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Capitolo 13

Faye

Ci sono cose che non si possono aggiustare. Non di continuo. Perché più copri con un cerotto una ferita, più non si cicatrizza. Più incastri dei pezzi rotti, più crepe puoi notare dopo averle incollate.
È una strana sensazione quella che negli ultimi giorni, al risveglio, mi si avviluppa dentro. Come se fossi sul punto di poter perdere tutto e la mia anima tentasse con gran sforzo di assimilare quante più emozioni possibili.
So di essere paranoica, ma al peggio non c'è mai fine. Non quando hai già visto il modo in cui la tua vita può essere distrutta da una semplice parola, da un semplice patto o dal destino. Perché tutto è così effimero.
«Pronta?»
Sentire le sue mani sulla mia vita mi infonde coraggio, e anche se ho gli occhi coperti da una benda e sto tremando, annuisco. Mi fido di lui.
Dopo il brutto attentato e il mio trasferimento, Rhett ha ritenuto necessario farmi vivere ogni esperienza trascurata dalla mia famiglia; facendomi persino comprendere che finora non avevo vissuto.
Non ho tagliato i contatti con Ersilia e le gemelle. Loro più di chiunque altro hanno fatto in modo che non mi sentissi in colpa per l'atteggiamento di nostro padre, né che soffrissi per le sue scelte. Anche se saranno sempre le sue pupille, potrò contare su di loro. Lo so perché a dispetto di tutto, oltre a cercare di proteggermi perché tutti mi hanno sempre vista come la trovatella da compatire, mi hanno dimostrato un po' di affetto. Anche se per timore non l'hanno fatto di fronte a lui, e solo di questo e per questo mi sento di rimproverare la loro scelta.
«Ti sei irrigidita, qualcosa non va?»
Come faccio a non essere attratta da Rhett?
È accorto e continua a sorprendermi il modo in cui mi capisce al volo cogliendo qualsiasi cambiamento da un semplice sguardo o dal mio linguaggio del corpo.
«Sono solo un po' in ansia», butto giù una risposta, stringendo la presa sul suo avambraccio.
«Ci siamo quasi», mi rassicura prima di posizionarmi e allontanarsi, abbastanza da mandare in tilt il mio corpo per la mancanza di contatto.
Credo di aver iniziato ad avere una sorta di dipendenza da Rhett Blackwell. Ogni suo sguardo, parola o carezza; ogni confessione, sorriso, sussurro. Relego tutto e custodisco gelosamente per poter ricordare che c'è sempre del bene anche in mezzo al male. Che lui è il mio bene in mezzo a questa vita vissuta tra fiamme dell'inferno che ardono alte impedendo di raggiungere la soglia di un paradiso privo di caos.
La benda scivola lungo il mio viso cadendo ai miei piedi nudi.
All'inizio non riesco a capire, poiché la stanza è completamente al buio. Mi sento disorientata e protendo la mano alla ricerca di qualcosa. Poi davanti a me una luce si accende. Quella di una stella. Di seguito, come se la corrente scorresse lungo un percorso a spirale, piccole luci compaiono creando la forma di un albero di Natale.
L'interruttore scatta e i miei occhi cercando di registrare il villaggio innevato che mi circonda.
Non oso muovermi dal mio posto per paura di calpestare qualcosa che sia un oggetto o un regalo. Nel frattempo, il mio cuore fa le capriole tentando di uscirmi dal petto. Tappo la bocca per trattenere uno strillo, un singulto, e trascino via persino una lacrima.
Mi volto con tutta la calma di cui sono capace. Anche se una parte di me vorrebbe solo mettersi a saltellare e strillare dalla contentezza. Tiro su con il naso e mi lancio tra le braccia di Rhett prima che possa anche solo aprire la bocca.
Nonostante sia ancora in convalescenza, riesce già a muovere il braccio. Ma in questo istante nessuno dei due riflette sulle proprie azioni e reazioni.
Quando mi lancio, infatti, lui mi prende e mi solleva facendomi scivolare sul suo corpo mentre gli avvolgo il collo con le braccia cercando la sua bocca.
Ubriaca del suo odore, con il calore del suo corpo attaccato sulla mia pelle come zucchero caramellato, quando le nostre labbra si toccano, scintille innescano una sensazione intima che si dirama ovunque, in profondità.
Ci baciamo come se fossimo soli al mondo, circondati dall'intensa frenesia dei nostri battiti. Rhett mi attira a sé con un brusco strattone, un gemito gli sfugge dalla bocca che prende come una punizione per il desiderio la mia. Mi stringo più forte a lui, desiderando di marchiarmelo ovunque. Quando sento di poter commettere qualche follia, mi sposto lasciandogli baci sul viso, mentre sorrido e mi agito per la contentezza.
Rhett mi sorride a sua volta e mi accarezza la guancia. «Pagherei qualsiasi cosa per avere in cambio e vedere questo sorriso fino alla fine dei miei giorni».
Un po' arrossisco, un po' mi emoziono e mi nascondo premendo il viso sul suo petto, sentendo il suo cuore galoppare.
Sollevo la testa. «Non fare patti con il diavolo o potrebbe prenderti l'anima solo per permettermi di renderti così soddisfatto per un sorriso».
Sul suo volto si dispiega un'espressione piena di dolce passione. Un calore che mi raggiunge e mi inonda fino a scaldarmi nel profondo.
Rhett è un incanto con addosso l'abito blu notte, i gemelli ai polsi e quel ciuffo a ricadergli sulla fronte. Glielo scosto e le mie dita scivolano sulle sue labbra.
Mi bacia a uno a uno i polpastrelli, provocandomi una piacevole scossa che si dirama lungo il braccio e poi verso altre parti del mio corpo che nell'ultimo periodo sto riscoprendo grazie a lui.
Anche se ci conosciamo da poco, è come se vivessimo da tempo insieme e non riesco a sentirmi a disagio quando al risveglio lo trovo già dietro la porta della stanza che ha fatto arredare per me, secondo i miei gusti, pronto a offrirmi qualche avventura o semplicemente a farmi vivere una giornata nel suo mondo, nella sua famiglia.
Non una sola volta a tavola Seamus ha preso l'argomento sulla mia permanenza alla villa o su mio padre, il quale sta pagando lo scotto per non aver letto le clausole.
Rhett mi ha detto che è tutto sistemato. Ma io mica ci credo che Theodore Wild si sia accontentato tanto facilmente lasciandomi andare.
Dovrei essere felice al pensiero di poter concludere gli studi senza dover nascondere le mie reali intenzioni. In fondo, Rhett mi sostiene. Ma una piccola parte di me rimane cauta e in attesa di una possibile nuova scossa.
Forse è per questo che sto cercando di vivermi ogni cosa con tutta me stessa.
«Allora, quante povere persone hai schiavizzato per realizzare tutto questo?», indico la stanza piena di addobbi e regali.
Rhett si gratta una tempia. «Schiavizzato mi sembra un po' eccessivo come termine. Direi che è stato più un lavoro retribuito con tanto di extra».
«Tu hai dato il tuo contributo?»
«Certo, non mi sarei mai fatto sfuggire il piacere di inserire la stella in cima all'albero».
Scuoto la testa e torno a nascondermi nel suo abbraccio, mentre oscilliamo sul posto. «Grazie. Lo adoro».
«E il tuo primo Natale qui con i Blackwell, ci tengo a fare bella figura».
«Hai già fatto più di quanto meriti. Non credere che io abbia dimenticato Alby sullo yacht».
Un cameriere porta un vassoio e Rhett mi mette tra le mani una tazza di cioccolata.
Per sé ha del semplice tè nero.
Mi fa cenno e ci sediamo sul comodo pouf bianco con i cuscini rossi a forma di cappello da elfo.
«Novità?»
Ormai è la nostra routine. Chiedo sempre aggiornamenti sull'attentato. So che Rhett mi sta tacendo un'informazione cruciale e spero sempre di coglierlo in fallo.
Anche stavolta non cede.
«Stiamo smantellando molteplici associazioni, spaventando chiunque. Presto uno di quei disperati canterà o qualcuno cadrà in fallo e allora...», si interrompe soffiando sul suo tè.
«Allora vi vendicherete?»
Beve un sorso prendendosi tutto il tempo per gustarsi la bevanda calda. «Sì».
«E se si scoprisse che mio padre ha a che fare con tutto questo?», non domando a cuor leggero. Il fatto è che non riesco a tenere per me il sospetto.
Rhett coglie la mia apprensione e mi avvolge le spalle con un braccio premendomi un bacio sulla tempia. «In quel caso sarebbe la sua fine. Abbiamo dato più di una occasione a quell'uomo. Le nostre regole non prevedono niente di tutto questo».
Mi azzittisco osservando una zona del villaggio che si sta riempiendo di neve. «Me lo dirai?»
«Non ti nasconderei la verità».
Mi mordo il labbro scrutandolo di sottecchi. «Allora, qual è la prossima sorpresa?»
Adagia le tazze sul tavolo da caffè posto di fianco e mi aiuta a sollevarmi. «Mi conosci bene».
«Così tanto da sapere che non ti saresti fermato a un semplice albero con villaggio annesso».
Ghigna come un gatto con i baffi sporchi di latte. «Che fortuna che ho», mormora fissandomi le labbra prima di avventarsi su di esse. Quando si tira indietro, continuando a tenermi il viso, nei suoi occhi balenano così tante emozioni da non essere capace di distinguerne più di una con certezza.
«Rhett, non ti ho ancora detto una cosa».
«Puoi parlarmene mentre ti porto a fare un giro».
Lo fermo. «Mi avevi posto una condizione. Accetto», dico soltanto. Alzandomi sulle punte mi avvicino alle sue labbra, le sfioro e in fretta mi allontano, lasciandolo proteso e pieno di voglia.
Non gli serve che specifichi. Ha già capito.
Sorride ancora con quell'astuzia programmata, sfoderando quella fossetta che manda su di giri il mio cuore. Tirandomi a sé, dopo avermi circondato le spalle con un braccio, mi guida verso una nuova sorpresa. Verso una nuova emozione da ricordare.

* * *

Di ritorno da una breve gita sullo yacht dove abbiamo guardato il tramonto, io e Rhett ci dividiamo per andarci a cambiare. Suo padre ci ha fatto avvertire che per la cena di stasera non saremo soli. Sottinteso: dobbiamo mostrarci più che uniti.
Mi domando chi si siederà a tavola con noi. Con chi avranno fatto affari.
E se tra gli invitati ci fosse mio padre?
Brividi incontrollabili mi scuotono la pelle sulle braccia, proprio mentre sento bussare alla porta.
Riconoscendo i due colpetti mi appresto ad aprire.
Rhett, con noncuranza, si appoggia allo stipite. Ha indossato il suo abito da Blackwell; un look total black che urla "malavitoso".
È attraente come un diavolo. È impossibile distogliere lo sguardo. Da qualunque posizione o angolazione lo guardi, resta magnificente.
Ficca i pugni nelle tasche dei pantaloni e sonda il mio viso prima di lasciar scorrere lo sguardo lungo il mio corpo nascosto da un tubino nero alla Eva Kant. Ho persino raccolto i capelli scuri e indossato il bracciale che Rhett mi ha regalato insieme all'anello che non ho più tolto da quando gli ho risposto di sì.
«Dove sta andando, signorina?», domanda in italiano e con un timbro di voce che mi fa perdere concentrazione e mi fa entrare in un tunnel di sentimenti inesplorati e selvaggi. Quel brivido continua a esserci ogni volta che mi guarda, che mi parla o semplicemente se mi sfiora. A volte mi si deposita sul basso ventre, altre tra le gambe.
«Stavo andando a cena con il mio fidanzato», l'ultima parola scivola dalla mia lingua con facilità. Ormai mi sto adattando a questa nuova fase della mia vita. Non era quello che mi sarei aspettata, non prima di aver costruito una carriera. Ma posso ancora fare tutto, anche se il mio cuore inizia a essere impegnato e ha paura di perdersi o di ridursi in frantumi.
«È un bravo fidanzato?»
«Quando abbassa le difese diventa la persona che più amo al mondo».
Di colpo mi rendo conto di quello che ho detto. Arrossisco dalla testa ai piedi e distogliendo lo sguardo, cercando un appiglio che non trovo facilmente, lo supero come se niente fosse e mi avvio lungo il corridoio.
«Dobbiamo sbrigarci».
Rhett si stacca dalla soglia quasi controvoglia e la sua mano agguanta il mio braccio per un pelo. Le sue dita scivolano sul mio polso, mi strattona e mi avvicina a sé. «È fortunato ad averti», replica schiarendosi la gola. Poi intreccia le nostre dita e mi guida al piano di sotto.
Seamus non ci riprende mai quando nota i nostri piccoli gesti carichi di affetto. Non succede spesso, dato che siamo quasi sempre molto attenti al nostro comportamento.
Sembra piuttosto soddisfatto di come sono andate le cose e nutro il forte sospetto che lui possa in qualche modo tenere al figlio, a tal punto da volerlo vedere felice; anche se con una ragazza che non ha più niente da offrire. Forse mi illudo. Anzi, mi illudo. Ma finora Seamus non mi ha trattata diversamente. Non che l'abbia visto così tanto nel corso della settimana. È sempre impegnato con il lavoro o in viaggio. I figli entrano ed escono dalla villa in modo silenzioso, eseguendo i suoi ordini. Ma puntualmente quando il padre li richiama loro sono seduti a tavola e in attesa di istruzioni. Proprio come in questo momento.
Rhett mi scosta la sedia sedendosi subito dopo al mio fianco. Finge di non essere nervoso, ma sto imparando a leggere ogni sua più piccola espressione. Gli si forma sempre una minuscola ruga al di sopra del folto sopracciglio quando sta vagliando ogni possibile situazione e prevedendo ogni scenario.
Faron gli scocca un'occhiata e i due parlano a bassa voce. Dante arriva poco dopo e si siede accanto al fratello dandogli una poderosa pacca sulla spalla. A differenza degli altri due, non porta la cravatta. Le sue dita sono piene di anelli e i capelli un po' scompigliati. Come se si fosse appena svegliato da un sonnellino e fosse stato obbligato a presentarsi.
«Dov'eri finito?», gli chiede Faron, protendendo la mano per aggiustargli il colletto della camicia. È metodico e precisino. Caratterista che non manca neanche a Rhett.
Dante, infastidito dal suo tocco, si allontana. «A scoprire chi sarebbero stati gli invitati», replica con nonchalance, lasciandosi cadere sulla sedia imbottita. Nota una piccola macchia d'inchiostro sul polpastrello e la toglie.
«E l'hai scoperto?»
«Mi sembra ovvio. Io scopro tutto».
«Eh? Vuoi tenerci sulle spine?», domanda Rhett, un po' impaziente, con la gamba che fa su e giù sotto il tavolo.
Dante nega con una lieve scossa del capo. «Sto solo cercando il modo giusto per non sembrare il solito bastardo spietato, insomma... quello privo di empatia».
Il mio stomaco si contorce. In qualche modo mi sento presa in causa. «È mio padre?»
Dante mi scruta con quei suoi occhi verdi intensi, valutando ogni mia possibile reazione a ciò che sta per replicare. Ma dentro di me lo so già, sento che questa serata non sarà poi così facile da sopportare.
«Non solo, c'è anche Joleen con la sua famiglia. Purtroppo non sono riuscito a scoprire nient'altro. Ci toccherà stare all'erta».
Ecco il perché del lungo tavolo imbandito e del fermento da parte dei domestici.
Rhett mi stringe la mano sotto il tavolo. «Andrà bene».
«Dici? A me sembra che tuo padre abbia organizzato l'ultima cena», ribatto desolata per aver fatto rivivere involontariamente l'incubo della perdita della madre a Rhett. Mi affretto a scusarmi, ma lui con un cenno ribatte che è tutto okay. Io invece mi sento un'idiota.
«Sono stata indelicata».
Toglie un pelucco invisibile dalla manica della giacca. «Ho pensato la stessa cosa quando Dante ha riportato quello che sapeva», mi tranquillizza. Ma sento che ancora una volta ha costruito una parete per non farmi notare quanto sia profondo quel dolore che si porta dietro. Vorrei essere abbastanza da strapparglielo.
La mia mano si adagia sulla sua e sembra confortato dal mio gesto.
Attendiamo ancora un po' prima che Seamus ci raggiunga insieme a mio padre, Ersilia, i genitori di Joleen e quest'ultima.
Le mie mura si innalzando e cerco di non sprofondare nello sconforto. Specie quando tutti si siedono dopo averci salutato. Be', tutti tranne mio padre e Joleen, adesso impegnata a osservarsi le unghie laccate di rosso.
Abbasso di riflesso lo sguardo sulle mie, di un colore tenue, quasi lattiginoso.
Da quando mi ha drogata e fatto quasi violentare non ci siamo mai incontrate a distanza così ravvicinata. Inoltre, ho buttato tutto quello che me la faceva ricordare, smalti compresi, i suoi preferiti, perché erano i miei.
Joleen ha sempre voluto quello che non può ottenere, solo per primeggiare. Mi domando quanto ancora possa reggere prima che attacchi come un serpente e si prenda ciò che tanto brama. Parlava sempre di voler mettere le grinfie su uno dei rampolli dei Clan. Non mi stupirebbe se facesse la sua mossa proprio stasera e davanti ai suoi genitori. Che mi strappasse via l'ultimo brandello di felicità che ho ottenuto.
Ersilia mi sorride. «Ti trovo bene».
«È in ottime mani, signora Wild», interviene Seamus. «La tratto come se fosse mia figlia», aggiunge, forse lanciando una frecciatina a mio padre. «In fondo, presto lo diventerà. Si è già dimostrata all'altezza di questa famiglia».
Mio padre lo guarda torvo prima di scoccarmi un'occhiata carica di disprezzo che fa ghignare Joleen, la quale non sta perdendo nessuna parola del dialogo per poterla rigirare a suo piacimento al momento opportuno.
Dedico appena un istante per osservarla. I suoi capelli sono ancora più ossigenati di qualche mese prima. Spesse ciglia finte si muovono a ogni movimento delle sue palpebre. Le sue labbra sono gonfie e ancora inarcate in quel ghigno dispettoso. Indossa un abito rosso fiamma e tacchi che solitamente non potrebbe permettersi.
Mi domando chi glieli abbia regalati o cosa le abbia fatto guadagnare una somma sufficiente da poterli acquistare.
I suoi genitori al contrario sono i più umili qui dentro, e come me stanno cercando di non apparire come pesci fuor d'acqua. Di tanto in tanto la madre mi chiede qualcosa sugli studi o si complimenta e Joleen sbuffa dietro il calice, continuando a borbottare e a ricevere gomitate da parte di suo padre.
La mano di Rhett, quando nota il modo in cui sto faticando a trattenermi, si sposta sulla mia coscia e comincia a disegnare cerchi sulla pelle, regalandomi un certo conforto.
Più mi tocca più sento questo calore diffondersi e aumentare d'intensità sottopelle. La pressione delle sue dita mi provoca un brivido e una stretta così forte al petto da perdere il mio centro di gravità.
La mia mano, per tutta risposta, si posa sulla sua gamba ma non la muovo per paura che qualcuno guardandoci possa in qualche modo fraintendere il nostro scambio.
Rhett si abbassa e fingendo di dovermi chiedere qualcosa prima mi bacia la spalla in modo rispettoso e delicato, poi mi sussurra: «Mi sto eccitando».
Arrossisco mentre lui sorride e come se niente fosse si volta per parlare con suo padre e i suoi fratelli.
So che l'ha fatto di proposito.
La cena inizia a le chiacchiere affiorano e vengono portate avanti mentre a tavola arrivano molteplici raffinate portate. Tutto fila liscio e nessuno si lascia scappare qualche indiscrezione o richiesta irragionevole. Solo di tanto in tanto si porta avanti un battibecco. Ma niente di eccessivamente irrisolvibile.
Mangio poco e mi limito ad ascoltare e a rispondere solo quando Ersilia mi pone qualche domanda, curiosa di sapere come mi trovo in casa Blackwell. Le mie sorelle non sono presenti e quando chiedo di loro, lei mi parla di una festa organizzata da una nostra nota conoscenza a cui non sono stata invitata.
Durante la pausa mi sposto nel bagno di servizio in cui sciacquo i polsi cercando di calmarmi, contando più e più volte. Sono talmente agitata da sentirmi male. Ma so che posso farcela a reggere ancora un po'.
Quando penso di aver perso sufficiente tempo e di essere in perfetto orario per tornare a tavola, esco distratta dal bagno e mi ritrovo Joleen a sbarrarmi il passaggio. Raddrizza la schiena scostandosi i capelli dalla spalla, assumendo un atteggiamento minaccioso.
«Dobbiamo parlare».
Sentire il modo in cui mi sta ordinando di fare qualcosa che non voglio fa ribollire la stessa rabbia che avevo sepolto insieme a ogni suo ricordo. Perché lei non è mai stata realmente dalla mia parte. Lo sapevo, ma come sempre ho cercato di convincermi che per una volta non sarebbe andato tutto per il verso sbagliato. Invece avrei dovuto ascoltare quella voce interiore che mi chiedeva solo un po' di cautela. La stessa voce che, al momento, mi urla di non cedere al ricatto. Perché so già che ce ne sarà uno dietro l'angolo. Joleen è piena di risorse.
«Non abbiamo più niente da dirci», la supero. «Hai perso quel privilegio quando hai tentato di farmi del male. È già tanto che tu non sia dentro una cella e che i tuoi genitori non lo abbiano saputo. Sai, mi chiedo cosa penserebbero di te, di cosa sei diventata».
Mi afferra per un braccio, mi strattona e mi ringhia addosso: «Non sarà mai tuo! Tu non sei alla sua altezza!»
Mi fermo, non la affronto cadendo nella sua trappola. Non dispiego nemmeno le labbra in un sorriso mesto.
Joleen è tante cose. Ma è prevedibile. Non riesce proprio a nascondere la sua vera natura. L'invidia, purtroppo, è il suo cruccio più grande. Se la porta addosso come una seconda pelle.
Vuole quello che non può avere o non gli appartiene. Non aveva puntato il suo sguardo su un ragazzo qualsiasi, ma su Rhett.
«Sai meglio di me che tuo padre ha perso il favore dei Blackwell. Quanto ancora reggerà Seamus prima che ti butti via come una vecchia bambola per scegliere qualcuno che sia appropriato per suo figlio e i suoi scopi? Sei un problema, Faye», sputa fuori con algida astuzia.
«Come fai a sapere tutto questo?»
«Tra le due, sono la più appropriata. Quindi tieniti in guardia, dolcezza, perché ho intenzione di giocarmi bene le mie carte. Ho appena iniziato», replica, ignorando la mia domanda.
Prima che io possa reagire, con il cuore che si agita e il sangue che mi ribolle nelle vene, sentiamo dei passi che si propagano nel corridoio e mi tappo la bocca.
Ersilia si affaccia e ci raggiunge. «Stavo per perdermi. Faye, mi accompagni in bagno?»
Se nota la tensione tra noi non lo mostra. Ersilia non ha mai guardato oltre le apparenze o i gesti. E mi domando se mio padre non abbia fatto male a tenerla lontana da qualsiasi pericolo. Perché in un ambiente come questo lei, tanto ingenua, è una possibile vittima.
«Vi lascio sole. Noi qui abbiamo finito».
Joleen ne approfitta per tornare a tavola. Non vorrei lasciarla un minuto da sola con i Blackwell, ma quando Ersilia mi circonda il braccio non posso far altro che accompagnarla.
La mia matrigna entra nel bagno. Si piazza di fronte allo specchio e si ritocca il trucco nonostante non ne abbia bisogno. Quando si volta, comprendo che è venuta a cercarmi per una ragione.
«Ti trattano davvero bene?»
«Come una principessa».
«Ho provato a farlo ragionare, sai. Non mi ha dato retta».
Mi stringo nelle spalle con finta indifferenza, nel mentre un coltello sta rimestando nel mio petto. «Sappiamo entrambe che non mi ha mai voluta. Non darti pena, io sto bene. Me la caverò. Non ho bisogno di lui».
Sospira. «Io ci sono. Non sarò tua madre ma ho cercato di esserlo sin dal primo istante. Ti voglio bene, Faye».
Un nodo mi si forma in gola. «Lo so e ti ringrazio per non avermi lasciata su quel marciapiede».
«Non lo avrei mai fatto. E se a volte sono stata dura con te, mi dispiace. Non volevo che il mondo ti facesse soffrire».
In silenzio, torniamo a tavola.
Un bruciore gelido seguito da un lungo brivido mi si insinua dentro e porto la mano al petto. Premo e massaggio, distratta e intenta a domare la serie di paranoie che mi stanno aggradendo a ogni respiro, a ogni passo fatto per tornare da lui.
Mio padre scocca un'occhiata a entrambe aggrottando la fronte. Protendendosi, quando Ersilia si siede, le sussurra qualcosa. In risposta, lei lo fulmina con lo sguardo negando. E capisco che sta mentendo per coprirmi.
Rhett mi circonda le spalle con un braccio. «Tutto bene?»
«Ho avuto un incontro ravvicinato con Joleen. Ersilia ci ha interrotte prima che lei potesse aggiungere qualche altra cattiveria sulla mia precaria posizione».
«Prima ha tentato di parlare con noi ma l'abbiamo lasciata a secco. Credo sia la ragione del suo broncio. Ci ha persino provato con Faron».
«Dovete fare attenzione. Non è lui che sta puntando. Ma pur di arrivare dove vuole è disposta a fingere».
«Lo so. Ha qualcosa in mente».
«Conquistarti perché, oltre a piacergli, hai una famiglia potente? Ragiona, le aprireste tantissime strade e avrebbe una marea di possibilità. In più vi sarebbe utile, dato che studia legge».
Rhett storce il naso. «Non è te», mi sussurra accostandosi al mio orecchio, facendomi sfarfallare le palpebre. «Può anche provare a corromperci, non otterrà mai niente da parte mia». Le sue labbra sfiorano la mia tempia, poi guardando la diretta interessata mi bacia a fior di labbra.
«L'ho fatto presente a mio padre. È l'unica condizione o anche lui perderà tutto».
Lo dice come se non stesse parlando del suo futuro ma del tempo. La sua calma però cela una brutta tempesta.
Cosa?
Seamus fa portare l'ultimo piatto e riprende il discorso con mio padre e il padre di Joleen, il quale da poco si sta inserendo in questo ambiente. Si vede che non è a suo agio. Eppure dialoga a testa alta, sostenendo ogni sua idea. Solo di tanto in tanto si schiarisce la voce e beve a piccoli sorsi il vino, nascondendo il nervosismo.
Quando la cena si conclude, cerco un angolo in cui riflettere mentre tutti gli altri si spostano in un salotto attiguo alla sala da pranzo.
Rhett mi cerca, mi trova e raggiungendomi e sedendosi, mi solleva e depone sulle sue gambe.
«Rhett, che succede adesso?», glielo sto chiedendo quasi a mani giunte. La mia è una preghiera più che una domanda. Lo sto implorando di rassicurarmi perché il mondo ancora una volta potrebbe tremare sotto i nostri piedi.
E lui coglie al volo ogni mia paura e la scaccia come un nobile cavaliere.
«Succede che adesso io e te possiamo cambiare le cose».
«E siamo abbastanza forti da riuscirci?»
«Lo siamo, piccola piuma».
Prima che possa anche solo formulare una risposta, la porta della sala si spalanca e una delle guardie cerca il padrone di casa. Corre da lui, si abbassa e gli sussurra all'orecchio. Seamus balza in piedi e, seppur traballante, si avvia a grandi passi verso la finestra. Poi ordina che vengano barricate tutte le porte e mandati altri uomini all'entrata.
Mi volto e mi soffermo sull'espressione rilassata di mio padre e quella divertita di Joleen.
Osservo attenta la scena mentre fuori, a distanza, un boato squarcia il silenzio.
Siamo sotto attacco e il nemico è tra di noi.

💛🪽

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