Capitolo VI
Ore 16.00 – Stazione di Polizia di Los Angeles
In silenzio, Irina osservò il fascicolo completamente vuoto tra le sue mani, senza muovere un muscolo. Non c'era nemmeno un foglio scribacchiato a mano per spiegare la mancanza di documentazione, un post-it con un indicazione, una graffetta che aveva tenuto insieme i fogli. Niente di niente; solo una cartellina vuota che pesava come se fosse piena.
Sapeva che il caso era stato affidato alla polizia di Los Angeles, che l'F.B.I. aveva lasciato a Senderson il compito di indagare, almeno inizialmente. Doveva esserci per forza qualche informazione, da qualche parte del Dipartimeto. Prove, indizi, foto... Qualsiasi cosa che era stata usata per inchiodare i due rapinatori, quelli che Irina non aveva mai voluto incontrare, ma ora si trovavano dietro le sbarre per aver ucciso un agente dell'F.B.I..
Forse era già stato tutto archiviato, forse la questione era ancora aperta e la documentazione era sulla scrivania di Senderson. Forse semplicemente qualcuno si stava ancora lavorando sopra.
Irina fissò la finestra chiusa senza vederla, la città di Los Angeles che si muoveva fuori di lì rumorosa e caotica, del tutto ignara di quello che era stava succedendo proprio in quel momento.
Fino ad allora era stata troppo confusa, troppo intenzionata a tenersi distante da tutto quello che riguardava Xander e la sua morte, nel vano tentativo di dimenticare. Aveva creduto che isolandosi, che mettendo tra lei e i ricordi una certa distanza, sarebbe stata in grado di elaborare il suo dolore.
Ora capiva di aver commesso un errore; c'era sempre stato qualcosa che non le sarebbe dovuto tornare, nella morte di Xander, qualcosa che il suo inconscio anestetizzato dal dolore aveva percepito, e che lei aveva deliberatamente ignorato, annebbiata dal lutto. Forse perché non fino ad allora non aveva avuto la forza di aprire gli occhi e guardare, ma alla fine il tempo la stava aiutando per davvero, stava tornando poco a poco sempre più lucida.
Afferrò il fascicolo ed entrò nell'ufficio di Senderson, trovandolo al telefono. Non sembrò contento di vederla fare irruzione nel suo spazio personale, ma l'espressione della ragazza lo convinse a chiudere la comunicazione e a rivolgerle l'attenzione. Forse si stava sbagliando, forse non c'era niente di strano, ma voleva capire, per la prima volta da tanto tempo
<< Ultimamente non sai cosa significhi bussare, mi sembra >> disse lui lentamente, trattenendo un sospiro.
Irina gettò il fascicolo sulla sua scrivania, e Senderson lo guardò per un lungo istante, prima di tornare a posare gli occhi su di lei. Vide passare qualcosa, nelle sue iridi scure, qualcosa che sembrò una scintilla.
<< Il caso non era stato assegnato al nostro distretto? >> domandò Irina.
<< Sì, il caso era nostro >> rispose solo il capo della polizia. La sua voce fu troppo controllata, e Irina se ne accorse; era sempre stato uno molto diretto, fingere gli veniva difficile.
<< Allora dov'è la documentazione? >> chiese.
Senderson la fissò per un lunghissimo istante, come se stesse soppesando la sua reazione: prese il fascicolo, lo aprì e guardò il vuoto che c'era dentro, prima di farle un cenno con il capo.
<< Chiudi la porta >>.
Irina obbedì in silenzio, mentre qualcosa dentro di lei iniziava stranamente ad agitarsi. Dopo mesi di apatia, provare una sensazione del genere le sembrava strano. Era come risvegliarsi da un sonno lunghissimo ma non ristoratore, anzi; un sonno che ti lascia stordito, quasi nauseato.
Senderson sembrò indugiare, mentre richiudeva il fascicolo verde. Irina sentì montare l'impazienza: voleva risposte e le voleva in fretta, perché ciò che stava iniziando a pensare non le piaceva. Parlò con una voce che non riconobbe come sua, forse perché era da troppo tempo che non la sentiva: una voce seccata, quasi arrabbiata.
<< Allora? Non mi chieda di sedermi, per favore. Non giriamo intorno alle cose >>.
Fu Senderson ad alzarsi in piedi. Sembrò cercare le parole, o forse invocò semplicemente la pazienza di spiegarle cosa aveva in mente.
<< Il caso era stato assegnato a noi, e noi abbiamo indagato >> rispose lentamente, << Ma avevamo appena cominciato a raccogliere le prove, che l'F.B.I. ci ha scavalcato. Alexander Went era un loro agente, avevano tutto il diritto di prendere in carico la questione >>.
Certo, aveva senso. McDonall molto probabilmente aveva voluto fare luce sulla questione, e aveva ordinato che fosse l'F.B.I. stessa a indagare... Però era stato Senderson a trovare Gregson e Cabrera, lo ricordava benissimo; all'epoca le aveva anche chiesto se voleva incontrarli. Non aveva mai saputo però che l'indagine era passata all'F.B.I.; aveva pensato che fosse stato tutto chiuso. In quel periodo stava ancora cercando di recuperare la capacità di parlare.
<< E' stata la Polizia di Los Angeles ad arrestare i due hanno ucciso Xander >> ribatté Irina, << Tutto quello che riguarda quegli arresti dovrebbe essere qui... L'F.B.I. è subentrata dopo... >>.
L'occhiata che le lanciò Senderson la costrinse a fermarsi.
<< L'F.B.I. non vuole che mettiamo il naso nelle loro indagini >> disse l'uomo.
Irina lo guardò, registrando le sue parole.
<< Perché non mi ha detto che le indagini erano ancora aperte? >> domandò, irritata.
Aveva sempre creduto che tutto si fosse concluso con due arresti, che i colpevoli fossero stati catturati, che la morte di Xander fosse stupida e semplice come era sembrata. Invece c'erano cose ancora aperte, di cui lei non era mai stata messa al corrente. Non importava che non fosse psicologicamente pronta, che non avesse le forze per gestire un nuovo dolore... Avrebbero dovuto metterla al corrente, soprattutto adesso che tornava a essere un po' più presente.
<< Non posso risponderti >> disse Senderson, l'espressione di pietra, << Sono informazioni riservate >>.
Irina rimase immobile, le braccia lungo i fianchi e gli occhi inchiodati al volto del Capo della Polizia.
Per la prima volta da mesi, sentì il sangue andarle alla testa. Qualcosa si mosse dentro di lei, la scosse fin nelle ossa, e la costrinse a tornare perfettamente lucida. Fu come se l'ossigeno tornasse ad alimentare le sue cellule, come se riprendesse a respirare dopo ore e ore di apnea. Un rumore strano le invase la cassa toracica, poi si rese conto che era il suo cuore che batteva forte; era ancora viva, dopotutto, anche se aveva pensato di non esserlo.
Certo che era viva; se non lo fosse stata, non avrebbe sentito tutto quel dolore che prima la trafisse come una lama ghiacciata, e che poi divenne bollente, bollente come la rabbia che gli si scatenò dentro.
<< Informazioni riservate? >> sbottò, << Ho il diritto di sapere cosa sta succedendo! >>.
Senderson ruotò la tazza di caffè che teneva sulla scrivania. Non sembrava a disagio, solo profondamente cauto, come se si aspettasse quella reazione eccessiva da parte sua.
<< Lo so, e non ti biasimo >> rispose lentamente, << Questa cosa non va giù nemmeno a me, ma siamo stati tirati fuori nostro malgrado. Credi davvero che Alexander Went si sia fatto uccidere in una rapina come un poliziotto alle prime armi? Io non lo credo, e nemmeno tu, immagino >>.
Certo che non lo credeva; certo che Xander era troppo in gamba per farsi ammazzare in un modo così stupido... Erano mesi che non si dava pace, per quella morte insensata, eppure aveva sempre confidato nella verità della polizia. Aveva sempre avuto fiducia, aveva sempre creduto che il Dipartimento di Los Angeles avesse fatto davvero luce sul caso...
Lei aveva sbagliato, aveva ignorato quella sensazione allo stomaco che l'aveva accompagnata per mesi e che le aveva reso le notti insonni, e lo aveva fatto convinta che fosse solo il senso di colpa. Ma quello che le faceva più male, che accendeva dentro di lei quella strana rabbia, era il fatto che l'avessero presa in giro.
Cercò di riguadagnare un minimo di calma, almeno per cercare una spiegazione, per capire se potesse essere tutto un errore, se ci fosse una spiegazione logica, ma non ci riuscì. Forse in tutti quei mesi aveva perso la capacità di autocontrollo.
<< Xander è stato ucciso per un motivo? >> domandò, con la voce che tremava.
Le sue parole caddero in un silenzio pieno di significato, un silenzio rotto solo dai rumori delle auto in strada e dalle voci di qualcuno nel corridoio. Senderson rimase immobile, quasi impassibile, se non fosse stato per le sue mani, che strinsero il bordo della scrivania, forse in un moto di rabbia.
<< L'agente Went è stato ucciso da qualcuno, qualcuno che lo voleva morto per un motivo in particolare >> rispose, << L'F.B.I. sta insabbiando questa cosa, e non so il perché... Non so nulla, se non che ci hanno tagliati fuori >>.
Irina registrò le sue parole, cercando di far reagire il suo cervello ingolfato.
<< McDonall non può aver fatto una cosa del genere... >> mormorò.
Howard McDonall, il Vicepresidente dell'F.B.I., l'uomo che aveva lasciato carta bianca a Xander quando era stata ora di catturare lo Scorpione; l'uomo che le aveva consentito di mettersi in gioco e partire per la Russia; l'uomo di cui sia lei che Xander si erano sempre fidati più di tutti gli altri... Non poteva aver nascosto a lei una cosa del genere; non poteva aver fatto finta di nulla, non poteva averla lasciata crogiolarsi nel dolore senza rivelarle la verità.
Aveva taciuto, e con lui aveva taciuto anche Erik Senderson.
<< Se lei sapeva, perché non me ne ha parlato? >>.
La sua voce era densa di fastidio, di rabbia, e quasi le raschiava la gola. Sembrava quasi che tornasse a parlare dopo mesi di silenzio.
<< Non sapevo niente fino a qualche settimana fa >> rispose Senderson, il tono sicuro, come se sapesse di avere una giustificazione valida, << Quando l'F.B.I. ha rilevato il caso, poco dopo la cattura di Gregson e Cabrera, ho creduto che lo facessero per scrupolo, che volessero semplicemente essere sicuri che non ci fosse nessun'altro coinvolto... Durante le indagini abbiamo fatto spesso rapporto anche a McDonall, perché lui ha sempre voluto essere informato sulle cause della morte di uno dei suoi migliori agenti. Quando abbiamo terminato le indagini, hanno voluto tutto il rapporto riepilogativo, e ho iniziato a sospettare qualcosa. Ho chiesto spiegazioni, ma l'unica cosa che l'F.B.I. mi ha risposto è stato che Went veniva considerato un morto sul lavoro... Ma non il lavoro di poliziotto. Il lavoro da agente >>.
Un morto sul lavoro.
Irina sentì la lingua incollarsi al palato. Era morto perché quello su sui aveva lavorato nei mesi precedenti lo aveva seguito fino a Los Angeles. Non aveva mai voluto parlargliene... In effetti, Xander non voleva mai metterla al corrente di ciò che faceva nel suo lavoro, un po' per sicurezza e un po' per staccare davvero la spina, quando tornava a casa. Sapeva solo che era stato in America Latina, nient'altro.
Fissò Senderson senza quasi vederlo. La sua testa lavorava, lucida come non lo era da tempo.
<< Con chi ha parlato di tutto questo? >> chiese.
<< Con Howard McDonall >> rispose Senderson.
Irina sbatté le palpebre, mentre qualcosa dentro di lei si rompeva. Si rompeva definitivamente, e la sua anima già martoriata andava in pezzi.
Perché improvvisamente si rendeva conto di non potersi fidare di nessuno, esattamente come sei anni prima, come quando il suo nome era Fenice e la strada il suo regno.
Improvvisamente capì che nonostante tutto nulla era cambiato.
Le avevano nascosto la verità sulla morte di Xander, quando lei aveva il diritto di sapere. Non solo perché era legata a lui, ma anche perché aveva dato tutto alla causa dell'F.B.I. prima e della polizia poi. Aveva consumato le sue notti, le sue energie, ogni briciolo del suo essere per rendere Los Angeles una città più sicura, per mettere dietro le sbarre quelli che un tempo erano stati i suoi compagni di scorribande e gare clandestine.
Era stata ripagata solo con bugie e silenzi.
<< Perché non me ne ha parlato quando ha iniziato a sospettare qualcosa? >> domandò seccamente, mentre si avvicinava alla finestra. Forse aveva bisogno di aria, o forse aveva bisogno di vedere che il mondo la fuori non si era fermato nemmeno questa volta
<< Mi è stato ordinato di non farlo >> rispose Senderson.
A quel punto, la rabbia che aveva dentro divenne troppo profonda per poter rimanere in silenzio; strinse la mano in un pugno, incredibilmente presente.
<< Quindi lei non ha risposte da darmi, su questa storia? >> domandò.
<< No >>.
Improvvisamente, le venne quasi da sorridere. Molto probabilmente McDonall gli aveva ordinato di tacere, su tutta quella cosa, e non era l'ubbidienza di Senderson a infastidirla: era il comportamento del Vicepresidente, a prenderla totalmente in contropiede. Era partito tutto da lui; McDonall le aveva nascosto la verità su Xander.
Quello non poteva accettarlo.
Non poteva accettare nulla di tutta quella storia; non poteva accettare di piangere su una tomba senza sapere perché.
Aveva creduto che non esistesse nulla in grado di risvegliarla dal suo torpore, ma si era sbagliata.
Adesso era di nuovo sveglia, ed era molto arrabbiata.
E sotto l'influsso di quei sentimenti, il suo cervello lavorava velocemente, elaborava tutto quello che aveva appena scoperto, e tornava a prendere decisioni. Era tutto così tremendamente chiaro, che Irina si chiese come fosse riuscita a sopportare di non sapere fino a quel momento.
<< Ok >> disse lentamente, avvicinandosi verso la porta, << Vuol dire che farò le domande giuste alle persone giuste >>.
Lei e Senderson si guardarono per un'istante infinito, un'istante in cui Senderon sembrò non capire cosa avesse detto; forse cercava solo qualcosa da dire, forse cercava una scusa, ma alla fine non parlò, e Irina uscì dall'ufficio prima che potesse farlo.
A passo rapido, raggiunse la guardiola al pian terreno, schivando qualche poliziotto perplesso dalla sua espressione. Non chiese il permesso a nessuno, quando aprì il cassetto della scrivania di Onsow e afferrò un mazzo di chiavi, mentre l'uomo la fissava senza capire.
<< Ma... >> iniziò lui, incerto.
Irina gli lanciò un'occhiata.
<< Non provare a fermarmi >> ribatté.
Gli occhi dei tre poliziotti in pausa e di Sasha Jekson, che passava lì proprio in quel momento, si piantarono su di lei. Dopo mesi in cui era sembrata un fantasma, forse ora pensavano che fosse definitivamente impazzita. Magari avevano ragione.
Onsow la guardò percorrere il corridoio, mentre Irina sentiva i passi concitati di Senderson per le scale, esattamente mentre lei scendeva la rampa per raggiungere i garage sotterranei.
Era furiosa, furiosa come non lo era mai stata prima in tutta la sua vita. Più arrabbiata di quando Challagher le aveva bruciato l'auto, più arrabbiata di quando Xander era andato a letto con Nina Krarakova, più arrabbiata di quando la Lince aveva provato a sfuggirle dalle mani.
Qui non era stata un nemico, a tradirla, a prenderla in giro; qui erano state le persone a cui aveva messo a disposizione se stessa, le persone che le avevano chiesto di mettere in pericolo la sua vita.
Nonostante tutto, lei aveva sempre giocato pulito, sempre.
Eppure, nemmeno la polizia e l'F.B.I. erano stati sinceri con lei.
Aveva un solo modo per ottenere le risposte che voleva: vedere McDonall e farlo immediatamente, anche se si trovava a quasi quattrocento miglia di distanza, a San Francisco, anche se non aveva nessun appuntamento. Le bastava essere veloce, e godere di tutti i privilegi della polizia.
<< Non sei autorizzata a prendere la Lamborghini! >> sbottò Senderson attraverso le scale.
Irina non si voltò nemmeno. Entrò nel garage e si diresse verso la Gallardo, infilandosi nell'abitacolo senza sforzo. Il motore ruggì proprio mentre Senderson faceva irruzione di sotto, infuriato.
"Non sono autorizzata? Sono sempre stata l'unica persona qui dentro in grado di guidare quest'auto".
In quel preciso istante, nell'anima di Irina qualcosa si mosse, qualcosa che non aveva a che fare con l'agente di polizia che era. La rabbia per le bugie l'aveva scossa dal suo torpore, le aveva ridato lo scopo che credeva di aver perduto.
"Non meritavo tutto questo. Sarò anche una ex criminale, sarò anche una pazza, ma non meritavo nessuna di queste bugie."
Affondò il piede sull'acceleratore, facendo pattinare le ruote della Gallardo sull'asfalto liscio, il fischio della gomma che costrinse Senderson a digrignare i denti e a spostarsi di lato per non essere centrato in pieno. Fece schizzare l'auto fuori dal garage, in mezzo al traffico della città, a sirene spiegate, perché lei era l'agente speciale Dwight, e aveva appena scoperto che il suo ragazzo era stato ammazzato per mano di qualcuno che molto probabilmente era ancora libero. Visto che i suoi superiori si arrogavano il diritto di tenerla all'oscuro della verità su Xander, lei si sarebbe presa il diritto di fare ancora la pilota di strada.
Mentre le auto civili si scostavano per farla passare, Irina sentì la Lamborghini rispondere ai suoi comandi alla perfezione, come se interpretasse la sua rabbia e la trasferisse sulla strada. La sua mano si strinse sul volante, mentre con l'altra prendeva il cellulare e cercava un numero di telefono che da anni era nella sua rubrica.
<< Buongiorno, Colette Duruois, ufficio del Vicepresidente, F.B.I. >> rispose una voce femminile dall'altra parte della linea, professionale e asettica, << Chi parla? >>.
<< Agente speciale Irina Dwight, dipartimento di Los Angeles >> rispose lei, superando un incrocio con il semaforo rosso. Sentì le auto inchiodare al suono della sirena, la gente che si voltava a guardare la Gallardo con la livrea della polizia.
<< Oh, buongiorno agente... >> la salutò la segretaria francese, la voce sorpresa.
<< Dica a McDonall che tra quattro ore sarò di fronte alla porta del suo ufficio, perché voglio parlare con lui >> la interruppe Irina, imboccando l'autostrada verso nord. Il cielo era grigio, ma non quanto la sua anima in quel momento.
<< Il signor McDonall non è in ufficio, oggi >> rispose Colette, presa in contropiede, << E' così urgente da... >>.
<< Oh sì che è urgente >> la interruppe nuovamente Irina, stringendo il volante, << In qualunque posto si trovi McDonall, non è sicuramente così lontano da non poter tornare nel suo ufficio. Lo chiami e gli dica che Irina Dwight vuole parlare con lui. E lui sa di cosa >>.
Non lasciò il tempo a Colette di ribattere qualcosa; chiuse la comunicazione e gettò il cellulare sul sedile del passeggero. Teneva gli occhi incollati alla strada, ma la sua testa era da tutta un'altra parte.
Ora tutto aveva un senso.
Ora aveva un oggetto su cui sfogare la sua rabbia.
Ed era anche perfettamente conscia di quello che stava facendo.
Aveva appena sottratto una supercar di proprietà della polizia al dipartimento di Los Angeles, e decine di unità potevano essere state messe al suo inseguimento, ma non guardò nemmeno lo specchietto retrovisore. Nessuno, nemmeno Senderson, avrebbe mai osato sfidarla sul suo terreno, la strada, per di più a bordo di una Lamborghini, anche se aveva appena infranto le regole. Soprattutto quando avevano fatto di tutto per farla infuriare.
Non le importava.
In quel momento non le importava di nulla.
Se c'era qualcosa che non tollerava, era il tradimento. Xander l'aveva imparato, e l'avrebbe imparato anche Howard McDonall.
Irina parcheggiò la Lamborghini Gallardo proprio davanti all'ascensore che sapeva l'avrebbe portata agli uffici dell'F.B.I.. Conosceva quel posto, ci era già stata prima di andare in Russia, e ci era tornata diverse volte per parlare con McDonall; aveva un pass per parcheggiare nel garage sotterraneo, e la sua faccia era abbastanza conosciuta da non destare troppi sospetti, quando passava tra i corridoi.
Lasciò la Lamborghini senza nemmeno controllare che potesse dare fastidio a qualcuno e prese l'ascensore, premendo furiosamente il tasto del quinto piano.
Il viaggio relativamente lungo verso San Francisco non era riuscito a calmarla, anzi. Non aveva fatto altro che rimuginare sulla morte di Xander, sulle parole di Senderson, su quello che stava accadendo a Los Angeles. Ogni istante che passava, bruciava dentro di lei la rabbia per essere stata lasciata all'oscuro di tutto, per essere stata presa in giro, mentre per mesi si trascinava nel dolore di una morte che aveva sempre considerato stupida.
L'ascensore si aprì con un silenzioso sibilo su un corridoio bianco e disseminato di porte. Solo allora si rese conto che era tardi, molto tardi, e gli uffici si erano svuotati. Dovevano essere più o meno le dieci, non lo sapeva esattamente, perché non aveva guardato l'orologio, e a dir la verità non le importava neanche.
Il Quartier Generale dell'F.B.I. era silenzioso, quasi un edificio fantasma, mentre lei camminava rapidamente sul pavimento bianco liscio e ludicissimo. Le pareti sembravano incomberle addosso, ma molto probabilmente era una sua impressione, perché per la prima volta percepiva quel luogo come un posto ostile.
Raggiunse una sala ampia, con grandi finestre di vetro che lasciavano entrare la luce fredda e bianca di giorno, e il nero della notte la sera; anche nel buio riusciva a intravedere i vialetti del parco di sotto, l'erba curata e le panchine vuote. In un angolo c'era la scrivania della segretaria personale del Vicepresidente dell'F.B.I..
Colette Duruois si stava limando le unghie con aria annoiata, perché evidentemente era andata ben oltre il suo orario di lavoro. Alzò la testa quando la sentì arrivare, passi di Irina che rimbombavano nel silenzio della sala. Portava sempre i capelli stretti in uno chignon perfetto e indossava un completo dall'aria costosa color cobalto.
<< Agente Dwight... >> disse, vedendola avvicinarsi, << E' arrivata... >>. Si alzò in piedi di scatto, come se farsi trovare fuori posto da lei disdicevole.
<< Sì, lo so, sono arrivata in fretta >> concluse per lei Irina, << McDonall c'è? >>.
<< Sì, gli dico che è... >> iniziò Colette afferrando il telefono, ma Irina non le diede tempo di avvertire il capo del suo arrivo. Entrò nell'ufficio del Vicepresidente dell'F.B.I. senza bussare, infischiandosene delle buone maniere e del protocollo. Era certa che lui avesse già capito il motivo per il quale aveva coperto quattrocento miglia in meno di quattro ore, e perché lo aveva costretto a rimanere in ufficio, invece che andare a cena.
Howard McDonall aveva solo i capelli leggermente più corti dall'ultima volta in cui si erano incontrati, al funerale di Xander; tutto il resto era rimasto identico. Persino il completo giacca e cravatta antracite sembrava lo stesso. Magro, capelli grigi e tratti severi, era l'uomo perfetto per detenere il potere dell'F.B.I., eppure Irina in quel momento non sentì altro che profonda delusione, guardandolo.
<< Agente Dwight, dicevano che avevi perso smalto >> proruppe McDonall, nascondendo un sorriso sotto i baffetti grigi, << Eppure a me non sembra >>.
Irina chiuse la porta alle sue spalle, fissando l'espressione di McDonall e cercando di capire cosa stesse provando in quel momento. Aveva avuto il tempo di prepararsi, di trovare una scusa plausibile al suo comportamento, ma sembrava calmo, fin troppo calmo.
<< Sono qui per un solo motivo, e lei sa qual è >> ribatté.
McDonall le fece cenno di sedersi, poi sfiorò per un momento il telefono, forse per chiedere a Colette di portare loro un caffè o dell'acqua; alla fine però sembrò cambiare idea, e ritrasse la mano.
<< Perché dovrei sapere il motivo per cui hai fatto quattrocento miglia per incontrarmi? >> domandò lentamente.
Voleva giocare a fare l'ingenuo? Irina non aveva la pazienza di stare alle sue regole, questa volta.
<< Alexander Went è stato ucciso in quella che doveva apparire come una banale rapina, ma che in realtà è stato un agguato in piena regola >> rispose secca, << E lei non mi ha detto nulla. Ha acquisito il caso e ha fatto credere a tutti si fosse risolto con l'arresto di due criminali da strapazzo, quando invece la verità era tutta un'altra. Mi ha tenuto all'oscuro per tutto questo tempo >>.
McDonall rivolse un'occhiata rapida alla finestra, come se stesse cercando un modo per trovare la calma necessaria a spiegarle tutto. I suoi baffetti grigi fremettero, quando allontanò appena la sedia dalla scrivania.
<< Come lo hai scoperto? >> domandò.
<< Il fascicolo di Xander era completamente vuoto, al Dipartimento >> ribattè Irina, << Ho fatto domande, e l'unica cosa che non sono riuscita ad ottenere sono proprio le risposte. Sono rincoglionita, ma non sono stupida >>.
Il suo tono sembrò colpire per la prima volta anche McDonall, ed era quello che lei voleva. Non doveva provare nemmeno a prenderla di nuovo in giro.
<< Senderson non avrebbe dovuto... >>.
<< Senderson non ha fatto nulla >> lo interruppe Irina, << Si è limitato a dirmi che avete ancora il caso in mano. Non sarei qui, se avessi avuto le risposte che volevo >>.
McDonall la guardò.
<< Alexander Went era un nostro agente, ed era nostro diritto gestire il caso >> rispose lentamente, << Non poteva occuparsene solamente la polizia... >>.
<< Non è questa la domanda che le ho fatto >> ribaté Irina, << Voglio sapere. Voglio sapere perché mi ha fatto credere che il caso di Xander fosse chiuso; voglio sapere chi lo ha ucciso e cosa c'era dietro >>.
<< Non sappiamo chi ha ucciso davvero l'agente Went >> rispose bruscamente McDonall, interrompendola.
Irina lo fissò.
<<Cosa vuol dire che non lo sapete? >> ringhiò.
<< Non sappiamo chi ha ucciso l'agente Went >> ripetè McDonal, << I due che sono stati arrestati erano davvero solo rapinatori, o si sono finti tali. Non sappiamo chi ha premuto il grilletto, e non è sicuramente stato nessuno di loro due >>.
Irina rimase di sasso, immobile, cercando di assimilare quello che McDonall le aveva appena detto. Quindi Gregson e Cabrera tutto sommato erano innocenti.
<< Allora chi ha ucciso Xander? >> domandò, cercando di controllare la voce.
<< Ripeto: non lo sappiamo >>.
In quel momento, Irina avrebbe voluto solo alzarsi e rompere qualcosa; avrebbe voluto gridare addosso a McDonall tutta la sua frustrazione, tutta la rabbia che le si era accesa dentro. Voleva risposte, aveva bisogno di chiarezza, altrimenti sarebbe impazzita.
Xander era morto e nessuno sapeva chi lo aveva ucciso. Ed erano passati già sei mesi.
Eppure, nonostante la rabbia, l'unica cosa che riuscì a fare fu rimanere immobile.
<< Non potete non saperlo >> ribatté lentamente, << Siete l'F.B.I., avete agenti ovunque, contatti da ogni parte... Se volete scoprire qualcosa, avete i mezzi per farlo >>.
McDonall scosse il capo.
<< L'agente Went stava lavorando a qualcosa di importante >> rispose, << Quando è tornato a Los Angeles per le sue due settimane di riposo, aveva appena iniziato a scavare tra i suoi contatti... >>.
<< A cosa stava lavorando? >>chiese.
McDonall non rispose subito.
<< Non posso parlartene >>.
Irina rimase interdetta. Da quando lo conosceva, McDonall non le aveva mai dato una risposta del genere, non con quel tono. Non sembrava rammaricato; sembrava... stizzito.
<< Sono un'agente della polizia di Los Angeles >> ribatté Irina, irritata.
<< Non fai parte del nostro Dipartimento >> spiegò McDonall.
Qualcosa nell'atteggiamento di quell'uomo era mutato, e Irina se ne rese conto dal movimento involontario della sua mano appoggiata sulla scrivania. Non c'era più quel rapporto di collaborazione e fiducia che aveva contraddistinto il passato; qualcosa era cambiato, e lei lo percepì chiaramente. In effetti, quel McDonall non sembrava lo stesso che tre anni prima le aveva proposto di partire per Mosca. Non c'era un briciolo della comprensione che aveva dimostrato all'ora.
<< Crede sia una risposta sufficiente, questa? >> ringhiò, << Io ho aiutato Alexander Went ha catturare lo Scorpione. Io ho lavorato per lei e sono andata in Russia a far arrestare la Lince. Io ho svuotato Los Angeles da piloti clandestini e criminali. Ho sempre collaborato con l'F.B.I. quando mi è stato chiesto. Forse ufficialmente non faccio parte del vostro Dipartimento, ma senza di me il vostro lavoro sarebbe stato molto più difficile. So benissimo di non meritare una risposta del genere >>.
McDonall la fissò, e Irina rimase in silenzio, gli occhi puntati nei suoi. Non si era mai rivolta a lui così, ma la rabbia era troppa e non tollerava ulteriori intralci ai suoi piani, nemmeno da lui.
<< Anche noi ti abbiamo dato tanto, Irina >> ribatté il Vicepresidente, << Ti abbiamo ripulito la fedina penale, quando sei uscita dalla Black List. Nessuno lo avrebbe fatto; avresti subito un processo come tutti gli altri, saresti stata interdetta e forse ti saresti fatta qualche anno di carcere. E abbiamo chiuso un occhio anche quando hai lasciato andare Dimitri Goryalef... Perché sappiamo che è fuggito con il tuo aiuto e quello dell'agente Went >>.
Irina storse il naso.
<< Mi sta dicendo che non vuole dirmi il motivo per cui Xander è morto? >> disse lentamente, la voce modulata ma il cuore che scoppiava di rabbia, << Mi sta dicendo che dovrei accontentarmi di sapere che è stato ammazzato mentre svolgeva un lavoro che nessuno conosce? >>.
<< Si tratta di sicurezza, Irina >> rispose McDonall, << Se ti rivelo qualcosa, rischio di mettere in pericolo anche la tua vita. L'agente Went è morto per una leggerezza, probabilmente. Non faceva rapporto regolarmente, nell'ultimo periodo, e sospetto che ci fosse qualche motivo sotto. Forse si è sentito braccato, forse aveva capito che c'era qualcosa che non andava. Una talpa tra noi, magari >>.
Irina osservò l'espressione del Vicepresidente, e nonostante fosse pacato e misurato nei toni, lei non riusciva a calmarsi.
<< Sicurezza? >> ribattè, gelida, << Non vi siete fatti scrupoli per la mia sicurezza, quando mi avete chiesto di andare in Russia, e allora non ero nemmeno una poliziotta >>.
<< Non è la stessa cosa >> ribatté McDonall, << Conoscevamo il nostro obiettivo, e sapevamo da chi dovevamo guardarci. Questa volta è diverso >>.
<< Allora mi spieghi perché è diverso >> ribatté Irina, << Mi dica perché Xander è stato ammazzato, e me lo dica chiaramente. Non mi farò prendere in giro, nemmeno da lei >>.
McDonall tacque, e Irina capì che si stava spingendo oltre il limite di tolleranza. Nonostante la conoscenza che esisteva tra loro, non poteva permettersi certi atteggiamenti. Nemmeno Xander era mai stato così diretto con lui.
<< Non posso parlare delle nostre indagini con la polizia >> rispose l'uomo alla fine.
Irina lo guardò con gli occhi ridotti a fessure. Capì solo in quel momento cosa stava facendo McDonall. Stava cercando scuse per non rivelarle nulla.
<< Se vuole che entri nell'F.B.I., deve solo chiedermelo >> sbottò.
McDonall sorrise impercettibilmente, e ciò non fece altro che aumentare la sua rabbia.
<< Non te lo chiederò >> ribatté.
Irina rimase in silenzio.
Aveva intuito molto tempo prima che forse l'F.B.I. era interessata a lei; subito dopo il ritorno dalla Russia, quando aveva ricevuto la proposta di entrare in polizia, era venuta a sapere che era stato McDonall stesso ad avere l'idea di formarla per un periodo come agente operativo nel Dipartimento di Los Angeles. Era ovvio che aveva bisogno di esperienza, e Irina aveva accettato, conscia che prima o poi una richiesta ufficiale dall'F.B.I. sarebbe arrivata.
Però non aveva mai sentito nessuno. In realtà, aveva scoperto che il lavoro come poliziotta le piaceva, e aveva iniziato a sperare che la chiamata non arrivasse mai. Non le sarebbe piaciuto rifare ciò che aveva fatto in Russia... Una sola volta le era bastata per guadagnarsi fantasmi per tutta la sua esistenza.
E ora McDonall non la voleva più tra le sue fila.
Aveva senso?
<< Perché? >> chiese.
<< Non sei nelle condizioni psicofisiche per accettare un incarico del genere >> rispose McDOnall, << E comunque, se persino Alexander Went ha fallito, credo che ci siano davvero poche persone in grado di sostituirlo in questo lavoro >>.
Irina non si offese, ma qualcosa le si strinse nello stomaco. Il Vicepresidente non la riteneva idonea... Che stese impazzendo le era chiaro già da diverso tempo, ma sentirselo dire in faccia suonava un po' diverso.
<< Lei mi conosce, McDonall >> iniziò a dire lentamente, << Lei sa da dove arrivo, e sa come ho conosciuto Alexander Went. Io devo sapere perché è morto, devo saperlo e basta >>.
Certo che doveva saperlo. Come poteva pensare di riuscire a dormire la notte, senza avere alcuna risposta? O peggio, come credeva di dimenticare, se non aveva mai davvero saputo?
McDonall però non si mosse. Guardò per qualche istante il ripiano della sua scrivania, prima di risponderle.
<< Il mandante è sicuramente qualcuno che ha incontrato nella sua ultima missione >>.
<< In America Latina? >>.
<< In America Latina. Abbiamo già mandato qualcuno a indagare >>.
<< Non sapete altro? >> chiese Irina.
<< No >>.
Era convinta che McDonall stesse mentendo. Sapere era il suo lavoro; semplicemente non voleva parlare con lei. La questione della sicurezza, della segretezza, erano tutte balle.
<< Mi dia il fascicolo del caso >> disse.
<< Non posso >>.
Improvvisamente, Irina si rese conto che McDonall non aveva intenzione di collaborare con lei. Aveva fatto quattrocento miglia per non concludere nulla, e non aveva senso continuare a porgli domande a cui non avrebbe risposto.
Si alzò di scatto, fissando gli occhi grigi dell'uomo, le chiavi della Lamborghini Gallardo strette nel palmo.
<< Pensavo di meritare almeno un po' del suo rispetto >> ringhiò, << Non credevo di essere solamente una pedina... Ma evidentemente quello che mi ha sempre detto Senderson è vero: ai vostri occhi, un criminale rimane sempre un criminale >>.
Si voltò e lasciò l'ufficio, senza salutare McDonall e Colette che aspettava fuori. La segreteria la osservò basita raggiungere il corridoio e poi le scale, mentre Irina si sentiva ribollire. Dopo mesi di apatia, quella rabbia l'aveva fatta svegliare, le aveva provocato uno shock così forte che non riusciva più nemmeno a comportarsi in modo normale.
Tra ventiquattro ore si sarebbe pentita tutto ciò che aveva fatto.
Tornò nel garage sotterraneo e risalì sulla Gallardo, le sirene lampeggiati e la carrozzeria che luccicava. Qualcuno aveva attaccato un foglio sul parabrezza, con una lamentela per il suo parcheggio selvaggio, ma lei lo accartocciò e lo lanciò nel cestino, mentre uno degli inservienti del garage le correva incontro, forse per dirle qualcosa.
Lo ignorò. Salì a bordo e ripartì con una sgommata, infuriata. La Gallardo schizzò fuori dal garage come un proiettile, nella notte buia e fredda di San Francisco.
Non aveva risolto assolutamente nulla, con quel viaggio, ma le era servito per capire che nessuno si sentiva davvero in dovere di darle delle risposte. Ora le era tutto estremamente chiaro.
Erano le tre di notte passate, quando Irina arrivò a Los Angeles, e le ore di viaggio le erano servite per capire cosa fare. Cambiava tutto, adesso che sapeva; cambiavano le sue prospettive e cambiavano i suoi obiettivi.
Non tornò alla stazione di polizia; non voleva avere davanti Erik Senderson, e non era nemmeno certa di trovarlo ancora lì. Sottraendo la Gallardo senza il permesso si era messa nei guai, e tenerla qualche ora in più non avrebbe cambiato la sua situazione. La lasciò parcheggiata davanti al vialetto di casa, e nel silenzio della notte che avvolgeva il palazzo, rientrò nel suo appartamento.
Improvvisamente, quel luogo che aveva fuggito per mesi le sembrava meno vuoto, meno soffocante. Improvvisamente, l'oscurità non cercava più di avvolgerla, di stringerla in una morsa dolorosa e gelida. Improvvisamente, Irina si rese conto che esisteva un perché, che esisteva una spiegazione, esisteva un motivo.
Rimase immobile, al centro dell'appartamento, a luci spente e con il fiato corto, mentre ogni singolo pezzo dei suoi ricordi, delle sue sensazioni, delle frasi dette e ascoltate, andava al suo posto. Ogni cosa tornava, e lei tornava a respirare.
Era stata tradita. Era stata tradita dalla polizia e dall'F.B.I., era stata tradita dalle persone alle quali aveva dato tutta se stessa, e ora non le rimaneva altro che un pugno di mosche in mano. Era stata tagliata fuori, messa da parte; nemmeno McDonall era disposto a farla entrare nell'F.B.I....
Perché? Perché all'improvviso nessuno si fidava più di lei?
Lentamente, Irina si sedette sul bordo del letto, e mentre vedeva la luce dell'alba filtrare piano dalle finestre, capì. La risposta l'aveva addosso, tatuata sulla pelle come la fenice che non aveva mai cancellato: era e sarebbe sempre stata una criminale.
Tutto ciò che aveva avuto, tutte le possibilità che le erano state date, erano solo merito di Xander. Lui aveva intercesso per lei, facendo in modo che tutti i reati che aveva commesso durante gli anni della Black List fossero cancellati; lui l'aveva ripulita, l'aveva presentata come la ragazza finita in mezzo ai guai per necessità, ma per tutto il resto del mondo era sempre e solo una ex pilota clandestina.
Se non fosse stata sufficientemente lucida, Irina si sarebbe lasciata andare a quel pensiero, ma lei lo era. Forse non godeva più della stima di McDonall, ma c'erano ancora tante cose che non avevano senso.
La prima era il fatto che invece Senderson le aveva sempre chiesto di tornare pienamente operativa.
La polizia la voleva ancora tra le sue fila, ma non l'F.B.I., la prima che una volta l'aveva appoggiata. Non c'era una spiegazione logica, o almeno lei non la sapeva.
Lasciò arrivare il mattino, seduta sul bordo del letto, mentre smetteva di rimuginare e decideva che l'unico modo che aveva era tornare alla stazione di polizia e chiarire tutto con Senderson, costringerlo in qualche modo a dirle la verità, perlomeno quella che sapeva.
Quando sentì il cane dei vicini uggiolare per uscire, Irina si alzò di scatto dal letto e scese di sotto. Risalì sulla Gallardo davanti agli occhi stupefatti di qualche passante e sgommò verso la stazione di polizia.
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