Capitolo 16
.16.
TRISTAN
Di una cosa ero assolutamente certo: alla fine, saremmo tutti morti.
Com'era prevedibile, si diramò una taglia sulle nostre teste. Ricercati come: "I Ribelli", entrambe le fazioni avrebbero dato sfoggio di ogni mezzo necessario per braccarci e sopprimerci. Vigeva la Legge Naturale, e tutto ciò che era contro, andava abbattuto – piuttosto che compreso.
Ecco perché dovevamo giocare d'anticipo.
Secondo il piano del nostro alfa, Gavriel e io, avremmo monitorato il territorio erbivoro – in attesa di novità; Laila e Seth, raccoglievano informazioni in quello carnivoro, mentre Jude, si dedicava alla ricerca degli esclusi in campo onnivoro – divulgare le testimonianze su SAV AGE sarebbe stato fondamentale. Silene e Nathaniel, al contrario, proteggevano il nostro punto di incontro, procurando viveri di scorta per una –im–possibile sopravvivenza.
Era una missione suicida, la nostra. Avremmo avuto bisogno di un vasto esercito per contrastarne due, ed eravamo a malapena in sette.
Sette ricercati contro tutti.
Se il veleno era mortale, la fiducia lo era altrettanto. L'avevo appreso a mie spese.
Reminiscenze passate, riemersero dal buco della memoria dal quale avevo tentato di sottrarmi a lungo, sotterrandole in profondità.
***
Drip.
Drip.
Drip.
Siero. Il siero gocciolava lentamente dalla sacca appesa sopra la testa alla flebo iniettato in vena.
Ero legato, bloccato su un freddo tavolo. Il freddo metallo contro la nuda schiena.
Grida sconosciute, unite alle mie, mi ronzavano nel cervello anche dopo. Non c'era silenzio nella mia testa. Non c'era pace. Né fuga.
Ero prigioniero di me stesso.
Drip.
Drip.
Drip.
Bendato e imbavagliato, non distinguevo nulla e nessuno. La gola bruciava. Il corpo doleva. E la vista mancava. Preda dell'angoscia e della paura. Risate sghignazzanti e voci deliranti mi martellavano i timpani.
Li avrei ammazzati tutti, ripetevo come un mantra.
Si susseguivano scosse elettriche. Fuoco. E abbaglianti. Privarmi del sonno era la tortura peggiore.
Tutto questo era stato causato da una serpe di cui mi fidavo.
Sarebbe morta anche lei. Soprattutto lei.
Drip.
Drip.
Drip.
«Perdonami, ho sbagliato...», singhiozzava forte, il tono era tenorile. Lo usavano le vittime nel vano tentativo di salvarsi, sperando inutilmente di impietosire l'aggressore: «Ma non avevo altra scelta. Non farlo, ti prego!». Strisciava sul terreno fangoso, trascinando le gambe martoriate e sanguinolente.
Mentiva. C'era sempre una scelta.
Un tuono squarciò il cielo, illuminando la notte in giorno per un secondo. Il boato provocò un tremito della terra, destabilizzando la piazza cittadina. L'acquazzone precipitava su di noi come una punizione ancestrale.
Ira e rabbia si mescolarono in una miscela omicida, ritrovandomi a stritolare il manico della mazza fortuita, fino a sbiancarmi le nocche: «I morti non hanno orecchie per le preghiere».
E la colpii ripetutamente, sfracellandole il cranio.
***
«Non hai una bella cera, Tris», notò Gavriel, squadrandomi da capo a piedi.
Lo credevo bene, non mangiavo da quasi due settimane. Avevo fame.
Fui strappato via dalle mie elucubrazioni mentali sul passato, e ne dissipai la ragnatela sprimacciando la faccia con la mancina. I ricordi ebbero un retrogusto amaro, rammentandomi il mostro che ero – e che sarei stato per tutta la vita. «Non ho cacciato», liquidai le preoccupazioni altrui, studiando il paesaggio circostante, alla ricerca di vie di fuga, nel bosco.
«Ed è evidente che tu non abbia nemmeno dormito», costatò in seguito, alludendo al fatto che indossassi le lenti scure per nascondere le occhiaie.
Serrai la mandibola per non imprecare: «È l'alba, Gav. Io indossso sssempre gli occhiali da sssole quando c'è sssole», obbiettai l'ovvio, indicando la sottile linea crepuscolare che sbiadiva all'orizzonte a vista d'occhio.
«Lo so che sei fotosensibile, ma questo non toglie che potresti usarli anche per un altro motivo», blaterò inutilmente.
Sospirai in silenzio, sapendo che mi sarei pentito della prossima risposta: «Dove vorresssti arrivare con quesssto?».
Lui mi osservò con attenzione: «I tuoi movimenti sono lenti. Il tuo umore è parecchio irritabile. E temo che se continuerò questa conversazione sarò io il tuo prossimo pasto», elencò, fedele alla nostra amicizia, «Sono preoccupato per te. Dovresti riposare, almeno un poco».
Scoppiai a ridere a tale affermazione: «E tu dovresti confessare i tuoi sentimenti a Nathaniel», lo punsi sul vivo.
Il rapace arrossì fino alle orecchie: «Cosa?! Sentimenti? Quali sentimenti?! Non capisco di cosa tu stia parlando», farfugliò in difficoltà.
«Non capisci, eh?», rimarcai bonariamente, tracciando una X sul tronco dell'albero su cui eravamo appostati.
La vigilanza non aveva ancora rintracciato le guardie del corpo di Gemma – ma sarebbe stato solo questione di tempo.
«Sai che ti dico, volo da Seth per informarlo che qui è tutto sotto controllo», sbuffò il mio amico, troncando il discorso.
«Ottimo, io pranzerò», lo informai, salutandolo con un cenno.
«Fa che il tuo pranzo non sia la nostra informatrice, ti prego», mi rivolse uno sguardo esasperato.
Di nuovo quelle parole.
«Mi conosssci, sssai bene quanto sssia inutile pregarmi», gli ricordai con sarcasmo.
«E tu sai bene che l'erbivora è una cara amica di Silene. Si cordiale con lei», supplicò.
Snudai i denti in un ghigno crudele: «Sssarò cordialisssimo».
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