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Capitolo II




Ore 21.00 – Casa di Jenny

Il pianto disperato di Luke costrinse Irina a fare un passo verso Jenny, che teneva il neonato in braccio e lo dondolava sul posto, cercando di calmarlo. Teneva i capelli raccolti con una molletta, ma nonostante tutto sembravano non voler rimanere al loro posto, dandole un'aria ancora più stanca e trasandata. Teneva il biberon in mano cercando di farlo mangiare, ma il bambino non ne aveva assolutamente voglia, e lo dimostrava piangendo in modo inconsolabile.

La televisione trasmetteva il notiziario delle ventuno, ma sia Irina sia Jenny lo ignoravano. Solo Jess sembrava essersi abituato al sottofondo costante del pianto di suo figlio.

<< Mio Dio, Irina, non sapevo che fare la mamma fosse così faticoso... >> mormorò Jenny, continuando a dondolare avanti e indietro, senza alcun risultato concreto.

Irina sorrise, di fronte alla nuova condizione della sua vecchia amica. Chissà perché, ma aveva sempre fatto fatica a immaginarla con un pargolo tra le braccia, eppure era tutto vero: era diventata mamma di uno splendido bambino già a venticinque anni, aveva un marito che amava e che faceva un lavoro ben pagato, e sembrava davvero felice, nonostante la mancanza di sonno, gli abiti che gli andavano un po' stretti e la completa assenza di trucco.

<< Devi solo fare un po' di esperienza >> disse lei, osservando l'espressione dolorante di Luke, con i lacrimoni che gli colavano lungo le guance, << Credo che abbia una piccola colica... >>.

<< Eh? >>.

Irina le fece cenno di porgerle il bambino. Un flash della prima volta in cui aveva preso in braccio suo nipote Tommy le tornò alla mente, ma lo scacciò subito, accogliendo tra le sue braccia il piccolo Luke. Era leggero come una piuma, e profumava di quel dolcissimo odore di neonato che strappò a Irina un sorriso. Ricordava di quando era suo nipote, ad avere quelle crisi, e la sensazione di spaesamento che aveva provato diverse volte, prima di capire qual era il problema.

Jenny la guardò incuriosita, mentre premeva delicatamente il pancino del bambino, che dopo qualche secondo iniziò a calmarsi, limitandosi a singhiozzare. Lo cullò, osservando i suoi occhietti chiari, vividi, mentre una morsa nel suo stomaco le si stringeva, facendole quasi male. Molto probabilmente lei e Luke stavano provando la stessa identica cosa, ma sicuramente per cause diverse.

<< Ha solo male alla pancia, forse ha ingoiato troppa aria con il biberon >> spiegò a Jenny, porgendole il bambino, prima che quella morsa si facesse troppo pesante, << Magari prova a cambiargli il ciuccio >>.

Mentre Jenny si riappropriava di suo figlio, Irina sentì addosso gli occhi della sua amica, poi quelli di Jess, e cercò disperatamente di ignorarli. Sapeva cosa stavano pensando, perché era la stessa cosa che pensava lei, la stessa che le aveva provocato la morsa dentro lo stomaco.

<< Ho solo un po' di esperienza per via di Tommy >> spiegò, cercando di cambiare rapidamente argomento, prima che Jenny si sentisse in dovere di consolarla in qualche modo, << Sono cose che non si dimenticano mai, queste. Dovete fare solo un po' di esperienza... >>.

Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato, come se Jenny e Jess si sentissero in qualche modo in colpa per quello che le stava succedendo. Poi Irina ebbe la prontezza di spirito di dire qualcosa per alleggerire la tensione, per togliersi dall'impiccio: tutti e tre stavano pensando che lei non avrebbe mai condiviso un momento del genere con Xander, e lei non aveva bisogno di ulteriore commiserazione.

<< Comunque le ore di sonno non te le restituisce nessuno >>.

Jenny e Jess scoppiarono a ridere, e Irina sorrise, anche se la tensione dentro di lei non si era allentata. Luke si lamentò ancora per un po', finché suo padre non lo prese in braccio e lo portò nella stanza attigua per metterlo finalmente a dormire. Solo a quel punto Irina ebbe modo di sedersi sul divano insieme all'amica per scambiare davvero quattro chiacchere in pace.

<< Come è andata questa settimana? >> domandò Jenny, distendendo le gambe, i pantaloni della tuta macchiati di latte in polvere, << Non credo di doverti raccontare la mia... Sono orrenda >>.

Irina sorrise, osservando le borse sotto gli occhi dell'amica, i capelli spettinati e il fisico appesantito; forse non era una rosa, ma faceva parte della sua nuova vita. Sembrava distante anni luce dalla Jenny che aveva condiviso con lei le aule universitarie, le giornate passate sulla spiaggia a smaltire le sue nottate da pilota clandestina, le serate trascorse fuori a cena con gli amici... La sua evoluzione era sorprendente: era sempre stata la prima a voler far baldoria, a fare sciocchezze, eppure ora era madre di uno splendido bambino e decisamente più responsabile. In realtà, Irina non l'aveva mai vista più raggiante di ora.

<< Sei felice? >> le domandò solo, e mentre le poneva quella domanda i suoi occhi scivolarono per un istante a terra, per evitare di farle cogliere l'assenza totale di luce.

<< Si che lo sono >> rispose Jenny, mettendole una mano sulla gamba, costringendola ad alzare gli occhi su di lei, << E dovresti esserlo anche tu >>.

Irina sospirò, cercando di non innervosirsi.

<< Lo so, ci sto provando, ma ho bisogno di più tempo di quanto pensassi >> rispose lentamente, << Non preoccuparti per me... E' solo questione di tempo >>.

Jenny la osservò, poco convinta. Lei era l'unica con cui aveva parlato un po', da quando Xander era morto. Negli anni, Jenny era quella che aveva sempre avuto vicina, anche quando le aveva tenuto nascosto molte cose; era quella che l'aveva vista innamorarsi di Xander e che l'aveva guardata riappropriarsi della sua vita. Le aveva confidato quel vuoto che provava ogni giorno che tornava a casa, nella speranza che esprimerlo con le parole l'avrebbe aiutata ad affrontarlo, ma non era servito a nulla. Ora voleva solo ignorare quella cosa, perché continuare a parlarne le dimostrava di non aver fatto nessun passo avanti.

<< Quando torni operativa a lavoro? >> domandò, come se sapesse già cosa aveva fatto quel mattino.

<< Non torno operativa >> rispose Irina, neutra.

<< Come non torni operativa?! >> sbottò Jenny, fissandola con gli occhi spalancati.

<< Ho chiesto di farmi assegnare una nuova mansione >> spiegò rapidamente Irina, osservando la sua faccia sconvolta, << Senderson ha accettato. Non ho più voglia di fare inseguimenti con piloti clandestini >>.

<< Irina, ma questo è il lavoro per cui sei nata! >> disse Jenny, << Finché ci sei stata tu per strada, la città è stata sicura! Nessuno è più portato di te per fare questo lavoro... Non puoi abbandonare. Non puoi >>.

Irina si alzò, dirigendosi verso la finestra, le braccia strette intorno al petto. Osservò il soggiorno curato e dalle tinte pastello della casa di Jenny, scenario della sua nuova vita tranquilla e ordinaria, così diversa da quella che era stata la sua. Era sempre stata con il piede sull'acceleratore, non meritava ora di tirare un po' il freno?

<< Sì che posso. L'ho fatto >> rispose duramente, << Non ha senso continuare a fare questo lavoro, se non ho sono più al cento per cento. E' solo uno spreco di tempo e di risorse, Senderson era d'accordo con me. Ogni volta che salgo in macchina, l'unica cosa che mi viene in mente sono ricordi... Ogni volta che vedo un paio di fari nella notte, spero che sia lui, Jenny, lo capisci? Ho sgobbato per mesi, ho passato serate in mezzo alla strada, ho fatto i nomi di tutti quelli che ai tempi della Black List facevano parte del giro dello Scorpione, ma non è servito a niente. Non ho reso questa città più sicura, visto che Xander è stato ammazzato da un paio di ladruncoli per una rapina da quattro soldi. >>.

In quel momento, le lacrime tornarono a inondare gli occhi di Irina, ma le trattenne. Jenny non voleva ferirla, voleva solo aiutarla come aveva sempre cercato di fare, e non meritava di essere aggredita in quel modo. Non aveva alcuna colpa; era lei a essere vicina alla follia, forse.

<< Non ho più la motivazione necessaria, Jenny. E' solo questo >> aggiunse lentamente, con un tono di voce più basso, per farle capire che non ce l'aveva con lei.

<< Lo so che è dura, Irina, ma forse il tuo lavoro era l'unica cosa che poteva distrarti >> disse Jenny dolcemente, << Non sei fatta per stare dietro una scrivania, lo sappiamo tutte e due. Però, se è ciò che vuoi, è giusto così >>.

Irina annuì, mentre riprendeva lentamente il controllo. Jenny tirò fuori un paio di bicchieri e servì loro qualcosa di fresco, mentre la televisione trasmetteva un film d'azione. Jess arrivò in quel momento, chiudendosi alle spalle la porta della camera da letto. Non poté fare a meno di pensare a cosa avrebbe detto Xander, vedendolo fare il papà modello.

<< Ho sentito Angie, l'altro giorno >> disse all'improvviso Jenny, << Forse torna da queste parti tra qualche settimana... >>.

Irina ringraziò mentalmente che avesse cambiato argomento: se la veniva a trovare, era perché lei era l'unica che riusciva a distrarla almeno un po'.

Angie, la loro amica secchiona, si era laureata con il massimo dei voti due anni prima, ed era stata contattata da una famosa banca internazionale che aveva la propria sede direttiva a Londra. Ci si era trasferita quasi un anno prima, e lei non la vedeva da diversi mesi.

<< Come sta? >> domandò Irina, sorseggiando la sua bibita, notando che Jess la guardava di sottecchi.

<< Benissimo >> rispose Jenny, entusiasta, << Dice che Londra è una città movimentatissima, che guadagna bene e che... convive! >>.

Irina quasi si soffocò.

<< Convive? >> ribatté, stupita, << Ma un mese fa diceva che... >>.

Jenny ridacchiò.

<< Lo so, non stava con nessuno >> concluse per lei, << Ma... Boh, il denaro deve averle dato alla testa. Comunque convive con un francese che lavora per una compagnia assicurativa. Mi ha garantitno che si trova benissimo e tutto il resto, quindi non mi preoccuperei troppo. In fondo è sempre stata quella con più giudizio, di noi quattro >>.

<< Già... >> mormorò Irina.

Non metteva in dubbio che Angie avesse la testa sulle spalle, ed era proprio per quello che si stupiva del suo comportamento. O forse, era lei che stava diventando troppo malfidente.

<< Mi farebbe piacere rivederla >> disse, allontanandosi dalla finestra e posando il bicchiere sul tavolo. Trasmisero il meteo serale, alla tv, e solo in quel momento si accorse dell'ora. << Credo che sia ora che me ne vada. Domani ho parecchio da fare a lavoro >>.

<< Che ne dici se organizziamo una pizza, questo sabato? >> chiese Jenny, mentre la accompagnava alla porta, parlando a bassa voce per non svegliare Luke, << Chiamo anche Katy >>.

Irina infilò la giacca, le chiavi della TT in mano. L'amica la osservava con espressione quasi supplichevole, da sotto la frangetta scombinata. Le ricordò la faccia che faceva quando, anni prima, le chiedeva di presentarle qualche pilota clandestino, e lei si rifiutava categoricamente.

<< Se riesci a staccarla dai suoi aperitivi fashion e dalle cene di alta moda... >> ribatté, il tono a metà tra il divertito e l'esasperato, << Comunque ci penso, dai >>.

<< Non "pensarci", Irina, perché altrimenti so già che non verrai >> la prese in contropiede Jenny, << E' solo una pizza. E non è una scusa per lasciare Luke a mia madre... >>.

Irina sorrise, mentre si avvicinava alla porta e salutava l'amica. Solo quando sbucò sul vialetto, la sua espressione tornò quella di sempre: scura e seria. La strada era ancora abbastanza trafficata, nonostante fossero le dieci di sera, e lei sfrecciò tra le auto veloce, diretta a casa nella speranza di riuscire a trovare un po' di sollievo nella solitudine.

Non si capiva nemmeno più lei: in certi momenti cercava la compagnia, in moltissimi altri chiedeva solo di rimanere da sola.

Il mondo andava avanti, se ne accorgeva dalle sue amiche. Jenny era una madre e una moglie alle prime armi, sfatta ma felice; Angie si era trasformata in una donna in carriera, con un lavoro importante e remunerativo dall'altra parte del mondo; Katy si era trovata un ragazzo che lavorava nel campo della moda, che oltre a trovarle un impiego come organizzatrice di eventi, la trascinava tra aperitivi e cene con altri personaggi stravaganti come lui. In un anno, le loro prospettive erano completamente cambiate, e lo avevano fatto in meglio; lei, invece, era ferma. Era passata dal periodo più felice della sua vita a quello più nero.

Quando arrivò a casa, risalendo le scale e sentendo il raspare del cane dei vicini, il senso di vuoto la travolse di nuovo. Xander non era lì ad aspettarla, la sua Maserati non era parcheggiata fuori, nel vialetto. Non sentiva la sua voce lamentarsi del fatto che arrivava a casa sempre più tardi...

Come un automa, Irina si diresse verso la sua stanza, sedendosi sul bordo del letto, con il solo rumore dei suoi passi a farle compagnia. Il letto era freddo come sempre, e lei era sola.

Ogni sera si chiedeva perché. Si chiedeva perché era toccato a Xander andarsene così. Si chiedeva perché il destino era stato così crudele con lei... In fondo, non aveva già sofferto abbastanza, in passato? In fondo, non aveva pagato tutti i suoi debiti?

Lacrime bollenti le rigarono le guance, mentre si copriva il volto con le mani, e nel silenzio della sua stanza vuota iniziava a singhiozzare.

Perché Xander l'aveva lasciata lì? Perché continuava a tormentarla con la sua assenza? Perché il mondo riusciva ad andare avanti e lei no?

Lo sapeva, erano passati sei mesi, e lei avrebbe dovuto iniziare a vedere uno spiraglio di luce. Tutti lo dicevano, ormai. Il tempo era passato, doveva tornare a respirare, eppure lei non ci riusciva. Qualcosa di enorme, di pesante, le era rimasto nello stomaco, qualcosa che le impediva di proseguire con la sua vita.

Aveva capito cos'era.

Non avrebbe mai trovato pace, perché per lei era inconcepibile che Xander fosse morto in un modo così stupido, in una sciocca rapina, e per di più per colpa sua. Se quel giorno lei fosse stata al suo posto, forse Xander sarebbe stato ancora vivo. Forse le cose sarebbero state diverse, ora, ma lui sarebbe stato ancora in vita.

Nemmeno quando le sue notti le passava a fare gare clandestine, a essere la bambola dello Scorpione, aveva sofferto così tanto. Nemmeno quando si sentiva prigioniera della Black List e non vedeva nessuna luce davanti a sé, era stata così male. Allora aveva ancora qualcosa da fare, qualcosa in cui credere: se stessa. Allora il suo soprannome rispecchiava davvero ciò che era: Fenice.

Ora non aveva più nulla in cui avere fiducia, nemmeno se stessa.

E quello che sentiva in quel momento non l'aveva confidato a nessuno, nemmeno a Jenny, perché era certa che nessuno avrebbe mai capito.




Ore 10.00 – Stazione di Polizia di Los Angeles

<< Sei sicura di non volere nessun caffè? >> domandò Sasha, affacciandosi alla porta dell'ufficio di Irina, i capelli riccissimi trattenuti in una coda bassa, gli occhi scuri luminosi e le fossette nelle guance, << Sembra che tu non abbia dormito, stanotte... >>.

<< Devo per forza rifiutare, se tengo ancora al mio stomaco >> rispose Irina, afferrando al volo un plico di fogli che rischiava di scivolare sul pavimento, << Sarebbe il quinto, stamattina. No, grazie Sasha, più tardi magari scendo a mangiare qualcosa... >>.

La sua collega annuì e la salutò, mentre Irina si alzava in piedi per fronteggiare la scrivania invasa dalla carta. Faldoni di pratiche su infrazioni occupavano la parte destra, mentre la sinistra era presa d'assalto da denunce per piccoli furti, interrogatori di criminali di bassissima lega e schede di ex piloti clandestini, gli stessi che lei aveva fatto mettere dietro le sbarre qualche mese prima.

<< E qui ci sono le ultime... >> disse Senderson, entrando nell'ufficio con la braccia colme di alcune scatole piene di fascicoli, goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte mentre si muoveva con un po' di difficoltà, << Credo che ne avrai per un po' >>.

Irina gli rivolse un'occhiataccia, con la netta sensazione che il capo della polizia la stava caricando di lavoro solo per costringerla a cambiare idea e tornare immediatamente operativa. Ci aveva già provato mesi prima, quando l'aveva mandata un paio di giornate a dirigere il traffico in un noiosissimo incrocio vicino alla High School di Los Angeles. Era pronto a usare ogni stratagemma, per costringerla a cedere, ma Irina era già preparata a sopportarlo, e non avrebbe abboccato a nessuna provocazione. Non aveva alcun dubbio, su ciò che stava facendo.

<< Da dove vuole che cominci? >> chiese lei, impilando i fascicoli in modo da ricavare uno spazio per le braccia e poterle appoggiare davanti alla tastiera del computer. Per poco il portapenne non cadde dal ripiano.

<< Da dove vuoi >> rispose Senderson, guardando la sua scrivania piena di carta, perplesso.<< Fatti dare le chiavi dell'archivio da Onsow, così quando hai finito puoi riporre i plichi tutti lì >>.

<< Ok >>.

<< Buona fortuna >> disse Senderson, quasi ridacchiando.

Irina fece una smorfia, mentre lo guardava uscire dall'ufficio. Lo detestava quando faceva così.

Si guardò intorno, e decise di iniziare con i plichi più datati, quelli con le cartelline verde scuro. L'anno era stato scritto sopra con un pennarello nero che si stava lentamente sbiadendo. Con un colpo al cuore notò che qualcuno risaliva addirittura ai tempi in cui lei faceva ancora parte della Black List.

Immediatamente, capì cosa le avrebbe comportato quel lavoro. Era come tuffarsi nel passato senza nemmeno trattenere il respiro. Quella era la sua storia, la loro storia, in qualche modo.

"Non puoi bloccarti anche qui, Irina. Non puoi permettertelo. La strada sarebbe decisamente peggio, quindi devi fare uno sforzo".

Sospirò e aprì il primo fascicolo.

Il lavoro era semplice: doveva riportare alcuni dati sul sistema centrale di polizia, protocollare il fascicolo e poi archiviarlo. Era noioso, ma richiedeva concentrazione, e Irina non chiedeva altro.

I fascicoli erano composti da tabulati, schede anagrafiche, e tante, tantissime foto. Si ritrovò a consumare centinaia di graffette e punti per la pinzatrice, pur di rimetterli in ordine. Per un attimo si sentì fuori posto, in mezzo a tutta quella carta.

Mentre si occupava del decimo fascicolo, si rese conto che molti di quei criminali erano stati catturati dopo l'arrivo di Xander a Los Angeles, subito dopo la fine dello Scorpione.

Ricordava molto bene quel periodo. Lei era stata interrogata, e aveva fatto molti nomi: oltre ai piloti clandestini, erano stati arrestati quasi tutti gli spacciatori che lavoravano per Challagher, i ricettatori di auto rubate, i doppiogiochisti che lavoravano nella polizia. Lei stessa aveva dato tutto il contributo possibile, pur di far mettere dietro le sbarre i criminali al soldo dello Scorpione.

Erano seguiti mesi di processi, condanne, licenziamenti. Il corpo di polizia era stato riorganizzato, le mele marce eliminate e le notti di Los Angeles si erano fatte più tranquille. Troppo tranquille.

Irina conosceva il mondo delle corse clandestine. Certo, lo Scorpione era stato il collante tra le varie bande, era lui ad aver organizzato in modo perfetto e quasi professionale gli aventi e le gare, ma tutto quello c'era stato già prima di lui. William Challagher non aveva fatto altro che rendere tutto più organizzato e soprattutto aveva accentrato il controllo nella criminalità delle sue mani. Con la sua dipartita, i piloti dapprima si erano nascosti, anche di fronte al nuovo corpo di polizia, non più corruttibile, e alla stretta intorno alle gare. Quando tutto si era fatto più calmo, e quando la polizia stessa aveva allentato i controlli convinta che i tempi della Black List fossero finiti, le corse erano tornate a fare da sottofondo alle notti di Los Angeles.

In quel periodo, Irina viveva con suo padre, e a mesi alterni aspettava il ritorno di Xander dopo qualche missione. Nonostante non facesse più parte di alcun giro, aveva percepito che il mondo dello Scorpione continuava a vivere anche con lui dietro le sbarre. Più di una volta, in piena notte, aveva sentito sfrecciare auto modificate sulla strada di fronte a casa sua.

Poi lei era partita per la Russia, e William era fuggito di prigione. In sordina, i locali che avevano sempre fatto da base per le corse erano stati riaperti, con nuovi nomi e nuove insegne, ma erano tornati a essere luoghi di incontri e spaccio che lei conosceva bene. La Black List non c'era più, ma Los Angeles era piena di ragazzi che volevano sentire il brivido della velocità e aspiravano a emulare le gesta dello Scorpione, il leggendario pilota clandestino che aveva votato la sua vita alle gare e che era morto guidando una Bugatti Veyron, l'auto più veloce del mondo.

Le cose in città erano migliorate solo con la collaborazione di una ex pilota clandestina e di Eric Senderson. Quella però era storia recente.




Quando aprì il fascicolo numero quindici, Irina si bloccò, leggendo il nome riportato sulla scheda.

Jim Whitman.

Ricordava perfettamente quel nome. Era stato il numero quattro della Black, il "Cobra del deserto". Era finito dietro le sbarre pochi giorni prima dell'arresto di Challagher, ed era stato processato per furto d'auto e detenzione di armi pericolose, non per gare clandestine. Nonostante tutto, non era stato colto in flagrante: forse il giorno in cui i federali lo avevano beccato, era riuscito a far sparire la sua auto o si era fatto aiutare... Doveva essere lo stesso giorno in cui lei aveva sfidato quasi tutta la Black List per riprendersi il suo terzo posto. Era stata una nottata complicata, quella: Irina ricordava l'incidente rocambolesco in cui Logan Milay e Gregory Horne erano rimasti coinvolti, e il successivo inseguimento con la polizia. Forse lo Scorpione stesso aveva cercato di mettere a posto un po' le cose, dopo il casino che aveva piantato su, e doveva essere riuscito a coprire alcuni dei piloti della Black List. Whitman era stato condannato a cinque anni di carcere: quando voltò pagina, però, lesse che era scarcerato con un anno di anticipo per... buona condotta.

Irina rimase interdetta. Buona condotta?

Rilesse più e più volte quella frase "Scarcerato per buona condotta", perplessa. Non aveva senso, eppure lo Stato della California aveva deciso che Jim Whitman, ex pilota clandestino e criminale, poteva stare fuori dal carcere.

Protocollò il fascicolo, attaccò l'etichetta per l'archivio e lo impilò in quelli pronti da riporre.

Passò le due ore seguenti a inserire dati e a stampare etichette, mentre la sua inquietudine cresceva. Nell'ultimo anno, molti dei piloti clandestini che erano stati catturati fino ad allora erano stati rilasciati. Le loro auto erano state sequestrate, eppure loro erano a spasso per la città, tranquilli, e lei dubitava fortemente che stessero conducendo esistenze lontane dalla criminalità. Molti di loro avevano ottenuto sconti sulla pena, dopo aver collaborato con la polizia; altri si erano comportati da bravi bambini dietro le sbarre e ora erano agli arresti domiciliari o si erano meritati la possibilità di negoziare una riduzione della pena.

Qualcosa nel suo stomaco si chiuse, mentre iniziava a pensare che tutto il lavoro che era stato fatto da Xander prima e da lei poi, era stato inutile. Iniziò a pensare che forse c'era di nuovo qualcuno della polizia a fare il doppiogioco, visto che tutto quello non sembrava aver senso.

Proseguì in silenzio, finché non aprì l'ennesimo fascicolo e quello che si trovò davanti fu il suo stesso nome.

Irina Dwight.

Una smorfia le si dipinse sul volto. Si era quasi dimenticata di essere stata una criminale anche lei. in fondo, era così che aveva cominciato. Era così che era diventata Fenice.

Nome: Irina

Cognome: Dwight

Capi d'accusa: guida pericolosa, favoreggiamento, possesso di auto illegali, furto d'auto, spaccio di stupefacenti, oltraggio a pubblico ufficiale

Taglia: 150.000 dollari

Note: conosciuta nel mondo delle corse clandestine come "Fenice", viene considerata una delle collaboratrici più strette dello Scorpione. Guida una Fiat Grande Punto bianca di importazione. Soggetto poco pericoloso, mai coinvolto in atti dolosi contro persone.

Aggiornamenti: 15/07/20XX. Protocollo n. 78493ak: la pratica viene chiusa con l'autorizzazione dell'F.B.I., ogni capo d'accusa cancellato.

Irina sorrise. Quello era merito di Xander. Era stato lui a fare in modo che una volta arrestato lo Scorpione la sua fedina penale tornasse completamente pulita; l'F.B.I. l'aveva fatta tornare un'incensurata a tutti gli effetti, quindi quel fascicolo rappresentava l'ultima memoria della Fenice criminale che aveva conosciuto lei. Scorse ancora il fascicolo, trovando delle foto tenute insieme con una clips. La tolse e sparse gli scatti sulla scrivania.

Erano vecchi. Dovevano risalire a quando Xander aveva ricevuto le prime informazioni su di lei e sulla Black List. C'era la sua auto, fotografata a un casello, forse durante una gara; un paio ritraevano gli incontri notturni prima delle corse, con lei in mezzo alla folla di piloti clandestini. Poi ce ne era una, che la immortalava con indosso un paio di pantaloni aderenti, mentre scendeva dalla Punto, osservando qualcosa in lontananza, i capelli che fluttuavano leggeri nella brezza.

Sorrise impercettibilmente, rendendosi conto che erano passati molti anni da quella foto, ed erano cambiate così tante cose... Quella ragazza non esisteva più, né come Fenice né come Irina.

Cercò di capire a quando potesse risalire, e a giudicare dalle aerografie sulla fiancata della Punto, doveva per forza essere stata scattata quando lei era già la numero 3 della Black List. Era pieno giorno, e quel particolare le fece intuire dovesse trovarsi a Las Vegas: era uno dei pochi posti dove aveva gareggiato anche di giorno.

Allora non sapeva dove quel mondo l'avrebbe condotta, e rimpianse per un secondo la sensazione che aveva provato durante la prima gara a Las Vegas, quando lo Scorpione l'aveva definitivamente ammessa nell'olimpo dei piloti clandestini. A quel tempo, nonostante la sua fosse una scelta obbligata, aveva ancora la speranza che la sua vita potesse migliorare. A quel tempo, credeva che la prigionia di Challagher fosse l'unica cosa che avrebbe dovuto patire.

Chiuse il fascicolo, osservando la copertina di carta verde: sapeva di doverlo archiviare insieme agli altri, ma non lo fece. In fondo, era la sua storia, quella. Chi più di lei aveva il diritto di tenerla sulla scrivania? Poteva essere un monito, se mai un giorno si fosse pentita di aver lasciato la vita da poliziotta di strada...

Lo mise da parte, ritagliando un piccolo angolino sulla scrivania.

Continuò a scartabellare tra i fascicoli, finché non incontrò un altro nome che le suonò conosciuto: Hiro Kawashima.

Il Dragone, il numero cinque della Black List.

Anche lui era stato rilasciato.

Era strano, forse si sarebbe dovuta indignare, ma era come se la parte della sua anima deputata alla rabbia si fosse addormentata. Sapeva benissimo che il lavoro fatto non era valso a nulla, visti gli eventi, ma ormai lei era fuori, non le interessava più cosa succedeva al di fuori delle mura del suo ufficio.

Però almeno voleva capire perché.

Si alzò lentamente, i fascicoli di Kawashima e Whitman stretti in mano, ed entrò cautamente nell'ufficio di Senderson, trovandolo assorto di fronte al monitor del computer, la solita tazza di caffè freddo a fare da complemento d'arredo alla sua scrivania.

<< Posso chiederle una cosa? >> domandò.

Senderson guardò prima i fascicoli, poi guardò lei.

<< Sì >>.

<< Perché i piloti clandestini che sono stati arrestati quattro anni fa sono liberi? >>.

Il capo della polizia emise un sospiro.

<< Purtroppo questo fa parte del nostro mestiere, e tu lo fai da troppo poco per capirlo >> rispose lentamente, << Non è vero che la legge è uguale per tutti. E' più equa con chi ha più mezzi da utilizzare >>.

Irina lo guardò, in silenzio. Non si aspettava proprio una risposta del genere da lui. Se ragionava così, non aveva senso il lavoro fatto a Los Angeles... Perché impegnarsi così tanto, perché spremere lei fino allo sfinimento, se sapeva già che sarebbe stato tutto inutile?

<< Voglio dire che a volte basta avere un buon avvocato, per rovinare anni di lavoro di un solo poliziotto... >> aggiunse Senderson, stranamente rigido, << O molti soldi per pagare la cauzione >>.

Già, il denaro... In effetti, il denaro poteva comprare qualunque cosa. Lei non aveva mai pensato a quella variabile, visto che non le era mai importato nulla dei soldi.

<< Quindi tutti i piloti della Black List potrebbero essere già fuori dal carcere? >> domandò Irina, la voce bassa e i sensi in apatia. Si stupì di se stessa, quando capì che nemmeno quella notizia riusciva a smuoverla.

<< Non tutti, ma qualcuno sì >> rispose Senderson.

Irina guardò l'espressione tranquilla dell'uomo, come se fosse perfettamente normale quello che aveva appena detto. Allora non era l'unica diventata apatica...

<< Dalla sua faccia, mi sembra di capire che lo accetta >> disse.

<< No, non lo accetto >> ribattè Senderson, << Ma in questo momento non ho più nessuno da mandare per strada e rimetterli dietro le sbarre >>.

Irina colse immediatamente la frecciata, che però non colpì la sua anima. Non sarebbe tornata indietro, e questo Senderson doveva saperlo. Lo osservò per un'istante, senza nemmeno sbattere le palpebre.

<< Sono certa che esiste qualcuno in grado di fare il mio stesso lavoro >> rispose lentamente << Si faccia mandare un agente dell'F.B.I. >>.

Senderson la guardò di sottecchi, afferrando la sua tazza di caffè freddo.

<< Ci vuole un criminale, per prendere un altro criminale >> disse.

Irina iniziava a odiare quella frase, anche perché da quando si conoscevano gliela aveva detta decine e decine di volte. Lo stimava, si fidava di lui, eppure nonostante tutto le davano ancora fastidio, quelle parole. Era come se volesse sempre ricordarle da dove arrivava.

Era stata una criminale anche lei, non lo avrebbe mai negato, ma erano passati anni. Anni da quando correva di notte e aiutava lo Scorpione a portare a termine i suoi affari, pur di salvare la sua vita e quella della sua famiglia. Aveva smesso di esserlo, si era messa al servizio dell'F.B.I. prima e della polizia poi, e nonostante tutto veniva ancora additata come una fuorilegge?

<< Mi dispiace, non la posso aiutare, non faccio più la criminale a pagamento >> rispose facendo una smorfia, per poi tornare nel suo ufficio.

Perché tutti le rinfacciavano la sua scelta di smettere di essere un agente operativo? Perché non capivano che era stanca, che la sua vita aveva assunto una prospettiva diversa, da sei mesi a quella parte? Perché non capivano che nonostante tutto quello che era riuscita a fare, si sentiva impotente?

Si sedette stancamente alla scrivania, osservando depressa le pratiche che accalcavano il ripiano.

Verso le undici, Sasha Jakson si affacciò alla sua porta, gli occhi leggermente a mandorla che la scrutavano incuriositi, i capelli riccioli tenuti stretti in una coda bassa. Indossava l'uniforme della polizia, anche se molto spesso lavorava in ufficio, e non per strada. Irina l'aveva conosciuta meglio, da quando non pattugliava più, e ogni tanto si vedevano anche fuori dall'ufficio. Era una tipa a posto, che non faceva troppe domande, e veniva da una famiglia numerosa piuttosto povera. Con il suo lavoro portava a casa i soldi per aiutare in casa, visto che il piccolo negozio di alimentari che avevano i suoi genitori non andava molto bene, e doveva avere almeno un paio di fratelli più piccoli di lei.

<< Che cosa noiosa... >> mormorò entrando, dopo aver bussato ed essersi fatta vedere. Indicò le pratiche sulla sua scrivania come se fossero uno brutto scarafaggio.

<< Non ti ci mettere anche tu... >> disse Irina, guardandola con una mezza smorfia, << Si tratta di una sfida di resistenza >>.

Sasha sbirciò tra le pratiche, intercettando immediatamente quella dedicata a Fenice. La sfogliò con apparente disinteresse, prima di tornare a guardarla. In passato, l'aveva praticamente idolatrata, per il suo talento da pilota e i suoi successi sulla strada; chissà cosa pensava ora, che la vedeva piegata su una scrivania a mettere etichette.

<< Ti va di scendere a prendere un caffè? >> domandò la ragazza, << Tanto non credo che tutti questi fogli scapperanno... >>.

Irina guardò le pratiche sulla scrivania. Con un enorme sforzo si impose di accettare, giusto per non deludere la collega.

<< Ok >>.

Il minuscolo bar della stazione di polizia era pieno di poliziotti in pausa, e Irina non era abituata a frequentarlo. Il primo periodo l'aveva praticamente passato tutto per strada, e da sei mesi a quella parte lo aveva sempre evitato, un po' perché non sopportava più la folla e un po' perché non riusciva a sostenere le occhiate dei colleghi. Era passata dall'essere una celebrità tra di loro, quando conduceva inseguimenti mozzafiato per Los Angeles, a una ragazza spezzata e triste.

Mentre facevano la coda alla cassa, pur di togliersi la sensazione di essere osservata, Irina cercò un argomento di conversazione per distrarsi.

<< Alla fine sei uscita, con quel tizio? >> domandò a voce bassa, mentre un poliziotto magro e con due folti baffoni le passava di fianco.

Sasha sembrò stupirsi, che se ne fosse ricordata.

<< Con Nick, il ragazzo del bar dove abbiamo pranzato il mese scorso? Sì sì, ci sono uscita >> rispose, anche se non sembrava entusiasta, << Ma sai, tutti quei muscoli... No, non fa per me, credo >>.

<< Peccato, sembra un tipo a posto >> disse Irina, pagando i due caffè alla cassa.

<< Bè, potresti uscirci tu, visto che mi ha chiesto di te... >> buttò lì Sasha, con noncuranza.

Irina si voltò a guardarla, dopo aver consegnato lo scontrino alla barista. La infastidivano molto, i commenti di quel tipo, e cercò disperatamente di non rispondere in modo aggressivo.

<< No >> disse solamente, << Te l'ha suggerita Jenny, questa cosa? >>.

Colta in fallo, Sasha assunse un'espressione colpevole. Era ovvio che avesse raccontato già tutto a Jenny, in fondo loro due se la intendevano piuttosto bene, da quando sia Katy che Angie avevano iniziato a latitare nelle loro vite. Irina aveva cominciato a essere un po' discontinua, per quando riguardava i rapporti con tutte loro, e in quel momento si rese conto che si stava perdendo dei passaggi. Come si ripeteva ogni giorno, il mondo stava andando avanti senza di lei.

<< Le ho raccontato come è andata, e lei era d'accordo con me, nel riferirtela >> rispose la ragazza, << E poi è la verità: mi ha davvero chiesto di te >>. Si strinse nelle spalle, come a dire che non ci vedeva nulla di male.

Irina fece una smorfia, mentre afferrava la tazzina di caffè, nuovamente nervosa. Come faceva Jenny a pensare che era pronta per uscire con qualcun altro?

<< Toglietevelo dalla testa >> disse, quasi ringhiando.

Sasha capì l'antifona e non insistette. Vagò con lo sguardo tra i colleghi che chiaccheravano tra loro, rilassati nelle loro uniformi un po' spiegazzate, un venticello leggero che entrava dalla finestra e la luce di ottobre che illuminava i tavolini in metallo. Non sembrava una giornata autunnale, stranamente.

<< Perché non ti fai mettere al servizio radio? >> disse all'improvviso Sasha.

<< Vi serve qualcuno, in quel reparto? >> domandò Irina, mentre lasciava la tazzina vuota sul bancone.

<< In realtà no, però potrebbe piacerti >> rispose Sasha, con l'ennesima alzata di spalle, << Lavori nel cuore dell'azione ma non ci sei veramente >>.

In effetti, Irina non ci aveva pensato. Sasha si occupava del servizio radiofonico della polizia: comunicava le direttive, gli interventi da fare, e supportava il personale durante i pattugliamenti per strada. Avevano lavorato insieme, diverse volte. Forse poteva essere più interessante che archiviare fascicoli di gente che nonostante fosse stata incriminata a vario titolo, ora era in completa libertà.

<< Senderson non te lo ha proposto? >> aggiunse Sasha, osservandola con le sopraccigli aggrottate.

<< No... Ma potrei sempre ricordarglielo >> rispose Irina, mentre la precedeva all'uscita del bar affollato, lasciandosi alle spalle il brusio del locale e l'odore di caffè. Salutò la collega e tornò alla sua postazione, appuntandosi mentalmente di valutare quello che le aveva detto Sasha.

Passò il resto della giornata ad archiviare pratiche, trovando ancora qua e la qualche riferimento ai suoi trascorsi di pilota clandestina: inizialmente ne era stata turbata, ma ora si rendeva conto che in realtà provava solo tanta, troppa malinconia.

Quella era la sua vita, quando Xander era ancora vivo.

Vide Senderson passare diverse volte davanti al suo ufficio, come a controllare che ci fosse ancora o che non avesse avuto un esaurimento nervoso. Forse credeva che prima o poi si sarebbe alzata e lo avrebbe raggiunto per dirgli che voleva un'auto per uscire di pattuglia.

Verso le cinque e mezza del pomeriggio scese nell'ingresso da Onsow; recuperò un carrello vecchio e mezzo arrugginito e le chiavi dell'archivio, che per fortuna si trovava al suo stesso piano, nell'ala ovest della stazione. Riempì il carrello di fascicoli e faldoni e accompagnata dallo sferragliare di ruote raggiunse l'archivio, suscitando le occhiate perplesse dei colleghi che uscivano dopo aver terminato il turno e la salutavano quasi ridacchiando.

In realtà, anche lei avrebbe potuto lasciare il suo ufficio, ma da un po' di tempo a quella parte gli straordinari erano qualcosa di cui aveva iniziato ad aver bisogno, e non si trattava di questione di soldi: di quelli, da quando aveva venduto praticamente ogni cosa che faceva parte del suo passato, ne aveva in abbondanza. Era il bisogno di stare lontana dal vuoto di casa sua il più possibile, a costringerla a lasciare la centrale sempre più tardi.

Si mosse tra gli scaffali pieni di faldoni e dossier e cercò la sezione che le serviva. La lampadina appesa al soffitto illuminava la stanza con una luce fioca, giallognola, che non la aiutava a leggere quello che c'era scritto sul dorso degli archivi. Le solleticò il naso, mentre iniziava a sistemare le pratiche protocollate sui ripiani, cercando di rispettare l'ordine cronologico e alfabetico, mentre vedeva il cielo farsi sempre più scuro dalla piccola finestrella alla sua sinistra. Era faticoso, perché i plichi di fogli erano molto spessi e pesanti, ma almeno aveva la testa impegnata.

Starnutì per via della polvere che svolazzava tra gli scaffali, e fece ben più di un paio di volte avanti e indietro dal suo ufficio, finché non sentì i passi di qualcuno avvicinarsi lungo il corridoio silenzioso.

<< E' tardi, Irina >> disse Senderson, affacciandosi nell'archivio e osservandola con uno sguardo strano, in cui lesse un pizzico di pena, << Vai a casa >>. Indossava la giacca e aveva le chiavi dell'auto in mano, segno che stava lasciando l'ufficio anche lui.

<< Ho quasi finito >> rispose lei, passandosi una mano sulla fronte.

<< Sono le otto, Irina >> ribatté Senderson, continuando a osservarla quasi con insistenza, << Puoi terminare domani. Vai a casa a riposarti >>.

Irina trattenne uno sbuffo, ma sapeva quanto il capo della polizia fosse testardo, così lasciò le pratiche sul carrello e uscì dall'archivio, chiudendo la porta a chiave alle sue spalle. Il piano sembrava vuoto, e sentiva solo le voci dei poliziotti che si preparavano al turno serale, di sotto, e cominciavano la loro serata con il solito caffè di gruppo.

<< Ok, ci vediamo domani, allora >> disse. << Buona serata >>.

Salutò Senderson e tornò nel suo ufficio a prendere la giacca e la borsa. Mentre controllava che la finestra fosse chiusa, si accorse cha la pianta che teneva sul davanzale, che era sopravvissuta anche ai suoi tre mesi di assenza, stava lentamente appassendo. Le foglie pendeva flosce, ingiallite, e qualcuna era già caduta. Versò un po' d'acqua nel vaso, prima di scendere e lasciare le chiavi dell'archivio al poliziotto di turno. Quando uscì in strada, l'aria fredda di ottobre la colpì in pieno, il buio fitto dell'autunno rischiarato solo dalla luce dei lampioni.

L'Audi TT la aspettava parcheggiata qualche metro più in la, la vernice nera segnata da macchie di polvere e fango. Aveva bisogno di una lavata, ed era diverse settimane che Irina si era detta di doverla almeno sciacquare, solo che non aveva voglia di andare all'autolavaggio. In quel momento, non aveva nemmeno voglia di passare da suo padre o da Jenny, in realtà.

Accese il motore e si diresse verso il lungomare, la musica della radio a basso volume e le luci della sera che la accompagnavano per le strade deserte. Non era così tardi, ma la maggior parte della gente doveva trovarsi a cena, o si stava preparando per l'uscita serale.

I bagni di Santa Monica erano ovviamente vuoti, a quell'ora, e non c'erano né ombrelloni né sdraio sulla spiaggia, vista la stagione. Sfilavano al suo fianco stranamente tristi, la linea nera dell'oceano e il leggero baluginio della sabbia.

Con un colpo d'occhio, individuò la Sirena Bianca, con l'insegna luminosa splendente della notte. Parcheggiò a un centinaio di metri di distanza, decisa a prolungare il tempo prima di rientrare a casa.

Quando scese dell'auto, l'odore dell'oceano e del sale le arrivò alle narici, risvegliando in lei i ricordi di anni passati, di giornate trascorse sulla spiaggia e di momenti che non sarebbero mai potuti tornare. Scosse il capo, per scacciare la malinconia con cui ormai conviveva da mesi, e camminò lentamente fino alla Sirena Bianca, mentre qualcosa nel suo stomaco si stringeva appena.

Il locare era rimasto esattamente come quattro anni prima, quando era appartenuto a William Challagher: elegante, con il legno tirato a lucido e il gazebo vicino alla spiaggia con il tetto di paglia, ora deserto per via della stagione. Era assurdo come il tempo sembrava essersi fermato.

Entrò nel locale, trovandolo ancora quasi vuoto. La gente sarebbe arrivata fra due ore, per godersi la serata e molto probabilmente per bere un po' troppo. Le luci soffuse davano a tutto un'aria rilassata, quasi dolce, che faceva da preludio alle ore di svago che sarebbero succedute.

Irina si mosse con sicurezza, raggiungendo il bancone dove un ragazzo dagli occhi chiari e il viso squadrato stava asciugando dei bicchieri da cocktail di vetro, che le rivolse un cenno di saluto. I tatuaggi che aveva sulle braccia sbucavano da sotto le maniche della maglietta.

<< Ciao Jason >> disse Irina, sedendosi sull'alto sgabello foderato di morbida pelle bianca, << Come va? >>.

<< Ciao Irina. Tutto bene. Ti do il solito? >> rispose lui, in modo asciutto.

Irina annuì. Jason lavorava da moltissimi anni alla Sirena Bianca, da prima che lei si facesse strada nella Black List, ed era rimasto a lavorarci nonostante tutte le vicessitudini del locale e dei suoi proprietari. Era sempre stato un po' così, ruvido, ma tutto sommato non si era mai fatto coinvolgere troppo nelle attività poco lecite dello Scorpione, e si era sempre fatto i fatti suoi.

Lo guardò distrattamente mescolare nello shakeratore gli ingredienti per il suo cocktail analcolico, mentre le metteva davanti una coppetta di frutta fresca. La musica di sottofondo, tenuta molto bassa, la rilassò quel tanto che bastava a farle ripensare alla sua prima giornata da impiegata con una lieve nota deridente.

"Sette anni fa iniziavo a essere una pilota clandestina, e guarda dove sono ora... Dietro la scrivania di una stazione di polizia".

Assaggiò una fettina di mela e guardò una delle cameriere lucidare i tavolini dei prenotati, mentre Jason le porgeva il suo bicchiere, colmo di un liquido denso e fresco, che profumava di lime. Irina iniziò a berlo, lasciando che il silenzio fosse il suo unico compagno, in quel momento.

Non era suo padre, non avrebbe affogato il dolore come aveva fatto lui quando la mamma era morta. Sapeva bene che non le sarebbe servito a nulla, stordirsi di superalcolici per staccare la spina, per scollegare il cervello dal mondo che la circondava, e poi ritrovarsi a soffrire più di prima. In realtà, sapeva benissimo ciò che doveva fare, ma non ci riusciva. Forse semplicemente non era abbastanza motivata.

Rigirò il drink nel bicchiere, sospirando. Era convinta che ci volesse solo tempo, che un giorno non avrebbe più provato quel terrore sordo al pensiero di dover rimettere piede in casa, e trovarla vuota. Nonostante non fosse nemmeno la stessa in cui aveva vissuto con Xander, era come se ogni casa le rappresentasse quello che c'era stato tra loro.

Buttò giù tutto d'un sordo il liquido fresco nel bicchiere, e lo posò sul bancone, continuando a rimanere seduta sullo sgabello, immobile. Intorno a lei, gli inservienti della Sirena Bianca si muovevano solerti, preparando il locale alla serata. Sentì il dj fare delle prove con la musica, mixando un paio di brani.

<< Verrà qualcuno stasera? >> domandò a Jason, per vedere se lui ricordava ancora cosa significasse quella frase.

Jason le rivolse appena un'occhiata, mentre sciacquava il lavandino, uno strofinaccio appoggiato il braccio.

<< No, non ci sono più gare da un po', qui >> rispose.

Sul volto di Irina si dipinse una smorfia. Mentiva, e lei lo sapeva benissimo, ma il ragazzo non poteva fare altrimenti: ormai lei a tutti gli effetti una sbirra, e lui, per quanto fosse abituato a osservare le vicende del mondo dei piloti clandestini con un certo distacco, con poteva di certo aiutarla, visto che gli stessi piloti clandestini erano i suoi clienti.

Avrebbe voluto dirgli che non correvano più alcun pericolo, che ormai aveva appeso al chiodo le chiavi della sua auto, che molto presto avrebbe anche dimenticato il suo soprannome, Fenice, ma non lo fece. Rimase in silenzio, osservando il locale riempirsi lentamente, la gente che le lanciava occhiate stranite, vedendola seduta al bancone. Nessuno si aspettava di trovarla lì, ma non le importava.

Solo quando capì che la voce era girata, e che i piloti sapevano che c'era uno sbirro nel locale, si alzò, pagò il drink e se ne andò. Ripercorse lentamente il lungomare, respirando l'aria salmastra e il vento ad accarezzarle il volto.

Si fermò a pochi metri dall'auto, e si appoggiò al muretto che delimitava la spiaggia. Il buio della notte si confondeva con il nero dell'oceano, facendo sembrare tutto un'unica entità, un unico vuoto. Solo minuscoli puntini luminosi nel cielo illuminavano quella volta, osservandola dall'alto e quasi deridendola.

Non era mai stata particolarmente credente, ma in quel momento l'unica cosa che le venne da pensare fu: "Forse Xander è la su da qualche parte...".

Certo, saperlo non cambiava le cose. Sapere se c'era un dopo, se in qualche modo lui si trovasse davvero in un altro luogo, non le rendeva la sofferenza e il senso di colpa più facili da sopportare, però era sempre una piccola consolazione. Si era fatta le stesse domande quando era morta sua madre, ma allora non aveva avuto così tanto tempo per pensarci: aveva dovuto rimboccarsi le maniche e trovare una soluzione ai suoi problemi di soldi.

Il silenzio che regnava intorno a lei e dentro di lei però le confermava che forse no, non c'era niente dopo, se non il vuoto. Se davvero esisteva qualcuno, o qualcosa, perché aveva deciso che ad andarsene per primi fossero sempre le persone che lo meritavano di meno?

Risalì in auto e si diresse verso casa, i fari simili a occhi di felino della TT che gettavano il loro fascio di luce sulla strada quasi vuota, il motore completamente silenzioso.

Quando si ritrovò davanti alla porta del suo appartamento, capì che rimandare quel momento della giornata non serviva a nulla. Ogni volta era esattamente come la precedente: il peso che aveva sullo stomaco non faceva altro che aumentare, mentre infilava la chiave nella serratura e varcava la soglia, trovando solo il silenzio.

Cercando di ignorare quella sensazione che la attanagliava, cercò rapidamente il telecomando della tv e la accese, un po' per cercare un minimo di distrarsi e un po' per coprire il silenzio di quel luogo.

<< ... E ora, le ultime dai principali notiziari locali >> stava dicendo P.J. Friedman, il mezzobusto alla scrivania, la fronte aggrottata in un cipiglio minaccioso, << Sembra essere inspiegabile il netto peggioramento della criminalità locale nella città di Los Angeles. Nelle ultime settimane, le rapine sono aumentate nel 30%, e a Compton sembra essersi riorganizzata una nuova banda di spacciatori, per non parlare delle gare clandestine di auto, già un tempo piaga di questa città. Il nostro corrispondente ha parlato con Eric Senderson, il capo della polizia locale. Sentiamo cosa ha dichiarato l'autorità per... >>.

Prima ancora di vedere il volto del suo capo alla tv, Irina cambiò canale, sintonizzandosi su una serie televisiva di medici che ultimamente usava per passare le sue serate in solitudine. Si tolse le scarpe e si sedette sul divano, sentendo trillare il cellulare.

Era suo padre, e il messaggio che le aveva mandato risaliva a quel pomeriggio; molto probabilmente non lo aveva sentito.

"Quando passi da casa? E' un po' che non ci vediamo"

Dovevano essere due settimane che non vedeva suo padre Todd, ma non sentiva la sua mancanza. In realtà, non sentiva la mancanza di nessuno.

"Magari domani" rispose, anche se sapeva che molto probabilmente non l'avrebbe vista.


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