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Capitolo 17

Rhett

C'è che il cuore si illude anche se batte in modo diverso nascondendo il ritmo di un patimento deleterio per ogni stilla di sangue che inizia a scorrerti dentro.
C'è che il cuore è un cassetto pieno di cose incastrate nel fondo, cose che non si ingialliscono con il tempo perché hanno la stessa sostanza dell'anima.
C'è che il cuore custodisce ciò che il destino ha tentato di strappar via.
C'è che adesso il tuo cuore lo tocca solo chi ha le mani pulite e salde. Chi ha intenzione di stare e non di sostare.
Rigiro una penna tra le dita, mentre attendo paziente che sia giunto il momento di passare all'azione.
Dante e Faron, insieme a Blue e Eden, sono già scesi dall'auto e stanno partecipando alla cena prima dell'inaugurazione del porto e delle relative attività circostanti, compresi i bar, il casinò e l'hotel; luogo in cui attualmente è in corso il pre-festa.
È stato semplice, grazie all'aiuto di Terrence, trovare ogni traccia degli affari di Parsival con Wild. È l'unico a essergli rimasto fedele. Per paura, perché sa che una volta essersi sganciato da lui rimarrebbe inerme ed esposto a qualsiasi attacco.
Non sono rimasto sorpreso che nostro zio abbia diviso il mio territorio senza prima accertarsi che non fossero a tutti gli effetti passati da mio padre ai miei fratelli e non ci fossero vincoli di alcun genere dopo la mia e la sua morte. È sempre stato arrogante ed estremamente egoista. La sua stupida gelosia ha portato a morte e distruzione.
Presto, insieme ai suoi collaboratori, patirà le pene dell'inferno. Perché ho tutta l'intenzione di strappargli, un pezzo alla volta, tutto quello che ha conquistato con i suoi sotterfugi e le sue pugnalate.
Coleman, nonostante sia ancora un po' restio nei nostri confronti, è stato collaborativo. Date le circostanze in cui si è ritrovato, sta iniziando a sostenere le nostre cause e ad aiutarci come meglio può infiltrandosi, reggendo la parte dell'ignaro stronzo egoista, del figlio di un uomo che con il passare del tempo è riuscito a trascinare nella sua orbita parecchia gente, fino a sottometterla e a incatenarla con la forza. È in parte anche grazie a lui se abbiamo saputo delle concessioni fatte da Parsival e del mio lascito passato nelle mani sporche di Theodore Wild. Credeva che Seamus possedesse ancora delle quote. Avrebbe dovuto fare più attenzione ai miei affari quando ha retto bene la parte fingendosi pronto ad aiutare il fratello a ritrovare il corpo del figlio.
Picchietto la penna, con le iniziali e lo stemma di famiglia incisi sopra, contro il sedile. Ho sempre odiato questo vizio da parte di mio padre. Ha sempre marchiato tutto come un possessore.
Inspiro ed espiro sbloccando lo schermo del cellulare dopo aver ricevuto un aggiornamento da Dante.
Niente di rilevante ma questo mi aiuta a restare concentrato sul mio obiettivo.
Osservo il parcheggio in cui mi trovo, sul sedile posteriore di un SUV dai vetri oscurati. Davanti a me l'oceano, la spiaggia, il riflesso della luna sull'acqua increspata dalle onde sospinte dal vento.
Abbasso di qualche centimetro il finestrino e inalo l'aria salmastra.
Mi piace il modo in cui mi fa sentire meno perso. È come se mi riportasse a casa. Sono proprio come quell'onda che si infrange lungo la riva, trascinandosi dietro qualche sasso o conchiglia.
Il telefono vibra per l'arrivo di un nuovo aggiornamento. Stavolta si tratta di Faron. Il catering sta eseguendo i nostri ordini.
Adagio il capo contro il poggiatesta e chiudo gli occhi.
Ho tutto sotto controllo. Me lo ripeto un paio di volte, insieme al piano che ho organizzato nei minimi dettagli.
Lo faccio sia per non farmi sfuggire niente, sia per iniziare a vendicarmi di una marionetta che ha avuto un ruolo riguardo la mia prigionia, e prima ancora per la mia rovina.
A un certo punto la sveglia emette una vibrazione continua. La stacco ed esco dal SUV. Aggiusto il vestito e con nonchalance mi dirigo verso il ristorante.
Nessuno mi noterà. Sono tutti impegnati a cenare e a leccare i piedi a quel viscido pezzo di merda che a fine serata riceverà una gran bella sorpresa. Al momento gli sto facendo godere la fama e assaggiare giusto una briciola del coronamento del suo sogno prima di sottrarglielo.
Entro indisturbato dal portone principale. Lo staff che ho assoldato, in sostituzione dell'originale pagato da Wild, si affretta a riorganizzarsi. Uno di loro, dietro il bancone della hall, mi rivolge un cenno impercettibile.
L'idea di cambiare personale e scegliere qualcuno alle nostre dipendenze è stata di Dante. Lui sostiene che in questo modo sarà più facile per noi muoverci senza destrate sospetti, fino a cancellare ogni prova. Il che è vero.
Mi avvicino al bancone fingendo di chiedere indicazioni quando noto una coppia ritardataria affrettarsi verso la sala alla mia sinistra dalla quale proviene la musica e la cacofonia di chiacchiere, risate e posate che cozzano sui piatti.
Stanno apprezzando il banchetto che gli ho offerto. Ottimo.
L'uomo dietro il bancone mi passa una chiave magnetica. La prendo e mi sposto al piano di sopra evitando l'ascensore.
Raggiunto il terzo e ultimo piano con calma, entro nella stanza in fondo al corridoio, mi tolgo la giacca del completo, accendo la TV, e seduto sul comodo divano in pelle mogano, osservo la immagini riprese dalle telecamere installate in tutto l'hotel.
Ringrazio mentalmente Terrence per questa concessione. Per lui è stato abbastanza facile connettersi a esse; per non dire un gioco da ragazzi.
Scrivo un messaggio ai miei fratelli per avvisarli di essere in posizione e mi concentro su ogni singolo riquadro.
Dovrei tenere sotto controllo i camerieri, osservare nel caso in cui ci fosse qualcosa a destare sospetto negli invitati, ma inevitabilmente i miei occhi cercano quell'unica persona. Non la trovo e continuo a inquadrare la gente nella speranza di vederla in mezzo a loro.
È cambiata tanto? Ha ancora quella cicatrice a forma di mezzaluna?
E se fosse sposata o in dolce attesa?
La voce nella mia testa tenta di farmi deragliare, ma non glielo permetto.
Vederla con qualcuno al suo fianco potrebbe ammazzarmi, letteralmente. Ma non potrei farci niente. Perché comprendo di essere arrivato tardi.
Se fosse andata avanti, com'è giusto che sia, dovrò accettarlo. Prima però voglio sapere e vedere con i miei occhi se sta bene, se è felice. Poi se è a conoscenza della verità e se potrà mai perdonarmi.
La mia attenzione, per un attimo, si sposta all'ambiente circostante.
Faron è stato qui dentro. Lo noto subito dalle bottiglie analcoliche disposte a ventaglio dentro un secchiello pieno di ghiaccio, agli snack al peperoncino impilati ordinatamente su un vassoio.
Che cosa pensava, che avrei avuto bisogno di rilassarmi? Non è uno spettacolo dal vivo. Siamo in missione.
Scuoto la testa lasciandomi sfuggire un sorriso mentre prendo una delle bottiglie e assaggio la birra priva di alcol che ha scelto, forse anticipando chissà come ogni mia possibile mossa o reazione, lasciandomi l'alternativa all'alcol e all'oblio. Mi sta anche chiedendo di restare vigile, di non lasciarmi sconfiggere dall'ansia e dal senso di colpa. Forse ha dimenticato che potrei comunque avere una crisi per il modo in cui non ho mai superato l'avvelenamento di mia madre. Gli anni di prigionia non hanno fatto che accrescere questa paura.
Ma come faccio a non sentirmi afflitto quando sparendo ho dissestato la sua vita e quella di Dante? Come faccio a chiedergli ancora una volta di trattarmi con cautela?
Due colpetti alla porta mi riscuotono.
Mi avvicino quasi barcollante prima di sentire la voce bassa e calmante di Blue dire: «Sono io. Puoi aprire?»
Quando spalanco la porta, lei entra facendo subito un giro intorno alla stanza con occhi che sondano tutto in modo attento. Notando la bottiglia aperta, nasconde un sorriso.
So che Faron le ha detto qualcosa. Sono complici e non si nascondono niente. Poche volte li ho sentiti discutere e quasi sempre hanno trovato un terreno abbastanza solido per entrambi per ritornare a rivolgersi la parola entro poche ore.
Non dovrei sapere queste cose, me ne rendo conto. Ma vivo con loro e non posso fare a meno di immaginare qualcosa di mio che sia tanto bello quanto lo è il loro amore.
«Cosa abbiamo qui», legge le etichette delle bottiglie con un piccolo broncio. «Faron si sta proprio impegnando».
Gli occhi le brillano e si riempiono di dolcezza quando parla del suo compagno; come lei adora definirlo.
«Ha solo dato il suo contributo nella maniera che riteneva opportuna», mi preme giustificarlo. «Ovvero mantenendomi focalizzato sul mio obiettivo. Non posso che ringraziarlo. Anche se avrebbe dovuto ricordare che non accetto facilmente alcol o altro dagli estranei».
Lei si siede sul divano e per qualche istante osserva lo schermo davanti, con le immagini della festa al piano di sotto. «Amo quell'uomo. E lui ama i suoi fratelli. Non farebbe mai niente senza prima averci riflettuto. Forse sapeva che avresti capito o l'ha fatto per aiutarti a fidarti un po' di più», c'è orgoglio nel suo tono e nel suo sguardo.
«Bene, adesso che abbiamo messo in chiaro che ami mio fratello, devo chiederti come mai sei qui? Mi stai forse controllando?»
Sulle sue guance affiora un rossore impattante e decisivo, che mi fa quasi scoppiare a ridere.
«Mi hai beccata. Volevo solo sapere come stavi», precisa. «E volevo un posto in cui non sentirmi, solo per qualche minuto, a disagio».
So che non si è ancora abituata alla vita dei Blackwell. In fondo è cresciuta in un club e per strada. Lo capisco.
Mi siedo accanto a lei. «Sto come uno che pregusta la sua vendetta. O meglio, una parte», replico. «E qui sei la benvenuta».
Lei adagia la mano sul mio braccio. «Riprendi quello che ti appartiene e fagliela pagare».
Parsival ha messo in pericolo fin troppe persone. Blue è tra queste. Il pensiero che abbia fatto rapire la bambina attraverso suo padre e la madre di Faron, suoi complici, mi fa incazzare ancora di più e pretendere una pena maggiore per lui. Ma non sono io il giudice. Lo diventerò solo al momento opportuno e la sua condanna sarà esemplare.
«Lo farò».
Blue si alza. «Ho inventato la scusa della toilette per riuscire a salire. È meglio che scenda o si insospettiranno».
La accompagno alla porta. «Grazie per essere passata».
«Figurati. A dopo».
Rimasto solo crollo sul divano e attendo il momento della mia comparsa rielaborando il piano che prevede appunto un'entrata di scena degna di un film.

* * *

Una più inferocita dell'altra, nel mio petto si susseguono emozioni contrastanti. Desidero tornare indietro e al tempo stesso gettarmi in mezzo al pericolo per sentire qualcosa di diverso. Perché in fondo, dentro di me, c'è sempre questa speranza che alimenta tutto il resto.
So che pur avendo tutto da perdere non devo dimostrare niente a nessuno. Ma lo devo a me stesso e a quella parte che ho perso, forse, per sempre. Mi merito uno spiraglio di luce intrappolato in questa nebbia. Un po' di calore in questo gelo perenne.
Un giorno, spero, di raccogliere tutto il coraggio possibile per seppellire il passato pieno di ricordi che non possono essere rievocati perché ormai, come oggetti impolverati, si sono accumulati in un angolo. Forse arriverà il momento in cui raccoglierò tutto il coraggio e non mi sembrerà di trattenere ancora il fiato, di non sentirmi pieno di vuoti. Non impazzirò dietro la costante sensazione di essermi perso un pezzo fondamentale della vita e andrò avanti.
Ammaccato.
Appesantito.
Addolorato.
Sopravvissuto.
Nonostante il mio cuore sia rimasto fermo a quell'istante, nonostante abbia passato il resto dei miei giorni all'inferno, prima di essere salvato, ho imparato che vivere significa incassare, difendersi, medicarsi, guarire e poi andare avanti.
Ricordare quel passato mi fa incazzare. Perché non è stato ucciso soltanto il mio futuro. Quel giorno sono morte due persone che stavano iniziando a tenersi per mano senza timore.
Ecco perché è importante adesso calarsi nella parte. Essere il mostro che credevano sarei diventato in quella fossa priva di luce e umanità quando "per errore" mi ci hanno buttato, in attesa che i prigionieri e le bestie facessero il resto.
Fletto le dita e stringendo a pugno la mano cammino lungo il corridoio fino alla tromba delle scale da cui scendo senza alcuna fretta, impersonando una persona sicura e pronta alla vendetta. Un figlio di puttana che non ha empatia, che non sa provare il minimo pentimento. Una persona che guarda gli altri come se fossero solo pedine.
La festa si è spostata in una sala adiacente al ristorante e molti degli invitati, come palline da biliardo, si stanno riversando un po' ovunque; chi per fumare una sigaretta, chi per scambiare qualche effusione, chi per chiacchierare o spettegolare, chi per provare le slot machine, chi semplicemente per bere un bicchiere di vino in santa pace. Perché non sono presenti solo famiglie comuni o amici di amici. Stasera questo è come un covo pieno di serpenti. Un momento di finta rappacificazione a sostegno di un mondo corrotto.
Non mi soffermo sulle espressioni quando passo accanto a qualcuno. Nessuno di loro può ricordarsi il mio volto o se l'hanno fatto associandomi sono troppo incuriositi e intimoriti per bisbigliare; o semplicemente non gliene frega niente e sono qui solo perché ricevere un invito da parte di un membro dei clan, in questo caso di Wild, è un'occasione unica che apre uno spiraglio o un portone.
Si è arricchito in questi anni. L'ha fatto alle mie spalle. Seamus, forse era d'accordo o era solo vincolato dalle clausole che lui stesso amava tanto apporre sotto ogni nuovo contratto. Fatto sta che stasera riceverà una brutta notizia. Sono in parte curioso di vedere come reagirà.
Mi infilo nella sala pregustando la mia vendetta.
Le luci viola e rosa, il fumo, la musica abbastanza alta da far tremare i vetri, mi impediscono di scorgere nitidamente ogni singola persona presente.
I miei fratelli sono da qualche parte e so che stanno già facendo il possibile per farmi ottenere questa vittoria.
Dante non dovrebbe essere qui, dato che si è diffusa la notizia del suo coinvolgimento con la giustizia. Ma è sempre lui quello a dettare le regole e questi uomini amano mettersi in pericolo, stuzzicarlo o affrontarlo in una gara di sopravvivenza.
Adesso però è il mio turno.
Scorgo la figura appesantita dagli anni e dal buon cibo di Wild. Si trova in fondo alla sala, in una zona appartata, circondata da alte finestre. Sta ridendo a pieni polmoni con degli uomini. Tre di loro hanno la mia stessa età. Sono curati e appartenenti a qualche famiglia benestante. Lo dichiarano gli indumenti e i gemelli ai polsi.
Non so molto altro di loro, oltre al fatto che erano in cima nella lista degli invitati.
Mi pento di non avere dedicato un paio di minuti in più nel leggere i dettagli, raccolti dagli agenti di mio fratello, sul loro rapporto con i Wild. Un errore che potrebbe far vacillare il mio piano.
Il mio dubbio trova conferma quando due ragazze identiche si avvicinano al gruppo.
Sono le gemelle.
Più adulte, dalla chioma fulva, anche se meno vaporosa rispetto a un tempo, e sempre vestite alla moda, si premono ai loro accompagnatori, i quali le fissano con adorazione, circondandole con un braccio. Da questa distanza non riesco a cogliere se genuina o dettata dagli affari.
Presumo non ci siano dubbi sull'entità del loro rapporto, quando uno di loro si abbassa verso una delle due, facendola ridacchiare con un bacio sul collo.
Me lo aspettavo. Le gemelle Wild non sono mai state capaci di nascondere le proprie intenzioni. Ricordo il modo in cui mi guardavano durante la prima cena, quella in cui ho fatto una scelta che non prevedeva una di loro.
Mi è noto quello che facevano al college, le loro feste sfarzose in cui erano presenti i rampolli dei clan per riuscire ad ammaliarne uno.
Mi toccherà scoprire se sono ancora fidanzate o se sono già convolate a nozze. In quel caso, manderò loro un regalo.
Fingo di bere da un calice e mi sposto dall'altra parte della sala, avvicinandomi quanto più possibile a loro, in attesa dei fuochi d'artificio e del discorso che si terrà poco prima del taglio del nastro e del tradizionale lancio della bottiglia di champagne contro lo yacht che si trova già attraccato lungo il molo. Sarà in quel momento che agirò. Non prima.
Mi avvicino al gruppo di uomini. Nascosto nella penombra e appoggiato dietro uno dei pilastri, ascolto la loro conversazione.
«Ti dico che non verrà», esclama a voce abbastanza alta una delle gemelle, incuriosendomi.
«E non gliene farei una colpa», prosegue.
«Ti sbagli. L'ha promesso».
«Se verrà sarà solo per farci contente o perché nostro padre le ha posto delle condizioni. Non è una grossa novità. Ma ripeto avrebbe tutte le ragioni del mondo per evitarci».
Le due si scambiano uno sguardo complice, un po' turbato e dispiaciuto, mentre si allontanano dai corrispettivi compagni dopo averli semplicemente raggiunti, aver scambiato con loro qualche battuta, scattato delle foto ed essere state richiamate da un gruppetto di donne in pista.
Insoddisfatto, torno alla conversazione tra gli uomini che nel frattempo hanno recuperato dei sigari, accendendoli e riempendo la zona, vicino alle vetrate aperte, di fumo.
«È tutto pronto?»
«Sì. Abbiamo controllato il perimetro prima di unirci alla festa. Niente di irregolare, le nostre guardie sono appostate», replica uno dei ragazzi, quello biondo e dal naso aquilino. «E i Blackwell sono qui».
«Dov'è?», domanda quello con gli occhi da scoiattolo, la riga di lato e i capelli pieni di gel, con una certa impazienza, controllando la sala e l'orologio.
«Avevi detto che sarebbe stata qui in orario! Sai che figura sto facendo di fronte ai miei genitori e al mio clan? Credono che abbia mentito. Di nuovo!»
Wild arrossisce e schiarendosi la gola un paio di volte molla una pacca sulla spalla all'uomo. «È solo un po' in ritardo. Sai come sono le donne», ridacchia.
Non staranno parlando di...
L'uomo afferra Wild per la cravatta. Ogni traccia della sua iniziale compostezza è appena svanita. Non si cura nemmeno degli invitati che stanno assistendo.
«Se mi stai fottendo, sappi che ti ripagherò con la stessa moneta. Non dimenticare chi ha sostenuto le tue spese stravaganti negli ultimi due anni. Se tua figlia non si presenta entro un'ora, ritieni pure concluso il nostro rapporto di affari e preparati al contraccolpo. I debiti non si pagano da soli, Wild».
Il tizio si allontana dopo averlo spinto verso gli altri due, rimasti inermi, ma pronti ad avanzare in caso di necessità.
«Figlio di puttana!», esclama Theodore, rimettendosi in ordine e passando una mano tremante sul viso chiazzato di rosso, mentre fissa le spalle dell'uomo. «Abbiamo notizie?», indaga subito dopo con una certa frustrazione.
Negano entrambi.
«Cazzo! È sempre stata una spina nel fianco. Ma se non si presenterà gliela farò pagare», annuisce tra sé. «Ha giocato abbastanza a fare lo spirito libero. La sua famiglia ha bisogno di lei». Guarda intorno a sé. «Mi serve Ersilia. Lei farà ragionare quella piccola stronza».
Stringo forte i pugni in vita.
A quanto pare Wild non è cambiato nel corso degli anni. Sta ancora torturando la figlia minore usandola come una bambola per i suoi affari.
«Per quanto riguarda i Blackwell, hanno dato fastidio a qualcuno?»
«No, sono stati parecchio riservati. Quelli lì ormai ci snobbano».
«Non mi piace», ribatte Wild. «In questo modo genereranno strane voci e alimenteranno le altre che nel corso degli anni sono state diffuse».
All'improvviso è come se intorno la gente avesse smesso di respirare, poi un forte fragore seguito dalla lite di due donne che si accapigliano urlandosi addosso parole che farebbero rabbrividire ogni pudico presente, se ce ne fossero, spezza il silenzio.
Allungo il collo per assistere e cerco di non approfittare della distrazione per aggredire alle spalle la ragione della mia rabbia, perché voglio che mi veda in faccia quando sarà il momento.
Colgo dei movimenti con la coda dell'occhio. Faron si è appena messo al mio fianco insieme a Blue. Dante e Eden devono essersi spostati al sicuro. Era questo il nostro patto. Avrebbero dovuto portare anche Blue. Evidentemente non avevo considerato la sua testardaggine e il suo voler rimanere al fianco del suo compagno.
«Penso che abbiamo un problema», afferma senza tanti preamboli, Faron. «Ma non possiamo fermare l'effetto domino che a breve farà cadere ogni tessera. Ormai il piano è avviato».
«Che cosa vuoi fare?», domanda Blue.
Fisso in cagnesco la nuca di Wild mentre nella mia testa un nuovo piano prende forma e si consolida a ogni respiro. «Procediamo. In aggiunta voglio prendere a Wild anche qualcos'altro. Qualcosa che non userà più».
«Almeno sappiamo che sarà presente. Dovremo solo fare in modo che non si avvicini troppo al padre o al catering. Forse avremmo dovuto dar loro informazioni su di lei», ribatte Faron.
«Nessuno l'ha ancora avvistata. Non avevamo nessuna nuova informazione. Dubito che il catering o il personale avrebbe capito da una descrizione approssimativa basata sul passato».
«Ho sentito che l'hanno obbligata a presentarsi per conoscere...», Blue si ferma, deglutisce, non trova le parole adatte. Sembra persino dispiaciuta.
«Lo so», la tolgo dall'impaccio.
Faron abbassa lo sguardo sulle mie nocche bianche, poi assottiglia gli occhi. «Vuoi prendere lei», più che una domanda è una constatazione.
Mi conosce ancora molto bene. Lui però non ha sentito il discorso di Wild e la lite con quell'uomo. Non sa che ancora una volta lei è solo un oggetto per lui.
Sollevo l'angolo del labbro. «Pensi sia una follia?»
Sbatte le palpebre ma non c'è esitazione nella sua risposta. «No. Devi andare fino in fondo. Ma sei sicuro di riuscire a reggere la parte?»
Me lo sono chiesto anch'io dopo aver organizzato nel dettaglio il piano che prevede l'inizio di una guerra contro Wild.
«Non sarà una distrazione».
«Ne sei sicuro?»
Mi pento delle parole appena pronunciate nel medesimo istante in cui Wild chiede a tutti di spostarsi all'esterno e nella stanza arriva come una folata di vento un profumo dolce, quasi fiorito e di miele, quando le porte si aprono e una figura slanciata fa la sua comparsa guardandosi intorno con ostentata sicurezza. Guadagnandosi occhiate lascive, bisbigli e qualche sorriso, avanza verso Theodore.
«Porca puttana, è davvero lei?»
La domanda di Faron si perde in mezzo al frastuono che ci avvolge, insieme a quello generato dal mio cuore rianimato ed eccitato a tal punto da farmi vedere la stanza oscillare violentemente.
Come un treno in corsa, rieccola così vivida quella sensazione di un tempo. Una tentazione immediata e sbagliata che non riesco a placare, né a strapparmi dalla carne.
Voglio scattare un'istantanea di questo attimo, conservare l'immagine della donna dannatamente attraente, che come una sirena attira ogni singola persona nella sua orbita, avanzare sinuosa e con una sicurezza che deve aver acquisito nel corso degli anni passati separati.
«È lei», sussurro senza fiato, fissando inerme la persona alla quale ho spezzato il cuore e che avevo promesso di proteggere.
«Ciao, padre. Da quanto tempo?»

💛🪽

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