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Capitolo 4

Faye

In modo subdolo si è intromesso nella mia vita. Non ho avuto anche solo una possibilità di proteggermi, di trovare una soluzione. Non voglio cedere, ma non posso nemmeno rischiare di affrontare mio padre ancora per testardaggine.
"Benvenuta in famiglia, piuma."
Come faccio a non pensare alle parole che hanno segnato una nuova linea di demarcazione, un nuovo tratto, un segno tangibile di possesso e prigionia. Insieme a quel bacio senza tatto, pieno di significati nascosti.
Già, quel bacio sulla fronte... è stato una punizione.
"Benvenuta in famiglia, piuma."
La mia mente sta ancora cercando di elaborare quanto accaduto. Ma perché l'ha fatto? Perché impartire una tale lezione a un uomo più grande di lui? Cosa voleva dimostrare?
"Benvenuta in famiglia, piuma."
La mia mente è un vortice di emozioni contrastanti. Ho l'impressione di trovarmi talmente in alto da non sapere più mantenere l'equilibrio.
«Mi stai ascoltando?»
Smetto di mordere la matita, appoggiandola al centro del quaderno pieno di disegni senza una logica che devo aver abbozzato mentre ero soprappensiero. Riscuotendomi, sollevo la testa e guardo Joleen seduta supina sul mio letto, con le gambe nude sollevate e le caviglie intrecciate premute alla parete.
Mentirei se dicessi di essere rimasta attenta nell'ultima ora e di avere seguito ogni suo dettagliato racconto. Mi sono persa quando ha iniziato a blaterare su come ottenere un invito a delle feste esclusive per farsi notare.
Non volevo che venisse a casa, che mi vedesse ancora piena di lividi e facesse dei collegamenti immediati, e non solo, anche delle congetture. È brava in queste cose. Ancora di più lo è a diffondere pettegolezzi per un tornaconto personale. Purtroppo, non potevo tenerla ancora lontana con delle scuse. Questo l'avrebbe insospettita e indispettita maggiormente.
Joleen non ha ancora posto nessuna domanda sul mio aspetto. Forse è stata informata da Ersilia o da una delle mie sorelle, le quali si sono messe d'accordo su cosa riferire sul mio "incidente". Io mi limito a rispondere di non ricordare niente.
Adesso che lei è qui, nel mio spazio sicuro, non mi sento del tutto a mio agio. Perché da quando è entrata, non ha smesso per un solo istante di parlare, ridere e fare battute sul mio futuro e sul non lontano fidanzamento ufficiale di cui si parla già in giro. Sospetto che le mie sorelle abbiano detto alla persona sbagliata la novità e che si sia creato una sorta di domino dove ogni persona ha aggiunto un dettaglio, non vero.
Joleen segue gli aggiornamenti su ogni famiglia ricca; non solo tramite i media o le voci che circolano attraverso feste e conoscenze. Non ha ancora avuto modo di scoprire di chi si tratta grazie al mio continuo tergiversare sulla questione. Ma in fondo so perché non gliel'ho detto. Non appena lo saprà, sento che farà o dirà qualcosa per ferirmi. Non credo di avere le forze per reggere altro al momento.
La ragione della mia esitazione, inoltre, ha un valido dubbio. Joleen è interessata a inserirsi nella società, quindi è pronta a trovare il suo "gallo" da spennare. È quello che ha sempre affermato sin da quando ha iniziato a interessarsi ai ragazzi. Più volte le ho sentito menzionare il cognome dei Blackwell.
Joleen non appartiene a una famiglia ricca, i suoi sono diventati benestanti grazie a qualche aggancio; anche se sono rimasti umili. È dal liceo che tenta di emergere, e per riuscirci le ho visto fare cose terribili, spesso a discapito di qualcun altro. Non ho intenzione di diventare quel qualcuno. E non oso immaginare quale sarà la sua prima reazione nel sapere che dovrò sposare un Blackwell.
Non ho modo di approfondire i miei dubbi. Joleen scivola giù e attende.
«Scusa, sono solo un po' stanca», mento, sbadigliando.
Controlla l'ora. «Hai studiato abbastanza per oggi, secchiona. I tuoi voti non ne risentiranno se ti rilassi per due minuti. Non hai ancora qualche altro giorno di vacanza?»
Alzo gli occhi al cielo. «E tu non l'hai fatto abbastanza. Non hai un esame importante da preparare?»
Si stringe nelle spalle. «Il college non è il liceo. Se non studio per un giorno non succede niente», replica frugando nel cassetto, tra i miei smalti, sollevandone qualcuno prima di scegliere il colore che tengo sulle unghie delle mani e farmi cenno di stenderglielo.
Mi siedo a gambe incrociate, pronta a servirla. «Ma se dici sempre che le tue lezioni sono toste e che non riesci quasi a concludere un argomento che ne arriva un altro».
Joleen è più grande di me di due anni. Lei va già al college, studia diritto e un giorno si farà strada tra le aule in tribunale, mentre io, se ci riesco, mi diplomerò con un anno di anticipo e, sempre se nessuno avrà qualcosa da ridire, andrò al college prima di prendere il volo. Il tutto tenendomi lontana da questa casa e da mio padre.
«Non farmici pensare. Sono sotto di una materia. Ma mi è concesso sognare».
Le stendo lo smalto sulle unghie delle mani, chiedendole più volte di stare ferma.
«Non pensi che i tuoi si infurieranno per i voti bassi?»
«Non lo faranno. Non se i miei piani andranno in porto. Non ti ho detto cosa ho intenzione di fare», lascia il discorso in sospeso, in attesa che mostri entusiasmo e le faccia le domande opportune.
Sbuffa quando non cedo al suo gioco. «Prima di laurearmi troverò un fidanzato. Ovviamente, metterò le grinfie su un ricco e potente figlio di papà, così i miei non avranno niente da ridire», ammicca divertita. «Ho già qualcuno nel mio mirino», con le dita forma una pistola e spara davanti a sé prima di soffiare sopra le dita.
"Benvenuta in famiglia, piuma."
Mi si ribalta lo stomaco e ancora una volta mi rimbombano nella testa le parole di quello stronzo. Tremo visibilmente e Joleen se ne accorge perché si fa subito attenta smettendo di sorridere. «Cosa c'è che non va?»
«Tutto, Jo», vorrei urlare, cominciando a dar sfogo, forse per la prima volta, alle mie frustrazioni.
Fingere di stare bene comincia a starmi stretto. È estenuante. Vedo il mondo girare e cambiare, mentre io sono ferma, terrorizzata e avvilita.
Cerco di controllare le emozioni che esondano dal mio cuore. Devo cercare di nascondere il più possibile queste crepe che a ogni urto rischiano di aprirsi ancora di più.
Le parole mi sfuggono di getto dalla bocca, quasi senza pensarci. «Non voglio fidanzarmi con una persona che non apprezzo e per la quale non provo niente», butto fuori incredula.
«Sciocchezze! L'amore è sopravvalutato, Faye. Nessuno sta più insieme perché prova davvero qualcosa».
«Quindi tu staresti con qualcuno che non ami solo per poter ottenere qualcosa in cambio? Fama, successo, soldi? È di questo che hai bisogno?»
Soffia sullo smalto fresco assumendo l'espressione che conosco fin troppo bene, quella determinata. «Lo farò. Farò tutto ciò che è necessario per arrivare dove voglio, Faye. Dovresti essere più ambiziosa di un volo per la Corea del Sud o della Francia in solitaria. Credi ancora che tuo padre te lo lascerà fare dopo che ti sarai laureata?»
Mi sta mettendo alla prova.
Joleen usa una forma sottile di violenza per umiliare. Le piace stare al centro dell'attenzione e vive per primeggiare in tutto.
Se ho paura che possa pugnalarmi alle spalle? Ovvio. Con Joleen non si sa mai quanto durerai nelle sue grazie. Ho visto ragazze in lacrime dopo che lei le ha usate e poi gettate in pasto ai bulli. Il tutto dopo averle umiliate usando le loro debolezze. Il segreto è non raccontarle niente di troppo appetibile affinché non possa mettersi in competizione e demolirti. So che questa non è amicizia, ma stare un po' con lei ha i suoi vantaggi. Mi permette di uscire da questa villa.
Forse non sono poi così diversa da lei. Spesso mi sento meschina. Il fatto è che non sono brava a fare amicizia con le altre ragazze.
«Voglio diventare assistente di volo, anche se non mi fermerò solo a quello. Non ci vedo niente di male nel non voler raggiungere questi obiettivi senza aiuto».
Spinge la lingua tra i denti lasciando uscire un verso gutturale. «Facile per te parlare. Sei nata in una famiglia ricca. Ti basta schioccare le dita per ottenere quello che desideri. Fai troppe moine per un ragazzo che quasi sicuramente non appena sarete sposati andrà a puttane perché non hai intenzione di aprire un po' le gambe per lui», replica sprezzante.
Inspiro di scatto sentendo le guance avvampare. «In realtà lo siamo diventati con il duro lavoro. Proprio come hanno fatto i tuoi genitori», mi sento di difendere i Wild nonostante tutto e non trattengo del risentimento nel mio tono. «E sai bene che non ottengo mai quello che voglio come hai appena affermato. In quanto al resto, mi auguro che quel bastardo vada davvero in un bordello a sfogarsi, perché non ho intenzione di farmi usare. Non voglio sentirmi sporca solo per tenermi stretto qualcuno che ha i soldi. Io voglio innamorarmi e provare qualcosa che non sia astio e paura».
«Potrebbe anche piacerti farti scopare e toglierti quel manico da scopa che tieni dentro», Joleen scende dal letto, recupera la borsetta e si avvia sculettando alla porta.
Lo so con certezza, la mia risposta non le è piaciuta.
«Ci vediamo stasera alla festa. Passo a prenderti. Non preoccuparti per tuo padre. Non mi dirà di no se invento che ti porto a cena fuori insieme ai miei», mi strizza l'occhio. «Non solleverà neanche un dito sulla sua merce di scambio».
Ed ecco la stoccata finale, mi dico, rimanendo a fissare la porta con una certa inquietudine.

* * *

Ore più tardi e un tubino nero con le spalline sottili un po' stretto addosso, mi ritrovo in un locale pieno di studenti urlanti e ubriachi.
Non so dove sia finita Joleen. Mi ha piantata in asso non appena siamo riuscite a entrare. Questo è successo dopo aver scavalcato la fila grazie all'invito di un suo amico. Mi ha urlato di non perdermi e che mi avrebbe raggiunta dopo aver finito. Di fare cosa non saprei dirlo.
Me ne sto seduta in un angolo della sala, a controllare ovunque per riuscire a intravedere la sua chioma vaporosa e quel vestito rosso fiamma che ha indossato appositamente per attirare l'attenzione, ma è impossibile con tutte queste luci e queste persone.
Controllo il cellulare e non trovo niente, nessun messaggio da parte sua. Sospiro e mi dico di dover provare almeno a divertirmi. Che importa se da sola?
Raggiungo il bancone e mi siedo su uno sgabello alto con il cuscinetto in pelle nera.
Tutto in questo locale grida "moda". Dalle luci ai divani, ogni singolo elemento sembra uscito da una rivista. Nell'aria non aleggia il classico odore di birra scadente o stantio, bensì di liquore alla ciliegia, sigari cubani e profumo costoso.
Un ragazzo alto, con la divisa da barman pulita, non sgualcita e le maniche arrotolate fin sopra gli avambracci, a lasciar intravedere muscoli sodi e vene in rilievo, si avvicina. Passa uno straccio pulito sul ripiano già lucido, abbastanza da potercisi specchiare.
«Ciao, sono Dustin ma chiamami pure Dus, cosa posso servirti?»
Se mi beccano a bere come minimo passo dei guai, penso agitandomi sul posto. Non ho ancora la maggiore età.
«Ehm...»
Ma siamo a una festa, prosegue la vocina insistente spingendomi a peccare.
Sto per rispondere quando Joleen riappare e mi si siede accanto avvolgendomi in una nuvola di profumo dolce, misto a qualcos'altro di pungente. I suoi occhi sono rossi e lucidi, ha un po' di mascara sbavato sotto le palpebre, ma sorride come se fosse la persona più felice e senza pensieri al mondo.
«Stavi per ordinare?»
«Ti senti bene?»
Tira su con il naso. Assume il tipico sguardo civettuolo e sbattendo le palpebre ordina qualcosa per sé. Dus attende ancora me e non mi sfugge lo sbuffo proveniente dalla persona che si è appena seduta al mio fianco. Inoltre, non riesco a sentire quello che borbotta tra i denti.
Non è colpa mia se alcuni ragazzi la ignorano o non provano interesse immediato per lei, mi dico, ordinando la prima cosa che mi viene in mente, tamburellando le dita sul bancone lucido a tempo di musica.
Joleen saluta quasi chiunque e continua a elargire sorrisi e falsi complimenti che attirano fin troppa attenzione. Il festeggiato non è più nei paraggi. Ho visto molte ragazze chiedergli uno scatto. Deduco sia davvero uno che ha ottenuto la fama grazie ai social network. Al contempo mi domando come tutto ciò possa incastrarsi con i piani di Joleen.
«Goditi la festa e magari togliti qualche sfizio prima di farti ingabbiare dal tuo promesso», mi bacia la guancia e scappa, di nuovo. «Io lo farò di sicuro!», esclama ammiccando.
Sospiro. Ha saputo l'identità? Sono state le mie sorelle a lasciarsi sfuggire il suo nome?
Anche loro sono fuori a divertirsi. Avrebbero voluto tenermi d'occhio, suppongo proprio per non farmi togliere nessuno sfizio, ma Joleen è stata un'abile manipolatrice. Ha infatti insistito così tanto che alla fine ha vinto a mani basse.
Un ragazzo uscito l'anno scorso dalla mia scuola prende posto accanto a me, finge di non avermi puntata dall'inizio e io gli lascio credere di essere caduta nella trappola quando, sedendosi sullo sgabello vuoto lasciato da Jo, mi saluta e facendo un cenno al barman di prima ordina da bere.
«Non pensavo frequentassi locali come questi», si sporge per parlarmi all'orecchio, nonostante da questo lato della sala non ce ne sia bisogno. La musica non è così alta come sull'ampia pista da ballo piena di ragazzi.
In qualche modo vengo attraversata da un brivido e mi ritraggo lievemente. «Perché mio padre ne possiede molti o perché pensi che io sia così altezzosa da non mescolarmi con la gente comune?»
Beve un sorso del suo drink avvicinandomi quello che mi ha offerto. «Esatto. Quando ti hanno vista, alcuni hanno fatto a gara per avvicinarsi a te. Sei popolare, Faye Wild».
Non tenta nemmeno di nascondere i suoi pensieri meschini.
Ha un sorriso finto e sembra la copia mal riuscita del protagonista di un romanzo che tutti odiano. Si chiama Hermann e a scuola non mi ha mai calcolata. Le ragazze gli andavano dietro, compresa Joleen, nonostante fosse più grande di lui, e lo circondavano quando potevano, rendendolo un po' spocchioso ai miei occhi.
Altro elemento da non sottovalutare, è il suo potere. Essendo il capitano della squadra di football del college, già un cliché, detiene un certo potere.
Conosco bene i suoi trascorsi, i suoi capricci, la lunga lista di ragazze in lacrime il giorno dopo essere state usate e buttate fuori dalla sua stanza come delle puttane. Solo non capisco quale sia il motivo della sua vicinanza, dato che poco prima si trovava con una ragazza seduta sulle sue ginocchia.
Ho avuto modo di notarlo perché la sua risatina costruita, di tanto in tanto, riecheggiava fino a raggiungere le mie orecchie e quelle di molti altri, attratti da lei. Da un primo acchito penso sia una modella.
«Non bevi?»
«Conosco i miei limiti».
Si scola il suo drink. «A volte bisogna far finta di non conoscere niente di se stessi per riuscire a godersi al meglio i piaceri che la vita ci offre», mi fa l'occhiolino.
E questa dove l'ha sentita?
«Un sorso non ti farà male», sorride insistendo.
«Stai cercando di farmi ubriacare?»
«Non sei stanca?»
«Di cosa?»
«Di essere...», mi indica facendo scorrere quei suoi occhi appannati dall'alcol fino al seno. «Così posata e frigida».
Sento la rabbia diffondendosi sulle mie guance e l'alcol evaporare dal mio corpo più in fretta di quanto avrei voluto. «E tu non sei stanco di essere il cliché di un coglione?», mi alzo dallo sgabello e mi allontano fumando di rabbia.
La sua mano si arpiona al mio braccio, mi strattona e un forte odore di fumo investe le mie narici. «Non ti facevo così combattiva», sogghigna. «Mi piace».
Cerco di sottrarmi dalla sua presa. «Lasciami!»
Stacca le dita dalla mia pelle, ma si prende del tempo per mollare del tutto la presa. «Calma, volevo solo fermarti e invitarti al nostro tavolo. C'è anche la tua amica con noi».
Seguo la sua indicazione e mi indigno alla vista di Joleen avviluppata a uno dei suoi amici, mentre l'altra ragazza se ne sta a braccia conserte con i gomiti premuti sulla superficie del tavolo, in attesa.
Lo seguo con l'intenzione di dirne quattro a Jo. Ma quando raggiungiamo il gruppo, oltre ogni mia aspettativa iniziale, mi accolgono calorosamente. Joleen m'impedisce di dire qualsiasi cosa, poi riesce a scroccare un altro giro ignorando i miei sguardi e tentativi di fermarla.
Sembra un'altra. Credo di aver compreso quale sia la ragione. Ne ho la conferma quando la vedo spingere fuori la lingua e lasciare che quel ragazzo le metta sopra una pillola prima di baciarla.
Distolgo lo sguardo ritrovando quello di Hermann addosso. Sta tenendo una mano sulla coscia della modella, la quale sembra meno in tensione rispetto a prima. Lei a dispetto di tutti gli altri non si è presentata. Anzi, sembra piuttosto contraria alla mia presenza nel loro gruppo.
Arrivano i bicchieri colmi di alcol. Lo scoppio delle loro risa quando ne prendo anch'io uno in mano mi fa voltare e cercare una risposta, dato che mi sono persa la conversazione. La modella non sta ridendo, mi fissa piuttosto con una strana rassegnazione? O c'è pietà nel suo sguardo appannato?
Assaggio il liquido rosso, guadagnandomi un altro occhiolino da parte di Hermann, insieme a tanti altri nel corso della serata in cui i suoi amici sembrano mostrare interesse nei miei confronti. Joleen, puntualmente, interviene con qualche battuta distraendoli abbastanza da farmi lasciare in pace.
A un certo punto, cominciano i problemi.
La mia vista si sdoppia e corrugo la fronte. Non ho bevuto così tanto da essere frastornata. Sono stata attenta. Ho persino chiesto un bicchiere d'acqua. Allora perché mi sento così strana?
Mi alzo e le mie gambe per poco non reggono il peso del mio corpo. Sembro un puledro appena nato.
Hermann mi scruta come solo il più abile dei cacciatori sa fare; se ne sta stravaccato sul divano, le gambe divaricate, la modella attaccata al suo fianco neanche fosse una stella marina su uno scoglio.
Sbatto le palpebre e mi incammino verso il bagno. Un po' d'acqua fredda sui polsi mi farà bene, mi dico barcollando. E magari mi toglierò anche questi assurdi trampoli dai piedi. Iniziano a farmi male le dita.
Per fortuna non urto nessuno e presto mi ritrovo nel bagno con il corpo appesantito. Qui dentro è tutto tranquillo e anche se per poco so di poter essere me stessa e di non dovermi preoccupare di essere immortalata o venduta a qualche giornaletto locale.
Lavo i polsi e passo un po' d'acqua sulla nuca legando i capelli in una crocchia scomposta. Inspiro ed espiro ma continuo a vedere doppio e a sentirmi stordita.
Recupero il cellulare, accorgendomi che qui dentro non c'è campo. «Merda!», impreco intuendo di dover uscire dal locale per chiamare un taxi e farmi portare a casa.
La porta si apre con un po' troppa forza. Mi aspetto di vedere una ragazza ubriaca. Al contrario è Hermann.
«Tutto bene?»
La modella è con lui e si posiziona davanti allo specchio. All'inizio osserva il proprio riflesso, poi tira fuori dalla borsetta qualche trucco e comincia a ritoccarsi quello sul viso.
«Sì», provo a uscire dal bagno.
Hermann mi sbarra la strada. «Ci stavamo chiedendo come sia la piccola Faye Wild sotto effetto di sostanze».
«Io non ho preso nessuna sostanza».
«Davvero?»
Mi impietrisco mentre uno strano brivido freddo mi scivola lungo la spina dorsale al pensiero di poter essere stata drogata.
«Che cosa avete fatto?», indago.
«Noi? Niente», mi sorride.
«Spostati!»
Non si muove.
«Togliti di mezzo o mi metto a urlare».
Ghigna ancora di più in maniera grottesca. «Nessuno ti sentirà».
Mi abbraccio e barcollo. «Fammi uscire».
Hermann si avvicina fino a spingermi contro le piastrelle. Le sue mani si piazzano ai lati dei miei fianchi. «Altrimenti? Ribadisco, nessuno ti sentirà».
Lo scatto della porta mi fa voltare nella sua direzione.
Con sconcerto mi accorgo che la ragazza è appena uscita e ha lasciato il cellulare appoggiato allo specchio, sul bordo del lavandino. Con ogni probabilità sta facendo da palo fuori dal bagno.
Non hanno in mente quello che penso, vero?
Il cuore inizia a battermi all'impazzata. L'effetto di qualunque cosa mi abbiano somministrato mi impedisce di muovermi normalmente e sta agendo sempre più in fretta.
Hermann mi accarezza la guancia e provo a schivare il gesto, ma il suo corpo si preme sul mio.
«La tua amica ci ha chiesto di aiutarti».
«No», dico spalancando la bocca, incredula. «Joleen non lo farebbe mai».
È un bugiardo, continuo a ripetermi cercando di mettere insieme un piano per riuscire a scappare.
Devo solo raggiungere la porta e poi l'uscita del locale più in fretta che posso. La modella non sarà un problema.
«Vuole solo che tu abbia un ricordo positivo», Hermann mi sfiora il collo con le labbra. «Dato che ad attenderti ci sarà qualcuno che non ti soddisferà perché, come ha più volte ribadito, tu cerchi l'amore», mi scimmiotta, ridacchiando. «Per quello devi avere un po' di esperienza».
Squittisco e provo a divincolarmi ma riesce a sbattermi contro le piastrelle. Senza neanche darmi il tempo mi solleva il bordo del tubino e con una mossa cruenta mi divarica le gambe tenendomi premuta a sé, con il bacino e la sua erezione a strofinarsi su di me.
Chiudo gli occhi disgustata. Stringo i pugni e li picchio sul suo petto, cercando di allontanarmi il più possibile da questo incubo.
Vorrei urlare a me stessa: "Lotta! Lotta almeno un po'", ma non lo faccio. È difficile restare vigile e attenta quando in corpo ti circola qualcosa di silenzioso, che non hai percepito.
A ogni movimento Hermann si preme contro di me e un singhiozzo mi sfugge dalla bocca al pensiero di quello che potrebbe accadere da un momento all'altro se non sarò in grado di difendermi.
«Lasciami andare! Non voglio!», urlo o almeno ci provo. La droga inizia a intorpidirmi persino la lingua.
«Faremo in fretta. Ti divertirai», prova a baciarmi mentre si slaccia i jeans.
Resto cristallizzata in questo istante, con il cuore che si agita e il ticchettio di un orologio immaginario a pendere sulle nostre teste e a far aumentare la tensione. Vorrei raggomitolarmi e partire per un viaggio diverso da quello che ha come destinazione la paura. Ma tenere gli occhi aperti, al momento, è l'unico modo che ho per non sentirmi persa, sola.
«No. Smettila!», piagnucolo.
Un urlo femminile che arriva attutito dal corridoio.
Uno schianto, quello della porta che sbatte contro la parete piastrellata del bagno.
Hermann che si volta senza neanche tirarsi su le brache.
«Cosa cazz...»
La sua imprecazione scema con la comparsa di una figura che si staglia sulla soglia.
«Ho interrotto qualcosa?»
È come una furia appena entrata e pronta a generare il caos in una manciata di secondi. Attimi in cui non sbatte nemmeno le palpebre per anticipare una mossa alla persona sulla quale ha puntato lo sguardo. È come un falco pronto a gettarsi verso il suo boccone di carne. Non c'è esitazione né terrore per quello che ha davanti a sé. Ciò mi spaventa e mi sorprende al tempo stesso.
Le sensazioni passano in secondo piano. Dopodiché mi si offusca la vista. Sto tremando, sento caldo, freddo, mi batte il cuore e rischio di scivolare verso quel buio che si presenta a ogni respiro forzato. Capisco in fretta cosa mi sta succedendo. E so che non posso permettermi un attacco di panico proprio adesso. Devo aggrapparmi con le unghie al presente.
Sono qui. Sono qui. Continuo a ripeterlo dentro la testa.
Un singhiozzo mi sfugge dalla gola e quando Hermann raccoglie i vestiti, mi affloscio all'angolo come una bambola rotta.
«Stavo per regalare una notte indimenticabile a questa signorina. Ha bisogno di un po' di esperienza. Vuoi unirti a noi?»
Rivederlo anche solo per una circostanza così orribile manda in pezzi il fragile equilibrio che avevo cercato di ricostruire dopo l'incontro avvenuto al porto.
Alto, vestito di nero, i capelli impeccabilmente in ordine e gli occhi, quegli occhi letali puntati come lame. Rhett, rimane solido come una pietra. L'unico elemento a indicare la sua irritazione è nel pugno chiuso, le nocche sbiancate.
Un sorriso privo di umorismo gli incurva la bocca. «Sì. Perché non ci spostiamo in un posto consono alla signorina?», si mette da parte per far passare Hermann.
Ho la pelle d'oca, come se la mia epidermide stesse cercando un modo, uno soltanto, per accettare il peso di quell'espressione glaciale e del tono roco della sua voce che preannuncia dannazione e pentimento dovuto a breve da una punizione esemplare. Dettata soltanto dalla sua legge.

💛🪽

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