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Capitolo 14

||Samanta||

Cameron lasciò la stanza ed io mi sentii vuota.
Non potevo biasimarlo per questo...ma faceva male comunque.
Avevo fatto un errore a farlo entrare nella mia vita, ora non riuscivo più a fare a meno di lui e la sua mancanza mi lacerava il petto.
Lacrime incominciarono a scorrere nuovamente sul mio fragile viso.
Il dolore per me era qualcosa di quotidiano ormai, questo però non significava che qualcuno ci si potesse abituare...era impossibile. Il dolore ti ferita ogni volta. Ed ogni volta ti faceva male.
Cercai di tirare un respiro profondo, nel tentativo di calmarmi.
Non ero abituata a litigare con Cameron, stavamo sempre così bene insieme... ma non dovevo preoccuparmi, di sicuro l'indomani sarebbe venuto a trovarmi in ospedale e avremmo fatto pace.
Solo una volta io e lui avevamo litigato, era successo all'incirca due o forse tre mesi prima.
Eravamo sdraiati a pancia in su, sul letto della sua stanza, e la maglietta mi si era leggermente alzata, rivelando una delle mie mille cicatrici.
Quando lui mi domandò come me la fossi fatta, io evitai letteralmente di rispondergli, non trovando una scusa plausibile per una cicatrice tanto grande.
Ovviamente lui e la sua stupida testardaggine, non avevano mollato la presa, così persi la pazienza e me ne andai.
Il giorno dopo eravamo abbracciati l'uno all'altro a chiederci scusa a vicenda.
Sarebbe stato così anche questa volta, ne ero certa, dovevo solo aspettare....
Mi addormentai dopo poco, e la mia mente scivolò nell'oscurità.

Il giorno dopo...

Come richiamata dalla presenza di qualcuno aprii gli occhi...
<<Oh, ben svegliata signorina Black, come si sente?>> chiese una voce.
Mi girai nella sua direzione e i miei occhi incontrarono quelli grigi di un uomo. Aveva all'incirca una cinquantina d'anni: il naso dritto, la mascella quadrata con un accenno di barba, tagliata e ben curata, capelli neri tendenti al grigio e qualche ruga sulla fronte. Si vedeva che ne aveva viste di tutte i colori dallo sguardo stanco. Guardai il suo camice bianco e mi soffermai sul cartellino col nome Dottor. Johnatan Brown:<<Sinceramente non sento nulla quindi non saprei se sia una bene o un male>> risposi tornando sui suoi occhi.
<<Mmh risposta interessante>> rispose con sguardo enigmatico. Sorrisi timidamente.
Quell'uomo aveva la capacità di mettermi in soggezione.
<<Come si è fatta male?>> domandò a bruciapelo.
<<Sono caduta dalle scale>> risposi secca.
<<Sei sicura che non ci sia altro che vorresti dirmi?>> il suo sguardo bruciava sul mio. Voleva farmi cedere, ma non ci sarebbe riuscito, io dovevo essere più forte di così, non potevo permettermi di cedere.
<<Sono sicurissima, grazie>> replicai impassibile.
Lui sospirò e mi rivolse uno sguardo comprensivo:<<Non posso aiutarti se non parli Samanta...Ho visto che hai molte cicatrici, sull'addome, sulle braccia. Va tutto bene?>> chiese.
In quell'istante capii che lui sapeva, anzi, lui capiva. Il dottor Brown aveva vissuto qualcosa di simile alla mia situazione...
Sospirò stancamente e si avvicinò alla mia cartellina medica....e le vidi. Le cicatrici sulle mani e sui polsi.
Era un autolesionista, o lo era stato.
<<Bene, resterai ancora per uno o due giorni e poi potrai tornare a casa>> la sua voce mi riscosse dai miei pensieri.
Uscì dalla stanza ed io lasciai andare un respiro tremante.  Non mi ero nemmeno resa conto di aver trattenuto il fiato dal momento in cui avevo visto le sue cicatrici.
Il fatto era che l'autolesionismo mi affascinava...farsi del male per sentirsi meno sbagliati.
Mi riscossi dai miei orribili pensieri strizzando forte gli occhi, come per svegliarmi da un incubo.
Il mio pensiero inevitabilmente finì su Cameron. Fra non molto sarebbero iniziati gli orari delle visite ed io fremevo dall'impazienza di rivederlo.
Al solo pensiero del suo sguardo, il mio cuore tremava.
Mi era mancato tantissimo.
Avevo bisogno di fare pace con lui per sentirmi di nuovo bene.
Finalmente ero pronta.
Mi ero resa conto di aver sbagliato a comportarmi in quel modo.
Lui faceva parte della mia vita ed era giusto che io mi aprissi con lui, mi confidassi. Non dovevo chiuderlo fuori e allo stesso tempo pretendere che mi stesse accanto.
Per fortuna lo avevo capito ed ora mi sentivo pronta per parlare con lui di tutto quello che avevo passato.
Ero pronta per fidarmi di nuovo.
Di lui.
Stavo per donare la mia fiducia a Cameron, sapendo che non mi avrebbe delusa.
Le ore delle visite iniziarono.
Il tempo passava....
Ovviamente mia madre non venne a trovarmi.
Dopo un bel po ricevetti un messaggio di Clara che diceva non sarebbe potuta venire a trovarmi perché doveva andare da sua nonna che si era sentita male.
Sospirai e le risposi di non preoccuparsi che tanto non mi sarei mossa da quel lettino neanche morta.
Passò altro tempo....tanto.
Era una tortura non poter fare nient'altro che guardare un soffitto.
Il silenzio era complice maligno della mente che lasciata libera per troppo tempo creava pensieri.
Spesso i pensieri erano una voragine, un buco nero che ti portava a fondo, sempre più in profondità.
Ti impedivano di pensare lucidamente.
Ti costringevano a rivivere dei momenti che, belli o brutti che fossero, ti facevano stare male.
Pensare troppo ti faceva render conto di tutti i tuoi sbagli.
Sospirai.
Chiusi gli occhi sperando di spegnere il cervello e non dover più pensare.
Alla fine, l'orario delle visite mattiniere finì....e anche quelle del pomeriggio....Cameron non arrivò mai.

Due giorni dopo...

<<Molto bene Samanta, vedo che la situazione è stabile. Penso che oggi pomeriggio potrai tranquillamente rientrare a casa. Dovrai portare le stampelle per un mese, finché non ti toglieremo il gesso>> mi disse il dottor Brown. Sorrisi cordialmente e mi girai dall'altra parte per fargli capire che il discorso era chiuso e poteva andarsene, ma non ci cascò.
<<Samanta, lo sai vero che potresti confidarti con me e io non direi niente a nessuno>> esordì.
Mi ero davvero stufata di sentirmi dire ogni giorno da tre giorni sempre le stesse cose.
Non mollava eh!
Dovevo farlo smettere una volta per tutte!
Puntai i miei occhi nei suoi e il suo sguardo vacillò, colto alla sprovvista ecco! Devo fare breccia adesso! Pensai aprendo bocca e parlando:<<Dottor Brown, la smetta di impicciarsi in cose che non la riguardano. Se avessi dovuto dirle qualcosa, di sicuro l'avrei già fatto da tempo>> <<Penso tu abbia ragione>> rispose confuso dalla mia tenacia. Prese la sua cartellina e se ne andò.
Finalmente ha capito!! Esultai nella mente alzando le braccia per aria non appena la porta si richiuse alle sue spalle.

Dopo un tempo che sembrò interminabile finalmente arrivò il momento di andarmene da quella prigione che ingabbiava i miei pensieri più brutti convogliandoli nella mia mente e facendomeli rivivere mille volte.
Clara mi aiutò ad alzarmi e mi passò le stampelle:<<Grazie>> dissi.
Lei evitò il mio sguardo e prese la borsa con quelle poche cose che lei stessa mi aveva preparato in vista dei giorni che avevo passato all'ospedale; spazzolino, dentifricio, un cambio intimo e un pigiama.
Che strano pensai. Era da tre giorni che Clara si comportava in maniera diversa, assente, evitava sempre il mio sguardo, come se io avessi potuto leggervi chissà cosa.
Decisi di far finta di nulla, uscii dall'ospedale e salii nell'auto di sua madre che subito mi salutò calorosamente col suo dolce sorriso:<<Ciao Samanta, come ti senti?>>.
Ricambiai il suo sorriso e risposi:<<Meglio grazie>>
Il tragitto in macchina fu molto silenzioso e stranamente anche pieno di tensione...come se tutti sapessero qualcosa che io invece non sapevo.
Ora basta con queste paranoie Sam! Mi rimproverò la mia coscienza.
Decisi di non badarci e fissai il mio sguardo fuori dal finestrino...pioveva.
Arrivati sotto casa mia la madre di Clara ruppe il silenzio:<<Samanta cara, insisto perché tu stia da noi almeno finché non ti sarà guarita la gamba e ti leveranno il gesso...vorrei evitare altri, incidenti>> disse guardandomi dritto negli occhi attraverso lo specchietto.
<<Va bene>> sorrisi alla sua gentilezza.
<<Aspetta qui, noi andiamo a prepararti una valigia con un po di vestiti ok?>> disse poi.
<<Ok>> risposi.
Le vidi scendere e correre fin sotto la porta per non bagnarsi dato che non avevano un ombrello.
Dopo poco mia madre aprì la porta.
Ebbi i brividi a vedere il suo volto freddo come il marmo.
Il mio sguardo ad un tratto si soffermò su un dettaglio...mi piegai in avanti per vedere meglio e...mia madre aveva un'occhio viola e un'altro livido si stagliava sulla mascella.
Sorrisi non appena capii che era stata opera di Clara, quella ragazza era una furia.
Finalmente ritornarono con due valige che caricarono nel bagagliaio.
Salirono in macchina e fecero retromarcia.
I miei occhi incontrarono quelli di lei...stava sorridendo.
Sorrisi di rimando e le feci il dito medio.

<<Sam tu sali in camera mia, alle valige ci penso io. Eccoti le stampelle>> disse Clara premurosamente. Sorrisi, ma come al solito non mi guardò.
Feci finta di non rimanerci male per la millesima volta ed entrai in casa.
Appoggiai le stampelle al muro accanto al letto e mi buttai di schiena sul comodo materasso.
Dopo poco arrivò Clara con le mie borse.
Non mi parlò, non mi guardò...iniziò solamente a disfare la mia roba e a sistemarla nell'armadio dove aveva fatto spazio.
<<...Clara, come mai ti comporti così? >> le chiesi.
<<Così come?>> rispose dopo un po.
Faceva la finta tonta con me?
<<È da tre giorni che mi eviti! Esigo una spiegazione, adesso!>>  urlai.
Lei si girò di scatto al mio tono di voce. Sospirò sconfitta.
<<Scusa se non te l'ho detto prima Sam, ma tu eri in ospedale e non mi sembrava il caso di farti preoccupare in questo modo...>> <<Clara, parla!>> la interruppi.
<<Cameron se nè andato>> disse di getto.
Mi bloccai di colpo con gli occhi sgranati:<<Cos-cosa significa che se n'è andato?>> domandai.
<<È partito il giorno dopo che ti hanno ricoverata, senza dire niente a nessuno a parte i suoi genitori>>
<<E dov'è andato?!>> chiesi disperata.
<<A vivere da suo fratello>> rispose.
Il mio cuore si fermò.
<<Che cosa significa "a vivere"? V-vuoi dire c-che non tornerà? >> balbettai in preda all'isterismo.
<<Inizialmente aveva detto che ci sarebbe rimasto per qualche giorno a schiarirsi le idee...poi ha deciso di non tornare e restare lì...a vivere>>rispose.
Il mio cuore si fermò...così come il tempo. Mi raggomitolai sul letto di Clara in posizione fetale e piansi, gridai tutto il mio dolore, mentre la mia amica mi abbracciava da dietro piangendo in silenzio per la mia sofferenza.
Quel giorno il mio cuore morì, la mia luce si spense...

Buonasera a tutti!❤ ed eccomi qui col nuovo capitolo. Scusate se ci ho messo tanto... allora cosa ne pensate?
Mi raccomando votate e commentate la mia storia, datemi i vostri pareri😍
Buona lettura❤

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