Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 12

Faye

Le promesse sono un debito. E i debiti bisogna sempre pagarli, anche a caro prezzo.
È a quello che penso mentre Rhett, armato di una fiducia che sfodera come una corazza, annuncia i nostri piani futuri.
Mentre lo fa, il mondo intorno a noi sembra sganciarsi per un attimo dal proprio asse, la terra trema e mi sento precipitare. Durante la caduta, non è la paura a cogliermi di sorpresa, bensì un senso di pace che non avevo mai sperimentato prima. Come se fosse giusto. Come se un errore fosse appena stato corretto. Come se al di sotto ci fosse una rete di salvataggio.
Non mi preoccupo della reazione di Seamus, tantomeno di quella di mio padre. Con quell'aria tronfia, quest'ultimo, è più che pronto a mettere finalmente le mani sul premio in palio con l'accordo stipulato alle mie spalle con i Blackwell. Non importa come. Gli basta che sottomettendomi abbia vinto ancora una volta.
Non dovrei riflettere sul fatto di essere stata venduta come un animale. Una parte di me sta tentando di non demolire ogni passo avanti fatto in questa serata che sta subendo uno scossone dopo ore piacevoli e ricche di sorprese.
Mi è difficile fare un confronto, dato che non ho mai ricevuto nient'altro che disprezzo da parte di mio padre. Non ho mai partecipato a nessuna festa come membro effettivo di una famiglia. Non ho mai sentito il suo affetto. Non ho mai vissuto circondata dall'amore. Ho dovuto nascondermi o tenermi alla larga per non metterlo in imbarazzo. Non mi sono mai sentita di far parte dei Wild, perché mi è stato costantemente fatto notare il modo in cui sono nata.
Eppure, prima c'è stato un momento in cui ho pensato di poter avere finalmente qualcosa di mio. Un minuscolo angolo in una famiglia che come la mia non ha niente di sano, ma che mi ha accolta a dispetto di tutto. Perché sono stata una scelta non un'alternativa.
Forse sto sbagliando a giudicare il quadro completo sulla base di un po' di attenzione ricevuta. Presto mi renderò conto dell'enormità della situazione e ritornerò sui miei passi. Per adesso però, voglio godermi il momento, vivere ogni esperienza al massimo perché so che sarà tutto effimero.
La richiesta di Rhett continua a rimbombarmi nella testa. Lui vuole una notte, una sola con me, prima che tutto finisca. Sono disposta a concedergliela?
In questo locale interno alla villa, con le pareti di pietra e l'enorme bancone lucido, circondata dall'odore intenso dei sigari e quello quasi dolciastro dell'alcol, dai cubi e dai pali intorno ai quali si stanno esibendo delle donne bellissime e seminude, attirando l'attenzione degli uomini ubriachi e anche di qualche donna che non ha chiusure mentali, i bisbigli e le occhiate mi si conficcano nella pelle come aghi di pino, spingendo il mio cuore ad agitarsi. Una contrazione ritmata che sento come un dolore e che mi spinge a restare vicina a Rhett.
Lui mi sta tenendo avvolta nel suo abbraccio, a contatto con il suo petto ampio e scolpito, sotto cui sento scalpitargli il cuore; a confortarmi con il suo profumo inebriante e quello sguardo attento capace di scacciare qualsiasi malessere o cattivo pensiero.
I miei occhi catturano tanti volti, alcuni si appannano appena sullo sfondo, altri, come quello di Joleen, seduta in un angolo accanto a un ragazzo, con le braccia incrociate e l'aria di chi sta elaborando un piano, diventa invece nitido.
So che ne ha uno in mente. Conosco quell'espressione. Mi auguro non distrugga l'unica cosa che sta avendo un senso nella mia vita.
«Stai bene?»
Mi piace il tono della sua voce. Mi riporta sempre indietro, salvandomi da qualsiasi abisso. E so che mi sto illudendo come una ragazzina. Ma lui è il primo che ho baciato. Il primo con cui mi sono confidata. Mi è impossibile non avvicinarmi alla sua orbita e gravitarvi intorno. O illudermi di poter essere qualcosa di diverso ai suoi occhi.
Vorrei avanzare una richiesta ma ho il timore di chiedere troppo, pertanto mi limito a rispondere come se fossi distaccata e perfettamente calata nel mio personaggio. So che lui non se la beve. La sua mano si è appena stretta alla mia vita. Un breve gesto che mi sta suggerendo quanto sia attento e perspicace.
Rhett starebbe davvero bene seduto dietro una cattedra. Un professore capace di gestire un gruppo di studenti scalmanati, di plasmare le loro menti, di offrirgli disciplina, di aiutarli a trovare una strada diversa da quella impervia che gli si pone davanti. Sarebbe un uomo equo, deciso nelle proprie scelte e sempre pronto a tendere una mano.
Invece è costretto a vivere sotto i comandi di un genitore che non l'ha mai davvero capito né conosciuto nel profondo della sua anima. Mi domando a cosa abbia rinunciato per lui. Se sia in minima parte felice di quello che ha ottenuto fino ad ora. Se ha qualche rimorso o se dopo il nostro piano, sempre ammesso che abbia successo, cosa pensa di fare.
Di nascosto lo ammiro. Ammiro la sua forza, il suo portamento regale e la sua intelligenza. Non dubito neanche sul fatto che sia spietato e cocciuto. Ma ai miei occhi la sua immagine iniziale sta cambiando. All'inizio ho solo visto un arrogante spinto dalla sete di potere. Al mio fianco, attualmente, ho un ragazzo che metterebbe in ginocchio chiunque pur di difendermi e di proteggere ciò a cui tiene.
«Che ne dici di andare?», mi propone.
«Di già?», mi ritrovo a chiedere, un po' sorpresa dalla sua fretta improvvisa.
Non dovrebbe fermarsi ancora per qualche minuto e pavoneggiarsi come farebbe qualsiasi uomo?
«Non mi va di restare», replica in modo fin troppo sbrigativo.
So che sta mentendo. L'ho visto scandagliare la sala e soffermarsi su qualcosa o per meglio dire qualcuno.
Decido di essere accondiscendente. Sono sicura che a breve mi spiegherà cosa sta succedendo. Sono poche le cose che mi ha nascosto finora. Quasi tutte per il mio bene, lo riconosco.
«Sì. Dove mi porti?»
«Andiamo», c'è urgenza nel suo tono. Scambia persino un gesto con i fratelli, i quali si sono alzati dai loro posti e hanno sui volti espressioni gelide.
Mi accorgo che sono come un branco di lupi. Rhett è il loro Alfa.
Mi agito e provo a chiedere una spiegazione al loro atteggiamento.
Come un tuono, la terra sotto i miei piedi si muove. La parete sulla mia destra si apre e i calcinacci volano ovunque. Le urla si innalzano al primo sparo, seguito da una raffica e da rumori di vario genere che le mie orecchie colgono e registrano ma non associano nell'immediato a causa dello shock. Mi ritrovo a terra, piena di polvere, con un peso addosso. Confusa, provo a voltarmi. Sono del tutto impreparata a vedere Rhett farmi da scudo. C'è qualcosa che non va e comprendo cosa non appena si sposta per permettermi di respirare. Rivela una macchia scura che si allarga sempre di più sulla sua camicia.
Dalla mia gola sale un urlo. Lo ingoio prima che possa uscire e recidermi le corde vocali.
Rhett, prova a dirmi qualcosa, ma mi si accascia addosso privo di sensi, mentre intorno a noi continuano gli spari e le urla.
Le cose brutte ti colpiscono anche se non sei tu quello armato di pistola e non stai facendo fuoco. Le cose brutte accadono. La sicurezza, la protezione, è solo un'illusione.
Non so per quanto tempo rimango priva di udito, con le orecchie che fischiano e le mani che tremano nel tentativo di aiutare Rhett e di tenermi lontana dal fuoco nemico, dai cocci taglienti, dalle esplosioni e dalle persone che pur di salvarsi potrebbero persino salirmi sopra. All'improvviso vengo trascinata e la mia mano ha appena il tempo di afferrare per l'ultima volta quella di Rhett mentre Faron se lo carica in spalla e aiutato da Dante, il quale mi tiene in piedi, ci portano fuori dal locale attraversando una porta secondaria posta dietro un enorme drappo color porpora che si richiudono subito alle spalle.
In questo cunicolo di pietra, un corridoio con luci appese alle pareti a ogni metro, raggiungiamo un'altra porta e ci ritroviamo in una stanza simile alla sala d'attesa di uno studio medico. Persino l'odore non è poi così diverso, fatta eccezione per una piccola mensola sulla quale, oltre a vari libri, vi è un diffusore per ambienti che emana una fragranza tenue al bergamotto.
Faron adagia Rhett su un divano di pelle color grigio topo. Gli controlla il polso, le pupille e corre verso la parete opposta per sollevare la cornetta di un telefono simile a una ricetrasmittente. Usa un gergo che non riconosco per dare un ordine. Ascolta la persona dall'altro capo, annuisce come se potesse vederlo, poi riattacca e corre verso la vetrina piena di flaconi. Scandaglia ogni singola scatola, apre i cassetti sulla parte bassa e lancia oggetti a terra; incurante del disordine che sta generando.
Nel frattempo, Dante mi ha fatta sedere sul divano, ai piedi di Rhett.
Scaccio le sue mani in procinto di assicurarsi che io non abbia ferite gravi. Poi mi sposto mettendomi in ginocchio per terra.
Prima che possano dire qualcosa, apro la camicia imbrattata di sangue di Rhett e trattengo un singulto nel vedere il foro trapassargli la spalla e un fiotto di sangue sgorgare e scivolargli lungo l'addome, fino alle mie mani che si imbrattano come vernice.
«Datemi qualcosa per tamponargli la ferita», ordino, controllandogli il polso. «Non può perdere altro sangue», continuo. «Si sta indebolendo».
Faron getta sul tavolo basso quello che stava prendendo e mi spinge tra le mani un panno pulito, ponendo di seguito una bacinella piena d'acqua di fianco.
Strizzo il panno e glielo premo sul foro.
«Aiutami a vedere se il proiettile è uscito».
Da piccola origliavo le conversazioni di mio padre e spesso i suoi discorsi con quegli uomini si concludevano con le immagini raccapriccianti di una sparatoria. Allora tornavo in camera mia e mi documentavo su come intervenire o cosa fare in caso mi fossi trovata nel mezzo di una polveriera. Ecco perché so come reagire e come muovermi.
«Il medico arriverà a momenti», mi rassicura Dante aiutandomi.
Il foro sembra essere uscito senza lasciare danni importanti. Ma Rhett è fin troppo pallido, ha una ferita sulla tempia ed è ancora privo di sensi. Mi auguro che il dottore arrivi in fretta.
Premo la mano sulla sua guancia. «Non azzardarti a lasciarmi, lurido stronzo egoista. Mi devi ancora quel gelato, devi mantenere la promessa che mi hai fatto e devi sapere che ho pensato alla tua proposta. Ho preso una decisione».
Faron apre la porta di seguito a due colpi decisi sulla superficie e un uomo basso, dalla spessa montatura tenuta sulla punta del naso aquilino e un camice un po' stropicciato e macchiato, entra spedito con una valigetta che posiziona sul tavolo basso aprendola a ventaglio. All'inizio mi chiede di fargli largo e di mettermi da parte, poi di aiutarlo.
Come avevo constatato, e per fortuna, il proiettile è uscito e Rhett non mostra segni di lesioni interne o emorragie gravi. Mi dice che è stato fortunato mentre disinfetta le ferite, lo ricuce e gli attacca una flebo.
Dubito che al risveglio Rhett farà i salti di gioia per averlo sedato.
«Si sveglierà?», domanda Faron, facendo eco alle mie domande. È chiaramente allarmato e sta cercando di non sfoderare l'angoscia dietro una facciata di pietra per supportare me e Dante; anch'esso preoccupato.
«Dategli qualche ora e si rimetterà. Quando si sveglia somministrategli degli antidolorifici e non fategli muovere la spalla per nessuna ragione fino alla completa guarigione. Tornerò a controllarlo dopo essermi occupato degli altri feriti rimasti alla villa. Voi, state bene?»
Annuiamo tutti e tre. Siamo illesi. Faron e Dante mostrano segni di stanchezza dovuta alla lotta. Sulle nocche, già disinfettate, hanno delle escoriazioni. Io ho solo qualche graffio.
Il medico si dilegua e restiamo tutti e tre in silenzio, a vegliare su Rhett, fino a quando, qualche ora dopo, torna avvisandoci di aver fatto il possibile per gran parte dei feriti e che c'è stata qualche perdita. Chi è morto non lo dice e il mio cuore sprofonda. So che mio padre non permetterebbe mai a nessuno di far del male alle mie sorelle, tantomeno a Ersilia. Le ama più di quanto abbia mai amato qualcuno all'infuori di se stesso.
In mezzo al caos, prima di essere tratta in salvo, l'ho visto stringere e far scudo a Ersilia mentre cercava di raggiungere le mie sorelle addossate alla parete e in stato di shock. Non ha neanche pensato per un solo istante a me. Questo dovrebbe farmi arrabbiare, ma sono solo stanca e delusa e ancora spaventata per Rhett.
Torno nel mio angolo a tenere stretta la sua mano. Mi appoggio al bordo del divano e chiudo gli occhi mentre Faron e Dante parlano.
Con il sottofondo delle loro voci, precipito in un sonno inquieto fatto di urla, sangue e paura.

* * *

«Non si è mossa da lì neanche per un minuto», sta dicendo Faron. «Quella ragazza deve proprio tenere al tuo muso merdoso».
«E non avete pensato di metterle una coperta addosso? Sta tremando e deve stare scomoda in quella posizione».
«Sei sempre il solito rompicoglioni, Rhett. Sei appena tornato indietro perché la morte non ti ha voluto e cosa fai, torturi i tuoi fratelli con le tue buone maniere?»
Rhett tossicchia. «Sono cose che dovete imparare se volete avere una relazione sana un giorno».
«È la flebo a parlare», borbotta Dante.
«L'ho staccata da un pezzo. Odio quella roba. Non avreste dovuto farmi somministrare nessun farmaco», gli fa notare Rhett. «A ogni modo, il mio, è solo buon senso. Dovete imparare pur da qualche parte a comportarvi da gentiluomini. Nostro padre non è un buon esempio».
«A proposito, il vecchio ha chiamato. Sta bene. Dovrà zoppicare per un po' o forse per sempre, ma questo ce lo dirà il tempo. Ha chiesto di Faye. Non ha notizie di Wild, ma i nostri l'hanno visto fuggire e glielo hanno riferito. È incazzato sia per l'attacco che per questo».
«Figlio di puttana!», ringhia Rhett, dando una breve stretta alla mia mano. «Non ha pensato a lei neanche un solo istante. Uno di quei proiettili le sarebbe stato fatale».
«Abbiamo pensato noi a lei. È una Blackwell ora».
Mi si riscalda il cuore e adesso ho i brividi per un altro motivo.
«Stai pensando. Spara!», interviene Faron, conoscendo bene il fratello.
«Farò in modo che non ottenga niente. Gli toglierò tutto un pezzo alla volta».
«Seamus te lo impedirà. Vuole vendetta, ma non è scemo».
«Non di fronte a questo. Non se lo minaccerò di tagliare i ponti con lui e di cedere tutto a Parsival».
«Sai che ti chiederà qualcosa in cambio? Seamus è come il diavolo in persona».
«Non stavolta».
I tre riflettono. Io decido di riscuotermi.
Sollevo la testa e trattenendo il fiato mi ritrovo i suoi occhi color tempesta puntati addosso. Ogni centimetro della mia pelle si copre di uno strato di tensione e a ogni brivido il mio cuore sussulta.
Rhett ha il viso contratto dal dolore, ma riesce comunque a regalarmi un debole sorriso che come una carezza rallenta la mia ansia.
La premura che provo per lui è riflessa nelle sue pupille che con un guizzo sembrano catturarmi in questo istante dove il sollievo si mescola a qualcosa di inaspettato. Un sentimento che si agita dentro e chiede di essere liberato e vissuto.
Vorrei lanciarmi verso di lui, ma mi trattengo e appoggio la guancia contro il suo palmo caldo prima di protendere la mano e accarezzargli il viso.
«Come ti senti?»
«Con un braccio fuori uso ma carico e pronto a trovare il colpevole. Tu come stai?»
Con la coda dell'occhio noto Faron e Dante sgattaiolare dalla seconda porta. Non l'avevo notata quando siamo entrati.
«Non farlo più», uso un tono stridulo. «Non farmi mai più scudo con il tuo corpo».
Mentre pronuncio tali parole, mi domando se sono forte abbastanza da permettergli di entrare. Se ho commesso l'errore di cadere nella sua trappola.
Prima che la paranoia cominci a farsi strada, Rhett, da gran coglione, sorride in modo sfacciatamente sensuale. Mi afferra con il braccio buono, e con sorprendente forza, unita a una generosa dose di egoismo, mi attira a sé facendomi sdraiare sul suo corpo.
Mi sistemo in modo da non sfiorargli la spalla ferita e mi rannicchio sentendomi parecchio spossata e dolorante.
«Dico sul serio, Rhett. La prossima volta...»
«Non ci sarà una prossima volta», afferma con aria selvaggia, interrompendomi. Mi guarda penetrandomi l'anima. «Nessuno proverà più a farti del male o ad attentare alla nostra vita. Me ne assicurerò. Proprio come mi assicurerò che tuo padre riceva un'altra lezione. Stavolta nessuno mi fermerà».
Non placo la sua furia. Nascondo il viso contro l'incavo del suo collo e inalo il suo odore. «Non voglio pensare», sussurro più a me stessa.
Rhett mi sente. Mi fa sollevare la testa tenendomi per il mento e mi bacia.
«Che ne dici se domani andiamo a prendere tutte le tue cose dalla tua stanza?»
«Per portarle dove?»
«Qui».
«Rhett, anche se adesso vivo al college, non appena mi laureerò cambierò casa. Io, io non posso. E se le cose dovessero andare male? Oggi sei stato fortunato, ma domani? Potresti persino stancarti di me. Allora non avrò un posto. Forse è meglio trasferire le mie cose in un deposito».
«I Blackwell hanno un motto, piccola piuma».
«Quale sarebbe?»
«Famiglia», mi bacia.
«Onore», mi bacia.
«Dovere», mi bacia.
Riprendo fiato. «E questo cosa significa?»
«I Blackwell si prendono cura della famiglia, la mettono al primo posto», mi avvicina al suo viso. «Tu sei la mia famiglia e non ho nessuna intenzione di permettere a quel bastardo di approfittarsi di te solo perché si è svuotato le palle e ha permesso a tua madre di tenerti. Imparerà a non fare affari senza prima aver letto le clausole».
Il cuore rischia di bucarmi il petto. «C'è qualcosa che non sa, vero?»
Rhett annuisce. Non lo nasconde. «Te l'ho detto, gli conviene scavarsi la fossa da solo prima di domani. Fare affari con noi non è una passeggiata».
Una smorfia lo costringe a lasciare la presa. Lo spingo giù sistemandogli i cuscini dietro il collo e la schiena. «Ne parliamo più tardi. Adesso riposati. Sarò qui».
Chiude gli occhi. «Promettimelo».
Mi mordo il labbro. «Sarò qui», ripeto con più fermezza.
Lui si rilassa. «Non ti ho detto la cosa più importante di tutte stasera», dice a occhi chiusi.
«Quale sarebbe?»
«Che sei bella».
Mi fa arrossire e so che sta cercando di smorzare la tensione, ma ci riesce comunque a distogliermi da tutte quelle domande che ho sulla sua vita, sul patto che ha stipulato con mio padre e sull'attentato di stasera.
Non dico niente. Lo osservo mentre si addormenta tenendomi la mano.
Veglio su di lui, preparandomi a un nuovo giorno. A una nuova guerra.

* * *

Dopo averci accolto alla villa e averci fatto sedere tutti a tavola come delle bambole per l'ora del tè. Solo che non c'erano pasticcini nei vassoi, bensì una colazione abbondante che ha rischiato di diventare un blocco di cemento nel mio stomaco quando lo stesso padrone di casa, Seamus, con un bastone in mano dopo essere stato colpito da un proiettile alla gamba, ha iniziato a discutere con i suoi figli sul da farsi come se non avessimo rischiato tutti la vita. Prima che Rhett, ancora dolorante, gli chiedesse di farmi restare alla villa e quindi di trasferire tutte le mie cose lì e di far sapere a Wild che si trova nei guai.
Seamus ha accolto la richiesta del figlio con un certo pragmatismo ed entusiasmo eccessivo, richiamando subito la sua governante per far preparare tutto il piano superiore. Per me.
Sospetto abbia qualcos'altro in mente. Quell'uomo riesce davvero a trarre vantaggio da qualsiasi situazione.
«La ringrazio, signor Blackwell. Non starò qui per molto. Non mi noterà neanche», dico imbarazzata.
«Sciocchezze. Sei come una figlia per me. Rhett mi ha detto alcune cose che potrebbero compromettere gli affari con tuo padre. Sappi che si pentirà e non sarà facile per te».
Gli ha raccontato di come sono sempre stata trattata?
Non ribatto. Inizio a sentirmi una cattiva persona perché non provo la benché minima paura verso mio padre e quello che i Blackwell gli faranno quando andremo alla villa a prendere le mie poche cose per trasferirmi, si spera e nonostante quello che rappresento, in un posto in cui sono accettata.
Nonostante ciò non mi sento del tutto tranquilla. Questa situazione mi incasina la mente.
Rhett mi adagia una mano sulla schiena e mi guida al piano di sopra, fermandosi di fronte a una porta.
«La tua stanza non è ancora pronta. Puoi usare la mia. Nel bagno trovi tutto quello che serve per darti una rinfrescata. Quando hai fatto, scendi pure di sotto. Partiremo il prima possibile».
«Sicuro che posso entrare? Insomma, potrei frugare tra le tue cose e scoprire ogni tuo segreto».
Sogghigna. «Fa' pure, piuma. Troverai le riviste porno in fondo al primo cassetto, il lubrificante e i preservativi sul comodino. Non sono uno che mette la carta igienica al contrario e sollevo la tavoletta», mi fa l'occhiolino e si allontana, lasciandomi a bocca aperta.
Mi riscuoto, entro in punta di piedi e senza voler controllare se tiene per davvero quello che ha detto sul comodino, mi precipito nel bagno. Qui dentro, immersa in una nuvola di vapore, sotto il delizioso getto d'acqua calda, tento di riprendermi dagli eventi vissuti nel corso delle ultime ore.
La paura pura e semplice dovrebbe attanagliarmi, invece provo solo un senso di rabbia verso chi ha escogitato un simile piano mettendo in pericolo delle persone. Non ho sospetti su chi possa avere una così grande rabbia nei confronti dei Blackwell, a tal punto da colpirli quando stavamo festeggiando ed eravamo, per così dire, indifesi.
Quando anche l'ultima traccia di sangue scompare risucchiata dallo scarico e profumo così tanto di Rhett da sentire che la mia pelle potrebbe assorbire per sempre questo suo odore, mi avvolgo con un asciugamano morbido bianco che trovo appeso a un gancio a poca distanza dal box doccia ed esco dal bagno, diretta verso l'armadio di Rhett.
È difficile trovare qualcosa da indossare, perché lui è molto alto. Ha una vasta gamma di camice e maglioni di colore grigio, bianco, nero. Non esistono altri colori né disordine. Opto per un maglione nero, anche se mi arriva sulle ginocchia e le maniche sono troppo grandi, così tanto da doverle rimboccare un paio di volte.
Intuendo di non poter camminare così, mi guardo intorno e mi avvicino all'enorme letto King-size. Sul comodino ci sono davvero un tubetto di lubrificante e una scatola di preservativi, insieme a una lampada posta su un grosso volume, un classico della letteratura, e una scatola di fazzoletti. Apro il primo cassetto, ignorando il pizzicore alle guance quando i miei occhi scattano verso l'ultimo. Tiro fuori un paio di boxer, ignorando la gelosia dovuta alle immagini che mi si palesano davanti di Rhett insieme a qualche altra ragazza, in quel letto così grande che potrei sparirci.
Scrollo via la paranoia che minaccia di guastarmi ulteriormente l'umore e indosso i boxer. Torno verso l'armadio in cerca di un paio di pantaloni.
Non c'è nient'altro che io possa indossare senza apparire un clown, pertanto avvistando una cintura la sfilo e me la lego intorno alla vita, rendendo il maglione un vestitino.
A piedi nudi mi avvicino allo specchio per darmi una controllata. La mia borsetta si trova adagiata su una poltrona insieme ai tacchi. Non so chi l'abbia lasciata lì.
Che Rhett sia tornato mentre stavo facendo la doccia?
Tiro fuori il rossetto e dopo averlo spalmato sulle labbra, lascio un messaggio a Rhett sulla superficie riflettente.
Nascondo un sorriso, lego i capelli in una coda di cavallo e mi avvio al piano di sotto.
Rhett non lascia trasparire niente e ridacchia quando lo raggiungo. Sembra che per un attimo il suo freddo distacco si sia un po' crepato.
«Zitto. È il massimo che ho potuto fare dal momento che non abbiamo la stessa stazza e non ho il pisello».
«Ti stanno fottutamente bene i miei indumenti addosso».
«Non mentire».
«Ormai devi aver capito che sono un tipo sincero», mi dice all'orecchio prima di baciarmi il lobo. «E tu, piccola piuma, sei bella. Anche con indumenti che mi appartengono», continua, piazzandomisi davanti.
Sollevo la testa. Le guance come sempre mi si sono surriscaldate.
È uno strano potere il suo, quello di farmi sfrigolare la pelle mentre il gelo rischia di intorpidirmi le membra.
Faccio un passo avanti e il mio petto si preme sul suo fianco. La sua mano scatta sulla vita e scivola sempre più verso la natica. Trattengo il fiato e mi sporgo, abbastanza da sentire il calore delle sue labbra sulle mie. Rhett ci gioca facendomi ansimare.
Veniamo interrotti da un colpo di tosse. Mi volto di scatto e Faron con un sorrisetto ci fa cenno che è arrivato il momento di andare.
Ovviamente i Blackwell non lasciano niente al caso e viaggiamo tutti insieme fino alla villa in cui ho vissuto nell'ombra per parecchio tempo.
Durante il tragitto il signor Blackwell continua a fare delle chiamate e a lanciare ordini ai suoi interlocutori.
Ad accoglierci sulla soglia non c'è il maggiordomo ma Ersilia, la quale prova subito a toccarmi, a subissarmi di domande e a giustificarsi sulla fuga improvvisa.
Rhett si frappone e con un cenno permette ai suoi uomini e al personale incaricato di farsi strada fino al piano superiore, nella mia stanza, dove ci dirigiamo tutti e dove iniziano a impacchettare le mie cose.
Ferma sulla soglia, vedo la mia vita ridursi a poche scatole, mentre Ersilia continua a fare domande alle quali nessuno degli uomini, tantomeno la sottoscritta, risponde.
«Ho così poche cose».
Rhett mi sente nonostante io abbia parlato a bassa voce. «Puoi sempre acquistare quello che vuoi. Una volta tornati a casa mi farai una lista...»
«Oh, no, no. Non mi serve niente», cerco di virare dall'argomento. Non voglio di certo indebitarmi con lui più di quanto già non sia.
«Faye, rifletti bene su quello che stai facendo», mi supplica Ersilia. «Tuo padre sarà furioso», continua, torcendosi le mani in grembo.
«Signora Wild, la vita è una questione di priorità. Faye è la mia, proprio come la sua sono le sue figlie», ribatte freddo come un iceberg Rhett. «Vi avevo avvertiti».
Ersilia sussulta arretrando di un passo, nonostante non ce ne sia bisogno in quanto Rhett ha solo parlato standosene al mio fianco.
«Che cosa intendi?»
«Non lo sa? Suo marito, la prima volta, si è salvato solo grazie alla bontà di sua figlia. Dubito che oggi andrà a finire allo stesso modo».
Ersilia ha la decenza di non replicare ma il suo volto diventa ancor più pallido e trattiene le lacrime cercando di non crollare al pensiero di quello che succederà a suo marito.
Prima di sposarlo, sapeva cosa aspettarsi da lui. Nonostante lei abbia espressamente fatto richiesta di non portare il lavoro a casa, alla fine è proprio quello che lui ha fatto. Tutto per avidità.
Dal corridoio giunge la voce baritonale di mio padre. Rhett, ancora una volta, irrigidendosi come una fiera, mi si para davanti. Dante si è spostato e addossato a una parete del corridoio, mentre Faron fischiettando sta già trascinando di sotto il primo scatolone.
Seamus invece osserva i lavori in corso neanche stessimo per vedere ergersi un monumento in suo onore. Non ha ancora detto niente. Sembra una colonna.
Avrei potuto fare da sola i bagagli ma a loro piace essere teatrali e fare le cose in grande. In particolar modo quando si tratta di vendicarsi. Riuscirò mai a integrarmi?
«Che diavolo sta succedendo qui? Faye, riporta immediatamente le tue cose nella tua stanza! Non ti sei ancora sposata! Non hai la mia approvazione», tuona. «E mettiti addosso qualcosa che non urli "puttana" ai quattro venti!», prosegue adirato, guardandomi con disgusto. Così tanto da farmi sentire una merda di cane sul suo tappeto persiano preferito.
Si volta. «Seamus, mi devi una spiegazione. Stai lanciando ordini in casa mia, che cazzo!»
«Faye non farà niente di tutto questo. E quando parli con lei, ti consiglio di moderare i termini. Ha addosso quei vestiti anche grazie alla tua scarsa attenzione», esclama Seamus avvicinandosi a lui, così tanto da farlo indietreggiare. «Io e te, caro mio, abbiamo parecchio di cui discutere», sbatte il bastone sul marmo e si avvia verso il piano di sotto con passo claudicante. «Nel tuo ufficio andrà più che bene. Rhett, assicurati che Faye abbia tutto quello di cui ha bisogno. Mi occupo io della questione».
«Non potete portarla via», strepita Ersilia.
Rhett le si avvicina. «Noi possiamo e lo stiamo facendo. Forse doveva pensarci prima di trattarla come se non esistesse. Lo so che ci ha provato. Ma non è stato abbastanza. Lei e Theodore avete sempre anteposto il benessere delle altre due figlie».
«Theodore riuscirà a fermarvi!»
Rhett ride. Una risata secca e fredda che fa arretrare la mia matrigna. «Se vuole ancora avere un tetto sulla testa, accetterà qualsiasi condizione. Salvando solo le sue due figlie preferite ha compromesso un grosso affare. Faye è nostra ora. Lui non ha niente tra le mani o da barattare».
Lo guardo. Vorrei tanto ribattere che non sono di nessuno ma sarei io quella a compromettere ogni loro piano. Pertanto mi limito a mettere piede nella mia stanza, a recuperare una scatolina che avevo nascosto sotto le assi del letto ed esco senza voltarmi indietro.
Forse sono cambiata. Forse mi sono imbruttita a causa delle continue violenze psicologiche che la mia anima e la mia psiche hanno dovuto subire. Tutti quei soprusi che non sono stata in grado di superare, se non chiudendomi nel silenzio.
Abbraccio la scatola e scendo al piano di sotto dove dallo studio di mio padre proviene la voce concitata di Seamus, il quale lo sta rimettendo in riga.
Mi appoggio alla colonna, proprio come la sera in cui ho scoperto i suoi piani e il mio mondo è cambiato.
Mio padre non chiede né pretende una sola volta che io rimanga, pensa piuttosto al suo patrimonio e a come mantenerlo stipulando un nuovo accordo.
Il cuore mi si frantuma e abbasso le spalle scrollando ripetutamente la testa. Non valgo niente per lui.
Un braccio mi avvolge e la voce di Rhett fa scattare delle sensazioni che serrano la bocca del mio stomaco. «Andiamo?»
Si fa così vicino da sentire il suo respiro insinuarsi sulla pelle fino a rasserenare il cuore. Il suo tocco, mi fa fremere e inarcare.
Mi sta stringendo come se volesse imprimere per sempre la mia forma su di sé.
Alzo lo sguardo, con il cuore che mi batte all'impazzata. Il mondo sembra fermarsi sotto il suo sguardo delicato e, al contempo, predatorio. Tutti i miei sensi si animano e non riesco a fermare la risposta istintiva del mio corpo proteso e pronto a ricevere qualsiasi cosa.
Mi volto e premo la fronte sul suo petto, facendo attenzione alla fasciatura. «Rhett...»
«Non ti prometto niente. Voglio solo saperti al sicuro».
«Lo sono».
«Ah sì?»
«Uhm, con te lo sono».
Mi si preme addosso e il mio cuore fa le capriole. «Cosa c'è?»
«Mi hai fatto una proposta».
«Non credo sia il posto adatto. Voglio saperlo a casa».
«Ma...»
Mi sta sollevando una coscia che stringo al suo fianco mentre con il bacino mi spinge contro la sua erezione. «Dio, sto impazzendo, piuma. Smettila di darmi il tormento o ti scopo proprio qui, tra queste colonne, con i nostri genitori a pochi metri di distanza», pronuncia ogni parola con impeto. «In fondo sarebbe come chiudere un cerchio. Non è qui che tutto è iniziato tra noi?»
Il cuore mi batte come quello di un pettirosso. Rhett mi si preme addosso e io mi aggrappo al suo collo inarcandomi. «Sei stato uno stronzo».
Sorride leccandosi le labbra. «Ed ecco dove siamo arrivati», replica gongolando.
Provo a spingerlo, ma cattura la mia bocca baciandomi con possesso mentre la sua mano mi accarezza la coscia infilandosi verso i boxer. Schiocca l'elastico sulla mia pelle facendomi sussultare. «Hai frugato nel mio cassetto. Allora, trovato niente di interessante?»
«Niente che non abbia già visto», mento per non risultare patetica. Non posso di certo ammettere di aver evitato proprio quel cassetto.
Colgo il lampo di gelosia ad attraversargli le iridi e mi ritrovo a sorridere con soddisfazione e ad abbracciarlo subito dopo.
«Se non ti conoscessi almeno un minimo potrei anche crederci. Adesso possiamo andare».
«Sei sicuro?»
«Ricorda, piccola piuma, mi impegno con tutte le mie forze quando voglio qualcosa. E quando la ottengo, non mi sento realizzato e non mi fermo. Cerco solo di tenermi stretto quello per cui mi sono battuto. Tu non sei qualcosa, sei quel qualcuno che non avevo previsto. Sei uno spiraglio di luce e io ho tutta l'intenzione di lasciarmi riscaldare».
Il suo discorso appassionato affonda con le sue radici nel profondo della mia anima. Se c'è una sola possibilità che entrambi possiamo ritrovarci quando tenteremo di esser liberi, allora mi auguro che questo dolore, questa paura non siano stati vani. Nel frattempo posso solo vivermi ogni secondo con lui, consapevole delle difficoltà che si presenteranno.
«Andiamo a casa, piccola piuma».
Lo seguo ben consapevole che di casa non ne ho mai avuta una.

💛🪽

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro