Capitolo 21
Rhett
«Non ho avuto scelta. Se avessi potuto, sarebbe stato tutto diverso».
Riuscire a sostenere il suo sguardo, mentre se ne sta immobile, mi è dannatamente difficile perché è come precipitare da uno strapiombo per ritrovarsi dentro un lago ghiacciato, a picchiare i pugni contro una lastra spessa sopra la propria testa.
Sono combattuto sull'affrontare un argomento che potrebbe squarciarmi la carne e mostrare quanto sangue ho versato prima di poter richiudere le ferite, medicarle e lasciare che da esse si formassero eterne cicatrici.
Una sola parola sbagliata potrebbe essere l'inizio o la fine di tutto.
Non avanzo per non destabilizzarla e per negare al mio corpo quel bisogno che si è riacceso nell'immediato quando è entrata in quella sala con la convinzione di potersi sbarazzare del padre usando un foglio con un accordo che non sarebbe mai esistito se al tempo non mi fossi mosso per avere delle garanzie per entrambi.
Ricordo di avere sfidato Seamus e di averlo raggirato pur di avere un vantaggio. Cosa che adesso mi è del tutto inutile dato che lui è ormai cibo per i vermi. Lo stesso pensavo di fare con Wild, ma le cose sono cambiate con il mio rapimento in seguito a un agguato; ora è come se dovessi muovermi sulle uova perché sono troppe le cose che mi sono sfuggite e recuperare il tempo perduto è una gran fatica.
Non mi perdo il movimento del suo petto, quel lento alzarsi e abbassarsi, né quel tremolio delle dita che nasconde incrociando le braccia al petto, nascondendo le mani sotto le ascelle o dentro le maniche della mia felpa.
È stato alquanto difficile, quando l'ho vista con quella addosso, tenere a freno gli occhi, incapaci di scattare istantanee di ogni sua curva, e di bloccare la mente al galoppo con immagini allusive e fuori luogo.
Non è difficile percepire la sua sorpresa, nonostante continui con ostinazione a mostrarsi una donna che non ha niente da perdere.
I minuti scorrono e con un sorrisetto che tende a farla irrigidire, indico i bagagli. «Per stare a distanza da me dovrai andartene molto lontano, dove non posso trovarti».
«Lo farò. È per questo che devi uscire dalla mia stanza».
«E perdermi il contenuto della tua valigia mentre la svuoti e la riempi mettendo in ordine le tue cose?», spingo la lingua sul retro dei denti producendo uno schiocco. Smetto di scherzare al suo sussulto.
«Sappi che non appena uscirai da questa stanza, vedrò la tua mossa come una fuga».
Si ferma, le dita premute sulla cerniera della valigia che aveva sollevato e adagiato sul divano del salottino. So di avere appena stuzzicato il suo orgoglio.
«Dovresti vederla più come una vittoria. Non mi avrai tra i piedi. Alla gente potrai dire di avermi spedita in una località costosa a divertirmi e a sfruttare il tuo sporco denaro», ribatte sminuendosi.
Nel breve periodo in cui siamo stati insieme non ha mai chiesto niente. Che sia cambiata?
«È quello che vuoi che faccia, ma gli dirò che sei scappata dalle tue responsabilità dopo avermi usato».
Tira fuori dalla valigia due top, li ripiega un paio di volte e li ripone al posto di partenza; sospetto per tenere impegnate le mani. Nasconde al contempo un paio di completi intimi di pizzo.
«Non l'ho fatto!», pigola.
«Invece sì e adesso credi di potere partire come se niente fosse».
«Dovrei stare a distanza da te», dice con la fronte aggrottata e il tono privo di mordente.
La scruto da capo a piedi, intuendo di aver ottenuto la sua attenzione. «Decisamente», ribatto. «Ma potrai prendere le distanze solo quando avrai fatto la parte della finta fidanzata così bene da far dimenticare al nostro nemico che lo stiamo fottendo».
All'inizio mi fissa come se mi fossero cresciute tre teste. Poi, come se le si fosse accesa una lampadina, comprende di essere stata manipolata e avvampa puntandomi l'indice contro. «Attento, potrei fottere anche te», minaccia, convinta di potermi risvoltare come un calzino semplicemente sbattendo le ciglia.
Rido di fronte al suo patetico tentativo. Sembro un fottuto squilibrato, ma lo faccio. «Quando vuoi, Faye», le strizzo l'occhio e staccandomi dallo stipite della porta mi avvicino a lei. «Sono curioso di vedere come lo farai», aggiungo con fare allusivo. «In ginocchio? Dandomi le spalle? Sdraiata supina?», marco ogni parola sussurrandogliela all'orecchio. Mi allontano giusto in tempo quando prova a darmi una spinta. Non prima di avermi mostrato la pelle d'oca a ricoprirle le braccia.
«Lo so che lo senti anche tu. Non vergognartene», con l'indice le mollo un colpetto sotto il mento e mi avvio all'entrata, fermandomi a poca distanza dalla porta, rigirandomi la carta magnetica tra le dita che adagio sul mobile alla mia destra.
Di questa non ne avrò più bisogno.
«Ti sto offrendo l'opportunità di vendicarti. Se domani non ti troverò giù in sala per la colazione, saprò la tua decisione e mi comporterò di conseguenza. Penso di essermi spiegato. Non mi piace ripetermi», senza attendere una sua reazione apro la porta. «Domani. Nove in punto», esco dalla stanza e salgo al piano superiore procedendo senza fretta lungo il corridoio con il pavimento decorato e lucido in marmo, le pareti dipinte color avorio, le piante alte a foglia larga poste agli angoli a ravvivare il pallore dovuto anche ai fari delle luci, insieme ai quadri, a qualche vaso, fino alla suite in cui trovo Faron e Dante ad attendermi.
«Allora, com'è andata?», mi domanda subito quest'ultimo, smettendo per un momento di leggere qualcosa da una cartella che si è portato dietro insieme a un raccoglitore, presumo per lavorare durante l'attesa.
«Domani avremo la nostra risposta e procederemo di conseguenza».
«E se non dovesse presentarsi?», indaga Faron, giocando con una monetina. Lui se ne sta apparentemente rilassato sul divano. Ma so che per tutto il tempo è rimasto vigile e ha controllato ogni filmato delle telecamere di sicurezza esterne.
«Le ho detto che non intendo coprirle le spalle se lei non è disposta a fare lo stesso. Che la sua bugia venga fuori o meno, mi è indifferente. Se imboccherà quella strada, dovrà cavarsela da sola».
Dante inarca un sopracciglio, più che scettico. «Sei davvero disposto a lasciarla andare?»
«Perché trascinare il tuo culo qui da lei in fretta e furia allora?», si frappone Faron.
«Se è quello che vuole, lo farò», guardo Dante. «Perché è scappata e la stanno seguendo. Dovevo accertarmi che non ci fosse nessuno nei paraggi a tenderle un agguato», mi rivolgo a Faron.
«Avresti potuto far fare tutto al mio staff. Sono addestrati», borbotta quest'ultimo scuotendo la testa, quasi indignato per la mancanza di fiducia che gli ho appena mostrato. «E l'agguato gliel'hai teso tu».
Ho la decenza di abbassare la testa. Per fortuna non arrossisco per l'imbarazzo.
La verità è che quando l'ho vista andare via in quel modo mi si è accesa una scintilla e non ho avuto nessuna esitazione nel trovare una soluzione immediata.
Dante, continua a sfidarmi con lo sguardo. «Pensi di poter fottere suo padre e conquistarla di nuovo, non è vero?»
Ignoro la provocazione. «Non si tratta di lei e me. Devo procedere o ogni sforzo che avete fatto per tirarmi fuori sarà stato vano».
Quando pronuncio queste parole, entrambi si irrigidiscono.
So quanto è stato duro per loro cercarmi, trovarmi e infine tirarmi fuori da quella prigione. So quanto gli è costato e non sarà mai abbastanza quello che farò per ripagare il loro impegno. Hanno messo le proprie vite in secondo piano per la mia. Anzi, peggio, le hanno messe in pericolo. Più volte sono stati persino colpiti e feriti.
«Non è stato vano. Sei di nuovo con noi», esclama Dante, con disappunto e pronto a contraddirmi. «Rimpiango solo di averci messo così tanto tempo», abbassa il capo dopo averlo scrollato. Un senso di sconfitta aleggia in seguito al suo sospiro.
«Avete fatto abbastanza e non sarò mai in grado di ringraziarvi come si deve».
«Non l'abbiamo fatto per avere dei ringraziamenti. Sei nostro fratello, Rhett».
Faron mi stringe una spalla preannunciando l'azione, prima di toccarmi e mandarmi in bestia. Sa che ho ancora qualche problema con i gesti improvvisi; soprattutto con quelli fisici.
«E sono disposto ad agire da solo pur di non sapervi in pericolo. Ma questa cosa devo proprio farla. Sarà come chiudere un cerchio».
Entrambi si scambiano uno sguardo.
«Conta su di noi», dicono.
Faron si schiarisce la gola. «Cosa possiamo fare per convincere Faye?»
«Non credo esista qualcosa in grado di farle cambiare idea. È ancora testarda come un tempo. Ragionerà e farà la sua scelta. Io mi adatterò di conseguenza».
«Non rimpiangerai niente?», Dante strizza la palpebra, annusando la mia bugia. Sa che un rifiuto potrebbe destabilizzarmi. Ma ho previsto la possibilità che ciò accada e mi sento in grado di affrontare una possibile delusione.
«No», sono sincero.
Mi siedo sul divano e sprofondo in avanti. La stanchezza mi raggiunge. È come se avessi lavorato per tutto il giorno senza mai fermarmi un momento. Il che è vero. Non ho nemmeno dormito.
Tiro indietro la testa appoggiando la nuca sulla testiera e fisso il soffitto. «Ora ditemi che in quest'hotel servono la pizza o sarò costretto a obbligare uno dei due ad andare a comprarla».
Faron balza in piedi e si precipita verso il telefono con il filo posto sul comodino della camera da letto, visibile dal salottino. «Certo che fanno la pizza. Come la vuoi?»
«Voglio solo che sia commestibile», chiudo gli occhi.
Dante, mentre Faron parla con la receptionist o chiunque alle sue dipendenze, mi sbatte il fascicolo sul petto. «L'auto che vi seguiva, è sotto falso nome. Siamo riusciti a risalire comunque al proprietario».
«Fammi indovinare, se non è Wild è Romero?»
Dante me lo conferma con un verso gutturale e una smorfia di disgusto. «Ho chiesto a Terrence di scovare qualcosa che non sapevamo ancora su quel tizio e non c'è niente di buono in quel fascicolo. Sta' attento, fratello. Ha fatto ammazzare gente per molto meno di un avvelenamento da cibo o una capatina in una cella. Ha persone al suo servizio pronte a tutto».
Osservo il fascicolo. Le parole si confondono ai miei occhi stanchi.
Nel corso della notte non sono riuscito a riposare, preso com'ero a osservare la donna addormentata sul mio letto. Quando sono riuscito ad appisolarmi, un incubo mi ha costretto ad alzarmi e a spostarmi rapidamente nel bagno per lavarmi i polsi con acqua fredda.
Ho fatto del mio meglio per non svegliarla e non spaventarla. Infatti, subito dopo essermi vestito, sono corso in soggiorno dove mi sono seduto sul divano e ho atteso l'arrivo dei miei fratelli. Non avevo previsto che lei potesse ascoltarci e scappare, mettendo a rischio ogni cosa.
«Rende queste persone così bisognose da essere disposte a tutto», prosegue Dante.
Mi massaggio la mascella.
Faron prende posto al mio fianco. «Abbiamo ogni cosa sotto controllo?», si rivolge a Dante.
«Non dovrebbe avere sospetti. Abbiamo coperto ogni traccia e seguito il piano fino alla fine senza commettere errori. L'unica incognita è Faye. Se lui la segue è per una sola ragione e adesso più che mai vuole la prova che non sia una farsa. È un fottuto cacciatore».
Faron fischia. «Cazzo. È una mina vagante, fratello», dice massaggiandosi la nuca. «E se il bastardo vuole controllarla ci toccherà agire».
Non nego di averlo pensato. «Se si presenterà le dovrò fare il discorsetto», arriccio il naso disgustato dal comportamento che dovrò adottare nei prossimi giorni. So già che mi odierò.
«E dovrà starmi a sentire. Anche se dubito che lo farà. Voi non avete visto con che astio mi ha guardato e parlato».
«Per quella storia?»
«Già», scuoto la testa. «Non smetterà mai di odiarmi. Neanche quando saprà la verità».
Bussano alla porta interrompendoci. Dante balza in piedi e va a controllare dallo spioncino tenendo la mano dietro la schiena dove ha nascosto la pistola, prima di rilassare le spalle e recuperare le nostre pizze dal carrello lasciato da uno dei dipendenti di Faron.
«Siamo sicuri che ti verrà in mente qualcosa per proteggerla e sedare il suo astio», dicono fiduciosi.
Me lo auguro. Ma questo non sono in grado di pronunciarlo.
* * *
Tenere Faye Wild lontana dai miei pensieri non è stato poi così semplice. Sono riuscito a distrarmi per ore grazie al lavoro che Dante mi ha rifilato per trovare una soluzione e allontanare Ramirez da lei, e al cibo che Faron mi ha piazzato puntualmente sotto al naso; prima di essere abbandonato da entrambi affinché potessero tornare a casa da Blue, Isobel e Eden.
Ma nel momento in cui metto piede dentro il ristorante, sedendomi su uno sgabello di fronte al bancone del bar per avere una visuale ampia sulla sala silenziosa e deserta, ogni tentativo fallisce miseramente. Non riesco a fare a meno di pensare a lei, al modo in cui si è voltata e al suono della mia voce ha cambiato espressione perdendo ogni energia.
Forse mi illudo, ma il suo non era uno sguardo carico di risentimento. In quegli occhi da cerbiatta dalle ciglia lunghe c'era qualcosa di profondo. Un calore che non sentivo da tempo.
Mentre attendo, penso alla disperazione che mi sta divorando. È insopportabile. Vorrei strapparmela di dosso e al tempo stesso cucirmela in modo permanente sottopelle.
Finché ero solo, circondato dal pericolo, lontano da casa e costretto a lottare, riuscivo a percepirne la mancanza e il pensiero di lei mi dava persino speranza. Mentre adesso è tutto complicato e amplificato.
Fa male. Cazzo. E non posso farci niente. Non se lei è disposta a rinunciare.
Allontano qualsiasi pensiero non appena l'avvisto. Se la sera prima era di una bellezza sconvolgente con quel vestito lungo, i capelli acconciati e il trucco perfetto sul suo volto un po' più maturo da quello dell'adolescente di cui ho bei ricordi incisi nella memoria, ora è folgorante con addosso un semplice paio di jeans e un maglioncino largo di un tenue rosa. Una ciocca di capelli le sfugge dallo chignon scomposto ricadendole sul viso, conferendogli un aspetto meno impostato è più sbarazzino.
Non avrei mai scommesso per questo look.
O non intende fare colpo, suggerisce la voce nella mia testa. Direi quasi che sia quello di una donna in fuga.
Non si accorge di me o se lo fa lo nasconde bene. Si muove a disagio tra i tavoli vuoti fino a trovarne uno isolato all'angolo con una buona visuale sull'entrata, sull'uscita di emergenza e i bagni.
Sfiora la rosa nel vaso disposto al centro del tavolo prima di sporgersi e annusarla. Poi passa nervosamente i palmi sui jeans.
Vederla scioglie ogni singolo nodo contratto. Ma non è niente in confronto al bisogno di agire che mi si accende dentro quando penso di essere a un solo passo dalla vendetta.
Tradito, colpito a morte, non permetterò a niente e a nessuno di distruggermi. Userò tutto per mettere in ginocchio il mio nemico. Userò lei per avere la mia possibilità e riottenere la mia completa libertà. Perché mi hanno ferito le ali ma non mi hanno impedito di guarire e tornare a volare.
Mi stacco dal bancone del bar e avanzo tra i tavoli pronto a raggiungerla e a muovere le prime tessere di un domino pericoloso.
Cammino ripetendo a me stesso, a ogni nuovo passo, di doverlo fare. Che posso concludere ciò che qualcun altro ha iniziato per me. Ma tutto quello che desidero veramente fa a botte con la realtà che mi rimane appiccicata alla pelle come un abito bagnato dalla pioggia.
Non ho bisogno di lei per far funzionare il piano di vendetta che ho elaborato. Ma come alleata, potrebbe cambiare nettamente il risultato. Ecco perché dovrò essere convincente.
La guardo e lei sfodera tutta la sua sorpresa quando le regalo un debole sorriso, carico di un sentimento che non è insozzato dalla rabbia o intiepidito dalla paura. La stessa che si è placata non appena si è seduta al tavolo, in attesa del mio arrivo.
Non è certo che lei sia disposta ad accettare le mie condizioni, ma sono pronto ad ascoltarla, a parlare con lei fino a trovare un possibile accordo.
So che al di là di ogni dubbio, rabbia o vendetta, ho commesso un grosso errore. Non le ho detto la verità, tenendole nascosta la storia che ha dato forma alla mia vendetta dopo aver vissuto all'inferno ed esserne riemerso determinato a prendere il posto della morte stessa.
Non ho paura che lei possa vedermi con occhi diversi. Ciò che non potrei sopportare è che mi tema. Ecco perché esito.
Se avessi previsto come mi sarei sentito, strattonato da una parte all'altra, avrei mantenuto le distanze. Ma non l'ho fatto e adesso posso solo fingere di conservare una parvenza di controllo su quello che mi provoca e che sento, per il bene della mia famiglia e per la riuscita del piano.
«Perché siamo qui esattamente?»
Non si perde in chiacchiere. Va dritta al punto. Forse smaniosa di rifiutare il mio aiuto e scappare.
«Prima di iniziare, sappi che non mi aspetto che tu sia disposta ad accettare il mio piano, me ne farò una ragione. Né voglio che tu ceda perché spinta dal risentimento», comincio a parlare. «Non funzioneranno i tuoi giochetti e se devi pugnalarmi preferisco che sia un colpo diretto guardandomi negli occhi e non alle spalle».
Una scintilla di frustrazione le oscura il bel viso stanco.
Non ha dormito?
Socchiude gli occhi leccandosi le labbra. «Sono qui perché hai usato il ricatto».
«E perché non sei stata disposta a lottare per liberarti di me, ricordalo», mi accomodo, mettendomi composto e rilassato sulla sedia. «Quindi non avendo un piano, hai deciso di incontrarmi come alternativa», concludo.
Smetto di parlare mentre una cameriera, in seguito a un mio breve cenno delle dita, adagia al centro del tavolo un vassoio con la colazione. C'è di tutto, dal salato al dolce.
Faye alla vista del cibo si acciglia maggiormente. Le sue orbite si arrossano sempre di più, le lacrime le pizzicano gli occhi. «Sai di non avere voce in capitolo sulla mia vita? Cosa ti aspetti che faccia? Che ti ringrazi per avermi offerto un piano B dopo che hai distrutto quello A?», sbuffa aria dal naso. «Non prendiamoci in giro con queste stronzate e andiamo dritti al punto, Rhett. Cosa devo fare?»
Le metto sul piatto della frutta e un pancake con dello sciroppo d'acero cosparso sopra avvicinandoglielo.
Lei lo rifiuta. «Non ho fame».
«Faye!», rispondo a denti stretti. «Sto cercando di essere gentile, ma tu mi stai rendendo le cose difficili con il tuo atteggiamento da ragazzina. Mangia».
«Altrimenti?»
«Ti consiglio di non calcare la mano. Non ora», la minaccio. Lo faccio e mi sento persino in colpa, ma so che è stato necessario.
Metto sul mio piatto due uova, un toast e dell'avocado assemblando il tutto.
Avvicino il toast alle labbra e lei me lo strappa dandogli un morso.
Mi pulisco le dita e ne preparo un secondo senza reagire al suo patetico tentativo di autodifesa.
Faye spilucca il toast come un uccellino. «Perché non mi dici cosa ti aspetti che faccia?», insiste.
«Essere te stessa sarebbe già un buon punto di partenza».
Smette di masticare. «Sono questa. Forse non te lo ricordi perché ti sei abituato in fretta ad altre personalità», biascica.
Incasso il colpo. «Ricordo una persona meno rancorosa e più razionale».
Inspira costringendo la propria voce a non tremare per rispondere. «Sei un bastardo! Come osi...»
«Vuoi sapere cosa penso quando affogo nelle tue iridi?», prorompo dilatando le narici. Non aspetto che risponda per proseguire. «Vedo una bella donna. Questo senza ombra di dubbio. Ma ti sei creata una vita fittizia, lasciandoti ogni cosa alle spalle senza mai affrontarle. E il passato adesso ti sta mettendo a dura prova, se non in ginocchio. Non puoi fingere di stare bene, di avere quello che desideri quando lo desideri, perché hai solo nascosto il dolore come se fosse polvere da accumulare sotto un tappeto. Ti è bastata una folata di vento per tossire ricordi che continuano a sbatterti in faccia la vita che hai solo tentato di avere».
Lascio che le mie parole si sedimentino e allontano il piatto vuoto bevendo un sorso di caffè. «Non è così?», la stuzzico e in parte la spingo a reagire.
Fissa il suo piatto con il toast mangiato per metà. «Mio padre ha sempre voluto che sparissi proprio com'è sparita la donna che mi ha messa al mondo, forse con la pretesa che lui si prendesse cura di me. Per tanto tempo, soprattutto dopo il tuo tradimento, ammetto di avere voluto la stessa cosa. Sparire era l'unica soluzione. Poi però quel pensiero si è trasformato in opportunità. Ho smesso di assecondare i giochetti e ho iniziato una nuova vita a modo mio. Ho allontanato quella nube e ho respirato a pieni polmoni. Forse non sarò comunque importante e non avrò acquistato valore agli occhi degli altri con la mia ribellione, ma sono contenta di averlo fatto. Adesso non puoi riportarmi indietro. Se vuoi farlo, sarà alle mie condizioni. Ho una voce e intendo usarla. Questo non fa di me una ragazzina e non c'entra niente il passato».
Soddisfatto dalla sua risposta, anche se di poco, mi rilasso. Era questa la persona che ho conosciuto e con la quale ho avuto un forte legame. Mi rendo conto però di dovere tenere a mente che non siamo più dei ragazzini.
«Bene. Che cosa chiedi?»
Sorpresa di non dover lottare ulteriormente, si agita sulla sedia. «Non ci ho pensato. Credevo che...»
«Che dopo il tuo discorso ti avrei riso in faccia e obbligata a fare qualcosa contro il tuo volere?», scuoto il capo. «No. Non funziona così. Stiamo stipulando un contratto e ho bisogno di sapere le tue condizioni».
«È quello che stiamo facendo?»
Annuisco con un cenno delle testa.
«Fammi capire, posso avanzare delle richieste?»
«Se mi tradirai, non potrai scappare. Non potrai andarti a nascondere, perché ti troverò. Non ci sarà posto in cui ti sentirai al sicuro, neanche su un aereo. Non potrai disubbidire, non quando si tratta della tua sicurezza e della riuscita del mio piano».
Controllo che non sia sul punto di ribattere per incalzarla. «Sono stato chiaro?», alzo il tono della voce, facendola sussultare.
Altre emozioni le scintillano nello sguardo facendomi vibrare il cuore nel petto. Ma non replica.
Inclino la testa. «Rispondi alla mia domanda, Faye».
Si schiarisce la gola. «Sei stato chiaro. Ho capito».
«Non sarà una condanna per te».
«Ne sei sicuro?»
«È un'opportunità. Ti sto offrendo la mia protezione in cambio del tuo aiuto quando sarà necessario. Pensalo come un lavoro».
«E le mie condizioni?»
Sorrido. «Scrivile nero su bianco se necessario».
«Non dirai di no? Potrei chiederti di intestare tutto a mio nome».
«Sarà fatto entro fine giornata. Se è questo che vuoi».
Avvampa negando. «No», arriccia il naso. «Voglio solo che questa giornata si concluda».
«O vuoi scappare da me?»
Stringe le dita sulla tazza mentre se la porta alle labbra per prendere un sorso di caffè. «Preferisco stare lontana da te quando non serve fingere».
«Su questo abbiamo opinioni contrastanti. Ma dato che hai preso l'argomento, dovrò chiederti di lasciare questo hotel insieme a me e di trasferire le tue cose nel mio yacht».
Sbatte le palpebre una manciata di volte aprendo e richiudendo la bocca come un pesce appena tirato fuori dall'acqua con una lenza.
«Non posso trasferirmi nel tuo yacht».
«Come mai?»
«Sarebbe troppo intimo», farfuglia una scusa.
«Motivo sufficiente per la nostra farsa. Il tuo amico, Romero Ramirez, potrebbe tirarsi indietro. Ha bisogno di qualche piccolo incentivo e forse di vedere con i suoi occhi che non sei merce di scambio e sei già impegnata», mi appoggio allo schienale studiando il suo corpo in tensione.
«Sei sicuro che funzionerà?»
Conosco i suoi dubbi. So a cosa allude la sua domanda. Non è questo il luogo adatto in cui parlarne. «Se non proviamo non possiamo saperlo. A proposito, tuo padre si è ripreso. Così come le tue sorelle e la tua matrigna».
«È un sollievo saperlo».
«Stai mentendo».
Arrossisce abbassando lo sguardo. «In realtà mi sarebbe piaciuto che rimanesse spaventato per qualche altra ora».
Nascondo un sorriso. «Presto lo sentirai urlare e implorare».
«Che cosa hai in mente?»
«Te lo avevo promesso. Tuo padre non avrà più niente e dovrà strisciare per tornare in fretta nel buco dal quale è comparso».
Allora staneremo ogni persona che lo ha aiutato fino alla fonte. Ma questo non lo dico. Faye mi impedirebbe di scendere in basso comportandomi come ogni uomo dal quale ha sempre voluto tenersi a debita distanza. E io non posso fermarmi.
💛🪽
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