Capitolo 9
.9.
TRISTAN
«I miei complimenti, hai guadagnato tempo contro un feroce predatore assassino», la schernii appena fummo soli. La stanza avvolta dalla penombra come un sudario, gettava nell'inquietudine la mia piccola interlocutrice, ma non me, alleviando lo sfrigolio ai bulbi oculari.
«Stava per mangiarmi», obbiettò con risolutezza, credendosi al sicuro all'interno della prigione. Te lo saresti meritato.
Mi avvicinai lentamente: «Eppure sei ancora qui», conclusi con una punta di disprezzo, inforcando gli occhiali da sole e aprendole lo sportellino segnato dal tempo e dalla ruggine: «Non credere che ti abbia perdonata; se provi a mordermi, ti uccido».
La vidi fare spallucce, rassegnata al suo destino: «Mpf... dov'è la novità? Ormai stai per divorarmi».
«Ho detto che avrei mangiato, non che avrei mangiato te», specificai, incrociando le braccia al torace.
Lei parve animarsi. Persino la sua pelliccia invernale acquistò nuovo colore: «E questo cosa significa?».
Inspirai a fondo, soffocando il mio pessimo stato d'animo e l'istinto di squarciarla in due. Non avevo mai parlato tanto a lungo con qualcuno, e mi sarebbe piaciuto non provare l'esperienza. «Significa che adessso mi sssei debitrice, Cosina». Detestavo sibilare, ma succedeva sporadicamente, e non potevo evitarlo.
L'erbivora rimase in silenzio a lungo, a riflettere, prima di aprir bocca: «Questo discorso non mi è nuovo. Fammi indovinare... Mi vuoi come spia anche tu?», indovinò, ancheggiando la lunga coda, rossa e pelosa. Aveva l'aria d'essere molto soffice mentre zompettava sul divano dismesso.
Era astuta. Scrollai le spalle, fingendo indifferenza: «Sei piccola, agile, e di buona famiglia. La tua gente ti riaccoglierebbe a braccia aperte».
Afferrò una mia canotta appena riassunse le spoglie bipedi, aggiustandosi l'indumento striminzito addosso: «E cosa ti fa credere che accetterò di collaborare con te? Solo perché lo fanno già Helia e Silene, non significa che mi unirò anch'io alla vostra causa».
Corrugai la fronte, irritato. Cominciava a darmi sui nervi. «Mi sembra ovvio. L'alternativa è la morte, Gemma», esposi atono. «Mi servi vicina al Consiglio. Sarai le mie orecchie nel posto più sorvegliato. Ho bisogno di sapere dove hanno rinchiuso il mio Alpha, e tutto quello che riguarderà l'imminente guerra civile», terminai.
Notai il sangue defluire dal viso angelico, rasentando il pallore dei muri sudici: «Se mi dovessero beccare verrei ammazzata senza processo», sussurrò.
Assottigliai lo sguardo dietro le lenti scure: «Allora sarà il caso non commettere errori, non credi?». La mia risposta fù una domanda retorica.
Alzò gli occhi sui miei, inclinando il capo verso l'alto: «È la tua personale vendetta nei miei confronti, non è vero?».
Fui costretto a chiamarmi di molto per diminuire lo spazio che ci separava: «Sssì», mormorai appena. Mi fissò a lungo, atterrita e incapace di compiere un banale movimento, ghiacciata dalla paura. Era ovvio che Gemma Cooper non aveva mai corso rischi del genere nella sua miserabile vita: «Avrai condotto una vita priva di passioni per terrorizzarti con poco», mi beffeggiai di lei, dando alito ai pensieri denigratori.
«Forse è la tua passione a essere depravazione», mi stuzzicò con arroganza.
«Sssei consapevole di non possedere spirito di conservazione, vero?», celiai con finto sarcasmo, mentre i nervi si agitavano sottopelle.
Avanzò verso di me, pretendendo attenzione come se fosse stata una mia pari. Ed era questo il problema. Doveva smetterla di sfidarmi: «Non fai altro che minacciarmi, comandarmi a bacchetta, e farmi del mal...!».
Stroncai ogni sua protesta afferrandola per il collo e braccandola con le spalle alla parete scrostata, premendo il corpo sul suo: «Obbietta ancora una volta e non mi limiterò a quello. Se lo volessi, potrei farti ssstrisciare...», sincerai con rabbia. «Avrei il potere di lasciarti cadere in ginocchio e pregarmi come un dio...», proseguii, snudando le fauci. «Mozzerei il soffio vitale con un solo, singolo morso, alla giugulare, prima che le urla possano abbandonare la tua bocca...», esposi i cruenti dettagli, trascurando il fatto che stesse già tremando: «E stavolta, non ti salverei».
Il calore del suo corpo era un torpore quasi piacevole rispetto all'ultima volta. Infliggerle la mia collera iniziava a piacermi. «Questa è l'unica risposta che conosci, la violenza?», boccheggiò con le lacrime agli occhi.
«È l'unica che valga la pena spendere con tali nullità, oltre alle minacce, si intende», la derisi.
«Oltre che folle, sei anche crudele, Tristan», ebbe la sfrontatezza di farmi il verso, pronunciando il mio nome. Deglutì sotto il mio palmo, preoccupandosi della mia reazione. Poteva fingere tutto il coraggio che voleva, era una preda, e lo sarebbe sempre stata.
Le labbra sfiorarono le mie con la delicatezza dei timidi boccioli in primavera. Sogghignai: «Preferisco tosssico, mia fulgida creatura».
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