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Capitolo 1

DUE ANNI DOPO:
Annegavo.
E il peso sul mio cuore m'impediva di emergere in superficie...
Mi svegliai di soprassalto, madida di sudore e col cuore a mille. La flebile luce mattutina filtrava timida dalle persiane chiuse della mia stanza. Mi sedetti sul letto, frastornata e ancora un po' intontita dal sonno agitato. Stranamente non riuscivo a ricordare che cosa avessi sognato, di solito avevo sempre un ricordo ben vivido dei miei incubi. Ma questa volta niente, solo qualche immagine spezzettata e una terribile sensazione di malinconia e solitudine. Ricordavo qualcosa che vagamente somigliava ad un ponte e poi se non sbagliavo anche la pioggia, tanta pioggia... e poi credo che stessi annegando, ma nient'altro, non mi veniva in mente nulla, anche se sentivo che era qualcosa di estremamente importante...
Tre forti colpi alla porta mi fecero trasalire dal terrore, seguiti dalla tagliente voce di mia madre:<<Muovi il culo stronzetta altrimenti t'ammazzo>> poi s'allontanò a passo pesante e io lasciai andare il respiro che avevo trattenuto. Mi alzai e presi il necessario per fare una breve doccia, cercando di calmare il tremore delle mie mani, indotto dalla paura che cambiasse idea da un momento all'altro, decidendo di entrare nella mia camera e farmela pagare, anche se non aveva fatto nulla di male. Cercai di fare il più veloce possibile, dato che non avevo il diritto di occupare il bagno per più di dieci minuti e se avessi anche solo sforato di un minuto ne avrei pagato le conseguenze. Appena finii, tornai in camera mia, rifeci il letto, preparai lo zaino e uscii nel corridoio, guardandomi circospetta, per paura di incontrarla. Pregando che non si fosse rimessa a letto, entrai nella sua stanza e per fortuna la trovai vuota. Lasciai andare un tremante sospiro di sollievo e iniziai a rifare il letto dei miei genitori. Poi scesi in cucina e in religioso silenzio mi preparai la colazione. La finii in cinque secondi, per paura che potesse entrare nella stanza da un momento all'altro. Sparecchiai e lavai velocemente la ciotola che avevo usato, rimettendola al suo posto.
<<Che cazzo fai?>> la sua voce risuono con un'eco minaccioso che mi congelò il sangue. Qualcosa mi colpì forte alla schiena e mi fece cadere a terra, poi ancora e ancora, mentre io gridavo di dolore, e lei rideva divertita... è pazza! Pensai. Alla fine si allontanò con un: <<Porta fuori il cane, stronza>>. Appena il dolore si affievolì di poco, tentai di alzarmi, dovevo uscire di lì il prima possibile. Presi il guinzaglio e andai fuori avvicinandomi alla cuccia di Belle, il nostro pastore tedesco, che mi venne incontro trotterellando. Mi accucciai con una smorfia, e lei vedendo il mio sorriso tirato mi leccò il viso affettuosamente, come a lenire il mio dolore e finalmente mi permisi di piangere silenziosamente. Mi riscossi dalla mia improvvisa debolezza, mi alzai, ritrovando una nuova energia, quando improvvisamente mi ritrovai piegata in due per una nuova fitta alla schiena, mi si mozzò il respiro e gemetti per l'intensità del dolore. Mi rialzai, con più calma questa volta e poi m'incamminai.
Quando tornai era quasi ora di andare a scuola, e mia madre era andata a lavoro, quindi potevo entrare e prendere lo zaino senza altri incidenti. Corsi su velocemente, afferrai lo zaino e... mi bloccai davanti allo specchio del mio armadio che rifletteva la mia immagine a figura intera. Indossavo un paio di jeans neri a vita alta e dentro era infilata una camicetta bianca molto femminile che mi fasciava dolcemente le curve perfette. Mi avvicinai allo specchio e osservai il mio volto con aria critica: sul pallido viso spruzzato di lentiggini, spiccavano gli occhi di un verde smeraldo incantevole. I lunghi capelli ricadevano in una fluida cascata color cioccolato, incorniciando il viso con le loro onde morbide. Le labbra carnose e il naso alla fracesina... tutti dicevano che ero bellissima, che ero perfetta, ma non lo ero, io non dovevo neanche esistere . Feci un lungo respiro e indossai la mia maschera di perfezione sorridendo gioiosa alla mia immagine, anche se dentro mi disgustavo.

Davanti al cancello della scuola, la mia amica Clara mi venne incontro e io le sorrisi gioiosa, come sempre: <<Ehi Sam!>> mi salutò lei.
<<Ehi>> le risposi io.
<<Com'è andato il tuo fine settimana?>>chiese:<<Mah niente di ché, il solito. Tu invece che cos->> ma non riuscii a finire la frase e digrignai i denti per il dolore. Clara era inciampata e si era appoggiata alla mia schiena. Per un momento ci vidi doppio, e iniziò a girarmi la testa, tanto che dovetti fermarmi:<<Sam non è successo di nuovo vero?>> sussurrò Clara e vedendo la mia espressione tirata, impallidì. Era già capitato una volta che Clara notasse i miei lividi, oppure il mio gesso al braccio l'anno scorso, per non parlare poi delle cicatrici sulla schiena. Io non le avevo mai detto niente, ma era ovvio che avesse fatto uno più uno.
<<È tutto ok Clara>> sorrisi.
<<Ovvio. Per te è sempre tutto a posto, è sempre tutto okay... ma non è così, non è così per niente Sam. Basta fingere. Ti prego.>> mi supplicò. Le rivolsi uno sguardo triste:<<Scusami, non posso. Loro sono la mia famiglia, i miei genitori, ho paura, che fine farei? Dove andrei?>> lei non capiva che se avessi denunciato i miei genitori avrei perso per sempre la mia vita, la mia identità, la mia famiglia, anche se era tutto fuorché una famiglia. Avevo paura.<<Io non ce la faccio cosi>> disse lei allora. A quel punto le rivolsi un sorriso falso e con calma glaciale le risposi:<<Allora vattene>>. Clara mi guardò scioccata e gli occhi le si riempirono di lacrime. Mi dispiaceva per lei, era una brava ragazza e si vedeva che ci teneva molto a me, e anche io le volevo bene, ma non potevo permetterle di entrarmi dentro, di sapere cosa provavo, come mi sentivo. Non volevo. Così mentre lei mi supplicava con gli occhi di fare qualcosa, confortarla o abbracciarla, presi i miei libri dall'armadietto e me ne andai. Forse avevo esagerato ma ormai era fatta. Entrai in aula di pittura, era ancora molto presto e non c'era nessuno... a eccezione di un ragazzo che dipingeva. Lo osservai mentre con mano da maestro, colorava il suo magnifico disegno. Mi avvicinai a lui di soppiatto per vedere meglio cosa stesse dipingendo e rimasi scoccata... era un ponte. Un ponte che conoscevo, ma non ricordavo. Mi sentii oppressa da una forte angoscia e i libri mi caddero di mano. Il ragazzo s'accorse così della mia presenza e quando si girò, sbiancò in volto... riconoscendomi? Dalla sua espressione esterrefatta capii che mi conosceva, ma io non mi ricordavo... forse. Quei lineamenti decisi ma anche dolci, quegli occhi azzurri e i capelli corvini... dio era talmente familiare:<<Ragazzi ai vostri posti forza>> disse il professore entrando in aula. Non mi ero nemmeno accorta che l'aula si fosse riempita di studenti.
<<Signorina Black c'è forse qualche problema?>> chiese il prof, decisamente perplesso.
<<No, no è tutto ok>> risposi. Presi i libri da terra e sotto lo sguardo di tutti andai a sedere al mio solito posto vicino alla finestra, per sentire la leggera brezza primaverile.
<<Bene ragazzi... Da oggi abbiamo un nuovo studente che frequenterà il nostro corso di pittura... beh prego presentati>> disse il professore. Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio si alzò e disse:<< Mi chiamo Cameron White e spero di passare un buon anno assieme a voi>> poi decisamente in imbarazzo si sedette al suo posto. Il suo sguardo finì a soffermarsi sul mio, mi osservò così intensamente che iniziai a sentirmi a disagio e abbassai gli occhi. Mi sentivo annegare mentre continuavo a percepire il suo sguardo su di me.

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