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Capitolo 22

Faye

Mi impongo di ignoralo, e subito dopo divoro ogni movimento, espressione e cicatrice che segna la sua pelle come una mappa. Finora ne ho contate più di dieci. Sono visibili, sparse, molte delle quali in punti delicati del corpo.
Mi sembra impossibile ed è una lenta agonia, fingere di non aver pensato a lui per anni, fino ad avere il timore crescente che fosse un sogno così vivido da illudermi di poter aprire gli occhi senza alcun timore di piombare in una realtà in cui la sua assenza avrebbe provocato nella mia anima una profonda sofferenza.
Il dolore è ancora una porta aperta mentre l'inverno entra senza permesso con i suoi artigli gelidi. Mi scuote e la pelle d'oca torna a farsi notare dallo stesso sguardo che un tempo mi faceva sentire in alto mare e che adesso mi fa vibrare nuove corde nel cuore.
Il modo in cui mi studia quanto più possibile senza dire niente, tenendo le braccia conserte, mi riempie lo stomaco di svolazzanti falene impazzite. È come se mi stesse accarezzando il corpo con le dita.
La mia attenzione viene catturata dalle sue labbra e una scintilla innesca un formicolio nel mio basso ventre.
La tensione tra noi è palpabile. Qualcosa che risucchia l'aria in questa sala e mi fa girare la testa come se avessi bevuto del buon vino.
«Rhett, perché è così importante?», affronto il silenzio, ponendo l'ennesima domanda alla quale spero di ottenere una risposta. Mi ha già messa fin troppo alla strette. Forse è giunto il momento di ricambiare il favore.
Sto cercando in tutti i modi di non abbassare le mie difese. Altrimenti, desidererò credere che ci sia ancora speranza. Ma quella è una nave che si è schiantata contro un grosso masso ghiacciato ed è affondata. Adesso i pezzi sono tutti incagliati nel fondo di un oceano silenzioso e oscuro.
«Non ho intenzione di perderti di vista».
«Vorrei che fosse così semplice», mi lascio sfuggire. E già successo quando mi hai abbandonata tradendomi, vorrei aggiungere. Ma questo inasprirebbe ulteriormente l'aria. E sarebbe da codardi, dato che in parte conosco i fatti e non occorre rivangare quella parte del passato. Riprovare la stessa cocente umiliazione mi farebbe solo a pezzi un'altra volta.
«Non permetterò a nessuno di arrivare a te», promette con aria solenne. «Sarai protetta».
«Non ho bisogno di promesse. Non esageriamo con queste cazzate. Possiamo benissimo cavarcela da soli», ribatto.
Capisco di avere commesso un errore prima ancora che apra la bocca per iniettarmi altro veleno. Ha contratto le labbra in una lieve smorfia, come se lo avessi colpito e il dolore fosse stato improvviso e così forte da stordirlo.
«Non sono il tipo. Non faccio promesse che non intendo mantenere e non dico mai cazzate».
Preme i gomiti sul tavolo e si sporge scrutandomi più a fondo. Mi sta stuzzicando. Vuole che mi ribelli.
Mi sento un topo costretto a giocare con un gatto particolarmente furbo, paziente e divertito.
«Non mi sentirò protetta fino a quando questa storia non sarà finita e mio padre si troverà dietro una parete fatta di vecchie sbarre. Quando lo vedrò lì in ginocchio senza un appoggio, senza potere. Quando lo sentirò implorare».
Sul suo volto traspare chiaramente ciò che pensa: mio padre non farà mai niente di tutto questo. Ma reagirà e mirerà a ogni mia debolezza per prevalere su di me. Proprio come ha sempre fatto usando ogni mio punto debole per vincere.
«Non fingere di non averci pensato anche solo per un momento. Il tuo piano sarà più raffinato e ben congegnato, ma dalla mia ho anni di esperienza con lui. E so che non mi fa bene sognare di vederlo indebolito su più fronti, ma ti garantisco che riesco a mantenermi concentrata sull'obiettivo».
Si picchietta un dito sulle labbra, passandosi poi la mano sul mento accarezzato da un lieve spessore di barba.
«Non ho messo in dubbio la tua capacità di compartimentare le cose e di tenerle separate. Sto solo cercando di capire perché ti ostini a rifiutare la mia protezione».
Non ho niente da dire al riguardo perché è vero, mi ostino a rifiutare il suo aiuto.
La ragione non è facile da spiegare, tantomeno lo è da comprendere.
«Forse perché tutto ha un prezzo», butto fuori di getto con voce mesta. «Il tuo, qual è?»
Solleva lievemente il sopracciglio prima di inarcarlo del tutto. Di seguito strizza la palpebra come un rapace. «Pensi che oltre a quello che ho chiesto abbia altri fini?»
Il suo tono non ha nessuna inflessione di stupore. Forse un accenno di amarezza, e questo mi induce ad allentare quella presa sul muro a tenermi nascosta, per permettermi di comportarmi da adulta. Siamo qui per trattare. Non posso lasciarmi sfuggire l'opportunità di ottenere qualcosa in più da un accordo che prevede semplicemente il mio aiuto in cambio di una fetta di patrimonio e protezione. Devo offrire il mio contributo.
«Spero di no», replico diffidente.
Prima che possa ribattere, proseguo. «Ti prego, non farlo. Non cercare di farmi sentire sbagliata solo perché non mi fido. Non credere di sapere tutto. Non hai la minima idea di come mi sono sentita», prendo fiato. «Ero persa. Persa e senza speranza. Ed ero... io ero arrabbiata. Non con te o con chiunque altro che si era messo in mezzo. Io ero arrabbiata più con me stessa per essere stata tanto ingenua da sperare, da reggermi a qualcun altro. Adesso non puoi chiedermi di fidarmi. Posso solo concederti una possibilità».
«Penso possa bastarmi».
È tutto ciò che dice porgendomi la sua mano piena di segni e così ferma da farmi comprendere quanto sia sincero e affatto turbato dalle mie parole, dalla mia confessione.
Il mio istinto urla che è pericoloso fare un nuovo patto con lo stesso diavolo che già una volta mi ha tradito. Eppure, la mano mi prude per la voglia di avvicinarsi alla sua, di tracciare con i polpastrelli quei segni a uno a uno.
Mentalmente mi do uno scossone.
Il pericolo che sto correndo mentre adagio la mano nella sua mi fa accelerare le pulsazioni. Un brivido mi attraversa e scivola violento lungo la spina dorsale quando le sue dita si chiudono imprigionando il mio palmo.
È solo una frazione di secondo. Sono attimi che mi regalano una vita di ricordi.
Lo fisso, respiro a malapena. Me ne sto immobile a fissargli le labbra mentre dentro di me sboccia quel bisogno sopito da tempo. Una smania così bruciante da farmi riscuotere e agitare sul posto appena, con voce roca e dopo aver deglutito, pronuncia il mio nome.
«Faye...», prova a dire ancora una volta.
«Penso sia tutto. Abbiamo un accordo», mi schiarisco la gola, ritirando in fretta la mano che adesso pulsa. Sono costretta ad adagiarla in grembo fino a quando il prurito insistente non smette di bruciarmi sottopelle.
«Vieni con me».
«Dove?»
«A casa».
Scrollo la testa. «Non puoi chiamare così un posto che non ti appartiene».
«Forse non te l'ho mai detto ma la mia casa era con te. Un tempo eri mia. Eri il mio unico posto tranquillo. Non avevo nient'altro».
Le guance mi si scaldano e inspiro in modo pesante, come se avessi un macigno sullo sterno. Forse lascio uscire persino un verso guadagnandomi uno dei suoi sguardi più profondi.
Non rivangare il passato, ti prego. Me lo ripeto come un mantra.
«Un tempo».
«Be', ti ho già esposto il mio piano. Se non c'è altro, andiamo», si affretta, cambiando discorso.
Con un movimento volutamente aggraziato, si alza, gira intorno al tavolo e si posiziona alle mie spalle. Mi scosta la sedia poi premendomi il palmo sulla schiena, prima di mantenerlo a debita distanza dalla mia pelle, mi porta fuori dall'hotel, dentro il suo SUV.
Non mi sfugge il modo in cui controlla a ogni angolo della strada mentre la percorriamo.
Se è vero che Ramirez sta elaborando qualcosa per ottenere la mia mano, devo trovare una soluzione per allontanarlo definitivamente dai suoi piani di conquista.
«Pronta?»
«Le mie cose. Non le ho recuperate dalla stanza», mi aggrappo a questa minuzia per non cadere vittima di un nuovo incantesimo da parte di Nolan Rhett Blackwell. Perché so già che potrebbe trascinarmi come una foglia nel vento in qualsiasi situazione. Non potrei mai fermarlo. Una volta non l'ho fatto.
Avvia il motore. «Ogni effetto personale ti verrà recapitato entro fine giornata. Allaccia la cintura».
Il suo tono imperioso mi fa desistere ed eseguire un semplice ordine come un automa.
«Lo so che sei nervosa. Non devi preoccuparti. Nessuno ti disturberà».
«E il mio lavoro?»
Stringe la presa sul volante. «So che ti sei presa una vacanza».
Spalanco le palpebre, pur non essendo poi così sorpresa. Ho già dedotto chi possa essere stato ad aiutarlo.
«Mi hai fatta spiare dallo stesso hacker, nonché amico fidato di tuo fratello?»
Appoggia il braccio sullo sportello mentre l'aria fresca riempie l'abitacolo fin troppo torrido; in particolare ora che so cosa ha fatto.
Non finge e non mi rifila una menzogna.
«Era necessario per capire se avremmo potuto contare su di te per il tempo necessario a sferrare i nostri attacchi. O se avrei dovuto rincorrerti».
Incrocio le braccia al petto come una bambina viziata e indispettita mi volto verso il finestrino ammirando il panorama esterno pur di non incenerire con gli occhi l'uomo alla guida.
«E quanto tempo prevede questa vendetta?»
«Te lo dirò quando avrai smesso di digrignare i denti e sentirti usata».

* * *

Su un piccolo pontile, attraccato sulla destra, non molto distante dal luogo in cui ho tentato di fermare l'ascesa di mio padre, vi è uno yacht. Oscilla cullato dalle onde, circondato dal verso dei gabbiani e dall'aria salmastra.
Un signore, l'unico presente in questa zona, dall'aria gentile e con addosso una divisa, al nostro arrivo ci raggiunge. Porge la mano a Rhett, poi bacia il dorso della mia presentandosi con un accento marcato.
«Sono Enver, mia signora».
«Mi chiami pure Faye. Non sono una signora».
Lui annuisce con un sorriso e un'espressione incuriosita, porgendo un mazzo di chiavi a Rhett.
«Ho controllato più di una volta che non mancasse niente e ho rifornito lo yacht. Tuo fratello ha piazzato in zona delle guardie e ha telecamere ovunque. Puoi dormire sogni tranquilli», lo rassicura con un tono di voce calmo. «È bello rivederti sano e salvo».
«Grazie, Enver».
«Adesso se non ti dispiace, ho un appuntamento con la mia signora. Buona giornata», sorride e congedandosi si avvia verso il posteggio dove abbiamo lasciato il SUV di fianco a un'auto d'epoca decappottabile.
Rhett fissa immobile l'acqua poi lo yacht. Senza dire niente mi aiuta a salire, a precorrere la passerella e a mettermi comoda nel salottino esterno mentre risponde a una telefonata.
Mi è impossibile non essere raggiunta dai ricordi. È proprio qui dentro che ho addobbato il mio primo e unico albero di Natale. Sempre qui dentro ho detto a Rhett che ci avrei provato. Ci siamo scambiati delle promesse che poi si sono infrante come onde contro gli scogli.
Sfioro i morbidi cuscini e inspiro l'aria salmastra prima di alzarmi e addentrarmi verso le cabine.
Non è cambiato niente, ma è come se fosse tutto diverso al tempo stesso.
La verità è che mi sento un'estranea.
La luce del giorno comincia a scaldare l'ambiente. Il mio telefono ronza e lo recupero dalla borsetta. Non ha smesso un solo istante da quando l'ho acceso.
Andra mi sta chiamando.
Non appena riaggancia controllo il registro dove trovo diverse chiamate da parte di Ersilia. Vi sono molteplici notifiche di messaggi non ancora letti.
«Novità?»
Mostro lo schermo affinché Rhett possa leggere quello che mi hanno scritto nella chat di gruppo che hanno creato di proposito e con l'intento di manipolarmi o tenermi sotto controllo.

Andra: "Stiamo tutti bene. Nostro padre è infuriato per non essere riuscito a concludere qualche altro affare a causa del cibo avariato. Farà causa al catering."

Andra: "Vuole che tu la smetta di scappare e di prenderti le tue responsabilità come figlia e come futura moglie di Ramirez."

Audie: "Non sarà quello che ti aspettavi, ma è un buon partito. Non poteva capitarti nient'altro dopo il burrascoso fiasco con Blackwell, il quale per inciso ha minacciato la nostra famiglia sin dall'inizio. Non lasciarti abbindolare da lui, Faye. Sei ancora in tempo per fare la cosa giusta. Hai dimenticato come stavi quando ti ha tradita? Non sai nemmeno dove sia stato per tutto questo tempo."

Andra: "Già! Audie ha ragione. Ascolta le tue sorelle e non farlo. Non essere sciocca. Non mandare nostro padre sul lastrico solo per rabbia o per una vecchia fiamma che si è estinta. Noi saremo qui quando avrai bisogno di aiuto con i preparativi per il tuo matrimonio. Non vediamo l'ora di essere le tue damigelle d'onore."

Audie: "Romero non ha avanzato nessuna richiesta. Ha dato carta bianca e un budget illimitato. Possiamo iniziare quanto prima."

Sospiro stringendo forte il telefono. Rhett me lo prende, rilegge la chat.
«Vogliono organizzare un matrimonio, eh?»
«Sono chiaramente plagiate da mio... da Theodore», replico sussultando di fronte all'ennesima notifica. Altri messaggi stanno arrivando in successione.
«E tu non vuoi accontentarli?»
«Ho smesso».
Rilegge la parte in cui Audie mi sbatte in faccia il suo tradimento abbassandomi al livello dell'umido nella gerarchia della spazzatura.
«E pensano che tu non abbia altre possibilità?»
«Questo è quello che hanno scritto».
Rhett rimane assorto per qualche istante prima di scusarsi e allontanarsi, lasciandomi in compagnia dei miei stessi pensieri.
Devo trovare una soluzione o mi costringeranno ad accettare. So che lui lo farà.
Abbattuta, raggiungo la cucina dello yacht per prendere qualcosa da bere.
Rhett non si trova neanche qui dentro e ho modo di rilassare le spalle e godermi una bibita energetica.

Andra: "Sappiamo che stai leggendo i nostri messaggi. Ti costa così tanto rispondere?"

Andra: "Non puoi essere così ingrata con nostro padre."

Andra: "Non ignorarci come fai sempre. Stavolta non basteranno delle cartoline e dei regali per tenerci zitte."

Audie: "Ti prego, Faye, fa' la cosa giusta."

Andra: "Non sei mai stata tanto egoista. È sbucato fuori coinvolgendoti nella sua farsa. Ti sta usando! E tu stai sbagliando ad assecondarlo. Sei ancora così ingenua, Faye."

Audie: "A meno che... ce l'hai nascosto per tutto questo tempo, vero? L'hai perdonato e hai vissuto con lui?"

Andra: "Per questo non venivi mai a trovarci?"

«Non hanno neanche chiesto come sto», mormoro, bloccando lo schermo per non leggere i messaggi in arrivo. «E adesso pretendono che mi immoli per dargli la possibilità di arricchirsi. Stanno cercando di usare la stessa carta di sempre. Ma non sanno che ho ripagato ogni centesimo e che lui ha preso tutto con gli interessi».
«E non lo faranno».
Sussulto.
Da quanto tempo mi stava ascoltando?
Rhett entra in cucina sistemando su un tagliere delle frutta che sbuccia e taglia finemente, prima di prendere un sacchetto di noci, nocciole e anacardi e versarli su una piccola ciotola di ceramica.
Con un cenno mi invita alla sua merenda improvvisata ma invitante.
«Non si sono preoccupate di te ma di quello che pensa tuo padre. Ti hanno sempre messa in mezzo a far loro da cuscinetto anti-urti. È arrivato il momento di lasciarle cadere, Faye. Non ti meritano. E se ho capito bene, hai ripagato tuo padre per il tempo che ti ha cresciuta? Una cosa disgustosa».
Mastico lentamente il pezzo di kiwi. «Lo so. Non è stato facile controllarmi ogni giorno per non cedere. Ogni volta dico che sarà l'ultima ma puntualmente mi ritrovo a sentirmi uno schifo, completamente isolata e usata dalla mia stessa famiglia».
Rhett caccia in bocca una noce. «Hai sempre accontentato i loro capricci. Per anni ti hanno usata, Faye. Ti hanno obbligata a prendere parte ai loro giochetti. E com'è finita? Loro hanno ottenuto potere e ricchezza, mentre tu?»
«Io sono andata avanti da sola, senza un soldo ma con una dignità».
Annuisce. «E ora?»
«Ora vorrei solo che questo telefono smettesse di squillare e che loro non appoggiassero le idee strampalate e patriarcali di Theodore. Soprattutto vorrei che sapessero che stanno sguazzando nell'oro grazie ai miei risparmi e ai miei sacrifici. Non sto facendo nessun capriccio. E non sono nemmeno merce avariata».
Rhett pulisce il tagliere lasciando che dia il mio contributo senza opporsi quando mi avvicino, e come una macchina oliata ci muoviamo in sincrono.
«Potrei aiutarti con quello».
Inarco un sopracciglio. «L'amico hacker?»
«Terrence».
«E cosa farebbe esattamente?»
«Magari, per iniziare, potrebbe far trovare qualcosa riguardo al saldo del tuo debito. Una traccia si trova sempre».
«Lo farebbe, per me?»
«Per lui è un gioco da ragazzi. Potrebbe persino entrare nel telefono di tuo padre e farti vedere il suo registro di chiamate o fartele ascoltare in tempo reale».
Inizio a entusiasmarmi alla prospettiva di riuscire a bloccare le mie sorelle con i loro messaggi mirati per non essere tentata a soccorrerle, e magari scoprire quello che ha in mente mio padre.
Mi fermo un istante a riflettere.
«State già monitorando Theodore», constato. «E non solo lui».
Rhett me lo conferma con un verso gutturale. «Potremmo deviare e inviarti le informazioni».
«Servirà più a voi che a me», replico, sentendomi stupida per esserci arrivata in ritardo.
«E se ci fosse un modo per liberarti di lui e Romero in un colpo solo?»
«Se ci fosse una possibilità non me la lascerei di certo scappare. Sarei disposta a tutto».
Rhett pesca il suo telefono dalla tasca, digita qualcosa sullo schermo, poi afferra e sventola il mio telefono. «Lo prendo in prestito, se non è un problema».
«Non nascondo niente. Le tracce dei miei versamenti mensili sono nei documenti. Ne tengo sempre una copia di riserva nel caso in cui dovesse servire».
«Tu no ma le tue sorelle e tuo padre cosa nascondono?»
Non avevo pensato alla possibilità che le mie sorelle potessero essere complici ai miei danni. Ne ho avuto la prova all'inaugurazione. Ma forse mi sto ostinando ancora a non crederci perché penso che anche loro siano state vittime di un uomo ambizioso.
«Potrebbero aver finto?», domanda ancora Rhett. «Lui potrebbe avergli promesso qualcosa?»
«È probabile».
«Allora lo scopriremo e gliela faremo pagare».
«Non voglio che si facciano male. Sono solo cresciute in questo modo. Non sono cattive come può sembrare».
«Ricevuto», dice avviandosi verso l'uscita della cucina. «Torno tra poco. Mettiti comoda».
Esco a prua e mi siedo sul divano osservando l'oceano e l'ambiente circostante apparentemente isolato ma pulito e accogliente.
Porto le gambe sotto il sedere e abbraccio un cuscino cercando di trovare un modo per uscire da questa situazione senza dover accettare altre condizioni o torture psicologiche da parte di Theodore.
Non sono stati anni facili. Dopo il tradimento di Rhett, sono stata isolata e più volte umiliata. Ricordo ancora le parole di disprezzo, il modo in cui mi faceva sentire ogni singolo sguardo, il senso di colpa per non essere stata attenta. Gli straordinari che ho dovuto fare, i doppi lavori con orari disumani, spesso molestata e costretta a trovare qualcosa che non includesse palpatine nascoste e sorrisi maliziosi; mentre di notte studiavo per riuscire a laurearmi, pur di liberarmi dal debito che gravava sulle mie spalle in seguito alla rottura del rapporto tra i Wild e i Blackwell.
Ho bisogno di parlare con la mia amica Sandra, ma al momento è impegnata e non posso rischiare di coinvolgerla nella mia disastrosa esistenza. Già una volta ha rischiato di farsi male affrontando uno dei ragazzi inviati da Theodore.
Stringo gli occhi e ci premo sopra i pugni piegandomi sul cuscino. Vorrei tanto urlare ma non servirebbe a niente.
La stanchezza mi raggiunge e mi appisolo sentendo tutto il peso degli ultimi eventi abbattermisi addosso insieme ai pensieri, ai dubbi e alle numerose paranoie che so già di non potere scacciare.

* * *

È quasi buio quando riapro gli occhi e mi stiracchio stordita.
Mi è stata adagiata una coperta addosso. Profuma tantissimo di colonia maschile. Mi sento avvolta come fa l'aria da queste parti. Ti si appiccica alla pelle fino a seguirti ovunque.
Rhett esce fuori. «Inizia a far freddo», osserva il cielo. «E a breve potrebbe arrivare un temporale. Spostiamoci dentro».
Lo seguo un po' assonnata e mi siedo accanto a lui di fronte al camino.
Rhett ha disposto un carrello di fianco e sta adagiando un vassoio sul tavolo basso che abbiamo davanti. Solleva le cloche e con aria apparentemente serena mi fa cenno di servirmi.
Mi soffermo sull'insalata con tofu e crostini. Mi ci tuffo senza tante cerimonie e, in modo poco signorile, gemo.
Ho mangiato a colazione e fatto uno snack, ma non mangio come si deve da un paio di giorni. Ero troppo nervosa per mandare giù qualcosa prima del viaggio che mi ha condotta qui. Inoltre, ho dovuto lavorare sostituendo una collega.
Rhett mangia con più calma del normale, a piccoli bocconi. Di tanto in tanto si ferma, inspira, si guarda intorno come se da un momento all'altro qualcuno potesse arrivare e sottrargli ogni cosa.
Le domande sono sempre sulla punta della mia lingua, in procinto di uscire e forse arrecare dolore. Perché lo so, anche se non lo dice, so che ha sofferto qualcosa che è destinato a segnarlo per sempre.
Notandomi intenta a fissarlo, si schiarisce la gola. «Quei documenti che ci hai fornito presto arriveranno nelle mani di Ersilia. Lei non sa niente, vero?»
Bevo un sorso d'acqua. «Non ha mai voluto averci niente a che fare con gli affari di Theodore».
Rhett conclude il suo pasto.
«E le mie sorelle? Come mai non avete mandato a loro quei documenti?»
«Se i nostri sospetti sono fondati, loro sanno tutto e hanno fatto parte delle malefatte di Wild per trarne vantaggio. Sono cambiate. Magari, in tutto questo tempo, ti sei rifiutata di vedere oltre quel velo perché gli vuoi bene. Ma ricorda che l'amore è un'arma affilata pronta a stilettarti al minimo respiro», dice quasi mormorando alla fine.
Le domande cominciano a generare il caos nella mia testa.
«Perché sospetti di loro?»
«Non ricordi al college? Andavano a caccia, Faye».
Sussulto di fronte al suo tono diretto.
«Sceglievano i ragazzi meno abbienti e ci giocavano solo per vedere fino a dove si sarebbero spinti per loro. Poi li lasciavano perdere umiliandoli. Perché alla fine di quei giochi, loro sceglievano sempre i rampolli su cui i genitori avevano puntato sin dall'inizio».
Mi disgusta sapere che le voci che circolavano non erano false o dettate dall'invidia di alcune ragazze che si vedevano sottrarre proprio quei bravi ragazzi.
«Magari non ne eri a conoscenza, ma succedeva. È successo, Faye. Le tue sorelle e tante altre loro amiche, non erano delle santarelline pronte a farti le trecce».
Dove vuole andare a parare?
Prima che possa domandarglielo, lui si alza dal divano. «Sistemati in una delle cabine più grandi. I tuoi bagagli sono arrivati».
«Dove vai?»
«Ho del lavoro...»
«Di notte?»
«Non dormo molto e mi piace riempire il mio tempo».
Le sue risposte sono così dirette e calcolate da lasciarmi l'amaro in bocca. Sento come se ci fosse qualcosa a frapporsi tra me e lui. Una distanza tangibile.
«Va bene», lo supero. «Buon lavoro».
«'Notte».
Lungo il corridoio trovo i miei pochi bagagli. Sollevo il manico del trolley e lo trascino dietro.
Raggiungo una delle cabine e scelgo quella lontana dalle altre.
Non appena lascio scorrere la porta e me la richiudo alle spalle, sospiro.
Posso farcela, mi dico. Rhett Blackwell è solo un mezzo per ottenere la libertà, ripeto a me stessa mentre faccio la doccia, mi cambio e mi sdraio sul morbido letto a forma di conchiglia.
Le lenzuola profumano tantissimo e sono morbide. Un mix letale per il mio corpo teso. Spengo la luce, abbraccio il cuscino, attraverso vetrata guardo la luna specchiarsi sull'oceano mentre lo yacht oscilla cullandomi dolcemente.
«Rhett Blackwell... mi sei mancato», sussurro abbassando le palpebre.

💛🪽

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