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Capitolo 8

.8.

GEMMA

Ci furono albe e plenilunio indistinguibili dietro le sbarre. Rinchiusa in una gabbietta per piccoli uccelli tropicali, arrugginita, vecchia, sporca, e celata sotto un telo bianco, persi la cognizione del tempo. L'unica luce che rischiarava il mio tetro isolamento, donando qualche momento di sollievo, non era altri che Silene, nutrendomi con qualche ghianda selvatica, e informandomi delle condizioni di Helia. Nient'altro.

Per lunghe attese, passeggiavo in tondo, e dormivo sulla mia soffice coda, ignorando il pulviscolo soffocante, gli acari, e i grossi ragni della polvere - con cui mi dilettavo a parlare.

Di Tristan invece, nemmeno l'ombra. All'inizio temetti che volesse conservarmi per un'ipotetica merenda, poi per cena, e infine per il pranzo del giorno dopo, ma non venne. Preferì abbandonarmi, come ci si dimentica d'una freccia scoccata.

Avrei dovuto evadere, lottare per la mia libertà, ma per andare dove? A casa non potevo tornare, e se mi fossi aggirata per la magione indisturbata, dubitavo che il cobra ne sarebbe stato entusiasta. E quindi restavo lì, dove mi aveva rinchiusa. Questo, finché non accadde qualcosa all'improvviso. Una voce suadente, di una giovane donna, mi colse alla sprovvista: «Ciao a te, mio spuntino. Cosa fai qui, tutta sola?». Un lieve sonaglio lontano mi allarmò all'istante. Ti prego, fa che non sia un serpente. Spaventata mi rifugiai dietro la mia coda quando il telo plastificato cadde a terra, in un lieve fruscio, e scorsi un crotalo bruno, fissarmi con ingordigia. «Sembri morbida e gustosa, come mai Tristan Lee non ti ha ancora sbranata?», sibilò con vivo interesse.

Deglutii prima di risponderle, evitando il suo sguardo ipnotico: «Lui... Lui preferisce gustarmi per un'occasione speciale, suppongo. S-Sono il suo bocconcino, e... e si arrabbierà molto se... ecco, se al contrario mi ingoierai tu», balbettai la prima bugia credibile che mi venne in mente.

Lei dovette crederci perché prese sembianze bipedi. Rimasi senza fiato. Come poteva una bestia incarnare la bellezza? Calzava i colori della terra, ma la particolarità degli occhi, era che scintillavano come oro liquido: «Peccato... adoro gli scoiattoli», sogghignò con malignità.

Ricambiai con un sorrisetto nervoso, al sicuro, dietro le sbarre: «Anche lui li preferisce... Sono il suo piatto preferito», scherzai per guadagnare un po' di tempo. Sotto le note della notte, ascoltai le poche informazioni che colsi nei suoi lunghi monologhi. La mia interlocutrice aveva raggiunto da poco la maggiore età - quindi c'erano tre anni a dividerci - e ci trovavamo a Ovest della Città di Mezzo. Fù in questo modo che instaurai una strana conoscenza: «Sei la sua promessa sposa?», precisai, schiarendo la voce su “sposa”, ma non ne compresi il perché. Come anche la risata sfrenata che ne conseguì. Piegai il capo da un lato, confusa: «Ho detto qualcosa di comico per le usanze notturne?».

«No, ma chiunque riderebbe se fosse al mio posto. Tristan non è il mio compagno, è il mio patrigno», asserì con le lacrime agli occhi per le troppe risa.

«CHEEE?!», sbottai, drizzando le orecchie: «M-Ma non ha... venticinque anni?».

Lei scrollò le spalle nude, sembrava trovarsi a suo agio col fisico esposto: «Ventisette a dire il vero. Mi ha adottata quando avevo tredici anni», spiegò in seguito. «Non ha una promessa. Anzi, da quello che so, l'unica che abbia mai avuto, l'ha uccisa». Quest'ultima frase mi ghiacciò il sangue nelle vene, ma non parve accorgersene: «E tu, invece, nessun compagno succulento che venga qui, a cercarti?», si leccò la labbra, pregustando una risposta che non volevo darle. Mi sorpresi nell'essere interessata all'argomento recedente.

Il mio nasino vibrò per la curiosità: «Uccisa, come?».

Annuì distrattamente, sedendosi difronte alla gabbietta, concentrata nel ricordare delle informazioni che dovevano essere state occultate. Tutte le questioni passate riguardanti La Congrega Dei Sei lo erano. I soldati scrlti dovevano apparire immacolati: «Avvenne molto prima che fossi sotto la sua custodia, sgozzò Xandra nella piazza cittadina, ed era anche piuttosto affollata».

Come non pensato, mi dissi. «Perché?», domandai, provando pena per la sorte toccata alla sventurata carnivora.

La giovane notturna si osservò attorno prima di parlare, abbassando la voce, e accostandosi alle sbarre: «Hai presente il suo strano aspetto da brivido?», mi chiese. Tesi la testa, invitandola a proseguire. «È l'effetto collaterale della moltitudine di esperimenti genetici che ha subito. Pare sia stata Xandra a venderlo agli scienziati che abusarono di lui, anni prima del loro fidanzamento». Ritrassi le zampine, sconvolta, disgustata nell'aver provato compassione per una femmina che meritava la sorte toccatale. «Tristan lo venne a scoprire e...», si bloccò all'improvviso, riprendendo a guardarsi attorno, fra le tenebra della camera.

Io però volevo saperne di più: «E... E cosa successe ai suoi aguzzini?», domani ancora.

«Li uccisi».

Sobbalzai. Lui si trovava all'entrata della stanza, schiarito solo in parte dalla luna. Avanzò senza alcun timore, fino a giungere alle spalle del crotalo femmina e passarle un soprabito scuro: «Diedi loro la caccia e li ammazzai uno dopo l'altro. Di quei sette, solo una si salvò. Una femmina», precisò, inchiodandomi con lo sguardo bestiale. Quasi ebbi un attacco di cuore per la paura. Mi diede tregua solo quando spostò lo sguardo sulla figlioccia: «Hanne, cosa fai qui?». Udii del rimprovero nel suo tono, preoccupato per l'incolumità della giovane, supposi, ma forse, era solo una mia impressione. Dopotutto, Tristan Lee non si impensieriva per nessuno.

«Sono la tua spia in incognito, ricordi? Ho grosse novità...», si divertì a punzecchiarlo, allacciandosi il lungo capotto in vita.

La liquidò con un gesto del capo: «Riferiscile a Jude, il lupo, saprà cosa farsene».

Hanne incrociò le braccia al petto con tediosità: «E tu, che farai nel mentre?».

Tristan tornò a guardare me e la Morte mi sussurrò all'orecchio: «Credo che mangerò».

*Angolino dell'Autrice*

Gemma dopo questa frase di Tristan:

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