Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 3

Rhett

Dovrei essere eccitato per quello che sta per accadere, e di cui ho tutta l'intenzione di trarre ogni beneficio, invece mi sento un idiota; irrigidito e travolto dalla personalità di Faye Wild.
C'è questa cosa in lei che fa scattare dentro di me un pulsante. Fa clic, come il cane azionato di una pistola dopo avere tolto la sicura, tutte le volte in cui ci guardiamo e rischio di mettermi in ridicolo facendo gesti che mai avrei immaginato di dedicare a qualcuno senza poterne trarre qualcosa in cambio. Perché sono sempre stato un figlio di puttana egoista. Stavolta però ho davanti una sfida capace di farmi ruzzolare dal mio glorioso piedistallo fatto di certezze e sicurezza; di farmi finire in un inferno che non avevo programmato e di cui non conosco nessuna pena.
Ricostruisco, mentre percorro il lungo corridoio disseminato da quadri e vasi pieni di fiori freschi che rilasciano un odore delicato nell'aria, la mia facciata. Aggiusto la giacca del completo, anche se so di essere in ordine, concentrandomi sul compito che mi è stato assegnato. Non solo, anche sul piano che prevede Theodore Wild in ginocchio, con i pantaloni bagnati dalla paura e il corpo scosso dal dolore.
Sarebbe facile utilizzare la sua stessa tecnica, quella che ha usato per picchiare la figlia. Prima deve conoscere un po' della furia dei Blackwell, i quali non facciamo sconti a nessuno e seguiamo dettami ben precisi per farci ubbidire e chiedere perdono.
Entro in sala da pranzo nel medesimo istante in cui le cameriere dispongono a tavola i piattini con il dolce. Una delle due si affretta ad aggiungerne uno anche per me, nonostante il mio cenno di diniego.
La vista dei dolci mi fa sempre ribrezzo e fatico a restare concentrato, perché rievoca in me attimi di terrore del giorno in cui sono rimasto orfano di madre. Che poi il suo volto non lo ricordo quasi più ed è la cosa che fa più male. Ma non credo sia questo il momento per pensare a lei.
Devo dare ai Wild del merito. Anche se con poco preavviso, sono stati in grado di regalare una cena degna dei migliori ospiti alla mia famiglia. Le apparenze contano molto, specie per Ersilia Wild, la quale avrebbe tanto voluto che suo marito tenesse il diavolo lontano da casa sua. Sfortunatamente per lei, l'inferno si abbatterà presto su di lui, spazzando via col suo gelo ogni traccia di vittoria.
Faron e Dante, seduti vicini a tavola, qualora nostro padre non fosse disposto a intervenire, sono pronti a passare al piano B in qualsiasi momento. Me lo comunicano con il linguaggio del corpo che abbiamo adottato e imparato a usare per circostanze come questa.
In casa non è mai stato tanto loquace, ma quando si tratta di affari le cose cambiano per Seamus Blackwell, il quale più che rilassato sta chiacchierando del più e del meno con Theodore e Ersilia. Il bastardo, sa recitare bene le sue battute.
Non c'è traccia delle sorelle di Faye. Presumo che Theodore non si sia scomodato a invitarle a scendere come avrebbe voluto fare con Faye, ovvero con la forza qualora si fosse rifiutata.
Il pensiero mi fa irrigidire. Quante volte le ha messo le mani addosso? Quante ha sfogato la sua rabbia su di lei? Quante volte hanno nascosto l'accaduto?
Prometto a me stesso di scoprirlo e se ci saranno altre azioni la punizione sarà raddoppiata e il dolore che proverà non avrà fine.
«Eccoti!», esclama mio padre, pulendosi gli angoli della bocca con il tovagliolo, indicandomi il posto vuoto a sedere accanto a sé. «Come sta Faye? I ragazzi volevano che fossi tu a rispondere alla mia domanda. Sono rimasto abbastanza sulle spine».
Apprezzo il silenzio dei miei fratelli. Sanno essere di aiuto quando non si lasciano vincere dai propri sentimenti. In ognuno di loro divampa un tipo di fuoco diverso e pronto a bruciare qualsiasi cosa da un momento all'altro. Finora sono stati bravi a domare se stessi. Mi domando per quanto ancora ci riusciranno. Inoltre, perché mio padre è così guardingo? Mi sta chiedendo di stare al gioco per poi fare come i serpenti e mordere?
«Era indisposta», mi siedo, reggendo il gioco di Ersilia, ma non mangio il dolce; piuttosto allontano il piatto. Neanche Dante lo fa. Faron, invece, non è scortese e accetta nonostante stia continuando a far balzare i suoi occhi dappertutto. Un giorno gestirà gran parte degli affari di famiglia e nessuno potrà eguagliarlo. Si è già dimostrato utile in più di un'occasione, cosa che non è stata vista di buon grado dal nostro caro zio Parsival. Quest'ultimo ha dovuto strappare dalla strada un ragazzino, Coleman, solo per il gusto di mettere al fratello i bastoni fra le ruote. Si è impegnato parecchio da quando ha saputo dell'esistenza di un vecchio testamento che tra non molto verrà letto.
Parsival ha fatto in modo che l'identità del suo nuovo giocattolino non venisse svelata. Ma io so. Ho le prove e presto potrò fare la mia mossa.
«Ha gradito i tuoi doni?»
La voce di mio padre mi riporta al presente.
«Sembra che le piacciano i fiori e i cioccolatini alla nocciola. Non così tanto da ammorbidirla ma... ci lavoreremo».
Ersilia ha almeno la decenza di sorridere in modo sincero. «Li adora. Sono sicura che con il tempo riuscirete a trovare un compromesso, Rhett. Faye è solo spaventata perché non era preparata alla tua proposta. Lei preferisce avere tutto sotto controllo».
La lealtà verso il marito è più importante della figlia che ha dovuto crescere come sua. Non dubito che le voglia bene e non la biasimo, ma ha sbagliato a nascondere la verità.
«Mi piacerebbe conoscere qualcos'altro su di lei. Magari avrei dovuto chiederle se pensa che sua madre l'abbia messa sull'ultimo gradino delle preferenze facendola sentire poco protetta. O se ora più che mai ha intenzione di andarsene. In quel caso le cose sarebbero complicate».
Intorno cala un silenzio di tomba. Persino le cameriere si sono fermate. Non dubito che al loro rientro nelle cucine o dove il personale si cambia per il turno, dilagheranno teorie e pettegolezzi. Una parte di me lo spera. Qualcosa che rovini l'aspetto impeccabile dei Wild è proprio quello che ci vuole. Uno scandalo come questo potrebbe far tremare le loro fondamenta in apparenza solide.
«Rhett, non è come pensi. Io tengo a Faye, anche se non è sempre facile comunicare con lei. Non voglio che se ne vada».
«Non metto in dubbio il suo bene nei confronti di Faye, signora Wild», mi esprimo, ignorando lo sguardo acido del marito che non sa se intervenire, magari ribadendo che la figlia dopo essere stata pestata non andrà da nessuna parte. Conosce le regole del gioco meglio di me. Un passo falso e può dire addio a tutto. I Blackwell lo tengono in pugno, e per essere volgari: per le palle.
«È stato un incidente», dice a bassa voce Ersilia, stringendo il tovagliolo tra le mani. «Non ho potuto proteggerla».
«E adesso?»
Non saprò mai cosa avrebbe risposto.
«È ora di andare, ragazzi. Grazie per l'accoglienza e per la cena».
Mio padre si alza, saluta e tutti e quattro ci allontaniamo dalla sala da pranzo senza aggiungere altro.
Wild ci segue come un cane bastonato. «Siamo a posto?», chiede agitato a mio padre.
È come se per lui fosse normale, quasi un suo diritto, mettere le mani addosso a una persona solo per aver espresso la propria opinione dopo essere stata incastrata in una vita che non ha scelto.
«Ma certo. Domani ho un affare al porto. Perché non ti unisci a noi? In fondo, siamo soci e presto saremo una famiglia».
«Domani?», Wild tentenna. Sudore freddo gli cola dalla fronte. Si lancia uno sguardo alle spalle, come se potesse trovarvi ogni risposta sul da farsi. L'avidità, alla fine, prevale. «Mandami i dettagli», accetta.
Usciamo da Villa Wild carichi e con un unico obiettivo: vendicarci.

* * *

Il porto è sempre stato un posto affollato, ricco e allegro. Da un paio di mesi, invece, sembra spento, quasi dimesso. Poche sono le barche attraccate al molo. Appartengono a quelli che vogliono ancora starci nonostante il prezzo da pagare sia il silenzio per permettere ai potenti di continuare a svolgere i loro affari loschi.
Inspiro l'aria salmastra e mi appoggio alla sbarra di ferro del parapetto. La brezza e lo sciabordio dell'acqua mi aiutano a schiarire i pensieri.
Oggi non possiamo commettere errori. Deve esserci un solo risultato: la nostra vittoria.
Faron mi preme una mano sulla spalla. «Verrà».
«Lo so».
«Allora perché hai quella faccia? Non sei contento di poterti vendicare?»
Stringo il bordo. «Ho uno strano presentimento».
Faron si massaggia il mento. «Credi che farà qualcosa di stupido?», domanda. Non prende mai in giro le mie percezioni.
«Non lo credo, so che lo farà. Wild è noto per i suoi colpi di testa repentini. Negli ultimi mesi ha perso un mucchio di soldi. È per questo che ha stipulato un nuovo affare con nostro padre e ha venduto la figlia».
Rimaniamo in silenzio.
«Nostro padre non gli permetterà di passarla liscia. Ha toccato il suo investimento. Prima che tu possa protestare, per lui Faye lo è. Quindi adesso concentrati sul tuo compito e se avremo fortuna, a fine giornata giocheremo con Theodore Wild».
Dante si avvicina, gioca con uno Zippo. In qualche modo, quel movimento con le dita, il continuo aprire e richiudere il coperchio d'argento, lo aiuta a scaricare la tensione.
Piacerebbe anche a me, se fosse possibile in un momento come questo, tirar fuori ogni singola emozione negativa per poterla trasformare e non sentirmi sul punto di scattare al minimo contatto o per una parola sbagliata.
Sono teso e spesso esserlo porta a commettere degli errori.
Chiudo gli occhi. Inspiro ed espiro un paio di volte.
Quando Faron mi molla una gomitata sbircio e come avevo sospettato, questo piano potrebbe rivelarsi infruttuoso.
Theodore Wild prende seriamente le sfide. Si presenta in ghingheri e non è solo. Ha portato con sé anche Faye.
«Cazzo!»
«L'ha fatto davvero?»
«Quel coglione non è poi così stupido come si pensa. Avrà fiutato la puzza di una trappola non appena nostro padre lo ha invitato a unirsi a noi. La userà sempre come scudo».
Sono d'accordo con Dante. Il lieve sorriso di Theodore di fronte alla proposta improvvisa avrebbe dovuto farmi venire qualche campanello d'allarme.
Mentre avanza, insieme alla figlia, un nuovo piano prende forma nella mia testa. Non mi lascio scoraggiare.
«Vi ricordate il piano di riserva?»
«Intendi quel piano?»
Annuisco, fissando ancora Theodore con odio. «Credo sia opportuno metterlo in pratica».
I miei fratelli non hanno nessuna obiezione.
In breve ci dividiamo. Ognuno pronto a fare la propria parte.
In attesa che mio padre accompagni i due qui sopra, mi siedo sul comodo divano color panna. I soffici cuscini a righe sorreggono le mie spalle tese. Sotto le lenti scure degli occhiali da sole i miei occhi sono puntati sulla scaletta dalla quale stanno salendo.
Il primo a comparire è Theodore con un po' di affanno e le guance arrossate, seguito da Faye, impacciata e guardinga. Dietro di loro, c'è mio padre. Quest'ultimo mi sorride calandosi nella parte del genitore amorevole e ospitale. «Guarda chi è venuta a trovarti, figliolo».
Mi alzo, con un movimento fluido la raggiungo e le afferro la mano baciandole il dorso. «Una piacevole sorpresa», dico al contempo.
Faye ha un occhio abbastanza pesto da non poter essere coperto del tutto dallo strato di trucco che quasi sicuramente è stata costretta a spalmarsi in faccia per evitare che qualche giornalista riuscisse a immortalarla fuori dalla villa. I suoi occhi con sfumature color miele sono guardinghi, non accusatori; non ancora. Ritira subito la mano e la mia si posa sul suo fondoschiena. Si irrigidisce ma non si divincola come vorrebbe fare.
Indossa un tubino con scollo a barca blu navy lungo fino al ginocchio. Ai piedi porta un paio di stivaletti comodi.
Non potrebbe essere più bella di così.
Mi piace il fatto che non abbia indossato dei tacchi e che in qualche modo si sia imposta almeno su questo. Durante la prima cena, ho notato il modo in cui continuava ad agitarsi. Da quel dettaglio ho dedotto che non ama sentirsi una bambola, non come le sue sorelle.
«Soffri il mal di mare?»
«Non che io sappia».
«Allora vieni, ti mostro le cabine mentre gli adulti parlano di affari».
«Non hai voglia di partecipare e giocare a fare l'adulto?»
Perché ha l'aria di una sotto minaccia?
Forse Theodore ha escogitato qualche nuovo piano, mettendo la figlia a pendere come un pezzo di carne di fronte a delle fiere. Non lo facevo tanto impavido.
Ammetto che è avvincente la sua tenacia. Mi fa persino sorridere. E questo non sfugge alla ragazza che sto conducendo verso l'interno dello yacht sul quale siamo saliti con l'intenzione di mettere Theodore non solo in difficoltà, ma in trappola.
«So già come andranno le cose», affermo senza un briciolo di risentimento o di trepidazione nel tono della voce.
Faye, dapprima, esplora le cabine, poi si sofferma sul tavolo apparecchiato per due appena sostiamo sulla soglia della sala da pranzo. «Nessuno può sapere con certezza come si ribalterà la sorte», replica seguendo ogni movimento del cameriere impegnato a sistemare un carrello pieno di cloche d'argento di fianco al tavolo.
Muovo un passo, non mi volto neanche quando dico: «Nessuno eccetto chi sa quello che vuole e come ottenerlo», le scosto la sedia e con un cenno del capo mando via il cameriere, rimasto in attesa e pronto a servirci.
Faye arretra esitante, poi come se dovesse obbedire a un comando si siede. «Quindi questa gara di potere potrebbe avere un risultato alla pari», replica.
Adagio la cloche al centro della tavola. «Dubito possa accadere. Se i miei calcoli sono corretti, e di solito non ne sbaglio mai uno, adesso siamo in netto vantaggio».
Vedo girare le rotelle dentro la sua testa e quando sollevo la cloche, rivelando una vaschetta di patatine fritte con crocchette di calamaro, per poco non si soffoca con la propria saliva. Prende infatti un sorso d'acqua e si schiarisce la gola un paio di volte agitandosi sulla sedia.
Che cosa si aspettava? Caviale e ostriche? Un'altra proposta di matrimonio con tanto di anello?
«Quindi sono una pedina. Mi hai tolto dalla scacchiera in modo tale da rendere vulnerabile l'altro giocatore», indaga, affatto divertita dalla situazione in cui l'ha messa suo padre portandola qui.
«Non sembri particolarmente preoccupata per tuo padre», le faccio notare, disponendo le terrine con le salse intorno alla cloche.
Addenta una patatina. «Perché dovrei? Anche lui avrà un piano. Sono qui per questo, no?»
Il fatto che senta di essere una marionetta non allenta la morsa dolorosa che mi stringe il petto quando mi rendo conto che nei suoi occhi albeggia quel lieve alone di tristezza.
Usata, picchiata, che altro?
Mi ribolle il sangue nelle vene. «Non starai nel mezzo», affermo d'impulso.
«Perché non lo permetterai?», arrischia un'occhiata nella mia direzione. Non so dire cosa sta cercando di trasmettermi. So solo che ha un impatto duro contro la mia anima.
Evito di imbambolarmi e inorridirmi al tempo stesso, provando rabbia per il modo in cui è stata violata. Quei punti di sutura e quei lividi devono essere ripagati. Non guariranno con la vendetta, me ne rendo conto, ma voglio che sappia che non ho brutte intenzioni e che sono pronto a prendermi cura di lei.
Tolgo la prima cloche per mettere a tavola la seconda. Un panino al tonno diviso in due.
Lei ne prende subito un pezzo, quasi come se non volesse offendere il cuoco o la gentilezza nei suoi confronti. Ma noto il modo in cui nasconde a stento un sorriso. Annusa il pane, dà un piccolo morso e sospira masticando piano il boccone.
Il mio corpo va a fuoco quando la punta rosea della sua lingua sguscia fuori trascinandosi sul labbro per togliere un po' di salsa. Qualcuno ai piani bassi si tende.
Rhett, concentrati, cazzo!
Ma come posso sperare di concentrarmi se i nostri sguardi continuano a stuzzicarsi, le nostre ginocchia a sfiorarsi di tanto in tanto sotto il tavolo e, se a ogni suo gesto consapevole e non, avverto questo brivido che mi si attacca nella pelle rendendo il mio cuore come un equilibrista instabile? Lei è una scossa che non posso prevedere.
Stringo la presa sul mio pezzo di panino e do un morso vorace.
«Non sono il tuo padrone, Faye. Ma non intendo tollerare nessuna forma di violenza».
Inarca un sopracciglio, pulendosi le dita sul tovagliolo di stoffa. «Ti rendi conto che le nostre famiglie sono la violenza incarnata? Non dovresti tollerare neanche nessuna forma di ricatto».
Porca puttana!
È talmente brava in questo gioco da travolgermi. Con pochi gesti, riesce a stuzzicare quel lato di me sopito e tenuto ben lontano dagli altri.
Nessuna è mai stata in grado di strapparmi di dosso quel velo di diffidenza come Faye Wild. Lei più di tutti mi sta già marchiando a fuoco l'anima. Sta saziando quel mostro rimasto a digiuno per paura del veleno.
«Forse i nostri genitori, ma noi... potremmo essere qualcosa di diverso».
Mi fissa come se avessi detto una stronzata. Come se mi fossero cresciute tre teste. Sbatte le palpebre. «È solo un sogno destinato a non realizzarsi, Rhett».
Mi piace il modo in cui pronuncia il mio secondo nome. L'ho sempre preferito a Nolan, anche se tutti mi chiamano così per abitudine. Ma non lei. Lei l'ha memorizzato e intende usarlo a suo piacimento. Devo fare molta attenzione alla piccola vipera che le si annida dentro.
Ma ogni volta che la vedo è come se premesse un attizzatoio sulla mia pelle nuda. Avverto questo bisogno di provocarla, di demolire qualche difesa, fino a farla cedere. Ho una necessità spasmodica di spezzarla e di vederla senza l'inganno di un mondo che le ha imposto di nascondersi.
Cambio in fretta cloche. Qui dentro, disposte, vi sono: una fetta di torta al lime, due macarons e una fetta di torta salata.
«Dimentichi che realizzo tutto quello che desidero, Faye», dico prendendo proprio il pezzo di torta salata.
Sceglie un macaron ai frutti di bosco. «Non voglio far parte di un tuo progetto».
Sfodero un sorriso. Va dritta al punto e questo mi piace troppo di lei.
«Purtroppo non ho ancora fatto miracoli, ma a quelli ci penserò quando avrò portato a termine il compito per il quale sono qui».
Raddrizza la schiena. «Che cosa intendi?»
Pulisco gli angoli della bocca e le dita. Mi sollevo e le porgo la mano.
Lei la rifiuta alzandosi, prende un altro macaron e mi segue.
«Credo sia appena iniziato lo spettacolo».
Le indico l'uscita e la conduco fuori dallo yacht, sul ponte di legno, fino a un magazzino a pochi metri.
Faron e Dante sono fuori, in attesa. Vedendoci arrivare dimezzano la distanza che ci separa avvicinandosi.
«È ora».
«Sono già tutti dentro», mi avverte Dante.
«Manchiamo solo noi, ma questo non lo sanno», aggiunge Faron.
«Che cosa significa?», domanda Faye.
Nessuno dei tre le risponde. Entriamo nel magazzino e ci fermiamo ad ascoltare i discorsi degli adulti che se ne stanno seduti intorno a una botte, dei dadi in mano mio padre, un sigaro acceso il suo uomo più fidato e infine Wild, seduto sul bordo dell'unica sedia sgangherata e in procinto di lanciarsi fuori al minimo movimento sospetto.
«Rhett, avvicinati», mi ordina mio padre.
Tenendo la mano sulla schiena di Faye avanzo con sicurezza verso la botte, prendendo al volo i dadi che l'uomo assoldato da mio padre mi ha appena lanciato.
«Ottima presa. Che ne dici anche di tirare e mandare un po' di fortuna al tuo vecchio?»
Mio padre ridacchia. «Non sono mai stato bravo a quel gioco. E non credo di avere bisogno di fortuna».
«Ma tuo figlio sì?»
«È bravo in tutto. Ha una mente brillante, che invidio».
«Gioco volentieri, ma non senza una scommessa».
Mio padre nasconde un'altra risata, forse cogliendo al volo le mie intenzioni.
«Cosa vuoi scommettere?»
«Se esce più di quattro, il signor Wild dovrà inginocchiarsi, ai miei piedi».
Wild sussulta, ma mantiene un po' di contegno. Ridacchia nervoso grattandosi la barba. «Ragazzo, sai con chi stai per giocare? Tuo padre poco fa ha perso delle quote».
Sto per giocare con un povero coglione che a breve si inginocchierà accettando la sua punizione, penso, ma questo non lo dico. Sfodero invece un sorriso dondolando sui talloni. «Naturalmente mi riprenderò quelle quote, signor Wild. Ma se mi batterà sarò io a dovermi inginocchiare».
«Deduco sia una scommessa tra voi due, pertanto io mi ritiro volentieri. Le mie ginocchia farebbero un rumore assordante e non riuscirei più a rialzarmi», si frappone la guardia di mio padre.
Continuo a sorridere rigirando i dadi tra le dita. «Pronto, signor Wild?»
Si aggiusta la cravatta. «Vai, ragazzo!»
Scuoto e lancio.
L'uomo di mio padre fischia divertito. Si lascia sfuggire persino una risata. «Sette. Questa sì che è fortuna, ragazzo!»
«Ora tocca a me». Wild tiene la punta della lingua all'angolo. Scuote i dadi e tira.
Impallidisce, inorridito alla vista del suo inutile due. «Non può essere», bisbiglia.
«Sta forse mettendo in dubbio il gioco o sta cercando di venire meno alla parola data?», lo provoco, riprendendo i dadi.
Si asciuga la fronte imperlata di sudore con la cravatta. Ha il volto arrossato e le pupille dilatate dalla paura.
«Io...», balbetta.
L'uomo di mio padre preme una mano sulla sua spalla buttandolo in ginocchio. «Non provarci nemmeno, Wild. Una scommessa è una scommessa».
«Possiamo riprovare», propongo e senza attendere lancio i dadi.
Cinque.
Passo i dadi a Wild, tenuto in ginocchio ai miei piedi.
Scuote e lancia con mani tremanti.
Tre.
Ghigno. «Ancora una?»
Lancio.
Sette.
Wild sbatte le palpebre, prova ad alzarsi, ma la nostra guardia lo butta di nuovo giù.
«Che succede?», chiede allora con voce stridula.
Faron mi passa la spranga di ferro. Non do il tempo a Theodore di alzare lo sguardo. Lo colpisco sulla pancia facendolo piegare in due, prima di assestargli un colpo alla schiena togliendogli il fiato.
Il suo lamento si diffonde nel magazzino.
«Come osi!», urla, tossendo.
«Le dico come andranno le cose. Continueremo a lanciare i dadi e in base al numero che uscirà, riceverà i colpi che merita dal sottoscritto. Affideremo tutto alla sua sorte».
«Sei impazzito?», prova a sollevarsi. «Seamus, permetti a tuo figlio di farmi questo? Per quale assurda ragione?»
Mio padre si siede divertito. «Sono affari, Wild. Niente di personale, ma hai commesso un errore».
L'uomo di mio padre lancia i dadi. I miei fratelli si posizionano ai lati di Wild in modo tale da tenerlo fermo nel caso in cui provasse ancora a scappare.
«Solo quattro, che peccato».
Colpisco al petto, a entrambe le spalle e sul ginocchio.
«Hai fatto boxe su una persona».
«N-no! Io non ho fatto niente!»
Sollevo la spranga. «Attento alle menzogne che dici».
«Non ho fatto niente. È stato un incidente!»
«Ma davvero?»
Non attendo una risposta e lo colpisco. «Un incidente...», proseguo, muovendo la spranga. «Un incidente, signor Wild è inevitabile, una catastrofe, destino. Un pugno non lo è».
«Ti prego...»
Lo colpisco al viso. «Stavi immaginando un sacco da boxe quando l'hai fatto?»
Piagnucola. «No!»
Lo colpisco di nuovo. «Allora adesso saprai cosa si prova a toccare la futura signora Blackwell».
Sento Faye sussultare a ogni colpo. Ma rimane immobile. Solo la lacrima che le scivola dall'occhio destro rivela quello che sta provando. E quando si abbraccia appena suo padre sputa sangue a terra ansimando, me ne dà la conferma.
Faye ha una bellezza di quelle che incontri raramente nella vita. È attraente proprio per quello che nasconde dentro. Se lo porta appresso fingendo che non abbia peso. Ma ti basta guardare con attenzione per accorgerti della fatica immane che sta facendo per non esserne schiacciata.
«Ti prego, basta», sussurra con un singulto.
«Hai pietà per il pezzo di merda che ti ha messo le mani addosso?»
«È mio padre».
Sorrido. «No, al momento è solo un rifiuto umano della peggior specie che merita di patire quello che ti ha inflitto. Per quanto ha continuato a colpire mentre eri priva di sensi, eh?»
Faye non risponde, sussulta distogliendo lo sguardo mentre colpisco suo padre al volto. Lancio poi la spranga a terra, producendo un forte fragore che fa atterrire Wild, e mi faccio passare il tirapugni.
«No, no, no...»
Afferro Theodore per la nuca. Mi abbasso per sussurrargli all'orecchio: «Mettile ancora le mani addosso e te le farò ingoiare», ringhio e lo stordisco.
«Riportalo a casa. Chiama lo stesso medico e digli che è stato un incidente. Dovranno sostituire quelle scale».
L'uomo di mio padre sghignazza mettendosi subito al lavoro.
Faye, dapprima mi fissa inorridita. Poi mi si avventa contro dandomi un sonoro schiaffo, cogliendomi alla sprovvista. «Sei un cazzo di mostro!»
La sua espressione, quando mi volto nella sua direzione massaggiandomi la guancia, è carica di dolore. Ma c'è anche dell'altro. Ho appena spinto con forza e lasciato cadere qualcosa di vulnerabile. Qualcosa che lei non è in grado di raccogliere senza ferirsi. Più la guardo però, più non riesco a sentirmi in colpa per aver preso le sue difese e aver rimesso a suo padre il collare che si era slacciato senza consenso.
La consapevolezza di aver fatto qualcosa di buono ha un sapore amaro. Se prima avevo pensato che fosse una vittoria, ritrovando quegli occhi infuriati rivolti come dardi addosso, sento di non aver vinto niente. Ma c'è questa certezza che mi si impiglia fragile e sotto lo sterno. Non ho intenzione di lasciarla.
Con un'unica mossa fluida mi sposto davanti a lei, l'afferro per i fianchi, con una mano stringo la presa sulla sua nuca e premo le labbra sulla sua fronte, prima di lasciarla andare con un sorrisetto.
«Benvenuta in famiglia, piuma».

💛🪽

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro