Capitolo 23
Rhett
Non ricevere amore e ricercarlo nelle persone o nelle cose sbagliate mi ha condannato a un'esistenza di fame, di bisogno. A una smania, un conflitto fatto di dubbi, risentimento e dolore.
A un certo punto, senza una scelta, mi sono arrangiato, non ho osato chiedere più di quanto meritassi. Col cuore fragile, le ferite aperte e la paura nel petto, ho fatto in modo che non fosse visibile. Con il passare del tempo ho iniziato a credere di non averne bisogno. Di essere quasi immune alla fragilità di un battito. Come uno sciocco mi sono illuso di poter reggere questa facciata.
Ho fatto il necessario per non soffrire. Mentre il dolore cercava di buttarmi giù, mi difendevo. Non sono un eroe. Afferrato. Sbattuto a terra. Reso inerme. Devastato. Rinato dall'oscurità densa e pericolosa. Sono diventato il cattivo della storia.
Il ronzio del cellulare mi strappa via dai pensieri che come avvoltoi tentano di beccare e banchettare con qualche pezzo della mia mente.
Sbatto le palpebre guardandomi intorno con un misto di paura e sollievo che si dibattono in fretta dentro di me, lasciando il posto a una strana sensazione interiore.
A volte mi sembra ancora di essere in quel posto orribile. Invece di una normale branda, sono sdraiato supino sul divano esterno dello yacht, sul quale mi sono lasciato cadere dopo essermi allontanato da Faye.
Non mi sono appisolato. Non avrei potuto. Ho cercato di rimettere in ordine i pensieri e, in meno di una manciata di secondi, mi sono ritrovato nel caos. Per non farmi sommergere, mi sono lasciato andare alla deriva come una conchiglia rotta trascinata dalla corrente.
Osservo le stelle, coperte a sprazzi da spesse nuvole grigie a intaccare il cielo nero che le accoglie. Una piacevole brezza fa oscillare l'acqua intorno e il moto ondeggiante dello yacht è quasi rilassante. Mi ricorda le notti d'estate passate a largo, a nuotare e poi a fissare le stesse stelle che adesso sembrano prendersi beffe di me.
Leggo il messaggio che ho ricevuto.
Terrence: "Tutto pronto."
Ho avuto modo di conoscere e di vedere in azione il ragazzo con il quale collabora Dante. Lui si fida e non ho il minimo dubbio che sia in grado di aiutarmi. È un genio nascosto dietro la stazza di un soldato. Ho ammirato il suo essere solare e attento, anche se non mi è sfuggito il suo perdersi quando credeva di non essere visto. So riconoscere chi ha vissuto qualcosa che lo ha cambiato profondamente.
L'unica incognita rimane sempre e solo lei.
Capire da che parte pende il piatto della sua bilancia della fedeltà sarà il mio nuovo gioco preferito. La parte assetata di vendetta sa già come metterla alla prova.
Sbuffo premendomi un braccio sugli occhi.
Dovrei riposare. Sto portando il mio corpo e sopratutto la mia mente allo stremo.
Io: "Procedi."
Invio il messaggio senza neanche controllare di aver premuto le dita sui tasti corretti. A ogni modo capirà.
Non mi aspetto un'altra risposta, solo prove da raccogliere e che siano sufficienti a fermare Wild e la sua famiglia di approfittatori.
Abbiamo deciso, dopo aver inviato le prime prove a Ersilia, per capire come reagirà alla notizia di aver vissuto alle spalle di Faye, di mirare alle sue sorelle. Non faremo loro del male. Oltre al fatto che non tocchiamo le donne, come promesso le terremo lontane dalla linea di tiro, ma si inginocchieranno insieme al padre. Perché, anche se si sono sempre comportate bene nei confronti di Faye, alle spalle hanno sfruttato le sue debolezze appoggiando ogni singolo giochetto di quel bastardo. Ne hanno tratto sempre del beneficio.
Ricordo ancora il modo in cui hanno reagito alla notizia che avrei chiesto la mano di Faye. Sembravano felici, ma era tutta apparenza. Le voci che hanno messo in circolo subito dopo la rottura, prima che finissi all'inferno, erano destinate a rovinare ulteriormente la stessa "sorellina" che avevano sempre finto di proteggere dalle umiliazioni, dalle botte, dagli insulti. La stessa ragazza che erano riuscite a gettare in pasto a Joleen per rovinarla.
Stringo forte la presa sul telefono. Il tono di quei messaggi che le hanno inviato era la prova che mi serviva per procedere senza ripensamenti. Il mio compito è quello di affondarle per arrivare non solo al padre ma anche alle famiglie dei loro fidanzati.
A dire il vero non aspettavo altro. Solo non immaginavo che avrei dovuto aprire gli occhi alla donna che ho perso per una bugia.
Mi rifiuto di credere che sia tanto ingenua. Sta fingendo e troverò il modo di farle togliere quella maschera. Gliela strapperò a suon di provocazioni se necessario.
Terrence: "E per l'altra questione?"
«Cazzo! Adesso ti ci metti anche tu a infilare il dito nella piaga».
Nel corso della conversazione riguardo il modo in cui Faye potrebbe sbarazzarsi di Romero Ramirez e di ogni altra offerta da parte del padre, quando ha pronunciato quelle parole degne di significato ritenendosi pronta a tutto, ho avuto un'idea. Per realizzarla ho reso partecipi i miei fratelli, i quali si sono subito messi a fare una lista di pro e contro, definendomi fuori di testa, avventato, privo di scrupoli.
In poche parole non erano d'accordo.
Ma è l'unica cosa che mi è balenata in mente e che potrebbe essere sufficiente richiedendo una generosa dose di lealtà e di pazzia da parte sua.
Io: "Ci sto ancora lavorando."
Terrence: "Non metterci troppo. Agisci. Sai che è il momento giusto."
Appoggio il cellulare sul tavolo di fianco al divano e abbasso le palpebre lasciandomi avvolgere dal silenzio.
Traggo un certo conforto nel trovarmi in un posto dove nessuno può vedere la mia stanchezza, ogni dubbio che rischia di creare un buco nel mio petto.
Non che mi sia dispiaciuto vivere con Blue, Faron e la piccola Isobel. Mi fanno sentire a mio agio, non un peso, e con mia nipote ho persino ritrovato una certa serenità grazie ai suoi sorrisi, al suo venirmi a svegliare nel cuore della notte dopo ogni incubo per mangiare latte e biscotti. Al suo venirmi a cercare per giocare o per leggerle una delle sue storie preferite.
Credo però che era questo quello che mi serviva per fare un altro passo avanti; avere uno scopo.
Questo yacht è stato un faro in quelle giornate di tempesta. Una luce calda quando fuori il freddo imperversava e si abbatteva sulla mia vita risucchiando via ogni felicità. Mi bastava salirci per dimenticarmi di tutto, per riprendere a respirare. Soprattutto, mi teneva lontano da Seamus, dalla famiglia Blackwell, con aspettative così alte da non riuscire a gestire l'ansia che mi si schiantava dentro tutte le volte che mi ritrovavo a dover affrontare un problema.
Il cigolio di un asse invecchiato e mai aggiustato, per un istante, mette in allerta i miei sensi. Ma so già chi si sta avvicinando ancor prima che apra bocca per annunciarsi. Il suo odore si diffonde e mescola all'aria salmastra addolcendola con le sue note alla vaniglia e biscotti al caramello. Una fragranza dolce, raffinata.
Rimango a occhi chiusi, in attesa che dica o faccia qualcosa per strapparmi via da questo tormento.
«Rhett?», c'è esitazione nel suo tono quando pronuncia il mio nome, quasi come se fosse dispiaciuta di dovermi svegliare. Al contrario vorrei sentirglielo ripetere ancora e ancora.
Sbircio con un occhio trovandola impalata a pochi passi di distanza da me. Le mani strette in grembo, il labbro inferiore, carnoso, privo della tinta rosso scuro, tenuto stretto tra i denti. Indossa una camicia da notte lunga fino alle ginocchia. Raso di un pallido color perla a sfiorare le sue forme morbide e femminili.
Non l'ha indossata per provocarmi. È chiaro dal modo in cui sta cercando intorno a sé qualcosa con cui coprirsi.
I suoi occhi, sono pietre focaie pronte a generare una singola scintilla capace di innescare un incendio. Si posano su di me senza paura e con l'intenzione di strapparmi qualcosa nel profondo.
Cerco di ricompormi mettendomi seduto.
«Sì?»
«Non riesco a dormire», ammette con una smorfia appena accennata. «Non che sia un tuo problema».
Le faccio spazio e prende posto a una ventina di centimetri di distanza. Abbastanza da non permettere alle mie mani di fare qualsiasi cosa; come allacciarle meglio quel dannato fiocco per non dover intravedere il suo seno abbondante e sodo. Oppure avvicinarla e premerla al petto, per poter risentire il suo calore a contatto con il mio.
«A cosa è dovuta la tua insonnia?»
«Mi tieni a debita distanza. Vorrei tanto sapere la ragione o se esiste un perché, dato che mi hai convinta a seguirti».
Stendo le gambe davanti e incrocio le caviglie mentre lei porta sotto il sedere le sue.
Le getto sulle spalle la coperta.
Il gesto sembra confonderla ma si ricompone per non mostrarmi nessuna reazione.
«Preferisco mantenere intatti i miei confini».
«Quindi non importa se mi ferisci?»
«È proprio per questo che ho cercato di segnare un margine da non superare».
Non riesce a nascondere la sua reazione. «Allora perché mi trovo qui?»
«Perché nonostante stia cercando di non provare niente, voglio offrirti un appiglio al quale aggrapparti».
Mi scruta rovistando, mettendomi a soqquadro. Cerca qualcosa, nonostante sappia già che dal mio viso non trasparirà niente.
«Quindi stiamo trattando? Devo andarmi a cambiare per poterne parlare faccia a faccia senza distrazioni? Ci sono delle condizioni? Qual è la tua offerta?», mi tempesta di domande alle quali non posso rispondere, non ancora.
«Non avere fretta. Rimettiti a letto e prova a dormire. Domani a cena parleremo di tutto».
«Come faccio a dormire quando ho dichiarato guerra alla mia famiglia? E come posso attendere così tanto per ottenere almeno una risposta da parte tua che sia soddisfacente?»
Vergogna e rabbia. Non riesce a nascondere il modo in cui sta cercando di gestire i propri sentimenti.
«Non l'hai ancora fatto, Faye. Fidati, quando diventerai loro nemica, lo saprai. Qui sei al sicuro», cerco di placare il carattere turbolento che di tanto in tanto lascia uscire, insieme alla paura evidente di essere lasciata sola o indietro in questa faida.
«Come posso fidarmi di te? Mi hai ferita, Rhett. Eppure eccomi qui a ricevere ordini e ad aspettare».
«Credi che non lo sappia?», replico con impeto. «Cosa vuoi che ti dica? Io non chiederò scusa e non farò altre promesse. Hai deciso di restare e di fare la tua parte. Appena avrò un piano definitivo, ti renderò partecipe. Nel frattempo ti chiedo di mantenere un profilo basso», proseguo sferrando un nuovo attacco alla persona sbagliata. Me ne rendo conto in ritardo, quando le sue spalle diventano a mano a mano rigide e sul suo volto si dipinge un'espressione di pura rabbia.
Si solleva. La coperta le scivola dalle spalle trascinandosi dietro la spallina della camicia da notte, ma non se ne cura.
«Non ho bisogno di promesse alle quali aggrapparmi. Non le voglio. Ti sto solo chiedendo un po' di sincerità e di rendermi partecipe in tempo reale di ciò che succede. Non ho paura di affrontare le conseguenze. Penso di essere stata abbastanza chiara da che parte sto».
A testa alta si avvia verso le cabine. Prima di entrare nel corridoio si volta. Prende un lungo respiro. «Forse dovresti capire che non sono più la ragazzina spaventata di un tempo e trattarmi come una tua pari».
Mi metto comodo. «Okay, ma a una condizione».
Non so cosa diavolo sto facendo.
Lei sospira con una certa esasperazione. «Direi che ce n'è sempre una e che non mi aspettavo niente di meno da te», di seguito mi esorta con un gesto della mano a proseguire.
«Che ti comporterai da adulta e sarai mia amica».
Lei mi osserva. «Non siamo amici, Rhett Blackwell. Non so se lo ricordi, ma ne avevamo parlato e avevamo concordato che non sarebbe stato possibile».
Mi acciglio di fronte al suo rifiuto, eppure ricordo perfettamente. Entrambi abbiamo sempre saputo di essere destinati a più di un'amicizia. Adesso però non c'è più niente se non i brandelli di un sentimento tenue. Eppure il mio cuore si sta ribellando e impetuoso sta prendendo a pugni il mio petto.
«Non dubitare della mia capacità di adattamento. Pensa piuttosto per te».
Le si arrossano le guance. «Lo farò».
Si allontana fino a chiudere la porta della sua cabina con una certa forza.
«So anche questo, piuma», mormoro fissando il vuoto davanti a me. «Ed è meglio così».
* * *
«Fratello, se hai risposto significa che qualcosa non va», esordisce Dante, circondato dal silenzio dall'altra parte della cornetta. Non mi sfugge il livello di apprensione dal suo tono di voce.
Premo due dita sul dorso del naso.
Devo trovare un modo per farlo smettere di preoccuparsi. Non siamo più dei ragazzini. E io mi sto riprendendo. Le crisi passano in fretta, gli incubi tornano solo quando sono troppo stressato. Posso farcela.
«Stiamo bene».
Sbuffa. Sento una porta che si chiude e i suoi passi lungo il corridoio, prima del rumore della pelle della poltrona del suo ufficio quando si siede.
«Che succede?»
Mi strofino la nuca. «È dura».
«Ti riferisci al fatto che devi convivere per un po' con lei o...», lascia intendere il resto, in attesa che lo interrompa e neghi quello che in parte il mio cuore è stato in grado di suggerire.
«Mi riferisco al fatto che in un modo o nell'altro soffrirà. Non posso permettermi distrazioni e al tempo stesso non voglio che se ne vada in giro come un bersaglio».
«Non glielo hai ancora detto», deduce. Ne sembra persino sorpreso. «Intendi farlo? O glielo terrai nascosto come hai fatto con la verità?»
Inspiro a fondo, sentendomi giudicato e punto dove fa male. Eppure non posso fare a meno di essere sincero: «Non riesco a capire come reagirà».
«Reagirà male. Come vuoi che reagisca di fronte alla tua idea, che per inciso è assurda?»
«Non sei d'aiuto così».
Ride. Già, proprio lui che è sempre stato serio e impostato, ride di me.
«Senti, è chiaro che vi occorre del tempo per abituarvi l'uno alla presenza dell'altra. Ma non nasconderle più niente. Se c'è una cosa che ho capito dalla mia storia con Eden, è che ogni piccolo segreto può provocare una grande catastrofe».
«Ma io non sono sposato con Faye», gli faccio presente, pur apprezzando il suo parere sulla questione e la sua riflessione sui segreti.
Ancora una volta emette uno sbuffo. «Non per molto», ribatte. «Schiarisciti un po' le idee passando del tempo con lei. Vivi ogni istante come se fosse l'ultimo e non arrenderti se per convincerla ci vorrà più di una scusa», mi consiglia.
«Essere sposato ti fa bene», replico lasciandomi sfuggire un sorriso.
Vederlo felice con la sua dolce metà mi ha fatto ricredere sul suo cuore, apparentemente di pietra.
In realtà, Dante era solo in attesa di ritrovare la bambina di cui si era follemente innamorato prima che quel bastardo di Parsival mettesse in atto il suo piano di vendetta, facendo ritrovare i Rose contro i Blackwell.
«Sarà lo stesso anche per te. Devo andare. Ma se hai bisogno, invia un segnale. I miei uomini sono lì. Terrence sta ricoprendo il turno di notte».
«Grazie per i consigli, Di».
«Figurati», riaggancia senza ulteriori cerimonie.
Con un sospiro mi sollevo dal divano e decido di fare una doccia per togliermi di dosso il peso di ogni pensiero che mi sta schiacciando.
Entro nella mia cabina, mi spoglio strada facendo verso il bagno e mi infilo nel box. Giro la manopola e lascio scorrere l'acqua lungo il mio corpo martoriato dalle pugnalate, dalle botte, alcune ancora evidenti, e dalle relative rotture di ossa che hanno lasciato qualche segno.
Vecchie immagini tentano di riaffiorare come coccodrilli in mezzo alla palude.
La sensazione di precipitare nel vuoto, di finire da qualche parte, dove il buio non permette un solo respiro, mi fa barcollare. Rischio di ricaderci dentro in quel pozzo profondo, dove non vi è una via d'uscita.
La pelle inizia a scottarmi come se avessi la febbre. Il tremore alle dita mi fa stringere i pugni contro le piastrelle. Premo la fronte su di essi e dentro di me urlo. Lo faccio picchiando contro la superficie resa scivolosa dalla pioggia che mi si abbatte addosso.
Lo faccio perché anche se sto urlando, nessuno mi sente. Perché nella vita ci si sommerge di stille di veleno e si finge di non bruciare dentro dal dolore.
Apro i pugni premendo i palmi contro le piastrelle e abbasso la testa lasciandomi avvolgere dal calore ad alleviare ogni muscolo che si irrigidisce non appena avverto un rumore alle spalle.
Il primo istinto sarebbe quello di cercare una potenziale arma per difendermi, poi però, ancora una volta, vengo raggiunto da un odore di dolce appena sfornato. Allora mi volto.
L'unico rumore che risuona nel bagno è quello del soffione ancora aperto. Non tendo il braccio verso la manopola per chiuderlo. Non mi copro recuperando un asciugamano, non mi muovo affatto. E lei non chiude gli occhi, non indietreggia e non si volta imbarazzata; non scappa inventando una serie di scuse inutili, volte solo a pulirsi la coscienza o a fingere di poter superare questo momento.
«Faye, che cosa ci fai qui?»
La mia voce arrochita e un po' brusca la coglie impreparata. Brividi le ricoprono subito la pelle.
Ogni mio iniziale progresso per tenermi a debita distanza da lei, senza fare cazzate, va in frantumi.
So che è pericoloso ma non riesco a distogliere lo sguardo, a cacciarla, a ferirla con le parole perché sono l'ultima e unica arma che mi è rimasta.
Catturata dalle mie cicatrici, a ricoprire gran parte della schiena e del corpo, non si accorge nemmeno di aver fatto un passo avanti. Seguo il movimento delle sue dita quando protende la mano e con delicatezza sfiora l'avvallamento sulla spalla sinistra.
Come se si fosse scottata porta al petto la mano. Poi ci riprova premendo il polpastrello sulla cicatrice sotto la costola.
Non ho più fiducia in me stesso. Le sue labbra sono invitanti e così vicine, riesco a malapena a controllare il fiato per non mostrarle quanto calore sta innalzando sotto la mia pelle. Ignara, tiene la mano dove ha fatto più male, mentre cerco di impedire a qualsiasi rumore di uscirmi dalla bocca.
«Perché ti hanno fatto questo? Chi?», domanda afona, con le labbra che tremano e gli occhi sempre più arrossati e inorriditi.
Non è disgustata dal mio corpo, solo da quello che questi segni rappresentano. Le è impossibile non immaginare lo scenario peggiore.
Finalmente mi sciolgo e le circondo il polso allontanando la mano dal mio corpo. Sotto la mia presa riesco a sentire le sue pulsazioni.
«Non ha più importanza. Sono qui, sono vivo».
«Ma sei stato da qualche parte», protesta.
«La definizione migliore sarebbe all'inferno, Faye».
Come una lacrima, una goccia le scorre sulla guancia fino a raggiungere le sue labbra. Lei la raccoglie inumidendole, deglutendola insieme a quel groppo che le si è formato a causa del mio passato.
«Dovrei tenerti lontano da me», mormora, tornando a premere le sue dita sulle mie cicatrici quasi a spingere su un tasto dopo l'altro per far riemergere ogni ricordo, i quali come ordigni inesplosi, si innescano al minimo movimento. Ma da tempo ho imparato a tenere a bada le immagini, i suoni, gli odori, le urla. Il tempo ha consumato tutto strato dopo strato. Sono ormai un brandello di ciò che ero.
Aggrapparmi a ogni nuova sensazione, cedere, sentirmi di nuovo vivo, so per certo che avrà un costo. Ecco perché dovrò fare la cosa più difficile e forse anche la peggiore: allontanarla da me. Lei non dovrà soffrire a causa dei miei errori, delle mie azioni. Staremo vicini, eppure saremo lontani.
«Per quanto il mio primo istinto sia quello di farti la guerra, so che non è questo il momento», aggiunge con un nodo stretto in gola.
«Sono pericoloso».
«Questo lo so».
«Hai paura?»
«No».
«Vorresti averne?»
«No».
«Perché?»
«Non sei un mostro come pensi, Rhett».
Soffio aria dal naso e non per schernirla. «Non essere ingenua».
Mi tiene in pugno e inconsciamente gioca con me, spingendomi oltre ogni linea rossa.
È bellissima. Un po' fragile, ma come vetro.
Le mie dita non resistono più alla tentazione e le scosto una ciocca di capelli che le si è appena attaccata al viso, dietro l'orecchio.
La consapevolezza di essere entrambi nel box doccia, ad attrarci reciprocamente è intensa.
Non conosco le sue intenzioni. Non so cosa abbia scatenato questa sua sicurezza. So solo che alla mia pelle piace assorbire il calore del suo respiro affrettato, l'esitazione a ogni movimento.
La mia mano scatta verso la sua nuca. Faye si inarca. Ci ritroviamo faccia a faccia. La punta del mio naso sfiora il suo.
Toccarla. Provare ogni minuscola sensazione che come un pugno mi raggiunge facendomi pentire di ogni singolo giorno di lontananza.
Questo è maledettamente sbagliato. Perché la mia anima si sta nutrendo di ogni istante pur conoscendo la privazione, l'impotenza.
«Non ci conosciamo più».
Annuisce con una smorfia appena accennata e la delusione evidente. «So anche questo», dice con un filo di voce, sollevando la mano verso il mio viso. Mi sfiora appena la mascella.
Io so invece che non ha capito. Non sa chi sono diventato. Non sa che la mia unica ambizione è la vendetta, e che sto già lavorando duramente per raggiungere tutti quei mostri che hanno distrutto la mia vita.
Nei suoi occhi sfavilla una nuova consapevolezza. «Prima che tu dica qualcosa per contraddirmi, permettimi di aggiungere che sono consapevole del fatto che non ci conosciamo più. Ecco perché voglio ricominciare. Se devo offrire il mio contributo voglio conoscere il nuovo Rhett e ogni suo lato oscuro».
Le sue parole riescono a creare un varco e a depositarsi non solo nella testa, anche nel cuore.
Come faccio a contraddirla adesso che ha cambiato tutto con una semplice frase detta senza mai distogliere lo sguardo dal mio?
Ho sempre amato tenere il controllo di tutto. Ma Faye Wild riesce a strapparmelo di dosso, facendomi diventare nient'altro che un idiota condannato a vedere la propria fortezza, costruita con tanta convinzione, demolita. Più mi fissa più mina la mia anima finora resa insensibile dal destino.
«Voglio che tu mi conosca. Ma alle mie condizioni».
Le sue labbra restano a un passo dalle mie. Continuano a tentarmi mentre le mie dita affondano nella sua nuca. Per allontanarla o avvicinarla, non so decidere.
«Le rispetterò», mormora abbassando le palpebre per una manciata di secondi, prima di strapparsi dalla mia presa e indietreggiare.
Come se si fosse risvegliata, raggiunge, camminando all'indietro, la soglia.
«È meglio che vada».
Non rispondo. Lascio che metta per entrambi la giusta distanza, abbassando i pugni sui fianchi; trattenendo la voglia di riportarmela vicina.
Potrei definirmi un codardo. Ma lasciarla andare per me è solo un altro atto di coraggio e un modo per proteggerla. Un giorno, forse, mi ringrazierà per questo. Perché quando vedrà ogni mia parte oscura, si pentirà di avermi incontrato di nuovo.
Dopo quella che mi sembra un'eternità, esco dalla doccia a tratti confuso, a tratti eccitato al pensiero di aver passato almeno una manciata di minuti insieme alla donna che non appena ha messo piede nella stanza ha sottratto aria e tensione dal mio corpo.
Avvolgo un asciugamano intorno alla vita ed entro in camera per cambiarmi.
Mi fermo sulla soglia. Trovo Faye seduta sul bordo del letto. Le labbra imbronciate, le gambe accavallate e impegnate a fare su e giù in un tic nervoso.
«Che ci fai ancora qua? Ti mancava la vista?», indico il mio corpo.
«Ammetto che fosse piacevole», ribatte, guardandomi al contempo storto. «Ma non sono qui per i tuoi addominali».
Mi avvicino a lei deviando dal cassettone. Tira indietro la schiena e le sue mani sono pronte a opporsi toccandomi il petto.
«Ci sto provando, sai. Ma continui a confondermi».
Cambio direzione aprendo il cassettone. «Mi stai dicendo che non sei il mio nemico?», domando, tirando fuori un paio di boxer.
È in grado di mandarmi fuori di testa, persino adesso che quello privo di qualsiasi pudore sono io e mi ritrovo nudo sotto il suo scrutinio.
Lascio cadere l'asciugamano e indosso i boxer. «Scusa tanto se preferisco prendere delle precauzioni prima di offrirti il mio aiuto».
Quando mi volto le sue guance sono del dolore di una mela rossa e nei suoi occhi luccica un bagliore diverso dal compatimento per le ferite a deturpare il mio corpo. C'è lussuria.
«Mi auguro tu non sia tanto sciocco da usarmi come arma. Con Theodore non funziona il ricatto».
Mi appoggio al bordo del cassettone incrociando le braccia al petto. Faye segue il movimento dei miei muscoli soffermandosi sulle vene evidenti a ricoprire gli avambracci come ramificazioni lasciate da un lampo.
Assottiglio la palpebra. «Anche tu riesci a confondermi».
«Com'è possibile?», domanda sfacciata.
«Come me lo spieghi il fatto che più ti caccio via, più ti avvicini. Quando cerco di vendicarmi mi guardi come se fossi un eroe planato nella tua vita per rimetterla in sesto. Poi mi sfidi, mi giudichi. Sappi che non mi aspetto niente, eccetto quello che sei disposta a darmi».
«Cosa mi stai chiedendo?»
«C'è solo un modo per evitare che il nemico ci separi usando il ricatto o che ti cacci nei guai senza di me».
Sbatte le palpebre confusa. «Quale?»
Indosso una maglietta e un paio di pantaloni di una tuta. Tiro fuori dall'altro cassetto quello che mi serve.
Sulle labbra mi affiora un sorrisetto. Non riesco a trattenermi dal farla arrossire. È sempre bastato così poco per innescare la sua timidezza.
Mi avvicino a lei e le adagio il cofanetto di velluto blu scuro sul grembo.
«Sposandomi».
Non le do il tempo di elaborare, esco dalla cabina e informo Terrence di aver appena attuato il piano B.
💛🪽
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro