Capitolo VII
Ore 22.00 – Tula, Russia
Dimitri fermò lentamente la BMW i8 nel parcheggio affollato di auto lussuose, i fari a led che illuminavano di luce bianca le fiancate dei veicoli. Vide il Nissan Pathfinder nero di Emilian avanzare dietro di lui, i vetri oscurati che nascondevano Ivan e Radim alla vista.
Parcheggiò proprio davanti all'ingresso, in uno spazio lasciato libero esclusivamente per lui, e controllato a vista da un russo grosso e dalla folta barba nera. Sarebbe stato un gesto di cortesia nei confronti della Lince, se lui non avesse saputo che dietro c'era solo il desiderio di provocarlo. Spense il motore ibrido dell'auto, mentre l'abitacolo piombava nel buio con un sibilo, e osservò il tizio che era stato messo a fargli da parcheggiatore: alto, grosso e probabilmente molto stupido. Infilò il cellulare in tasca e scese, osservandolo con distacco, mentre sistemava la pistola sotto la giacca, per fargli intendere che era armato esattamente come tutti loro. Il bestione gli fece un cenno di saluto rispettoso, o così parve, e Dimitri avanzò verso il locale, i fari a led della BMW che per alcuni secondi continuarono a illuminare la strada, prima di spegnersi da soli.
Attese qualche secondo, prima che Emilian, Ivan e Radim lo raggiungessero davanti alla porta di ingresso dello Zima, un grande pub di lusso, conosciuto in città per le belle ragazze in vestiti succinti che servivano da bere e per i prezzi buoni della droga, oltre che per la tolleranza della polizia nei suoi confronti. Da fuori, i vetri blu erano illuminati dalla luce interna, che gettava bagliori cangianti sull'asfalto freddo e buio dell'esterno.
Dimitri fece un cenno ai tre cugini, ed entrò per primo, l'aria fumosa del locale che lo investì e gli fece storcere il naso. Non era particolarmente affollato, ma i divani di pelle nera erano tutti occupati, e le cameriere vestite di blu giravano tra i tavoli con grossi vassoi pieni di bicchieri e bottiglie. Erano attesi, e qualcuno gettò dalla loro parte un'occhiata incuriosita.
Una delle cameriere, una ragazza alta dai capelli scuri, venne loro incontro, sorridente. Stava per chiedere loro se volevano un tavolo, ma Dimitri la precedette.
<< Sono Dimitri Goryalef >> si presentò solamente.
La ragazza annuì e piegò il capo in un cenno rispettoso, prima di fare segno di seguirla. Emilian gli lanciò un'occhiata contrariata: aveva sempre insistito sul fatto che dovesse presentarsi come "Lince", quando andava in giro, ma Dimitri non aveva intenzione di farlo. Lui era prima Dimitri Goryalef, poi la Lince, e comunque aveva appena dimostrato che il suo nome di battesimo bastava.
Raggiunsero il retro del locale, in un corridoio dove si aprivano diverse porte di legno scuro, e dove la luce era più soffusa. La ragazza li condusse a quella in fondo, poi bussò.
Edgar Matveev sedeva su una poltrona di pelle rossiccia, avvolto dal fumo di sigari russi e con la fronte rugosa imperlata di sudore. Aveva quarantacinque anni, i capelli ancora neri e gli occhi piccoli e sfuggenti; però era grosso, con le mani come badili e le dita strizzate in due anelli d'oro massiccio. Con lui, quattro uomini dall'aria selvaggia, barbuti e piuttosto minacciosi. Nei loro occhi passò una scintilla, forse di paura o forse di rispetto, quando lo videro entrare. Non misero mano alle armi infilate nella cintura, perché sapevano che sarebbe stato un segno di poco rispetto e soprattutto di minaccia che Dimitri non avrebbe tollerato.
Vicino alla finestra, in piedi, c'era un ragazzo dall'aria sfuggente, robusto e con i capelli cortissimi, quasi rasati a zero; gli occhi, scuri e viscidi, erano identici a quelli di suo padre. Milad Buinov.
<< Benvenuto, Lince >> disse Matveev, alzandosi in piedi e venendogli incontro per stringerli la mano, << Non ti aspettavamo così presto... Ma forse dimenticavamo che sei anche un pilota clandestino >>.
Dimitri strinse con forza la mano di Edgar, trovandola viscida e molle. Sentì gli occhi di Milad puntarsi su di lui, e ricambiò l'occhiata, impassibile. Ricordava come fosse ieri suo padre Vladimir, la sua voce metallica e la gola sfregiata; ricordava persino il calore del suo sangue sulla mani, quando lo aveva uccido. Quel giorno, sull'autostrada in direzione di Cherepova, non sapeva che Vladimir avesse un figlio sedicenne nascosto dei pressi di Tula, ma non sarebbe cambiato comunque nulla, se ne fosse stato a conoscenza: lo avrebbe ucciso in ogni caso e sempre nello stesso modo.
<< Lui è... >> iniziò a presentarlo Matveev, indicando il ragazzo e facendogli cenno di avvicinarsi.
<< So chi è >> lo interruppe Dimitri.
Non gli porse la mano, né attese che lo facesse il ragazzo. Mosse il capo in direzione dei suoi cugini, rimasti in silenzio alle sue spalle, e li presentò. Una volta esauriti i convenevoli presero posto al tavolo quadrato al centro della stanza, Milad che li osservava in silenzio, in piedi a ridosso del muro.
Eseguirono alla lettera il cerimoniale, bevendo all'unisono il bicchierino di vodka liscia che Matveev versò in silenzio. Dimitri osservò Milad buttarlo giù tutto d'un fiato, trovando nei suoi occhi la stessa strafottenza del padre, la stessa piega della bocca che trasmetteva ironia.
<< Perché il figlio di Buinov è qui? >> domandò seccamente, mentre Emilian lo osservava, la mano sempre pronta ad afferrare la pistola assicurata alla cintura dei pantaloni. Non c'era tensione al momento nella stanza, e Dimitri era abbastanza tranquillo; si stavano solo studiando a vicenda, esattamente come all'inizio di ogni trattativa.
<< Milad? >> fece Edgar, sorridendo, << E' qui solo per imparare qualcosa. E' un bravo ragazzo, in gamba, e sa usare molto bene i computer. In America li chiamano hacker, quelli come lui. Qualcuno doveva avvicinarlo al nostro mondo, visto che suo padre è... Bè, sai meglio di me che fine ha fatto >>.
La tensione salì appena, quando Edgar fece un cenno del capo, come a scusarsi delle sue parole, ma lo fece in modo ironico, e i suoi occhi scintillarono. Dimitri spinse il bicchierino vuoto verso il centro del tavolo, sapendo che era necessaria un'azione di impatto, qualcosa che avrebbe fatto capire a tutta la stanza che non era lì per giocare né per farsi prendere in giro. Fino ad allora era stato visto davvero poco da quelle parti, e la sua figura era stata piuttosto "evanescente"... Tuttavia, per ribadire la sua posizione, non voleva fare in cane da guardia; bastava qualcosa di molto incisivo, e fatto una volta sola.
Infilò la mano nella giacca, mentre i quattro uomini di Matveev si tendevano come corde. Lui tirò fuori un panno bianco, lo appoggiò sul tavolo nel silenzio generale, e lo aprì, scoprendo tre pugnali lunghi quindici centimetri, con le lame lavorate, lucidissime e affilate. Prese quello con un serpente scolpito dell'elsa, e lo adagiò sul ripiano di legno, in modo che la lama fosse rivolta proprio verso Milad.
Nessuno si mosse, mentre nell'aria la tensione sembrava voler quasi iniziare a sfrigolare come le braci del fuoco. Le mani vennero appoggiate sulle pistole, ma nessuno osò fiatare, mentre il collo di Dimitri si tendeva, facendogli tirare la cicatrice sulla nuca, e lui respirava piano, tranquillo.
Milad si sporse per osservare le armi appoggiate sul tavolo, con curiosità, come se non capisse. Edgar Matveev invece sembrò comprendere, perché le rughe sulla sua fronte diventarono più marcate, e la sua espressione più tesa.
<< Questo è il coltello che ho usato per sgozzare tuo padre >> disse lentamente Dimitri, la voce fredda e tagliente come la lama che stava mostrando, << Una morte come la sua spetta ai traditori, e a coloro che non rispettano le poche regole che abbiamo. Non importa quanto tempo ci voglia: ogni errore viene pagato. Questa è la prima lezione che devi imparare, Milad Buinov. Ricordala bene, perché non sono un'insegnante che ripete due volte >>.
Le sue parole caddero in un silenzio denso, e Dimitri capì di aver ottenuto il suo scopo: lui era pronto a punire gli errori, a eseguire la sentenza con le sue mani. Lui non era Dan, non si nascondeva dietro a Referenti e Sentinelle. Edgar sembrò comprenderlo, perché improvvisamente la sua espressione smise di essere strafottente. Solo gli occhi di Milad rimasero gli stessi, anche quando lui continuò a guardarlo, mentre avvolgeva il coltello nel panno bianco insieme agli altri e li rimetteva nella tasca della giacca.
<< Sono qui perché so che qualcuno sta organizzando gare clandestine di auto >> continuò Dimitri, << Gare per le quali chiedete un contributo... Chi lo intasca? >>.
Edgar rivolse una rapida occhiata a uno dei suoi scagnozzi, proprio mentre Milad tirava fuori una sigaretta e la accendeva, aspirando una rapida boccata. Sembrava più grande dei suoi diciassette anni, e molto poco innocente. Non sembrava poi nemmeno tanto turbato dal suo avvertimento, e Dimitri lo lasciò crogiolare nella sua sicurezza interiore.
<< Organizzare le gare ha un costo >> rispose Edgar, << Dobbiamo ripagarci le... >>.
<< Non chiederete più alcun contributo >> lo interruppe Dimitri, seccamente, << L'unica cosa che farete è prendere in custodia i libretti delle auto dei partecipanti. Chi si vuole giocare l'auto può farlo; chi preferisce giocarsi soldi è libero di scommettere. I piloti che provocano incidenti mortali saranno diffidati. Vi darò io il calendario delle gare, i tracciati cittadini e i contributi per organizzare tutto. Voglio il 20% delle scommesse, consegnati in una valigetta chiusa una volta al mese a uno dei miei Referenti >>.
Fissò in silenzio Edgar, aspettando una sua battuta. Aveva partecipato e organizzato gare clandestine per buona parte della sua vita, sapeva come era meglio farlo. I veri piloti non gareggiavano per i soldi, lo facevano per la competizione, l'adrenalina e la fama. Challagher non aveva mai chiesto denaro, e lui bè... Quando aveva creato incidenti mortali non era stato mai allontanato, ma lui era Dimitri Goryalef, il Mastino, e il suo compito era sempre stato togliere di mezzo chi dava fastidio.
<< Il 20%? >> iniziò Matveev, << Ma è troppo. Non possiamo... >>.
Dimitri fece una smorfia infastidita.
<< Il 20% è anche poco >> lo interruppe, << E non è trattabile. So quanto vi faranno guadagnare le corse clandestine, e quello che vi chiedo sembreranno briciole. Voglio il massimo rispetto delle regole, e la massima puntualità. Se non creerete problemi, non mi vedrete mai qui >>. Sottolineò l'ultima frase con un'inflessione della voce.
<< Avrete quattro fornitori di droga >> continuò, rigirandosi il bicchiere di vetro tra le mani, << I miei. Venderete a prezzi concordati, e mai sotto la soglia che fisserò. Non voglio alcuna concorrenza tra voi, chiaro? Non voglio che mi vengano a dire che fate perdere guadagni a qualcuno perché vendete robaccia sottocosto >>.
Fissò Matveev dritto negli occhi, mentre l'uomo rimaneva in silenzio. Ovviamente erano regole che gli andavano strette, ma Dimitri sapeva che non erano nemmeno così vincolanti. La vecchia Lince fissava sia prezzi di vendita che di acquisto, mentre lui lasciava libera scelta, in qualche modo. Il mercato della droga gli interessava poco, ma controllarlo era necessario per non perdere potere.
<< Neanche un fornitore esterno? >> domandò Edgar, mentre Milad li osservava discutere con aria interessata. Non parlava ma ascoltava molto, quel ragazzo, e al Mastino non piacque.
<< Ho già detto che non c'è margine di trattativa >> ribatté Dimitri.
Non voleva discutere; odiava già andare in giro a mettere regole e paletti, figuriamoci stare a trattare. E comunque, avevano tutti troppa paura di lui per insistere più di tanto.
La storia del coltello sembrava aver ridotto la sfrontatezza di Edgar, che arricciò il labbro, ma alla fine versò un altro bicchiere di vodka. Lo rimescolò un po', poi glielo porse per brindare.
<< Ok, Lince, questo è l'accordo >> rispose lentamente.
<< Se rispetterete i patti, sarà l'ultima volta che mi vedete qui >> rispose Dimitri. << Voglio solo equilibrio, e per averlo dovrete seguire le mie regole. Non ho interesse a fare soldi in questa città troppo piccola e troppo fredda, e non ho interesse nemmeno a starvi con il fiato sul collo. Ma non voglio sgarri di nessun tipo, altrimenti taglierò le teste io stesso. Nel vero senso della parola >>.
Bevvero la vodka per suggellare il loro patto, e l'atmosfera tornò a essere leggermente più rilassata. Emilian gli lanciò un'occhiata, forse per ricordargli che era lì anche per un altro motivo.
<< Devo farvi qualche altra domanda >> iniziò, posando il bicchiere con un tintinnio, << Qualcuno sta cercando disperatamente di uccidermi, ma lo sta facendo in modo piuttosto maldestro. Ne sai qualcosa? >>.
Sul volto di Edgar non passò alcuna espressione. Guardò i suoi scagnozzi con aria interrogativa, poi scosse il capo.
<< Chi avrebbe il coraggio di provare ad ucciderti? >> ribatté Metveev, perplesso.
Dimitri cercò di interpretare il suo volto, per cogliere anche solo una nota di derisione. Non ne trovò.
<< Non si tratta di coraggio, ma di opportunità >>rispose freddamente Dimitri, mentre sentiva Milad accendersi un'altra sigaretta, << In sei mesi hanno cercato sei volte di uccidermi. Sono sicuro che non sia solo la mia posizione di Lince a essere oggetto di sfida >>.
Guardò Matveev in modo eloquente, anche se rivolse la sua attenzione a Milad, alle sue spalle. Era un ottimo indiziato, visto che Dimitri aveva ammazzato suo padre Vladimir, e poteva anche essere lui il mandante.
<< Chiunque accetti l'incarico di ucciderti, chiederebbe una paga molto, davvero molto alta >> rispose lentamente Edgar, serio, << E ci sono pochi tra noi che possono permettersela. Sicuramente non noi poveri mafiosi di periferia >>.
Dimitri fece una smorfia divertita; le adulazioni non avevano mai funzionato con lui. Rivolse un'occhiata a Emilian, la cicatrice che gli deturpava il viso che si tese, quando sorrise in modo sinistro.
<< A giudicare dai soldi che vi siete fatti fino ad ora al di fuori del nostro controllo, direi che potreste anche permettervelo >> disse suo sugino, la voce roca come unghie che grattavano sul legno, << Da quanto vanno avanti le gare clandestine del fine settimana? Quattro? Cinque mesi? >>.
Matveev si tese come una molla, mentre i suoi uomini si immobilizzavano per cogliere un'eventuale azione. Nessuno però sembrò voler rispondere alla provocazione con la violenza; Dimitri e i suoi tre cugini erano in minoranza numerica, ma lui aveva tre coltelli dalla sua parte, nascosti nella giacca.
<< Non siamo stati noi a mandarvi quei sicari >> rispose Edgar, << Non siamo così idioti da cacciarci nei guai in questo modo... C'è un sacco di gente che ti vuole morto, Goryalef, e la maggior parte sono persone a cui tu e la tua amica americana avete pestato i piedi un anno e mezzo fa >>.
Dimitri registrò la frase del russo, e assunse un'aria perplessa. Era vero, lui e Fenice avevano dato fastidio a un bel po' di gente, quando erano stati sulle tracce della Lince, ma se fino a qualche settimana prima era quasi certo che chi voleva la sua morte si nascondesse in Russia, ora non ne era più così certo. L'agguato a Madrid ne era la prova.
<< Qualcuno ti ha mai chiesto di me in relazione alla Black List? >> domandò seccamente.
Edgar sembrò non capire subito la domanda.
<< La Black List? No >>.
<< Sui forum c'è un sacco di gente che parla di te >> si intromise Milad, sputando una boccata di fumo, << In realtà, la maggior parte parla dello Scorpione, non del Mastino. E' praticamente una leggenda, sai? >>.
Dimitri guardò quel ragazzo, e per un momento, per gli atteggiamenti, gli sembrò di vedere un giovane William Challagher: spocchioso, sicuro di sé, strafottente. La fotocopia di quello che lui aveva incontrato quando si era fermato a Los Angeles in cerca di gare clandestine. La differenza erano i soldi e forse la capacità di guidare.
<< William Challagher era il numero uno della Black List >> disse lentamente, anche se qualcosa dentro di lui stridette, a quelle parole, << Non sono io che devo dirti cosa ha fatto nella sua vita; molto probabilmente lo sai già. Sarà anche una leggenda e meriterà tutta la sua fama, ma è morto, e in questo momento l'ultima cosa che mi importa è un pilota clandestino seppellito sotto un metro di terra... E' quello che si dice di me, che mi interessa >>.
Milad sembrò voler ridacchiare, ma non lo fece.
<< Qualcuno chiede di te ogni tanto, e anche di Fenice >> rispose, << Vorrebbero sapere dove ti trovi, ma nessuno sembra averne idea... Però, a conti fatti, sei più ricercato dall'F.B.I. americana, che dai tuoi vecchi amici piloti >>.
Dimitri si lasciò andare a un sorrisetto ironico: sapeva di non essere mai stato particolarmente amato, tra i piloti di Los Angeles. Le sue gare erano sempre state violente, e Challagher lo aveva sempre usato come "persuasore" personale; avevano paura di lui, e sapere dove fosse non era sicuramente il loro interesse primario. Milad credeva di fargli un dispetto, ricordandoglielo, ma si sbagliava, visto che non gliene era mai importato nulla di cosa pensasse la gente di Los Angeles del Mastino. Anzi, in generale non gli importava di cosa pensasse chiunque.
<< Visto che sai tutto questo, saprai sicuramente chi ha cercato qualcuno da mandare a uccidermi >> disse ironicamente.
<< No >> rispose prontamente Milad, e il modo in cui parlò velocemente confermò a Dimitri che in realtà qualcosa dovesse sapere. Non amava bazzicare tra i forum su internet, ma sicuramente si potevano trovare informazioni interessanti. Doveva chiedere a Ivan di fare qualche ricerca per lui.
<< Sentite, qui nessuno si farebbe mai venire in mente di assoldare qualche killer per far ammazzare la Lince, non quando dopo anni mostra la sua faccia ed è un russo come noi >> li interruppe Edgar, cercando di riportare la situazione alla calma, << Però possiamo fare domande, e capire se c'è davvero qualcuno qui che avrebbe il coraggio di farlo... >>.
Dimitri annuì. Dubitava che venisse fuori qualcosa, perché non si fidava di Matveev, ma al momento voleva tenere un profilo basso. Quello che voleva far capire era che si stava muovendo, e che non era spaventato. In effetti, non lo era per niente; se doveva trovare un aggettivo a quella situazione, l'avrebbe definita "fastidiosa".
<< Bene >> disse, alzandosi, << Siamo d'accordo. Manderò Emilian ha riscuotere il contributo >>.
Presi alla sprovvista dalla sua decisione improvvisa, Matveev e i suoi scagnozzi sobbalzarono. Solo Milad rimase impassibile. Salutò tutti con un cenno del capo e uscì dalla stanza, seguito in silenzio da suoi cugini.
Percorse il corridoio a testa bassa, incrociando nuovamente la ragazza vestita di blu che li aveva accolti: l'abito le fasciava il busto mettendo in risalto i fianchi, ma Dimitri si soffermò solo sul suo volto troppo truccato e gli occhi languidi, infastidito dal suo modo civettuolo di fare. Vide lo sguardo di Ivan indugiare sul fondoschiena della cameriera, mentre li accompagnava verso l'uscita, e l'unica cosa che fece fu una smorfia. Non lo avrebbe fatto fermare in quel locale nemmeno se avessero avuto tempo.
L'aria gelida di Tula gli fece fremere le narici, quando uscì sul piazzale, il gorilla che ancora controllava a vista la sua auto. Si fermò davanti ai fari spenti della BMW, deciso a dare appuntamento ai suoi cugini a casa sua, davanti al Black Diamond, quando si accorse di una Mercedes nera a un centinaio di metri da solo.
Rimase a guardarla per alcuni secondi, in silenzio.
"Rafail Demidoff. Sai già che sono qui".
Solo lui guidava una Mercedes classe E con gli specchietti cromati.
Dimitri non vedeva il capo dei servizi segreti russi quasi da due anni, quando lo aveva incontrato con Fenice prima di partire per Mosca; da allora, Demidoff aveva cercato di stargli con il fiato sul collo, ma con scarsi risultati. Il fatto che fosse lì, a Tula, significava solo che cercava lui e che qualcuno lo aveva avvertito. Molto probabilmente Milad Buinov.
Per un attimo, ebbe la tentazione di tornare dentro il locale e spezzare il collo a quel ragazzino, ma resistette all'impulso: non poteva uccidere un minorenne, e comunque non sarebbe stata una mossa saggia, in quel momento.
Demidoff non era lì per catturarlo, sapeva anche quello. Molto probabilmente voleva parlare con lui e trattare una bella mazzetta per una convivenza pacifica tra l'ex Mastino e i servizi segreti. Funzionava così già da molto tempo prima, quando c'era ancora l'italiano Dan; avevano voluto catturare la Lince solo per fare un favore a un po' di politici russi, ma questo Dimitri lo aveva scoperto solo dopo essere stato lasciato libero da Went. In sostanza, tutta l'operazione a Mosca era stata un'enorme specchietto per le allodole.
Non voleva parlare con lui, non ancora. Fino ad allora era stato in Russia per brevissimi periodi, e guardarsi dalla polizia era stato meno complicato del previsto; ora però che aveva deciso di rimanere per lungo tempo a Mosca, avrebbe dovuto trattare per forza. Voleva farlo a modo suo e con le giuste armi, e quel momento non era adesso.
<< Ci vediamo a casa >> sussurrò a Emilian, facendogli un cenno verso la Mercedes, in modo che capisse. Lui annuì.
Con un'ultima occhiata all'auto nera, Dimitri risalì sulla BMW i8. Il motore ibrido dell'auto si avviò nel più completo silenzio, le lancette luminose del cruscotto che illuminarono l'abitacolo buio e tecnologico. I fari a led disegnarono una lama bianca sul muro del locale, abbagliando il gorilla che fu costretto a spostarsi. Fece retromarcia e uscì lentamente dal parcheggio, mentre il Nissan Pathfinder di Emilian si dileguava nell'oscurità.
La BMW procedeva senza alcun rumore, a parte il rotolamento degli pneumatici ribassati sull'asfalto; non l'aveva scelta per la potenza, anche se poteva contare su 350 cavalli e su un assetto sportivo, ma per la discrezione. Usando il solo motore elettrico, la i8 poteva percorrere le strade dei quartieri e i cortili senza quasi produrre alcun rumore, e gli consentiva di essere invisibile quando lo voleva. Non la usava per le gare, ma solo per spostarsi da una città ad un'altra in modo rapido e silenzioso.
Imboccò la via, diretto verso l'autostrada, mentre la Mercedes si accodava a lui.
Passò in modalità benzina e si diresse verso Mosca.
Cinque minuti dopo Rafail Demidoff aveva già perso le sue tracce.
Ore 8.00 – Dipartimento di Polizia di Los Angeles
Irina parcheggiò la Lamborghini Gallardo proprio davanti al Dipartimento, senza curarsi di aver occupato uno dei posti delle volanti. Il via vai di agenti del primo mattino era già nel suo pieno, e poliziotti in divisa entravano tranquillamente a timbrare il cartellino, prendere il primo caffè in compagnia dei colleghi e ricevere le istruzioni per la giornata.
Le sembrò assurdo come la vita di ogni persona continuasse tranquilla e quasi spensierata; dentro quel Dipartimento c'erano segreti esattamente come c'erano sempre stati fuori, e le sembrava inconcepibile che un insabbiamento come la morte di Xander potesse essere tollerato in un corpo di polizia. Forse la maggior parte di loro non sapeva, forse erano ancora tutti illusi come lei, forse davvero credevano di lavorare al servizio della verità... Non lo sapeva. Quello che sapeva però era che quando rimise piede del Dipartimento che una volta era stata la sua casa, si sentì un'estranea.
Un'estranea molto arrabbiata.
Irina fece irruzione nell'ingresso, mentre Owson sussultava alla sua vista. Non dormiva da più di ventiquattro ore, non aveva mangiato e non doveva avere nemmeno un aspetto molto fresco, ma sapeva benissimo che non era quel motivo che i suoi colleghi la osservavano sconvolti: la scena della sera prima doveva essere passata di bocca in bocca molto velocemente, esattamente come era successo in passato quando portava a termine inseguimenti impossibili.
Qualcuno la salutò, ma lei non ci fece nemmeno caso. Imboccò le scale a testa bassa e raggiunse il suo ufficio, trovandolo ancora pieno di pratiche, dossier e cartelline. Quella di Xander era stata appoggiata sulla scrivania, vicino alla tastiera del pc. Lasciò le chiavi della Gallardo sulla cassettiera, e prese fiato.
Si rendeva conto di non aver ancora scoperto nulla di utile, nulla che potesse farle scoprire chi aveva ucciso Xander. Sapeva solo che qualcuno dall'America Latina lo aveva seguito, forse perché aveva messo il naso in cose davvero molto pericolose, questa volta. McDonall non le avrebbe detto altro, e lei doveva ricostruire tutto da sola. Le sembrò inconcepibile avere le risposte a portata di mano e non poter fare nulla per averle.
Era arrabbiata e frustrata; avrebbe tanto voluto continuare a gridare addosso a tutti, per sfogare tutto quello che aveva dentro, fino a rimanere senza voce, ma sapeva che non le sarebbe servito a nulla. Credevano tutti che fosse impazzita, a fargli ragione con comportamenti fuori dalle righe non avrebbe fatto altro che avvalorare la loro idea. Doveva parlare con Senderson, e farlo nel modo più costruttivo possibile.
Erik Senderson era in piedi davanti alla finestra, che osservava la strada di sotto, quando Irina bussò allo stipite della sua porta. L'ufficio era silenzioso e deserto, se non per il rumore del pc che ronzava sulla scrivania.
<< Quindi? >> domandò solo il capo della polizia, rimanendo di spalle.
Irina entrò nell'ufficio, chiuse la porta e cercò di mantenere la calma, mentre parlava.
<< Se lei sa perché Howard McDonall non vuole parlarmi della missione di Xander in America Latina, deve dirmelo >> disse lentamente. Non usò un tono minaccioso, solo molto fermo, nel tentativo di fargli capire che non dubitava nemmeno un po' di essere nel giusto. Aveva tutti i diritti di sapere, continuava a pensarlo.
<< Non lo so >> rispose Senderson lentamente, e nel farlo si girò verso di lei. La sua solita espressione dura appariva incrinata da qualcosa che sembrava dispiacere, o forse fastidio. Irina non riuscì a interpretarlo, ma capì che non stava mentendo. Non lo aveva mai fatto, di questo era certa.
<< Allora deve farmi tutti le informazioni che ha riguardo al caso >> ribatté Irina, << Per mesi sono stata convinta che tutto fosse stato chiarito, e mi sono aggrappata a una verità che non lo era. Adesso l'unica cosa devo fare è indagare e trovare chi ha ammazzato Xander, e lo devo fare da subito >>.
<< Tutto quello che c'è da sapere è in un fascicolo dell'F.B.I. >> rispose Senderson, << Un fascicolo che io non ho più. Ma non c'era niente sulla sua missione, solo informazioni su Cabrera e il suo amico >>.
<< L'F.B.I. non me lo darà >> ribatté Irina.
<< L'F.B.I. ti ha sempre voluta come agente >> disse Senderson, << McDonall ha sempre avuto un'alta opinione di te... Diversamente da quella che ho io, no? >>.
Nel tono dell'uomo Irina sentì una nota di sarcasmo, un sarcasmo che trovò strano; era come se trovasse divertente il fatto che lui l'aveva sempre apostrofata come "criminale", mentre McDonall no. in ogni caso, non cambiavano molto le cose.
<< McDonall non mi chiederà di entrare nell'F.B.I., me lo ha detto lui stesso >> rispose nervosamente, << Forse crede che io sia impazzita, e probabilmente ha ragione. Non ho bisogno di entrare nell'F.B.I. per indagare; sono un'agente di polizia di Los Angeles, e mi serve una squadra... >>.
<< Non posso dartela >> la interruppe improvvisamente Senderson.
Irina lo guardò, sbattendo le palpebre.
<< Perché? >>.
<< Sei sospesa dal lavoro >>.
Irina rimase in silenzio, mentre fissava Senderson. La frase era piuttosto semplice da capire, e lei ne aveva compreso benissimo il significato. Se si era ripromessa di rimanere calma, ora i suoi intenti sfumavano di nuovo.
<< Mi ha chiesto decine di volte di tornare operativa >> ringhiò, << Lo sto facendo, e ora mi dice che non mi vuole? Che mi sospende? >>. La parola le uscì di bocca come un insulto.
<< Devo sospenderti, Irina, sono le regole del dipartimento >> ribatté duro Senderson, assumendo un tono formale, lo stesso che aveva quando in passato le ricordava che la domenica doveva presentarsi in un ufficio perché aveva programmato una nuova ronda notturna, << Hai sottratto senza permesso un'auto della polizia e l'hai usata in modo improprio. Nel giro di quattro ore hai collezionato multe e infrazioni al codice della strada degne di un pilota clandestino... E con il tuo comportamento hai costretto il capo dell'F.B.I. ad attenderti nel suo ufficio per ore. Il Vicepresidente dell'F.B.I., probabilmente una delle persone più importanti dopo il Presidente degli Stati Uniti. Per quanto tu abbia dato al nostro corpo di polizia, per quanto tu abbia lavorato sodo, sono costretto a non poter tollerare il tuo comportamento, questa volta >>.
Qualcosa dentro il petto di Irina si mosse, qualcosa che non aveva niente a che fare con il suo cuore. La sua mano ebbe uno scatto involontario, quando cercò di rimanere immobile, per non esplodere e rovesciare addosso a Senderson la rabbia che ribolliva dentro di lei. Per un attimo si rese conto che non era più abituata a gestire emozioni del genere, che da quando Xander era morto aveva vissuto dentro un bozzolo spesso e duro. Non abbastanza però da riuscire a resistere a tutto questo.
<< Mi dispiace, ma non poteva aspettarsi altro da una criminale >> ribatté in risposta, la voce gelida e gli occhi ridotti a fessure.
<< Forse hai ragione >> convenne l'uomo.
Non era mai stata richiamata, né da Senderson né da nessun'altro. Nemmeno McDonall, quando era stata in Russia, l'aveva mai fatto. Era sempre stata corretta, era sempre stata ligia al dovere, e aveva sempre portato risultati; il suo unico e primo sbaglio, se poteva considerarsi tale, non veniva tollerato? Era per questo che era diventata un'agente di polizia? Era per farsi umiliare in questo modo?
"No".
Afferrò un foglio di carta bianca dalla stampante sulla scrivania di Senderson, e prese una penna lasciata sul ripiano di legno. Accostò la sedia e ci si sedette, mentre Senderson la osservava senza capire.
<< Cosa stai facendo? >> domandò lentamente, mentre la sua voce veniva rotta da una nota di allarme.
"Non sono diventata un'agente di polizia per sentirmi impotente. Non ho speso le mie notti in cerca di piloti clandestini per farmi ricordare ogni giorno di essere stata una di loro. Non ho sacrificato una parte della mia esistenza per farmi sospendere come una scolaretta...".
Irina strinse la penna. Intestò il foglio, mise la data, ignorò la presenza del capo della polizia e scrisse, la mano che sfilava veloce e sicura. Firmò con uno svolazzo, e ruotò il foglio verso Senderson. Glielo porse con un sorrisetto, mentre l'espressione del suo capo mutò improvvisamente: non lo aveva mai visto così sconcertato. Probabilmente non ebbe nemmeno bisogno di leggere cosa aveva scritto, perché era chiaro già dal volto di Irina.
Al Dipartimento di Polizia di Los Angeles
C.A. Erik Senderson
Con la presente io, Irina Dwight, attualmente in forze della Polizia di Los Angeles con ruoli amministrativi, rinunciando al periodo di preavviso e ai correlati diritti, rassegno le mie dimissioni con decorrenza immediata.
Cordialmente
Irina Dwight
Senderson fissò il foglio, nel più completo silenzio. Che non se lo aspettasse era evidente, ma lei era la prima a non aver programmato nulla. Stava agendo solo di istinto, e l'istinto le gridava che la sua vita da agente era finita.
La sua normale vita era finita.
<< E ora, mi ridia la mia auto >>.
Senderson strinse il pezzo di carta che teneva in mano, fissandola. Non disse nulla, come se ormai non avesse più parole da spendere alla sua causa. Un profonda ruga si disegnò sulla sua fronte, quando mise da parte il foglio delle sue dimissioni, e si abbassò per prendere un modulo da un cassetto. Glielo appoggiò davanti e Irina si accorse che aveva già visto moduli simili.
Sull'intestazione campeggiavano solo tre lettere in grassetto, che non avevano bisogno di molte spiegazioni.
VEICOLO SOTTO SEQUESTRO
<< La tua auto è sotto sequestro da quando hai lasciato il posto di agente operativo >> spiegò Senderson, in tono neutro, << E non sono stato io a deciderlo >>.
Irina gli strappò il foglio di mano, incredula. Aveva creduto di aver visto tutto, ormai.
<< Ma è la mia auto! >> sbottò, la voce che tremava di rabbia.
<< Sì, è la tua auto >> convenne Senderson, << L'auto di una ex pilota clandestina. Niente di originale, niente modifiche lontanamente legali. Non è omologata per circolare su strada >>.
A Irina venne quasi voglia di prendere quel foglio, appallottolarlo e lanciarlo addosso a Senderson. Ma cosa stava dicendo? Era uscito di testa anche lui? Quella era stata l'auto con cui aveva riempito le carceri di Los Angeles.
<< Quando vi è servito che inseguissi piloti clandestini per Los Angeles di questo dettaglio non vi importava, vero? >> ringhiò.
Guardò il foglio, firmato in calce niente meno che da Howard McDonall.
"Traditore" fu l'unica parola che le passò per la testa.
<< Stiamo solo applicando la legge, Irina >> ribatté Senderson. << La legge ha sempre previsto tutto questo, e tu ne sei sempre stata immune, perché sei stata capace di stare alle regole... Almeno fino ad oggi >>.
Irina si alzò si scatto. La vena che portava sangue al suo cervello doveva essersi chiusa, perché non era più in grado di ragionare lucidamente. In ogni caso, ragionare lucidamente era quello che aveva fatto fino ad allora, e si era rivelato un errore.
<< Non c'è bisogno di aggiungere altro, grazie >> disse gelida, << Se deve finire così, finirà così >>.
Afferrò le estremità della notifica di sequestro e la strappò in due pezzi davanti agli occhi stranamente distanti di Senderson, poi uscì. Tornò nel suo ormai ex ufficio, e cercò l'unica cosa che si sarebbe portata dietro: le chiavi della Fiat Punto.
Le trovò esattamente dove le aveva lasciate sei mesi prima, dentro una scatola bianca, in fondo al cassetto. Erano ancora al loro posto.
Scese le scale quasi correndo, mentre la rabbia la guidava e le faceva ignorare le voci di chi le domandava cosa stava succedendo, perché aveva preso la Gallardo senza permesso, come mai l'aveva lasciata fuori... Tutte domande sciocche e inutili.
La Punto era parcheggiata in un angolo del garage, in leggera penombra. Erano mesi che non si muoveva, perché da quando Xander era morto, Irina non aveva avuto più il coraggio di salirci sopra. Troppi ricordi, troppe sensazioni erano legate a quell'auto, troppe cose che le riportavano alla mente gli ultimi quattro anni della sua vita.
Fino a ventiquattro ore prima, non sarebbe stata in grado di mettersi al volante e di uscire da quel garage con la Punto; ora, sentiva il bisogno di riappropriarsi di se stessa, e per farlo doveva avere la sua auto, quella con cui tutto era iniziato.
Aveva le chiavi, poteva salire e andare via quando voleva...
Si avvicinò lentamente, quasi circospetta, la vernice bianca resa leggermente opaca da un sottilissimo strano di polvere.
Poi vide la ganascia gialla agganciata alla ruota posteriore sinistra della Punto, e capì.
Non avrebbe riportato a casa la sua auto, non quel giorno.
Senza dire nulla si voltò, dando le spalle alla Punto, e corse sulla strada, infuriata. Incrociò un taxi, salto a bordo e si fece portare a casa per la via più breve, sotto un cielo plumbeo, che lasciava cadere gocce di pioggia pesanti e dense come lava.
Solo quando entrò nel suo appartamento vuoto e silenzioso, Irina si fermò e riprese a respirare. Gettò le chiavi sul mobiletto dell'ingresso e si diresse trascinando i piedi fino in camera sua, mentre qualcosa le si chiudeva nello stomaco.
Lentamente, si lasciò cadere a sedere sul letto, la pioggia fuori dalla finestra iniziava a scrosciare violentemente, battendo sui vetri come se la volesse richiamare. Irina la ignorò, perché in quel momento l'unica cosa che sentiva era un dolore profondo, un dolore che premeva nella sua gola e che lei lasciò uscire prima con un singhiozzo, poi con lacrime calde, bollenti come la pioggia del temporale.
Come un'onda in piena, la consapevolezza della verità le scivolò addosso, mentre nella sua testa scorrevano le ultime ore della sua esistenza. Xander ammazzato da un assassino sconosciuto, McDonall che le rifiutava la verità e l'aiuto, Senderson che le sbatteva in faccia i suoi errori e lei, lei che al posto che al posto di agire con lucidità prendeva un foglio di carta e rassegnava le proprie dimissioni.
"Che cosa ho fatto? Che cosa mi sta succedendo?".
Era pazza. Era completamente uscita di testa.
Le sue amiche, suo padre, Senderson... Avevano sempre cercato di aiutarla, di riportarla alla vita, di costringerla a vedere le cose come stavano, ma lei non aveva fatto altro che respingerli. Non aveva fatto altro che isolarsi, chiudersi in un bozzolo credendo di riuscire a superare tutto da sola, mentre il mondo andava avanti e la prendeva in giro.
E adesso non le rimaneva più niente in mano.
Non aveva più Xander, non aveva più il suo lavoro, e non aveva più nemmeno la sua auto. Forse non aveva più nemmeno se stessa.
Mai nella sua vita era sprofondata tanto in basso; mai aveva provato tutto quel dolore. Se aveva sempre creduto che i tempi della Black List fossero stati i peggiori della sua vita, si era sbagliata. Allora era sola, ma aveva ancora la speranza. Allora non si era mai illusa come aveva fatto sei mesi prima.
Si era illusa di poter avere una vita normale, una vita come quella di tutti gli altri; si era illusa di aver raggiunto un equilibrio tra ciò che era, ciò che era stata e ciò che sarebbe diventata. Si era illusa di aver trovato qualcuno con cui condividere il resto della sua esistenza, di aver trovato la propria strada e in qualche modo il proprio destino.
Invece, il suo destino era sempre stato tutt'altro.
"Che cosa devo scontare? Che cosa devo pagare ancora?".
Non lo sapeva.
Eppure continuò a chiederselo, mentre sprofondava in un sonno nero, agitato e buio come il destino che le era stato assegnato.
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