Capitolo 6
Rhett
Ci sono proprio tutti.
Bastardi. Opportunisti. Subdoli. Traditori.
Mio padre ha messo su un bel siparietto e io sono la marionetta protagonista da muovere a suo piacimento.
Seamus Blackwell, furioso per il modo in cui stanno andando gli affari con Theodore Wild, ha deciso di muovere qualche altro filo per attirare uomini, non ancora schierati, dalla sua parte.
Vedere le nostre famiglie che promettono di unirsi davanti ai vari Clan più importanti, non è una novità, ma rafforza il concetto di alleanza, e non solo.
Faron entra nello studio di nostro padre. Indossa un completo scuro, la cravatta un po' allentata e il bottone della camicia fuori dall'asola. Ha l'aria di chi vorrebbe filarsela da un momento all'altro. Come biasimarlo. Tra i tre è lo spirito libero. Ma senza di lui, con ogni probabilità, ogni cosa andrebbe allo sfacelo. Faron ha la capacità di sistemare ciò che è sul punto di rompersi in maniera irreparabile, di agire in fretta prima che le cose possano precipitare.
«Non sono ancora arrivati», mi comunica, sdraiandosi sul divano in pelle e iniziando a giocare con una pallina anti-stress.
Non avevo ancora riflettuto su come ogni mia azione stesse influenzando i miei fratelli. Su come possano percepire le nuove regole o tollerare gli eventi senza mai cedere alla pressione se non nel privato, un po' come adesso.
La porta ancora una volta viene aperta e si richiude alle spalle di Dante quando si appoggia contro lo stipite, con il suo solito broncio. A differenza di Faron, non indossa una giacca del completo, né una cravatta; un chiaro messaggio della sua ribellione.
«È un fottuto covo di serpenti di sotto. Non sarebbe male vederli strisciar via o tagliare qualche testa».
Nervoso per l'assenza della mia futura fidanzata, non ancora arrivata alla festa, e nella speranza di calmarmi, prendo un sorso di liquore dal bicchiere che ho rubato di sotto prima di rifugiarmi nel secondo studio di nostro padre. Quello che usa quando è frustrato e ha bisogno di non essere trovato.
Oltre ai dolci, non ho mai amato gli alcolici. Solo di tanto in tanto me ne concedo un goccio. Il motivo è sempre lo stesso: il ricordo della morte di mia madre.
«Calmati, Rhett. Arriverà», mi rassicura Faron. «Faye ha più spina dorsale del padre e sa quello che rischia di perdere se non si presenta quando Seamus le dà un ordine. È stato chiaro con lei al riguardo».
Appoggio il bicchiere sulla scrivania in mogano scuro. Sento affiorare il mal di testa. Prendo a massaggiarmi il dorso del naso e la fronte.
È il fatto che lei sia costretta a non andarmi giù. Non riesco a esprimere questo concetto, pur essendo semplice. Forse a frenarmi è perché implicherebbe qualcos'altro. Oltre a farmi sentire in colpa perché, in fondo, sono stato io a trascinarla in questo inferno.
«Penso di essere nervoso».
Faron si solleva dal divano smettendo di strizzare la pallina prima di metterla da parte. «Conosciamo bene il bastardo. Inutile illudersi che non abbia nient'altro in mente».
Io e Dante annuiamo.
Qualcuno bussa alla porta. Dante si scosta per aprire e rimango senza parole. Dimentico quello che avrei dovuto dire. Vengo investito da una sensazione di calore talmente torrido che mi si impiglia dentro generando un pericoloso e prolungato formicolio capace di farmi agitare sul posto.
E mentre la fisso come un idiota, mi rendo conto che possiamo anche fingere di non conoscerci, di non voler avere niente a che fare l'uno con l'altra, ma non appena ci incontriamo e intorno a noi il mondo si cristallizza, quel filo che si è annodato, diventa impossibile da strappare. Io e lei non siamo che questo, un nodo aggrovigliato.
Faye, nel suo abito lungo blu scuro, con lo spacco vertiginoso che le arriva fin sopra la coscia e uno scollo sul davanti vistoso, sul quale è pressoché impossible non adagiare lo sguardo in modo languido, si fa avanti riempiendo l'aria del suo profumo vanigliato e dolce come il miele caramellato.
Per un attimo, ho come il terrore di sprofondare.
La terra si sta muovendo nonostante io sia immobile. Fiamme, dapprima minuscole, mi lambiscono e mi tormentano, mentre l'attrazione affonda prepotente togliendomi ogni capacità.
Mi piacerebbe desiderare tutto questo. Forse lo voglio, cazzo. Ma se permetto a me stesso di avere una sola debolezza, di provare quel sentimento, non avrò nessuna via d'uscita. Proprio come è successo a mia madre. Pertanto, mi ricompongo e con un enorme sforzo di volontà, respingo tutto.
«Ciao, ragazzi», saluta i miei fratelli con un bellissimo sorriso, sincero e non di circostanza come quello che sta rivolgendo al sottoscritto.
«Rhett».
Faron e Dante ricambiano il saluto, poi senza una scusa plausibile, perché non ci provano nemmeno a trovarne una, e con voglia evidente di lasciarci un po' di privacy, si allontanano. Così rimango in compagnia della ragazza più attraente che io abbia mai incontrato.
Mi avvicino a lei, neanche fossi un magnete, prima di fermarmi. «Ti trovo bene», le sfioro una guancia coperta dal trucco leggero a rendere il suo volto un po' più maturo. La preferisco al naturale, anche se la donna che mi si para davanti è una dea che non posso ignorare.
«Facciamola finita».
In qualche modo il suo distacco preme quel pulsante del mio carattere che fa scattare fuori la bestia. Mi sento teso come la corda di un violino e sono quasi certo di apparire come il cattivo incazzato di una storia raccontata male.
«Speravo in una tua collaborazione pacifica, ma vedo che niente potrà farti cambiare idea», mi sistemo i polsini della camicia, strattonandoli con un po' troppa foga. «Bene, avrai a che fare con mio padre. A lui darai retta».
Faye mi si avvicina, scaccia la mia mano e mi aiuta. «La speranza è una bugiarda, Rhett Blackwell».
Fa un passo indietro e mi ammira. I suoi occhi si soffermano intenzionalmente sul mio viso e altrettanto sulle mie labbra imbronciate.
Non mi è possibile far finta che non sia lei la causa di questo battito scostante o di ogni singola fantasia che mi si è stampata a fuoco nella testa sin da quando l'ho incontrata in quel corridoio a fare la spia. Non è il suo aspetto la cosa principale ad attrarmi. Sono i suoi gesti calcolati, quella timidezza nascosta dietro un sorriso sfrontato e quel grido di aiuto che non ha il coraggio di far sentire al mondo intero per non subirne le conseguenze.
Sospiro. «Fidati, mi sento braccato anch'io».
Sbatte le palpebre e le sussultano le spalle. «Se non vuoi tutto questo, allora perché non...»
«Credi davvero che a mio padre importi qualcosa della mia opinione? Sia lui che il tuo lo stanno facendo solo per riunire i Clan e arricchirsi alle spalle di quei pochi che ancora si inginocchiano ai loro piedi o gli leccano il culo in cambio di protezione. A loro non importa se andiamo d'accordo, se scopiamo, se ci maltrattiamo o altro, perché con la nostra unione invieranno un chiaro messaggio a chi gli è d'ostacolo».
Le sue guance pallide diventano rosee alla menzione del sesso. «Quindi è solo una farsa?»
«Vedila pure come una parte da recitare tutte le volte in cui intendono esibirci come cani ammaestrati».
«Non erano scimmie?»
Le scocco un'occhiataccia che le provoca un sorriso e al contempo la fa agitare come se avesse sfidato una bestia. Infatti, ritorna subito seria e raddrizza le spalle. «Non avrai nessuna pretesa su di me o sul mio corpo?», chiede indicandosi.
«No», ammetto un po' irritato e con un certo sforzo per non tornare a sbavarle davanti.
Mi sembra assurdo che abbia pensato una cosa simile. Non mi approfitterei mai di lei. Ma come biasimarla? Le ho dato un'idea sbagliata alla quale aggrapparsi e la mia fama di bastardo mi precede.
Faye si morde il labbro distratta. «Messa così...»
«Parliamo di una vita intera, piuma», esclamo massaggiandomi la fronte.
Le sue narici si allargano come quelle di un toro. «Ti darò il consenso e potrai avere delle amanti con cui potrai sfogarti».
Incrocio le braccia al petto, divertito dalla piega che sta prendendo questa conversazione e, al tempo stesso, infastidito per il modo in cui pensa di potersi liberare di me. Le faccio così tanto ribrezzo? Mi disprezza a tal punto?
«Scritto o verbale?»
«Non ci ho pensato», replica, accorgendosi in ritardo che sto scherzando.
Ancora una volta arrossisce. «Per iscritto. Sarebbe qualcosa di definitivo, no? Quindi stileremo una lista e ci atterremo a seguire quella».
Sempre più divertito, decido di alzare il livello di difficoltà. «E quando ci chiederanno un erede come credi di farlo? Mi permetterai di scivolare nel tuo letto dove mi userai o dopo avermi fatto venire dentro un barattolo utilizzerai il mio sperma con una fiala e te lo farai iniettare nell'utero? Oppure affitterai una madre e la controllerai fino al giorno del parto strappandole dalle braccia il nascituro e piazzandole in mano un assegno al suo posto?»
Si tocca le guance e mi dà le spalle. «Sono troppo giovane per prendere queste decisioni su due piedi. Ma visto che vuoi saperlo, non avremo figli. Se proprio gliene serve uno lo adotteremo. Non ho intenzione di pagare una donna bisognosa. Dubito persino che sia legale».
«Oh, ti stupiresti di cosa siano disposte a fare le persone per soldi. Quindi rimarrai vergine per sempre? È questa la tua scelta?»
Mi perfora con il suo sguardo in cui scorgo l'arrivo di una tempesta che sta per investirmi. «Rhett!»
«Che c'è? Non dovrebbe imbarazzarti parlare con me di certi argomenti. Inoltre, la mia è una domanda più che semplice. Sai, per organizzarmi».
Il suo petto sembra quello di un piccolo pettirosso in pericolo. Seguo il movimento e abbasso ulteriormente lo sguardo sulle sue tette sode contenute a malapena dalla stoffa.
«Quello che riguarda il mio corpo non è affar tuo. Non sei il mio ragazzo e potrei avere io un amante».
Ed è qui che commette il primo errore.
Staccandomi dal mobile mi avvicino e le afferro il mento. Il polpastrello le accarezza la pelle e il labbro inferiore carnoso, facendola fremere sotto il mio tocco.
«Ti sbagli, piuma. Tutto quello che farai, dirai o ometterai, è affar mio. Tu lo sei», dico abbassandomi. «E devi ritenermi il tuo ragazzo, il tuo fidanzato, tuo marito, il tuo cazzo di uomo, perché non accetterò di essere nient'altro di meno».
I suoi occhi si sollevano e si ancorano ai miei. C'è una sorta di terrore seminascosto in quelle sue iridi. «Cosa mi stai dicendo?», domanda deglutendo.
Mi sposto verso il suo orecchio. La mia mano le accarezza il braccio, provocandole deliziosi brividi. «Tu sei affar mio. Ogni tua prima volta sarà con me», scandisco ogni parola. «Urlami pure in faccia di essere possessivo e pazzo, ma non ti permetterò di avere un altro dentro di te. Dimmi che hai capito!»
Sbatte le palpebre e prova a fare un passo indietro, intimorita dalla mia aggressiva sicurezza. «Non mi obbligherai».
«No, non lo farò. Ma sarai tu a inginocchiarti e a chiedermi di soddisfarti perché non avrai nessun amante oltre al sottoscritto. Io non condivido, mai».
Stupita e forse anche imbarazzata dalla mia schiettezza si avvia alla porta senza l'intenzione di ribattere aspramente alla mia provocazione. Cosa che mi lascia un po' di amaro in bocca. L'ho sconvolta? È così che risolverà ogni conflitto?
«Vuoi spiegarmi perché ce l'hai con me? Ho fatto qualcosa l'ultima volta in cui ci siamo visti che ti ha fatto riflettere abbastanza da cambiare idea nel corso delle settimane appena trascorse?»
La mia domanda tagliente e diretta la mette subito sulla difensiva.
Sono sempre stato sincero. Odio i giri di parole e odio il modo in cui siamo tornati indietro, a quel gelido sopportarsi.
«Io... non riesco a capire quello che provo quando sono con te», replica, facendomi quasi andare fuori di testa.
«Forse perché non vuoi neanche provarci?», ribatto piccato.
«Io ci sto provando, Rhett», pigola. «Quando ti guardo dovrei vedere quanto sei attraente, dovrei sentirmi fortunata che tu abbia scelto me tra così tante ragazze. Invece per me rappresenti una catena che non riesco a spezzare perché con il passare del tempo si salderà addosso a tal punto da imprigionarmi completamente a una vita che non voglio», ammette.
«Anche adesso?»
«Soprattutto adesso. Tu hai la capacità di farti odiare e l'attimo successivo di farmi sentire in colpa perché non sei quello che mostri».
Nascondo la sorpresa. Non immaginavo che avrebbe ammesso tutto ciò.
Faccio un passo avanti, anche se non dovrei perché mi aspetto che arretrerà. La mia mano raggiunge la sua mascella, le sollevo il mento con un colpetto e la fisso negli occhi.
«Cosa vuoi davvero da me, Rhett?»
«Vuoi saperlo? Non ti va di scoprirlo?»
«L'unica cosa che voglio al momento è tornarmene a casa».
«Posso accompagnarti dopo l'annuncio».
«Tuo padre lo farà davvero?»
«Purtroppo non è stato possibile fermarlo».
Sospira. «Ti odio. Ora, in questo istante, ti odio».
Sta rispondendo alla domanda. Mi piace che sia sincera, ma al contempo inizia a farmi agitare dentro, come un indumento troppo stretto.
«Lo so, piuma».
«Ci vediamo di sotto, pallone gonfiato».
La fermo afferrandola per un polso. Un delicato strattone e la tengo premuta con le spalle contro il mio petto. Inalo il suo odore di pulito e così delicato da risultare sfuggevole. La sua pelle si rizza e dalla sua bocca sfugge un verso gutturale che mi fa eccitare.
«Dobbiamo scendere insieme. Riesci a reggere per qualche ora la mia presenza?»
Si volta, mi spinge. «Solo se non mi starai così addosso».
Ghigno. «Di cosa hai paura? Che carpisca la tua verginità con uno sguardo?», ridacchio, sollevando entrambe le sopracciglia. «Andiamo, piuma. Quando me la prenderò lo sentirai perché sarai lì e parteciperai con entusiasmo».
* * *
Non dovrei farlo, ma continuo a controllare che lei non sia sul punto di fuggire, rovinando ogni piano. Soprattutto, controllo con costanza che non stia troppo con suo padre.
Non mi è sfuggito il modo in cui si è ingobbita quando lui le si è avvicinato sussurrandole qualcosa all'orecchio, prima di essere raggiunti dalla matrigna e dalle sorelle. Non ho più parlato con Wild dal nostro incontro al porto. Mi sta evitando, ma le circostanze richiedono la presenza di entrambi.
Seamus, d'altra parte, non ha ancora fatto nessun discorso; tantomeno ha reso partecipi i presenti dei suoi piani per il futuro.
Inizio a innervosirmi.
Proteggere me stesso è sempre stato un lavoro tedioso e silenzioso. Per anni ho vissuto rinchiuso in una bolla emotiva. Ho allontanato chiunque per non dovermi sentire ancora inerme di fronte al pericolo.
Adesso però non posso nascondermi o trovare una scusa per andarmene. Non quando mi ritrovo inchiodato a un futuro programmato.
Quando mi volto, trattengo il fiato. Non dovrebbe, eppure mi sfiora con la tenerezza di una carezza sul cuore sempre più affaticato. Perché lei mi crea una gran confusione nella testa. Avevo giurato che nessuno sarebbe stato in grado di demolirmi. Purtroppo ho la netta sensazione che i suoi occhi saranno la mia rovina. Insieme a questo desiderio spasmodico di avvicinarmi, di sentire il suo calore, il suo profumo, la sua voce.
Al momento Faye se ne sta in disparte e osserva distratta il giardino. Quando qualcuno degli invitati le si avvicina, lei sostiene la conversazione con garbo, rifiuta gentilmente la richiesta di un ballo da parte di un paio di coglioni adulti che vorrebbero metterle le loro sudice mani addosso e continua a spostarsi verso l'esterno.
Stanco di starmene in un angolo a tenere tutto sotto sorveglianza, agisco. I miei piedi si muovono senza un comando e la mia mano si protende verso di lei.
Faye non mi rifiuta e si lascia trascinare sulla pista da ballo.
«Pensavo a qualcosa di meno pomposo», intavolo una conversazione su due piedi, consapevole che potrebbe anche non volere partecipare. «Non amo molto le feste».
«Non mi piacciono tutti quei fronzoli, tantomeno la musica Jazz per un evento simile».
La mia mano scivola lungo la sua schiena e lei trattiene il fiato mentre mi si avvicina.
«Lo terrò a mente. Altro?»
«Stai memorizzando le mie richieste? Posso dire la mia?», domanda con aria scettica, inarcando un sopracciglio. «È il tuo piano per diventare il mio uomo?»
Le faccio fare una giravolta. «Ovvio. Ho intenzione di viziarti. E in parte, che resti fra noi, questo sfinirà mio padre. Quindi opponiti più che puoi».
«Non voglio niente di vistoso. Non sono mai stata viziata e non inizierò adesso a esserlo. Mi fa sentire a disagio pensare di avanzare una richiesta solo per esasperare te o tuo padre. Non voglio avere nessun debito con i Blackwell».
Nascondo un sorriso. «Non preoccuparti per me. Lo troverei divertente».
«Ma non mi dire», brontola.
Mi abbasso in modo da premere la mia guancia sulla sua. Ho notato il modo in cui abbiamo gli occhi puntati addosso. Fingere di andare d'accordo è la priorità.
«Rose?»
«Sì».
«Colore?»
«Gialle».
«Musica?»
«Classica per iniziare e una band per divertirsi sotto fiumi d'alcol. Sai, per reggere la faccenda del dopo».
«Torta?»
«Tre strati diversi o un buffet di dolci e torte, anche salate».
«Chiesa o spiaggia?»
«Su una barca al tramonto, con un abito bianco preso in un negozietto dell'usato».
Dubito che sull'ultima questione sia seria. L'ha detto solo per reggere il gioco. Non merita altro che qualcosa di nuovo e unico.
Faye nota il mio silenzio. «Rispondi anche tu all'ultima domanda».
«Mi sposerei in un posto tranquillo, lontano da tutti, al tramonto. Non sono un tipo da fiori, non mi piacciono i dolci, ma ci terrei ad avere una torta all'ananas e cocco».
Non nasconde lo stupore e i suoi occhi spalancati la rendono adorabile. «Perché proprio una torta simile?»
«Mi ricorderebbe un momento frizzante, dolce e unico, da abbinare ai fiumi d'alcol, che non berrò, per reggere la faccenda del dopo».
Le sue braccia chissà quando si sono intrecciate al mio collo e le mie mani sono salde sui suoi fianchi. Oscilliamo a tempo di musica, senza mai inciampare o pestarci i piedi. Siamo in sincrono perfetto. Persino i nostri battiti sembrano esserlo.
«Rhett?»
«Sì, piuma?»
Mio padre decide in quel momento di richiedere un brindisi, interrompendoci e facendo scoppiare la bolla.
Tutti prendono un calice. Anche noi, mettendoci in bella vista quando vagando con lo sguardo e trovandomi mi fa cenno di sostenerlo.
«Sarò breve», esordisce dopo aver salutato i presenti. «Questa serata è dedicata all'unione dei nostri Clan. Nuove alleanze sono state formate per tenere protette le nostre terre e la nostra gente. Per questa ragione, io e Theodore Wild abbiamo fatto in modo che le nostre famiglie si legassero ulteriormente. Mio figlio Rhett e sua figlia Faye, presto si fidanzeranno ufficialmente», conclude un po' su di giri il discorso, intervallato da un continuo battere di mani ed acclamazioni svenevoli da parte dei suoi soci.
Faye prende appena un sorso dal calice, poi si volta ringraziando qualcuno che le ha fatto i complimenti per la lieta notizia.
Con la sua fragilità rischia di spezzare qualcosa nel mio cuore duro come la pietra e affilato come una lama pronta a colpire a ogni battito diverso.
Le stringo la mano. Non mi occorre chiederglielo per sapere che ha bisogno di un posto tranquillo in cui tornare a respirare. Io stesso sto facendo fatica a restare in mezzo a questa falsa adorazione e a reggere la pressione che mi sta schiacciando da quando mio padre ci ha messo entrambi sotto il mirino di ogni avvoltoio.
Senza curarmi di come potrebbe apparire un gesto simile, facendo nascere qualche pettegolezzo, la trascino fuori, in giardino. Supero il sentiero con le statue fino al labirinto, dove seguendo il percorso che conosco a memoria raggiungo una piccola alcova in cui si trova, quasi nascosta dall'edera, una panchina.
Faye studia l'ambiente e annusa l'aria rilassando le spalle. «È il tuo posto segreto?»
«Lo era. Se lo dici a uno dei miei fratelli mi toccherà trovarne un altro e non mi va di rimpiazzare questa comoda panchina di pietra».
«Perché mi hai portata qui?»
Faye non si perde mai in chiacchiere. Questo aspetto di lei mi sfinisce e al contempo me la fa apparire piacevole, diversa dalle altre. La sua sincerità è una qualità che apprezzo.
«Perché stavi annaspando e mi è venuto in mente solo questo posto per offrirti un po' d'aria».
Il fatto che mi senta imbecille dopo aver pronunciato queste parole, la dice lunga sul mio stato di salute mentale, alterato da tutti questi nuovi eventi.
Faye si sofferma sui miei pugni chiusi premuti sulle ginocchia. Avvicina la sua mano a quello destro, adagiandovisi sopra come quando giochi a sasso, carta, forbice.
«Rhett?», ripete il mio nome richiamando la mia attenzione. «Che ti succede?»
La pressione è troppa.
Scosto la sua mano, mi alzo e comincio a camminare come un leone in gabbia. «Pensi di essere l'unica a dover vivere un incubo? Ti sbagli. Sono anch'io un cazzo di burattino. Mentre loro muovono i fili, io mi indebolisco e non ho più una strada sicura da percorrere. Vorrei solo andare via, volare lontano e non guardarmi più indietro», sbotto. «Vorrei una vita normale. Cazzo!», impreco, rendendomi conto di essere appena esploso come un ragazzino.
La mia sfuriata la fa discutere con se stessa. Si alza e mi stringe il braccio prima di piazzarsi davanti a me.
Una mossa alquanto studiata ma pericolosa per ogni mio istinto.
«Io avevo intenzione di andarmene dopo il liceo. Tu puoi fare lo stesso. Possiamo fingere fino al momento in cui potremo scappare», dice speranzosa, elaborando un piano per entrambi, ma che prevede percorsi diametralmente opposti.
«Intendi abbandonarmi all'altare?»
«Non spenderò una miniera di soldi per un abito che non userò», mi rassicura o meglio espone la sua idea al riguardo.
Mi massaggio il mento. «Da quanto elabori il tuo piano di fuga?»
Si siede sulla panchina dondolando una sola volta le gambe prima di intrecciare le caviglie e sorreggersi sulle braccia. «Sono anni che aspetto il momento giusto», ammette distogliendo lo sguardo. «Non ho mai nascosto le mie intenzioni. Ma come ben sai, adesso non ho più quel privilegio e sono costretta a organizzarmi nell'ombra».
Mi siedo accanto a lei. «Posso almeno confessarlo ai miei fratelli?»
Sbatte le palpebre. «Confessare che cosa?»
«Che fingeremo. Ci vedremo lo stretto necessario, per non destare sospetto».
Si tormenta con i denti il labbro inferiore. «Non faranno la spia?»
Non ho neanche un attimo di esitazione. «No. Credo che ci aiuteranno».
«Sicuro?»
Le porgo la mano. «Affare fatto?», domando un po' riluttante al pensiero di aver appena avviato un nuovo gioco pericoloso di cui non conosco l'esito. In realtà, lo sto facendo per lei. Io ho le idee chiare, ma sono disposto a lasciarla andare. Soprattutto a trovare il modo per tenerla lontana dai nostri padri.
«La mia vita è un casino, Rhett», mormora senza mai sollevare lo sguardo e accorgersi del modo in cui la sto divorando in ogni sua parte.
Che sia bella è evidente. Ma c'è qualcosa in lei che mi spinge a superare quella barriera fisica fino a intromettermi nel suo lato emotivo pieno di trappole protettive.
Le scosto i capelli con una carezza. «Mai quanto la mia, piuma. Ma ce la faremo, insieme».
Qualsiasi cosa voglia dire, la trattiene. Grazie al suo sguardo, al modo in cui ammorbidisce le labbra incurvandole appena, mi suggerisce di averle appena tolto un peso. Non solo, forse è sollevata perché sono io a sostenerla in questa piccola impresa di cui non sapremo il risultato se non alla fine. O almeno mi illudo che sia così.
«Un momento, e se non dovessimo avere successo?»
«In quel caso o saremo morti o sarai mia moglie. Poi c'è anche un'altra opzione».
«Che sarebbe?»
«Ti innamori di me», le sorrido e lei mi spinge lievemente.
«Affare fatto. Ma non illuderti. Non mi innamorerò di te», prosegue stringendomi la mano.
A quel contatto ho solo l'illusione di avere tutto sotto controllo.
💛🪽
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