Capitolo 24
Faye
Dovrei essere felice. Fermarmi, prendere un respiro e riflettere, ponderare bene ogni azione. Ma il sangue mi arriva alla testa così in fretta che comincio a star male. Il mio mondo vacilla e sono costretta a reagire per non sentire dolore. Quello che come un fiammifero sfregato contro le pareti della mia anima, ha appena appiccato un incendio indomabile riducendomi in cenere il cuore.
«Hai sempre avuto l'intenzione di farlo, vero? Per te non sono altro che un mezzo, Rhett», sollevo l'anello in un gesto carico di impeto. Il riflesso della luce sfiora il diamante generando il bagliore di un guizzo intorno alla cabina.
«Questo però per me ha un significato», le mie dita tremano e stringo nel pugno il sottile cerchio d'oro bianco con un diamante incastonato al centro.
«Lo ha sempre avuto dal momento che solo una volta ho permesso a una persona di mettermelo al dito, con la promessa che le cose sarebbero andate bene», scrollo la testa come a voler scacciare quel ricordo, allontanandomi al contempo di un passo da lui; dall'eco ancora forte di quegli attimi illusori.
«Ma le promesse non sono mai state mantenute», alzo ancor di più il tono accusatorio.
La mia voce stridula, sta provocando nell'uomo che ho rincorso e ho di fronte, strane reazioni.
È come se stessi mettendo alla prova la sua pazienza. Ma la sua impenetrabilità, incassa ogni singolo urto senza mai creparsi.
«Ora pensi di convincermi a ricascarci?», lo provoco, incapace di smettere di infierire.
Mi piacerebbe fargli provare ogni singolo tormento che dopo quel giorno mi è affondato nel cuore come una stilettata. Il primo istinto sarebbe persino quello di lanciarglielo addosso questo anello; sminuendo il suo gesto.
Ma Rhett rimane composto, facendomi desistere. Non un solo muscolo gli si è ancora mosso mentre inveisco contro di lui. Solo i suoi occhi si sono offuscati un paio di volte come un cielo prossimo ad accogliere un temporale.
«C'è una ragione se ti ho proposto di sposarci».
Le guance mi si tingono di rosso. La pelle mi pizzica come se milioni di aghi di pino mi stessero pungendo.
Come ho fatto a non riflettere? Era ovvio che ci fosse una trama di fondo. Proprio come la prima volta.
Incrocio le braccia al petto. La pietra racchiusa nel palmo, solca la mia carne. La sento pesante e affilata più di una lama.
«Dimmela».
Lui stringe appena le labbra. «La verità è che sei sempre stata conficcata qui», mi afferra la mano premendosela al petto. «Così a fondo da diventare una spina piena di veleno», prosegue schietto, fissandomi dritto negli occhi, bersagliando così il mio cuore.
«Ma grazie a questo, ho superato ogni giorno, ogni singola notte», inspira come se stesse per ritrovarsi di fronte a un animale spaventato. «Perché il pensiero di tornare da te, affrontarti e dirti la verità, ha continuato a bruciarmi dentro, ad alimentare la mia volontà scossa dalla realtà».
Le lacrime rischiano di rovinare la mia compostezza. Ci provo, ma non riesco a trattenerle. E pur avendo un grosso groppo, mi sforzo di parlare. «Quindi il tuo odio era così grande da voler tornare per finirmi?»
Spalanca gli occhi. La prima vera reazione. «Cosa?», scuote la testa inorridito. «Non ti ho mai odiata, Faye. E se l'ho fatto, ti ho odiata come si odia la felicità quando ti passa davanti e non sai coglierla al volo. Ti ho odiata come la stessa speranza che ti viene strappata via quando sei a un passo dal sogno».
Adesso sono io quella immobile, sorpresa dalla sincerità con cui ha risposto.
È sempre stato bravo con le parole. Certe, mi sono arrivate così immediate da togliermi il fiato. Proprio come in questo momento.
Fino a questa notte, non conoscevo la portata di quello che tenevo dentro. Se rancore o ancora un po' di sentimento.
Tra noi ci sono tanti problemi che a stento riesco a capacitarmi di avere tuttora delle aspettative su di lui. Perché se da una parte mi ha delusa, tanto, e mi ha fatta soffrire. Dall'altra è rimasta la stessa persona che mi ha stretto la mano per aiutarmi a rialzarmi. Forse mi è rimasto dentro un po' della sua essenza che neanche il tempo potrà mai strapparmi via.
«Fermati», sussurro, alzando la testa per affrontare ancora i suoi occhi.
Più scorrono i minuti, più rischio di rimanere intrappolata.
«Fermati», ripeto in un fremito, ricacciando un singhiozzo in fondo alla gola.
«Perché dovrei farlo? Non sai affrontare la verità?», replica brusco e in parte confuso dalla mia reazione.
Che cosa si aspettava?
«L'ho affrontata già da tempo», sollevo il mento. Non ho nessuna intenzione di dimostrarmi debole.
«E cosa hai ottenuto?»
Sento una scudisciata forte e dritta al cuore. «Ho capito molte cose che al tempo mi erano sfuggite».
Rabbia, covata a lungo dentro di lui, si ravviva e scoppietta attraverso la sua espressione. «Forse quelle cose non erano la verità. Te lo sei mai chiesta?»
«Per una volta perché non ammetti di essere venuto meno a ogni promessa perché sei sempre stato un bugiardo manipolatore?», sbotto, incapace di tenere a freno la lingua.
«Ci sono cose che ancora non sai. Forse neanche ti importa saperle perché pensi di aver sentito abbastanza scuse. Ma una cosa posso dirtela con certezza: sei stata raggirata e usata e tradita. Non dal sottoscritto. Hanno sempre voluto che mi odiassi e alla fine li hai accontentati. Hai fatto quello che volevano».
Scuoto la testa, incapace di accettare una simile rivelazione e forse anche delusa dal fatto che pensi che io sia facilmente manipolabile.
Non nego di esserlo stato in passato. Non nego nemmeno di essermi sottomessa per il timore di provocare dolore a qualcun altro. Perché in fin dei conti sono sempre stata messa all'angolo e minacciata; costretta a perdere un pezzo di me alla volta. Alla fine però ci sono riuscita. Mi sono allontanata da quelle vecchie ferite, cercando una nuova medicina. Una luce in grado di spazzar via tutto il veleno assorbito mentre me ne stavo avvolta dall'oscurità. Ho raggiunto i miei obiettivi, seppur con qualche sacrificio. E ho provato ad andare avanti, da sola.
Che cosa ne sa lui e come si permette di giudicarmi?
«Non puoi cambiare il passato, Rhett. Non puoi», indietreggio, pronta ad andarmene. Ma non riesco a farlo. Non riesco ad allontanarmi da lui.
«Posso sempre fare qualcosa per avere un futuro», indica l'anello che stringo nel pugno. «Insieme a te, posso cambiare le cose», prosegue con decisione. «Senza promesse».
Cerco una risposta da dare ma lui non sembra aver concluso il suo discorso. Vuole sferrarmi un nuovo colpo. Sta tentando di indebolirmi su più fronti. E ammetto che ci sta riuscendo.
«Dovresti smettere di fingere e ammettere che significo ancora qualcosa per te. Anche se rompo le cose e non le riaggiusto. Anche se sparisco per tanto tempo e poi torno quando tutto sta per riassestarsi. Non saresti qui, altrimenti».
«Forse sono qui per vedere fino a che punto ti spingerai adesso che il tuo mondo si è sgretolato sotto i tuoi occhi».
Incassa il colpo. Solleva appena l'angolo del labbro, soffiando aria dal naso.
«Sei assurda! Ti ho appena chiesto di sposarci e hai ribadito perfettamente di non essere pronta. Non lo eri allora e vedo che non è cambiato niente».
«Già, hai ragione. Se prima sono stata costretta a suon di botte, ora non c'è nessuno a spingermi a crederti una seconda volta», lo affronto.
«Ci sono io!», alza il tono. «Io ti sto obbligando a infilarti quell'anello al dito e diventare mia moglie. Cosa non comprendi? Volevi un piano per sbarazzarti di chiunque e te lo sto dando. Non sei soddisfatta? Non sono abbastanza per te? O vuoi tornare da Romero? Be', se è così, getta questo anello nell'oceano e va' da lui! Fammi sapere se riesce a renderti felice o se ti manipolerà come tutti gli altri. Ma decidi in fretta, perché non puoi stare con due piedi in una staffa e di certo, in quel caso, non ti lascerò interferire nei miei affari», mi supera ed esce dalla cabina furioso.
Non lo rincorro. Per non litigare. Per non farci ancora male. Più di quanto non abbiamo già fatto con le parole.
Mi lascio cadere sul bordo del letto e porto le mani sul viso. Inspiro ed espiro un paio di volte per placare la rabbia, la delusione, questo senso di impotenza.
Inevitabilmente, guardo l'anello in grembo.
«Che diavolo sto facendo?»
Non dovrei prendermela con lui. Va bene provare un po' di rancore, mi dico. Ma se per tutto questo tempo mi fossi sbagliata?
Devo sentire la sua versione dei fatti. Ne ho bisogno per andare avanti e gestire l'enorme casino che è diventata la mia vita.
Mi prendo altri due minuti per calmarmi e quando sono certa di non tremare, mi alzo dal letto e lo raggiungo.
Lo trovo seduto sul divano esterno dello yacht.
L'aria è molto più fredda. Mi ritrovo a inalare l'odore salmastro, augurandomi di non cedere all'impulsività.
Prendo posto accanto a Rhett, sprofondato tra i cuscini. L'anello ancora stretto nel pugno.
«Ho esagerato», esordisco spezzando il silenzio. «Sono ancora arrabbiata e non mi passerà facilmente. Ma ho accettato di mia spontanea volontà e come hai detto non dovrei distorcere l'attenzione dal piano. Sono impulsiva e quando si tratta del passato, continuo a difenderlo come una ferita aperta soggetta a ogni pericoloso contatto», parlo così veloce da tremare e agitarmi tutta.
«Quello che sto cercando di dire è che mi dispiace per aver reagito male».
Apro il palmo. Il cuore si agita e sento il frastuono nelle orecchie. «Sì», sussurro dapprima. «Va bene».
Rhett giocherella con il ghiaccio nel bicchiere. I cubetti tintinnano contro il vetro e il liquido color ambra oscilla. Smette di muovere il bicchiere, fissa il fondo, inspira una sola volta.
«Cosa significa?», domanda irritato.
«Accetto la tua proposta», rispondo, prima che possa anche solo pentirmene. «Non ho mai avuto l'intenzione di stare con due piedi in una staffa. Romero non è un'opzione».
Lui rilassa appena le spalle, appoggiandosi allo schienale.
«Sicura?»
«Sì».
Appoggia il bicchiere sul tavolo davanti. Mi prende l'anello dal palmo della mano e guardandomi negli occhi, me lo infila sull'anulare, accarezzandomi con il pollice la pelle del dorso della mano.
«Adesso non puoi più scappare, Faye», dice con voce ruvida come ghiaia. Mi regala una scossa, mi solleva la pelle e mi fa solo desiderare di sentirgli pronunciare il mio nome ancora una volta.
«Sei tu quello che sparisce. Inoltre, ho solo accettato la proposta. Non è detto che arriveremo davanti a un giudice o un prete», lo sfido sollevandomi dal divano.
Sorride. Il primo sincero e caloroso che mi abbia rivolto finora.
«Non ci sarà bisogno di un secondo sì. Ti considero già mia moglie», si solleva a sua volta sovrastandomi. Mi prende il palmo, baciandomi dapprima la mano, poi l'anello.
«Ma se vuoi provare il brivido della scelta, ti farò sapere quando potrai fingere di poterti tirare indietro».
Sento ancora il formicolio lasciato dal suo bacio quando mi lascia andare. Sale lungo il braccio fino a confondermi i pensieri.
«Perfetto. Allora è deciso».
«Adesso va' a dormire».
Esito un momento. «Come lo faremo?»
Preme le mani sulle mie spalle, voltandomi e indirizzandomi verso la mia cabina. «Tutto al suo tempo», replica criptico.
Intuendo di non poter ottenere altro, mi arrendo. Per il momento.
«Dormi bene, Rhett».
«'Notte».
* * *
Mi sveglio di soprassalto, con il cuore che batte all'impazzata e la pelle madida di sudore. Con la sensazione strisciante e gelida ancora persistente dell'abbandono e il sapore amaro del tradimento a seccarmi la bocca.
Impiego qualche altro secondo per capire che era solo un sogno. Ma, anche se so di essere sveglia, il panico non accenna ad abbandonare la mia pelle.
Stanno tornando di nuovo, constato guardandomi intorno, portando le ginocchia al petto. Mi dondolo, lasciando svanire l'effetto della paura.
Gli incubi avevano abbandonato per un po' la mia vita. Mi stavo quasi abituando a dormire senza avere timore dell'oscurità. Gli ultimi avvenimenti, purtroppo, hanno riportato a galla vecchie paure.
Il silenzio avvolge la stanza, mentre le sensazioni di prima continuano a dimenarsi dentro di me, facendomi sentire vulnerabile.
Faccio un respiro lungo e profondo, prima di trattenere di nuovo l'aria quando nel silenzio si diffonde l'eco improvviso di un lamento straziante.
Rhett.
Il mio corpo entra in azione prima della mia mente; ancora scossa dalle immagini dell'incubo. Scosto la coperta, mi tiro in piedi, indosso una giacca sulla camicia da notte e corro verso la cabina in fondo al corridoio.
Non mi fermo a bussare. Spingo la porta ed entro nella stanza. La luce accesa ferisce i miei occhi ancora assonnati.
Trasalisco e trattengo a stento un verso di fronte alla figura che si dimena tra le lenzuola.
Mi avvicino, come una calamita attratta dal magnete, al bordo del letto e allungo il braccio toccandogli la spalla.
Non mi piace la sensazione che nell'immediato sento sotto le dita. Mi si attacca addosso come colla calda.
Sto cercando di non fissarlo, di non dare a quella parte di me, cedevole come creta, una ragione per sperarci. Per non illudermi che l'uomo, con la testa abbandonata sul cuscino e il respiro agitato, possa sentire le stesse cose.
Intrappolato è la parola che mi viene in mente mentre lo osservo e provo a svegliarlo.
«Rhett», ripeto un paio di volte il suo nome come una litania. «È solo un brutto sogno. Apri gli occhi».
Sento il suo respiro spezzarsi poco prima che i suoi occhi si spalanchino.
Inizialmente, non reagisce. E la sua immobilità, mi fa stare male.
A poco a poco, come se si fosse punto scoppiando la bolla dentro la quale era intrappolato, sbatte le palpebre emettendo un verso gutturale. Non appena si accorge di me, si solleva a metà busto. Così in fretta, da provare dolore al petto. Fa dei respiri profondi e per un attimo sento di essere io quella a non riuscire a respirare, perché la sua espressione è quella di un uomo allarmato, smarrito, sopraffatto.
Vorrei potermi sporgere e prendere tra le mie mani il suo viso, riportarlo indietro. Trascinarlo se necessario. E poi vorrei anche porgli ogni domanda possibile per sapere che cosa l'ha fatto soffrire così tanto da esserne torturato e tormentato quando si abbandona al sonno.
Ma resto immobile, incapace di fare alcunché. Non respiro nemmeno.
Sembra che la mia presenza sia come un paletto di legno conficcato a fondo e impossibile da ignorare.
Nonostante ciò, non importa. Per quanto provi a fingere di non sentirmi ferita, di non provare niente, di poter riuscire ad andare avanti, non ci riesco. Tutto sembra spingermi verso di lui.
Mi sento così patetica!
Come ho fatto a non riflettere prima di agire così istintivamente? E perché voglio che faccia qualcosa?
Rhett mi osserva come un animale al quale hanno invaso il territorio.
La pelle delle braccia mi si rizza.
«Mi dispiace, non volevo invadere la tua stanza. Stavi avendo un incubo e... io, io volevo solo aiutarti», spiego con il cuore che batte ancora all'impazzata. «Non ho riflettuto».
Rhett, corruga la fronte, inclina un po' la testa, scosta qualche ciocca di capelli ricaduta sulla sua fronte imperlata di sudore freddo e prende un respiro come se avesse un grosso peso a comprimergli il petto e volesse sbarazzarsene in fretta. Di seguito, si schiarisce la gola e inumidisce le labbra.
Seguo il movimento e sulle guance mi affiora un soffuso rossore quando i miei occhi scivolano lungo il suo petto nudo fino alla parte inferiore del suo ventre coperta a malapena dal lenzuolo.
«Ti ho svegliata?»
Non volendo sembrare bramosa di informazioni, al momento lascio perdere. Forse quando si convincerà o si fiderà quanto basta, mi racconterà qualcosa su di sé spontaneamente, mi dico.
«Ero sveglia da qualche minuto quando ti ho sentito e sono venuta a controllare che stessi bene».
Non si muove.
«Posso rimanere, se vuoi».
Ancora una volta agisco senza riflettere.
Rhett tira un po' più su la coperta coprendosi il ventre. Non tenta di nascondere o aggiustare la grossa sporgenza tra le sue gambe. Tantomeno nasconde le cicatrici.
Non riesco ancora a immaginare cosa deve aver subito. Quei segni sono evidenti e inflitti con rabbia sulla sua pelle. Sono un'imperfezione che non riesco a decifrare.
«Tu che cosa vuoi?», mi chiede, con un tono roco e stanco, passando le dita tra i capelli.
Un formicolio pericoloso sul basso ventre si trasforma in un vero e proprio sciame su tutto il mio corpo. Fuoco liquido si deposita tra le mie gambe.
«Controllare che tu stia bene», ripeto con un filo di voce.
Lui storce appena le labbra facendo una smorfia. «Sempre piuttosto evasiva», afferma.
«Credevo di aver fatto la cosa giusta. Evidentemente abbiamo due metodi diversi di porgere una mano».
«Motivo in più per conoscerci meglio, no?»
Mi sta provocando.
Nonostante il suo tono sia ancora piuttosto freddo, sento che la mia vicinanza lo sta aiutando a recuperare parte del controllo smarrito dietro l'incubo.
Mi strofino le mani. Il peso dell'anello lo sento appena. È come se in qualche modo il mio dito avesse ritrovato un pezzo perduto. Ci giocherello.
«Vuoi che faccia qualcosa? Ti preparo una bevanda calda?»
Rhett mi scruta con sguardo illeggibile. Non riesco a distinguere nessuna delle emozioni che gli attraversano il viso, ancora segnato da qualcosa che ha rivissuto nei suoi sogni.
«No, non voglio niente. Solo da mia nipote accetto latte e biscotti».
«Dovrei lasciarti riposare, suppongo», ripenso al modo in cui evitava di bere o mangiare fuori casa. Non è cambiato sotto questo punto di vista. E devo ricordarmi che non si fida abbastanza di me da permettermi di preparagli qualcosa.
«Non voglio neanche questo».
Aggrotto la fronte. «Allora cosa?», domando esasperata.
Si scosta lasciando uno spazio sul letto. «Vieni qui».
«Non credo sia...»
«Mi hai chiesto cosa potresti fare per me. Ti sto dicendo di venire qui», picchietta il palmo sul materasso. «Moglie mia».
Deglutisco, perdo tempo nel tentativo di capire se sta cercando di fregarmi.
Lui sbuffa e con un'agilità che non avevo preventivato, sporgendosi, riesce ad afferrarmi per un polso, a strattonarmi e a farmi sedere sul letto.
La testa mi gira, le gambe tremano e i battiti del mio cuore accelerano facendo scorrere il sangue impetuoso nelle vene.
Non ci stiamo sfiorando, solo guardando, eppure il peso dei suoi occhi lo percepisco su ogni centimetro della mia pelle.
Non sono ancora pronta a sentirmi così a mio agio con lui. Ma il mio corpo non ascolta ragioni e si adagia ritrovando un po' di serenità. Smette di essere in allerta perenne anche solo per una manciata di minuti.
Devo andarmene. Devo tornare in camera, ma con il mignolo sfioro accidentalmente il suo e resto bloccata. Mi sento bruciare e invadere da una smania irrefrenabile di avvicinarmi. Di toccarlo e farmi toccare.
Provo a non fissare le nostre dita quando si intrecciano. Distolgo lo sguardo e inevitabilmente mi ritrovo a osservare il suo petto nudo, l'addome scolpito, i segni sulla pelle. Arrivo alla vita fasciata dal lenzuolo.
Lo fisso stregata. Il fisico non troppo muscoloso ma tonico. La pelle chiara come se non avesse preso molto sole, non abbastanza da avere un colorito sano. Le cicatrici. I nei, la lieve peluria sulla parte bassa del ventre.
«Per quanto mi piaccia il modo in cui mi stai divorando, temo non sia il momento», borbotta, mentre sono impegnata a evitare di disintegrarmi sotto il suo sguardo.
Alzo la testa di scatto, emettendo un verso simile a quello di un piccolo topo caduto in una trappola. Ritiro la mano portandomela al petto come se mi fossi bruciata.
«Lo so», sussurro.
Lui agguanta e si porta la mia mano alla bocca, mi bacia il dorso ripetendo il gesto di prima.
«Avrai tempo per desiderare di essere mia», afferma, facendomi l'occhiolino.
«Rhett!»
Si sporge avvicinandosi pericolosamente al mio viso. «Lo farai. E sappi che mi godrò ogni secondo».
Sollevo per errore il mento e ritrovo le sue labbra vicine. Sono talmente invitanti che basterebbe un solo movimento a far crollare ogni difesa.
Nonostante sia passato del tempo, anni di lontananza non hanno affievolito minimamente l'attrazione che sento.
Sono quasi costretta a scrollare la testa per scacciare ogni sensazione che mi ha appiccato dentro.
«Staremo insieme per finta», cerco di dare una giustificazione a ogni errore commesso finora. E cerco di mantenere la giusta distanza e di avere una prospettiva oggettiva della situazione.
Rhett mi sfiora il collo. Il suo fiato caldo mi percuote come un ramo scosso dal vento.
«Chi dice che non potrai trarne nessun beneficio?»
Tiro indietro la testa per non lasciarmi attraversare ulteriormente da un'altra lunga scossa di piacere.
«Io! Non ho intenzione di usarti».
Ride lasciandosi ricadere sul materasso. Mentre lo osservo mi sembra più giovane, meno cupo. La sua risata mi riscalda e lo guardo cercando di memorizzare quanto più possibile dalla sua espressione prima che torni nell'ombra.
«Sarà reciproco».
Sbuffo alzandomi. «Me ne vado».
«Pensaci bene mentre ti sdrai a letto, Faye. In fondo, saremo marito e moglie. Non c'è niente di male».
Mi chiudo la porta alle spalle con una certa forza e mi precipito in camera. Una volta dentro, mi premo contro la superficie, toccandomi le guance accaldate.
«In che cosa mi sono cacciata?»
Mentirei se dicessi di non aver fantasticato. L'ho fatto e mi è pure piaciuto. Ma, al tempo stesso, ho provato vergogna e me ne sono pentita. Perché sono andata avanti. Fermarmi adesso e cedere, sarebbe come sputare in faccia al futuro che ho costruito con enorme sacrificio. Non posso permettergli di distruggere il mio presente.
Il fatto di non trovare altra soluzione per uscirne dovrebbe spaventarmi. Ma niente di ciò che riguarda il mio accordo con Rhett mi sembra pericoloso. Ogni suo passo ha sempre condotto a qualcosa. Vorrei fidarmi ciecamente, ma su questo ho ancora del riserbo. Non ha importanza se lo voglio o meno. Ciò che conta è uscirne illesa.
💛🪽
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