa sua. Era ancora presto per il traffico dell'uscita dal lavoro e dalle scuole, ma la vicina stava portando il cane e fare una passeggiata.
Guardare la strada quasi vuota, e ascoltare il silenzio del primo pomeriggio le servì per mettere in ordine i pensieri.
In fondo, il William del suo sogno aveva ragione.
Era esattamente al punto di partenza, come sei anni prima.
Era come quando suo fratello Dominic era scappato, lasciando lei e la sua famiglia a pezzi e pieni di debiti, e improvvisamente William Challagher si era materializzato di fronte alla soglia di casa sua chiedendo quello che nessuno di loro aveva: soldi.
Allora non aveva niente, nemmeno la fama di pilota clandestina. Non aveva potuto contare su suo padre, sui suoi fratelli o su chiunque altro; aveva dovuto prendere una decisione, perché sul piatto c'erano la sua vita e quella della sua famiglia. Volontariamente, ma forse non troppo consapevolmente, aveva preso una decisione che avrebbe sconvolto la sua vita come nessun'altra, ed era diventata Fenice.
Adesso come allora, non poteva contare su più niente. Non aveva più un lavoro, non aveva più Xander, non aveva più nemmeno la sua auto. Quello che aveva era solo la determinazione, la voglia di scoprire chi aveva ucciso Xander e perché.
Si sedette sul bordo del letto, mentre stringeva tra le mani le chiavi della Punto, sperando che almeno la confortassero. Se glielo avessero chiesto in quel momento, di diventare una pilota clandestina, lei avrebbe risposto di no. No, non aveva la forza di affrontare la Black List, non aveva la forza di tenere testa a William Challagher, non aveva la forza per rinascere nuovamente. Tutto quello che faticosamente e dolorosamente si era guadagnata, tutta l'illusione di una vita normale, di una vita felice, erano sfumati in poche ore, lasciandola svuotata, sola, senza più forze.
Era esattamente al punto di partenza, e molto probabilmente William Challagher, ovunque fosse, lo sapeva e stava ridendo di lei.
"Guarda in faccia le cose, Irina. Hai scomodato Xander per farti salvare, hai abbandonato la Black List e ti sei fatta invischiare prima dall'F.B.I. e poi dalla polizia. Hai fatto di tutto per tenerti lontana dal tuo passato per due anni, e poi sei partita per la Russia appena te ne è stata data la possibilità, sputando su tutti gli sforzi che Xander aveva fatto per farti dimenticare. Hai ritrovato William e sei stata capace di ingannarlo, sei stata così brava a mentire che lui ha davvero creduto che lo amassi. Volevi davvero aiutarlo, ma l'unica cosa che sei riuscita a fare è stato dargli una spinta in più a morire. E poi, bè, hai rovinato il tuo rapporto con Xander in nome di notti passate a fare la poliziotta buona con un'auto da pilota clandestina. E' per questo che stai pagando: stai pagando per la tua incapacità di prendere davvero una decisione, di schierarti da una parte o dall'altra. Sei solo capace di stare con un piede in due scarpe".
Era vero, Irina ora capiva.
Quando era stata la numero tre della Black List, aveva solo desiderato uscirne; quando era stata una normale studentessa, le erano mancate le gare; e quando aveva fatto l'infiltrata per l'F.B.I., aveva deciso che voleva fare la poliziotta di strada.
E poi, c'era stato Xander, c'era stato William, c'era stato... Dimitri. Aveva amato uno, aveva perdonato un altro, e ... Bè, il resto non lo sapeva. Sapeva solo che ciò lo Scorpione diceva nel suo sogno era vero: gli uomini che l'avevano amata erano morti entrambi.
La rabbia rendeva ciechi, di solito, invece lei era molto lucida. Lucida a tal punto da capire che non poteva continuare a stare chiusa nel suo bozzolo, che doveva smetterla di crogiolarsi nella solitudine e nella sofferenza; doveva svegliarsi e prendere una decisione. Una decisione vera, che avrebbe preso di nuovo da sola, come sei anni prima, questa volta conscia delle conseguenze, conscia di quanto dolore le avrebbe portato, conscia di avere solo più un unico obiettivo, nella sua vita.
Era stata tradita da Los Angeles e dalle sue strade.
Era stata presa in giro dalla polizia e dall'F.B.I..
L'unica cosa che voleva adesso era la verità, e forse la vendetta.
Forse una volta avute entrambe, si sarebbe sentita in pace, sarebbe riuscita a dormire la notte senza incontrare fantasmi.
Guardò le chiavi della Punto, nel palmo della sua mano, mentre il suo stomaco si contraeva in modo strano, doloroso.
Non le importava più di stare alle regole, visto che nessuno lo faceva; non le importava più di rischiare la vita, tanto non le rimaneva niente da perdere; non le importava più di deludere qualcuno, tanto aveva già deluso se stessa.
"Non lo hai mai tolto, Irina, e molto probabilmente non lo avresti mai fatto".
La fenice tatuata sulla sua schiena sembrò quasi pizzicarle, quando pensò a lei. Un sorriso mesto le si dipinse sul volto, mentre ricordava il giorno in cui William Challagher le aveva chiesto di scegliersi un soprannome, visto che aveva guadagnato un posto nella Black List.
E lei aveva scelto Fenice, perché quando la strada era diventata casa sua lei si era sentita rinascere, convinta di aver trovato il proprio destino. Era come se già allora avesse saputo dentro se stessa che sarebbe morta e rinata tante volte.
Non si sarebbe smentita nemmeno stavolta.
Aveva solo un modo per scoprire la verità, e aveva solo un modo per vendicarsi del tradimento della polizia e della sua città.
Strinse le chiavi della Punto nel palmo della mano e si diresse verso il bagno.
Osservò il proprio riflesso come non faceva da mesi, e quasi non riconobbe la ragazza smunta, pallida e ombrosa che trovò nello specchio. Gli occhi erano cerchiati di nero, i capelli avevano bisogno di essere tagliati, e magari avrebbe dovuto prendere un po' di sole in più, l'estate precedente. Però era lei, la riconosceva dalla luce negli occhi, la stessa luce furiosa e arrabbiata che l'aveva condotta a sfidare tutta la Black List insieme.
Sarebbe tornata in strada, e lo avrebbe fatto come la numero tre della Black List. Avrebbe cercato chi aveva ucciso Xander e lo avrebbe fatto arrestare, umiliando la polizia e l'F.B.I., e ricordando a tutti che anche se era stata una pilota clandestina, aveva sempre avuto i suoi valori: l'onestà e la lealtà. Valori che alla fine non aveva nemmeno trovato nella polizia.
Gettò un'ultima occhiata al suo riflesso, e raccolse i capelli in una coda immaginaria, la stessa che aveva sempre portato quando era stata la ragazza dello Scorpione, la stessa con gli occhi da gatta e i pantaloni aderenti.
La riconobbe nello specchio; aveva solo qualche anno di esperienza in più, e forse meno ingenuità. Era lei, le mancava solo il trucco e gli abiti giusti.
"Bentornata, Fenice".
Irina salì sull'Audi TT, mentre ascoltava i messaggi lasciati sulla segreteria telefonica del suo cellulare. Da ventiquattro ore non sentiva nessuno; negli ultimi tempi quei silenzi tra lei e il resto del mondo erano diventati perfettamente normali, ma era certa che Sasha avesse avvertito Jenny dei suoi strani comportamenti, il giorno precedente. Spesso, credendo di non essere beccate, l'avevano tenuta d'occhio, e ora capiva che non avevano poi fatto così male, visto che dava evidenti segni di squilibrio. Ed era altrettanto certa che Jenny avesse chiamato a casa da suo padre Todd e gli avesse chiesto se era lì.
<< Ciao Irina, so che le cose non ti vanno tanto bene. Per favore, appena puoi chiama, non farmi preoccupare >>.
La voce registrata di Jenny era angosciata come se l'era aspettata, e sentiva sottofondo il pianto sommesso di Luke. Era stata lei la prima a cercarla, come sempre. L'aveva sempre tenuta lontana dal suo vecchio mondo, eppure era quella che le era sempre stata più vicina. Non si meritava un trattamento del genere, da parte sua, e Irina era cerca che un giorno le avrebbe chiesto scusa per tutto.
<< Quando ascolti questo messaggio, puoi richiamare? Sono un po' in pensiero, Jenny ti cercava e non ti ha trovata. Ti aspettiamo a cena, se vuoi >>. Questo era suo padre, un po' meno preoccupato e forse più perplesso.
<< Irina, cosa sta succedendo?! Dicono che ti sei dimessa dal Dipartimento! Ti prego, richiama me o Jenny, non sappiamo perché non rispondi al telefono >>. Sasha.
Irina non avrebbe richiamato nessuno dei tre, per quanto volesse bene a tutti loro. Ognuno di loro aveva i suoi problemi, la sua vita normale da mandare avanti, e lei non li avrebbe coinvolti esattamente come aveva fatto sei anni prima. Forse avrebbe semplicemente detto loro che stava bene, e che non dovevano preoccuparsi, e avrebbe sorvolato su tutto il resto. Sicuramente si sarebbero accorti che qualcosa in lei non andava, ma avrebbe fatto in modo di posticipare tutto il più possibile.
Trovò il garage di Max con la saracinesca aperta; chiudeva alle sette, e c'era ancora qualche cliente che aspettava la propria auto seduto nella piccola sala d'attesa con poster di auto e piante verdi che avevano approntato qualche mese prima. Un ragazzo, forse uno dei meccanici di Max, la vide e la riconobbe; le fece cenno con la mano di averla vista e di attendere un momento.
L'odore di olio per auto, di pneumatici nuovi e i rumori metallici di chiavi inglesi e attrezzi che venivano spostati da una parte all'altra le diedero una strana sensazione di benessere. Respirò piano, a pieni polmoni, cercando di ritrovare la stessa calma di quando andava a trovare Max nel suo piccolo garage, anni prima.
<< Irina? Che fai qui, non dovresti essere a lavoro? >>.
Max le venne incontro, il viso rotondo perplesso, i capelli un po' spettinati e la maglia macchiata di grasso per auto. Gli andò incontro a passo rapido.
<< Ciao Max >> lo salutò, fingendosi più tranquilla di quello che era, << No, la stazione radio non fa per me. Domani riprendo le mansioni normali >>.
Il ragazzo le rivolse un'occhiata senza cambiare espressione, mentre la accompagnava nel suo ufficio, vicino all'officina. Era una stanza quadrata, con una finestra che dava sul cortile, piena di poster di auto e con una scrivania bianca, qualche carta sul ripiano e una pianta verde nell'angolo. Tutto molto pulito e moderno, per uno che aveva a che fare tutto il giorno con olio, grasso e attrezzi di vario tipo.
Molto probabilmente Max non sapeva ancora niente del suo colpo di testa del giorno prima, e lei ringraziò il cielo. La sua bugia avrebbe funzionato, allora.
Mentre osservava con finto interesse l'immagine di una Ferrari 599 appesa alla parete, si accorse che Max la osservava in modo strano, ma familiare. C'era un velo di preoccupazione, nei suoi occhi.
<< Non hai un bell'aspetto... >> commentò, << Stai bene? >>.
Irina annuì.
<< Sono solo un po' stanca, stamattina mi sono alzata presto >> rispose con noncuranza, << Sono passata a chiederti se avevi una cosa, poi vado a fare un po' di spesa >>.
Quanto era diventata brava a recitare; si stupì del tono di voce tranquillo che era riuscita ad assumere. In fondo, aveva ingannato persino William Challagher, due anni prima, perciò poteva ingannare chiunque.
<< Cosa ti serve? >> chiese Max, curioso.
<< Abbiamo qualche problema con le ganasce per auto che ci hai fornito tre mesi fa >> spiegò lentamente Irina, cauta, << Alcune non si aprono bene >>.
Max la guardò interessato, come se il problema fosse davvero grave e ci andasse di mezzo lui.
<< La chiave gira, quando la inserite? >> domandò, << O la ganascia si apre ma non si sgancia dalla ruota? >>.
Irina ci pensò su un paio di secondi, per trovare la risposta che l'avrebbe aiutata di più a ottenere quello che voleva.
<< No, la chiave in alcune non gira >> rispose, << Non conservo io le chiavi delle ganasce, e sono convinta che qualcuno le abbia confuse. Solo che abbiamo un'auto da liberare, e il proprietario non è disponibile ad aspettare per riaverla indietro. Ha pagato la sanzione che gli abbiamo fatto, perciò non ha tutti i torti... >>.
Max annuì.
<< Bè, posso darti un passepartout dei miei >> rispose, aprendo un armadietto chiuso con una serratura, vicino alla porta di ingresso, << Però se mi porti i numeri di serie di quelli di cui non trovate le chiavi, posso farvene avere una copia in una settimana. Devo solo contattare il produttore >>.
Irina gli sorrise, anche se si sarebbe voluta strozzare.
<< Non posso aspettare una settimana >> rispose.
Max sospirò, e le porse un mazzo di chiavi strane, tutte arzigogolate. La guardò con un mezzo sorriso, prima di lasciargliele sul palmo della mano.
<< Ok, ti do i passepartout >> disse, << Ma solo perché sei tu. Sai che non potrei darli a nessuno. Portami i seriali delle ganasce di cui vi serve la copia della chiave, nel frattempo usate quello >>.
Irina strinse il passepartour nella mano e sorrise.
<< Grazie, ti devo un favore >> disse, mentre il stomaco si ripiegava su stesso per il senso di colpa, << Scappo che devo andare a comprare qualcosa >>.
Stava per uscire, quando Max sembrò ricordarsi qualcosa.
<< Ah, Irina >> la chiamò, e lei si voltò lentamente, molto lentamente, << La storia della Punto... Non mi hai più detto quando ti serve il rimorchio per portarla via dal garage del Dipartimento >>.
In quel momento, l'unica cosa che Irina avrebbe voluto fare fu sprofondare, ma non ci riuscì, semplicemente perché sapeva di essere già caduta molto in basso.
<< Oh... Bé, Senderson mi ha dato l'ok a portarla a casa circolando su strada normale >> rispose, << Magari la prossima settimana te la porto un pomeriggio, così gli dai un'occhiata >>.
Max non sembrò tanto convinto dalla sua risposta, ma non fece alcun commento. Annuì e la salutò.
<< Ci vediamo, allora >>.
Ringraziandolo nuovamente, Irina uscì dall'officina e la sua faccia tornò scura come era mezz'ora prima. Si sedette sul sedile della TT, mentre nella sua testa il piano folle che aveva ideato nelle due ore precedenti iniziava a seguire le fasi prefissate.
Prima di tutto, doveva riappropriarsi in ogni modo della sua auto.
Una volta riavuto la Punto, poteva tornare a fare la pilota clandestina.
Infilò le chiavi nel nottolino e avviò l'Audi, quando alle sue spalle, lenta, quasi stesse sfilando lungo la strada, vide passare un'auto nera, e lei la riconobbe già dal taglio dei fari.
Era una Nissan GTR Nismo, con i vetri completamente oscurati e i cerchi in lega neri. La sua linea sembrava disegnata con il righello, fatta di linee tese e spigolose, e un grosso alettone in carbonio ne occupava tutto il posteriore. Non aveva disegni o adesivi sulla carrozzeria, ma il basso ringhio del motore tenuto al minimo compensava l'assenza di fronzoli di quell'auto.
Irina non staccò gli occhi dalla Nissan nemmeno per un secondo, quando la vide passare, un po' perché il suo istinto le diceva che li dentro c'era sicuramente qualcuno che aspirava a diventare un pilota clandestino, un po' perché un'auto così non poteva che essere ammirata.
Solo quando sparì dalla strada, fece retromarcia e si diresse verso casa sua.
E per un attimo, un solo attimo, fu certa di aver intravisto i fari della Nissan GTR proprio dietro di lei.
Ore 23.00 – Mosca, Black Diamond Casinò
<< Terzo round, quarto incontro. Tre, due, uno, via! >>.
La voce dello speaker risuonò nell'arena, rimbombando sulle pareti nere della grande sala incontri del Black Diamond; Dimitri digrignò i denti, quando la folla che osservava l'incontro ruggì il proprio entusiasmo, infastidito dal tifo non desiderato. Sentiva il calore dei riflettori che gli scaldava la pelle e l'odore del disinfettante che il suo avversario aveva usato il sopracciglio spaccato.
Odiava la gente che guardava gli incontri, odiava la ragazza con l'abito nero che sventolava il cartello del terzo round, odiava il russo alto, muscoloso e in calzoncini verdi che lo fronteggiava. Odiava più o meno tutto di quel posto, eppure quando stava su quel ring riusciva a svuotarsi, riusciva a staccare definitivamente il cervello e trovare una valvola di sfogo all'energia distruttiva che aveva addosso.
Ioann Woboroba, il caro, carissimo cuginetto di Konstantin Worobora, attendeva che fosse lui ad attaccare per primo, forse nella speranza di guadagnare un minimo di vantaggio. Era grosso, i muscoli si tendevano sotto la pelle scurita dalle troppe lampade, e la sua forza era proporzionale alla sua stazza. Dimitri non aveva mai fronteggiato nessuno con una presenza fisica simile, ma non era preoccupato.
Ioann era stanco, lo vedeva da come respirava; era forte, ma non era veloce, e non era nemmeno paziente; colpiva cercando di fare più male possibile, e lo faceva con irruenza, senza pensare alla mossa successiva. Era così che Dimitri lo aveva beccato sul sopracciglio; fino a quel momento, gli aveva assestato solo piccoli colpi, per farlo innervosire e per renderlo più rabbioso nelle azioni. Lo stava facendo apposta: voleva farlo scoppiare.
Konstantin voleva ancora vendicarsi per la sua mano bucata, e lo faceva mettendogli contro il suo cuginetto campione di pesi massimi.
Dimitri ghignò, quando Ioann saltellò di fronte a lui, caricato dal ruggito della folla, e decise che voleva dargli una lezione con i fiocchi. Con un gesto brusco si levò i guantoni e li gettò a terra, fronteggiandolo a mani nude, le gocce di sudore che gli solcavano la pelle e gli bruciavano le escoriazioni che si era procurato durante il terzo incontro.
Valeva tutto, in quello sport senza nome e senza regole che a lui piaceva tanto; niente guantoni, mani nude, calci e pugni. Attese che Ioann si togliesse a sua volta le protezioni, e lo lasciò attaccare.
Pesante, il russo gli saltò addosso, cercando di colpirlo al fianco, mentre Konstantin gli gridava qualcosa che sopra il boato della folla era impossibile distinguere; Dimitri lo schivò, abbassandosi, e gli sferrò una gomitata in pieno stomaco, costringendolo a piegarsi dal dolore. Saltò dietro di lui, lo afferrò per la nuca e lo spinse a terra, facendogli sbattere il volto sul pavimento.
Il suono sinistro della cartilagine che si schiacciava non fu coperto dall'ovazione del pubblico, e arrivò dritto alle orecchie di Dimitri, confermandogli che Ioann avrebbe dovuto trovare un buon chirurgo plastico. Il russo gridò nell'esatto instante in cui una chiazza enorme di sangue rosso e scuro iniziò a spandersi sul pavimento, e il pubblico ammutoliva per la scena. Gli incontri disputati dalla Lince erano diventati famosi per la violenza fuori dagli schemi.
Un attimo dopo, Dimitri gli piantava un ginocchio in mezzo alla schiena e gli afferrava i capelli, facendogli alzare il volto. Afferrò il naso rotto che grondava sangue di Ioann e lo strattonò verso l'alto; un colpo, e il naso gli sarebbe saltato via dalla faccia.
Ioann sbattè violentemente una mano sul pavimento, per indicare la resa, e Dimitri lo lasciò andare di scatto. L'arbitro arrivò di corsa, un tipo anziano con pochi capelli sulla testa, mentre Dimitri si ripuliva le mani sporche di sangue sui pantaloncini.
Per qualche secondo, il pubblico rimase in silenzio, a osserva la scena di Ioann che si rialzava sulle proprie gambe con la faccia maciullata, e lui lo guardò con un ghigno lasciare il ring. Konstantin avrebbe dovuto mettergli contro qualcuno di ancora più violento, per sperare di farlo fuori, e lui non vedeva l'ora di incontrarlo.
<< Quarto incontro vincente per Dimitri Goryalef! >> gridò lo speaker, entusiasta, << Un applauso per la nostra Lince! Mai nessuno era arrivato a tanto, su questo ring! >>.
Dimitri rifiutò la mano dell'arbitro, che aveva intenzione di fargli alzare il braccio in segno di vittoria, e si diresse verso il suo angolo, per recuperare l'asciugamano e ripulirsi meglio le mani. Sentiva ancora l'odore del sangue di Ioann, e la cosa gli dava fastidio. Emilian gli porse una bottiglietta d'acqua e lui la afferrò, bevendola quasi tutta d'un fiato e gettandosi addosso tutto il resto, per raffreddare la sua pelle sotto il calore delle luci del ring.
<< Ti fermi, per stasera? >> gli domandò suo cugino, mentre la sua faccia bruciata dall'acido sembrava quasi demoniaca, sotto i neon.
Dimitri annuì.
Non era mai arrivato a sfidare e vincere contro quattro avversari in una sola serata; non lo aveva mai fatto nessuno, come aveva detto lo speaker. Ultimamente, sfidarne un paio non lo svuotava più come una volta, quando fare a botte con un paio di russi gli rendeva la testa più vuota; ora ne aveva bisogno almeno di tre, questa volta quattro. Probabilmente il nervosismo da smaltire stava diventando troppo, da quando era ufficialmente la Lince e si occupava di cose che non gli piacevano.
Emilian andò a parlare con l'arbitro, e lui si rimise l'accappatoio addosso, scese dal ring ignorando gli applausi e le grida del pubblico e raggiunse gli spogliatoi, dove il silenzio lo rese meno teso.
Il suo spogliatoio era vuoto; si sedette come faceva sempre di fronte allo specchio, su uno sgabello vecchio e malconcio. I cassetti dove c'erano le medicazioni erano tutti ben chiusi, ancora.
I graffi che aveva sul torace quasi non li sentiva, sopra tutte quelle cicatrici; risaltavano solo per via del colore rosso, altrimenti lui non li avrebbe nemmeno visti. Per il resto, aveva qualche livido, un paio di escoriazioni sulle spalle e uno zigomo graffiato. Per essere uno che aveva affrontato quattro russi, aveva un aspetto discreto.
Era più allenato, ora che si guardava nello specchio se ne rendeva conto; negli ultimi mesi aveva intensificato gli esercizi, perché fuggire da un posto all'altro per l'Europa lo innervosiva, e i risultati li vedeva ora. Il tatuaggio della testa di lince che aveva sulla spalla si tendeva sotto i muscoli rigonfi e madidi di sudore. Non gli piaceva, ma era stato necessario farlo.
Lasciò perdere i graffi e tutto il resto, e si gettò sotto la doccia, per levarsi di dosso l'odore del sangue di Ioann e la polvere del ring. Quando si rivestì, Emilian bussò alla sua porta, accompagnato da Radim.
<< Ti serve qualcosa? >> domandò Emilian, porgendogli una valigetta che conteneva il denaro che aveva guadagnato vincendo i quattro incontri di quella sera.
<< No >> rispose Dimitri, senza toccare la ventiquattrore, << Dalla a Vilena. Dille di dividerla con la famiglia, o di farne quello che vuole. Che compri qualcosa ai bambini >>.
Emilian annuì e passò la valigetta a Radim.
<< C'è Boris, nella sala 15 >> continuò suo cugino, << Ti sta aspettando >>.
Dimitri annuì. Si allacciò le maniche della camicia e strinse il nodo alla cravatta, facendo una smorfia. Quell'abbigliamento formale lo costringeva, ma era richiesto per l'accesso ai piani superiori, e non voleva che facessero un'eccezione per lui, che era la Lince. Accettava la cosa, anche se a fatica.
Raggiunse la sala 15 percorrendo rapidamente il casinò, con qualcuno che ogni tanto gli gridava qualche complimento per gli incontri. Per fortuna, in ascensore non trovò nessuno, e raggiunse il quinto piano dell'edificio in fretta.
Boris Goryalef iniziava a mostrare il peso degli anni, anche se lo faceva solo con qualche striatura bianca tra i capelli neri e un nuovo dente d'oro che brillava dalla sua bocca. Stava giocando a biliardo, ed lo faceva da solo: era strano non trovarlo in compagnia di qualche ragazza giovane e carina. Doveva essersi contenuto, perché sapeva di stare per incontrare la Lince, e non suo nipote Dimitri. Per lo meno era un miglioramento rispetto al passato.
Quando lo vide entrare, Boris mise da parte la stecca, e allargò le braccia in segno di saluto.
<< Dimitri, finalmente ti rivedo! >> disse gioviale, l'anello d'oro che brillò per un attimo, << Ho saputo della tua visita a Tula. Pare che non ci siano più problemi, adesso >>.
Dimitri fece una smorfia, mentre andava a sedersi su una delle poltrone all'angolo della stanza.
<< Per il momento >> grugnì, << Spero di non doverci tornare. Ho scoperto che il figlio di Buinov sta lì. Lo sapevi? >>.
Boris ridacchiò.
<< Ora sì, lo so >> rispose, riprendendo in mano la stecca, << Ma ne avrà un altro paio in giro. Se non ricordo male, prima che Emilian cercasse di tagliargli la gola, aveva un sacco di successo con le donne >>.
Dimitri gli rivolse un'occhiata infastidita: al momento, non gli importava di quanti figli nascosti avesse Buinov; gli importava di quello che conosceva già. In ogni caso, sapeva che suo zio Boris aveva due sole fissazioni: i soldi e le donne.
<< Sapevi che hanno cercato di uccidermi?>> continuò Dimitri, impassibile.
Boris nemmeno lo guardò.
<< Quante volte? >>.
<< Sei >>.
Il russo dalla barba scura gli rivolse un'occhiata, sorridendo.
<< Dio, Dimitri, sei sempre peggio >> disse, << Li hai squartati vivi, quelli che volevano ammazzarti? O li hai trattati come Ioann Woboroba? >>.
Dimitri arricciò il labbro.
<< Non sono vivi, questo è quello che è importante >>.
<< Continua >>, lo incitò Boris, scoccando un tiro un po' storto che fece cadere nel buco una sola pallina.
<< L'ultima volta che ci hanno provato è stato qualche settimana fa, a Madrid. Nessuno, a parte Emilian sapeva dove mi trovavo, quindi ho iniziato a pensare che forse non devo cercare il mio nemico in Russia >>.
Boris strinse la stecca da biliardo e si voltò a guardarlo, l'espressione improvvisamente seria.
<< Che vuoi dire? >>.
<< Forse centra la Black List >> rispose Dimitri.
Boris tornò a ridacchiare.
<< Challagher è morto >> ribatté.
<< Appunto >> convenne Dimitri.
Boris tacque, gettò un'occhiata alle palline disposte sul tavolo da biliardo e poi avanzò verso il tavolino dove teneva una bottiglia di vodka. Se ne versò un bicchiere e ne porse uno anche a lui.
<< So che sei stato da quelle parti, poco tempo fa >> continuò Dimitri, << Hai sentito voci strane? Qualcuno ti ha chiesto della Black List o di me? >>.
Boris si sedette sulla poltrona di fianco alla sua. Sapeva di sigaro e a Dimitri diede fastidio quell'odore.
<< Sono stato a Las Vegas qualche giorno, ma da quando i casinò non appartengono più ai Challagher ci si diverte poco >> rispose lentamente, << Ho sentito dire che a Los Angeles le gare sono tornate in voga, che i piloti stanno aumentando, e che la polizia batte la fiacca... Black List, dici? No, non esiste più, anche perché pare che quasi tutti i membri che ne facevano parte sono morti >>.
<< Come? >>.
<< Ammazzati, credo >> rispose Boris.
<< Da chi? >>.
Boris gli rivolse un'occhiata leggermente infastidita.
<< La Black List non è mai stata affare mio. Non sono andato lì per occuparmi di questa cosa >> rispose, << So che c'è qualcuno interessato a entrare nel giro delle corse di Los Angeles... Forse gente che arriva dall'Argentina, o dal Messico >>.
Dimitri acquisì l'informazione in silenzio, mentre Boris riprendeva a giocare a biliardo. Quello che aveva detto in realtà non era niente di nuovo né di troppo strano: Los Angeles era sempre stata un posto ottimo per gare clandestine, ed era strano che non ci fossero stati movimenti di quel tipo fino ad allora.
Poi ricordò che c'era stata Fenice, a pattugliare le strade, e nessuno meglio di lei sarebbe stata in grado di tenerle in ordine.
Si versò un altro bicchiere di vodka, in silenzio.
Non avrebbe fatto domande su di lei, di questo era certo.
<< La polizia ha allentato la morsa sulle gare, mi hanno detto >> continuò Boris, lanciandogli un'occhiata strana, << E la tua amichetta, Fenice, sembra sparita dalla circolazione >>.
Dimitri puntò gli occhi su di lui, fissandolo in silenzio, mentre osservava la piega della bocca di suo zio dietro la barba scura. Non aveva chiesto di lei, non voleva informazioni che la riguardassero, e dargliele significava solo che Boris pensava potessero interessargli. Era girata qualche voce, dopo che Irina si era offerta in cambio di Yana.
<< E' una poliziotta >> ribatté seccamente, << Hanno dei periodi di congedo >>.
Boris sembrò voler ridacchiare.
<< Congedo? >> disse, << Di sei mesi? La ex di Challagher ha mollato, molto semplice >>.
Dimitri fece una smorfia. Aveva lavorato solo un anno, e poi si era stancata? Con lei tutto poteva essere possibile, di questo era certo, ma... Ma sei mesi erano davvero tanti, per un congedo. Poi gli si disegnò un sorrisetto sul volto, quando intuì dove potesse essere il problema.
<< Sarà incinta >> replicò, mettendo fine alla discussione.
Boris lo guardò. In effetti, poteva essere plausibile. Ormai stava con Went più o meno da quattro anni, e conoscendo la sua attitudine con i bambini era normale che ne avesse messo in cantiere uno suo.
L'idea gli diede uno strano e inaspettato fremito allo stomaco.
<< Un problema in meno, allora >> disse Boris, con un'alzata di spalle.
<< Sai se sono state chieste informazioni su di me? >> domandò Dimitri, osservandolo.
<< No, non so niente >> rispose Boris.
<< Quando tornerai a Las Vegas? >>.
<< Forse il mese prossimo >>.
Dimitri sbuffò. Se nemmeno Boris sapeva molto di quella strana storia, significava davvero che la Russia centrava poco. Guardò l'orologio; era presto, e poteva ancora fare quattro chiacchere con suo zio, anche se non lo amava particolarmente. Poteva comunque trarre qualche informazione utile. Si alzò e recuperò una stecca da biliardo da un vaso e fece cenno a Boris di sistemare le palline in posizione di partenza.
Stava per fare il primo tiro, piegato sul tavolo, quando sentì qualcuno bussare alla porta.
<< Chi è? >> chiese Boris.
Radim entrò nella stanza, l'aria scocciata di chi portava guai.
<< Cosa è successo? >> domandò Dimitri, osservandolo con le sopracciglia aggrottate.
<< Abbiamo un'ospite >> rispose Radim, e nel dirlo la sua voce ebbe una strana inflessione.
Dimitri si aspettò di vedere qualcuno di poco gradito, come Konstanti Woboroba, o ancora peggio Milad Buinov, ma quella che si fece avanti fu Darina Pektrovic. Indossava un vestito blu scuro, non troppo scollato, e teneva i capelli biondi tutti raccolti sulla spalla sinistra, lasciandoli cadere con un ricciolo lucido e morbido. Le scarpe dal tacco alto facevano risaltare il fisico snello, e tra le mani affusolate stringeva una piccola borsetta grigio perla.
Fece un passo avanti, e Dimitri sentì montare la rabbia.
<< Cosa fai qui? >> domandò, secco.
Darina abbassò lo sguardo, ma il suo atteggiamento colpevole non fecero smorzare il fastidio che sentiva addosso. Non doveva venire lì, per di più da sola.
<< Mi dispiace, volevo solo passare una serata... >> balbettò la ragazza, palesemente in difficoltà, << Non credevo di dare fastidio... Non... >>.
Boris sembrò voler fare un passo avanti, forse per sfruttare la situazione e riuscire a mettere le sue mani su quella ragazza. Dimitri lo bloccò con la stecca dell'asta da biliardo, e gli lanciò un'occhiata di sbieco.
<< Da quanto sei qui? >> domandò, guardandola stringere con forza la pochette grigia.
<< Un paio di ore >> rispose, continuando a tenere gli occhi bassi, << Ho visto che stavi combattendo, non ho voluto... >>.
Dimitri fece una smorfia. Sapeva perché era lì, chi l'aveva mandata, e l'idea lo infastidì. Posò la stecca e rivolse un'occhiata a Boris, invitandolo a non muoversi.
<< Ti riaccompagno a casa >> disse solo, superando Radim e prendendo Darina per un braccio.
La ragazza lo seguì in silenzio, i tacchi che facevano rumore sul pavimento liscio e lucido, Radim che camminava alle loro spalle con ancora la valigetta piena di soldi in mano. Scesero fino al piano di sotto, e mentre attendeva che Darina recuperasse il cappotto nella hall, Dimitri si fece dare la valigetta da Radim.
<< La porto a casa >> disse solo.
Radim annuì.
<< L'ho trovata che gironzolava tra le slot machines >> spiegò, anche se non glielo aveva chiesto, << Probabilmente non ha avuto nemmeno il tempo di giocare un rublo. E' rimasta a vedere i tuoi incontri... Vuoi che la porti io a casa? >>.
<< No, devo parlare con mia sorella >>.
Radim lo guardò in modo strano.
<< Non terrorizzarla, per favore >> disse suo cugino, << Lo è già abbastanza così >>.
Dimitri lo fissò, perplesso. Non lo aveva mai sentito parlare in quei termini; però quando si rivolgevano a lei, tutti i suoi cugini usavano un tono di voce molto più misurato e pacifico, segno che Darina era considerata una ragazza degna di rispetto ed educazione. In effetti, in qualche modo tutti provavano un po' di affetto verso di lei, nonostante non centrasse nulla con la famiglia Goryalef e fosse lì solo perché suoi padre aveva chiesto un favore a Dimitri.
<< E' una brava ragazza >> aggiunse frettolosamente Radim, come per giustificare le sue parole, << Non ha fatto niente di male >>.
<< Lo so, ma è anche sotto la mia custodia, quindi se deve fare qualcosa di pericoloso, e presentarsi qui lo è, lo devo sapere >> ribatté Dimitri, << Ed evidentemente non è davvero così terrorizzata da me, se mi è venuta incontro fin qui >>.
Radim assunse un'aria preoccupata, ma non disse nulla, perché Darina arrivò proprio in quel momento, il cappotto addosso e la borsetta stretta in mano. Dimitri la spinse fuori dall'ingresso del Black Diamond, attraversarono la strada e raggiunsero il garage sotterraneo del palazzo dove alloggiava Dimitri. Era un edificio di cinque piani, d'epoca, di quelli abitati da gente facoltosa.
La BMW i8 lo aspettava parcheggiata nell'angolo destro del garage, proprio di fianco alla nuova Audi R8 grigio titanio che aveva comprato quando aveva dovuto far sparire quella vecchia, troppo compromessa dalla missione a Mosca. Per un attimo, pensò di prendere quella, per poter sfogare sulla strada del ritorno il fastidio che gli rodeva lo stomaco, ma non lo fece. Non avrebbe fatto salire Darina sulla R8, non finché non fosse stato strettamente necessario.
La ragazza si infilò nell'abitacolo con una certa difficoltà, mentre Dimitri metteva in moto e usciva lentamente dal garage. Si diresse verso la zona nord di Mosca, nel silenzio rotto solo dal rumore del motore della BMW, e avvolto dal profumo costoso della ragazza.
Darina respirava piano, come se stesse cercando di fondersi con il sedile dell'auto, e Dimitri capì che era spaventata. Continuava a stringere la sua borsetta fino a farsi sbiancare le nocche.
<< Ti ha mandato mia sorella, immagino >> disse lui, per spezzare quel silenzio lo faceva innervosire ancora di più.
<< Mi ha solo detto che se volevo potevo fare un giro al casinò, stasera >> rispose lentamente.
<< Come sei venuta? >> domandò Dimitri.
<< In taxi >> rispose Darina.
Dimitri sbuffò.
<< Perché ti interessava venire? >>.
<< Volevo solo uscire un po'... >> rispose la ragazza.
Dimitri strinse il volante. Non sopportava quel tono incerto e spaventato, né quell'aria da cucciola bastonata che esibiva Darina in quel momento. Gli dava fastidio persino la gamba lasciata scoperta dall'abito che indossava. Molto probabilmente non stava fingendo, aveva davvero paura che la punisse per essersi presentata lì, anche se Dimitri sapeva che non era colpa sua.
Parcheggiò la BMW sotto casa sua e alzò lo sguardo sul palazzo; la luce dell'appartamento di Vilena era ancora accesa, quindi era sveglia.
Lasciò Darina sulla porta dell'appartamento che le aveva lasciato, e bussò a quello di Vilena. La donna gli aprì, guardandolo sorpresa mentre entrava. Osservò con attenzione il suo volto, esaminando il suo zigomo graffiato.
<< Tutto bene? >> gli domandò, notando il suo nervosismo.
<< Iosif? >>.
<< Dorme con i bambini >>.
Vilena lo guardava senza capire, così lui la accompagnò verso la cucina e chiuse la porta, in modo che il rumore non svegliasse Yana e Serjey.
<< Perché hai mandato Darina al Black Diamond? >> domandò al brucio.
Sua sorella non negò, né sembrò sorpresa dall'accusa, come aveva immaginato.
<< Cosa le hai detto? >> chiese, con tono di rimprovero.
<< Niente. L'ho riaccompagnata qui e l'ho trattata con i guanti di velluto. Non mi sarei nemmeno scomodato, se non avessi voluto parlare con te >>.
Vilena sembrò irritarsi, e le sue labbra carnose si piegarono in una smorfia.
<< Le ho solo detto che poteva uscire, una di queste sere >> rispose, dura, << Passa tutte le sue giornate qui, a fare compagnia ai bambini. Esce con me per fare qualche passeggiata, per andare a fare la spesa, per accompagnare Yana a scuola, per il resto è praticamente segregata in casa... >>.
<< Sei tu che hai voluto che rimanesse qui >> la contraddisse Dimitri, a voce bassa.
<< Darina è una bravissima ragazza, Yana e Serjey passano molto tempo con lei; ha avuto qualche problema con quel Tit, e ti è immensamente grata per quello che hai fatto e stai facendo per lei. Anche suo padre lo è. Per mesi ha tenuto pulita casa tua come se ne andasse del suo onore... Voleva sdebitarsi in qualche modo, e l'unica cosa che hai fatto è stata abbandonarla qui e andartene a stare da tutt'altra parte. Aveva bisogno di uscire, e le ho detto che poteva farlo. All'inizio non voleva venire al Black Diamond, ma sono stata io a insistere. Le avevo garantito che se ti fossi arrabbiato, lo avresti fatto con me >>.
Dimitri guardò sua sorella, tranquillo. Raramente Vilena usava quel tono con lui, e quando lo faceva aveva un motivo. Sapeva già qual'era.
<< Non l'hai mandata per farla uscire >> ribatté, << L'hai mandata perché venisse da me >>.
Vilena non negò. Si sedette al tavolo della cucina, e Dimitri fece altrettanto. Non c'era tensione, in quel momento, anche se sarebbe potuto apparire così. Era venuto lì per chiarire, non per litigare, e sua sorella voleva fare lo stesso.
<< Dimitri, quella ragazza merita molto >> rispose lentamente la donna, mentre sul suo volto compariva un'espressione triste, << E' bella, dolce, educata, sa stare al suo posto ed è molto rispettosa. E ti adora. Non me lo ha mai detto, ma si vede da come ti guarda. Non le manca nulla. Cos'ha che non va? >>.
Dimitri fissò sua sorella dritta negli occhi, per vedere tutta la frustrazione e il dispiacere che provava. Si stava intromettendo in qualcosa che non la riguardava, e non lo aveva mai fatto prima di allora. Improvvisamente, il fatto che avesse o meno una ragazza diventata di vitale importanza. Dimitri né capì anche il perché, e sentì l'irritazione montargli nuovamente addosso.
<< Cosa vuoi che faccia? >> ringhiò a voce bassissima, << Vuoi che me la porti a letto? Vuoi che ci faccia sesso? >>.
Vilena sussultò, di fronte alle sue parole fin troppo dirette.
<< No, non voglio questo >> rispose, << Vorrei solo che le dessi una possibilità. Lo so che non sono affari miei, che non devo intromettermi in queste cose, nostra madre non lo ha mai fatto, ma non posso stare zitta. Te ne sei persino andato, per non averla tra i piedi... >>.
<< Non me ne sono andato per lei >> ribatté Dimitri.
<< Infatti, il problema non è lei >> disse Vilena.
Calò un silenzio strano, pesante, e Dimitri le rivolse un'occhiata di fuoco. Sapeva dove voleva andare a parare, e sapeva di non voler affrontare quella conversazione.
<< Non ho bisogno di quella ragazza >> ringhiò, << Non ho bisogno di una donna che mi scaldi il letto la sera, o che mi prepari la cena. Non ho bisogno di una ragazza che mi adori. Non ne ho mai avuto bisogno, non ne ho ora... >>.
<< Invece hai bisogno di fare a botte con quattro russi, fino a che non ti sanguinano le mani >> lo interruppe Vilena, fredda come il ghiaccio, << Hai bisogno di sfogarti così, finché non troverai qualcuno che ti ammazzerà? E' questo che vuoi fare, perché Irina se ne è andata e tu non hai fatto nulla per tenertela? >>.
Mai, mai Vilena era stata così diretta con lui, e Dimitri la fissò in silenzio, mentre la rabbia iniziava a ribollire dentro di lui. Sua sorella era l'unica a sapere della notte tra lui e Fenice, semplicemente perché un giorno gli aveva detto che lo aveva capito da come si guardavano. Era rimasta una cosa tra loro due, non ne avevano mai parlato davvero, e Dimitri aveva sempre preferito evitare l'argomento. Fenice se ne era andata, punto e basta, non c'era nient'altro da dire.
Ora però iniziava a non tollerare più la sua invadenza, in quell'argomento. Non erano affari suoi cosa faceva della sua vita sentimentale, se di vita di poteva parlare, e non erano affari suoi se decideva o meno di andare a letto con Darina. In generale, tutta quella questione era solo affare suo. Non avrebbe aggiunto nulla, non doveva dare nessuna giustificazione ai suoi comportamenti.
<< Allora cosa vuoi che faccia? >> ringhiò solo.
<< Lasciala avvicinare >> rispose Vilena, e la sua sembrò una supplica, una supplica che arrivava dal profondo del suo cuore di sorella, << Dalle anche solo la possibilità di parlare con te ogni tanto... >>.
La donna lo guardò, e l'unica cosa che Dimitri fu in grado di fare fu rimanere il silenzio. Voleva solo aiutarlo, ma molto probabilmente non c'era alcun modo per farlo. Lui era la Lince, era l'ex Mastino di Challagher, era quello che si era sporcato le mani di sangue, che aveva tradito lo Scorpione, che aveva atteso dieci anni per uccidere le modo più brutale possibile Vladimir Buinov, e che ora gestiva corse clandestine e affari loschi con il pugno duro di cui solo lui era capace. Era quello che sì, come diceva Vilena, passava le sue serate a fare a pugni e a incassare colpi su un ring, sfogando così quello che non poteva sfogare fuori.
Era consapevole di ciò che era, e anche di ciò che stava diventando. Due anni prima era ancora in grado di gestire il rapporto con sua nipote, era ancora in grado di muovere le labbra in un sorriso; adesso non ne era più capace, e non importava quale fosse il perché. L'uomo che era ora era perfetto solo per essere uno spietato e gelido criminale soprannominato Lince.
<< Significherebbe prenderla in giro >> rispose lentamente, la voce dura, << Ed è già stata presa in giro una volta. Ha bisogno di qualcuno che sappia trattarla con rispetto, e sia in grado di ricambiare quello che prova. Non posso farlo >>.
Vilena sospirò, stringendosi le mani sul grembo. Stava solo cercando di fare il suo dovere di sorella, e lui non la biasimava. Aveva ancora la speranza che in lui esistesse qualcosa di umano.
<< Saresti in grado di farlo >> rispose a voce bassa, ma non era una provocazione, << Credi di essere molto peggio di ciò che sei davvero, Dimitri >>.
<< Il peggio è quello che devo essere, per rimanere qui >> ribatté.
Si alzò e sfiorò la spalla di sua sorella, prima di lasciare la stanza. Né i bambini né Iosif si erano accorti della sua presenza, così non indugiò oltre. Scese in strada, superando l'appartamento di Darina senza guardare neanche la porta.
Solo quando fu in strada, vide ferma a una cinquantina di metri di distanza una Mitsubishi Lancer EVO argentata, i fari accesi nella notte. Quando lo vide uscire dal portone, l'auto si rimise in strada e sparì dietro un angolo, lasciandosi dietro solo il leggero rombo del motore.
Dimitri imprecò. Era certo di non essere stato seguito: quando aveva riportato Darina a casa, aveva controllato che nessuno lo avesse visto. Il fatto che qualcuno si fosse appostato sotto casa sua non gli piacque.
Mentre risaliva sulla BMW, cercò il cellulare per dire a Emilian e Radim che quella notte avrebbero dovuto tenere gli occhi aperti.
Spazio Autrice
Buona sera a tutti! Ne approfitto per ringraziarvi per i voti e i commenti, ma soprattutto per l'apprezzamento che state dando alle mie storie. Come avrete notato, non sono una che si dilunga in tante parole, che non posta continuamente quello che fa per farvelo sapere, perchè credo che quello che vi interessi sia la storia.
Quello che volevo dirvi, oggi, è che come vedete sto dedicando parecchio spazio anche a Dimitri, e spero abbiate notato che la narrazione, dal suo punto di vista, è leggermente diversa che per gli altri personaggi. Come ho già detto, lui è difficile da gestire, perché non è uno che fa capire molto cosa pensa... Anzi, molte volte non pensa due volte alla stessa cosa, se ha preso una decisione. Lo vediamo in questo capitolo, dove non affronta nemmeno il problema che Vilena ha sollevato, cioè la questione Irina: non lo fa perchè ha già deciso come affrontarlo, e lo ha fatto tempo addietro. Quindi, ne approfitto per chiedervi cosa pensate di questa cosa.
Nel frattempo, grazie ancora a tutti e a presto!
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