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Capitolo 7

.7.

TRISTAN

Le tappai la bocca col palmo della mano non appena proruppe un urlo. Detestavo gli schiamazzi, preferivo il silenzio. La quiete del bosco, a fine inverno, era una dolce elegia naturale, ma tutto questo ben presto ebbe vita breve. Il suo corpo, irrigidito dalla paura, si sciolse come un nastro, e percepii la lingua sulla pelle. Non poteva essere...

Mi scostai bruscamente da lei, notando che aveva il mento e le labbra imbrattate di sangue. Il mio sangue.

Guardai il palmo ferito, ricordando troppo tardi l'allenamento con Gavriel, d'essermi tagliato, e di non aver fasciato in tempo la mancina. Dannazione! Indietreggiai lentamente, mentre la bella scoiattolina rossa mi seguiva, incantata: «No, ssstammi lontano», l'ammonii, scostandomi sino a raggiungere una distanza di sicurezza.

Lei continuò ad avanzare, per nulla impressionata dal mio tono minaccioso. L'atteggiamento alquanto diverso da prima, sicura e sinuosa come una ninfa degli alberi. Una ninfa cacciatrice. Non mi piaceva essere braccato, essere preda della mia, era era contro natura. Un abominio!

Candidi fiocchi di neve, leggeri quanto l'aria, incominciarono a contornarle la chioma fulva, arricciando i lunghi boccoli: «Tristan», mormorò con dolcezza, bloccandomi la via di fuga, e addossandosi contro di me, nel tentativo di scaldarsi. Anche se non tremava più, sentii che aveva freddo.

Aspetta... cosa?! Io sento le sue sensazioni?! Mi fissava come se fossi stato il suo unico Dio. Se le avessi chiesto di strisciare, l'avrebbe fatto. Mi venerava al punto di assecondarmi.

Accigliato, lo trovai... stimolante, quasi curioso malgrado il timore, perché dopotutto, il predatore non ero più io. Quando mi accarezzò uno zigomo esangue, mi trattenni nel morderla una seconda volta. Incredibile come la situazione si fosse ribaltata nel giro di pochi minuti. «Odio il contatto fisico», l'avvertii, inquieto.

«Non mi importa. Dammene ancora», esalò, fissa nell'osservarmi.

Mi rabbuiai. Non volevo possederla... tantomeno essere posseduto: «No...».

E in quel momento diventò violenta: «Dammene ancora!», strillò, graffiandomi la faccia.

Provai a sottrarmi, dolorante, ma Gemma mi sbilanciò. Persi l'equilibrio e lei ebbe la meglio. Come poteva una civile diurna essere all'improvviso tanto formidabile?! «Cosa si prova ad essere tanto impotente?», si beffeggiò di me, bloccandomi sotto le sue cosce aperte.

Lottai per tenere le sue mani lontano da me. «Non pensavo che fossi tanto stupida e masochista. Appena l'effetto finirà, mi implorerai di risparmiarti la vita», la minacciai. La voce venata di panico mi rese poco credibile perché la mia aguzzina non demorse.

L'espressione impercettibile la rendeva spietata: «L'unica cosa che ti pregherò di fare sarà scoparmi fino al collasso», mi confessò melliflua.

«No, non farò nulla del genere», obbiettai.

«Allora lo farò io».

Sgranai lo sguardo, impallidendo: «Ferma, non lo vuoi davvero, è il tonico che parla, lasciami andare, maledizione!», fù il mio turno a dimenarmi.

«Qualunque cosa sia, è buono, mi rende invincibile, e tu ne sei il portatore», continuò: «Adesso sei tu la mia preda», sorrise spiritata.

Merda, aveva ragione. Mi sbottò i pantaloni della divisa con mosse agili e veloci. Prima che potessi morderla, incastrò una pigna nella mia bocca, bloccando le mandibole e impedendomi di urlare.

Ero di nuovo in trappola. Come tanti anni prima, e lei, somigliò alla scienziata pazza che mi tenne in gabbia.

Quando riprese padronanza di sé, era troppo tardi. Aveva abusato di me fino allo sfinimento, impedendomi di sottrarmi al suo desiderio indotto. Nonostante fossi più alto, e più forte, l'antidoto le conferiva maggiore energia, vigore, e agilità di quanto fosse concesso a un predatore surclassato.

E questo suggeriva che gli esperimenti condotti sul mio corpo, nel mio sangue, e nel veleno che inniettavo alle vittime, non erano altri che rinvigorenti per la razza diurna.

Rimasi immobile. A fissare il cielo con occhi vitrei e pregni di sofferenza. «Tristan...?», il mio nome sulle sue labbra assunse un suono agrodolce. «Tristan mi avevi morsa... stavi per uccidermi... e io...».

Si stava giustificando?! Mi venne da vomitare. «Sì», sussurrai pieno di ira, sollevando il busto da terra, senza guardarla negli occhi. Le arpionai il collo, stringendo sulla giugulare, intanto che si agitava per respirare: «Sì, ti divorerò tutta intera. Questa è una promessa».

*Angolino dell'Autrice*

Nulla Raga, l'ho postato oggi xD

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