Capitolo 1
Rhett
Se è vero che i poli opposti si attraggono e che al mondo esistono anime gemelle in grado di far tremare persino il firmamento, non è il nostro caso.
A noi è bastato un solo sguardo per capire che siamo un groviglio incapace di essere sbrogliato.
Forse è per questo che ho deciso che lei è quella giusta.
Da un lato, avrei voluto che accettasse la mia proposta senza tante cerimonie. Che facesse il suo "dovere" senza necessariamente esasperare la situazione. Dall'altro, non sono rimasto deluso dalla sua reazione spontanea, tantomeno dal modo in cui ha fronteggiato mio padre; aggiudicandosi il suo pieno rispetto. Il che non è scontato. Chi ci ha provato a stento può ancora parlare o reggersi in piedi. Perché per far parte della famiglia Blackwell bisogna essere forti. Non bisogna mai chinare la testa.
Incontrarla è stato come sentire del sale su una ferita aperta. Ma ho capito in fretta che Faye Wild è più di quello che mostra. È più del suo atteggiamento costruito, dei suoi sguardi restii, della sua lingua tagliente.
Lei mi attrae in un modo che non riesco ad accettare del tutto. È sbagliato volere una persona che sembra irraggiungibile sotto molti aspetti e che non ricambierà mai un briciolo del tuo interesse. Neanche a distanza di tempo.
«È davvero bella come ha detto nostro padre?»
Faron, se ne sta sdraiato come un gatto annoiato sul divano del soggiorno, un libro di poesie in mano che avrà letto un paio di volte e che saprà a memoria.
Siamo in attesa di essere chiamati per il pranzo.
Dante non si trova nei paraggi. Sospetto sia ancora rintanato nella sua stanza, con il broncio e le dita premute su un pennello; l'unico hobby che sta continuando a nascondere a nostro padre mentre ci inizia agli affari di famiglia.
Sappiamo tutti che Dante ha la stoffa del capo. L'ha sempre dimostrato durante i litigi o gli allenamenti. Anche se puntualmente fa sempre qualcosa di sbagliato agli occhi di nostro padre. Un po' come Faron e il sottoscritto. Siamo le sue spine nel fianco, com'è solito definirci.
«L'ho spinto a scegliere lei».
Faron, tra i tre, è quello riflessivo, protettivo e diretto, a tratti silenzioso e chiuso in un bozzolo duro, impossibile da trapassare. Nessuno può mai dire o conoscere i suoi piani.
Ma io lo conosco e sono sicuro che ha preso il discorso perché ha già un'opinione in merito ai patti stipulati da nostro padre. Il loro peso, in ogni caso, graverà sulle nostre spalle.
«Non mi sorprende questo, quanto il fatto che nostro padre ti abbia concesso di scegliere senza opporre un minimo di resistenza o senza minacciarti. Mi chiedo cos'altro abbia in mente», dice, stuzzicando i miei dubbi.
Mi massaggio il mento. «Anche per me c'è qualcosa sotto. Ieri, in auto mi ha detto, con un caloroso sorriso perfido, che ho scelto bene».
La porta cigola. «Allora quel bastardo ha un asso nella manica», afferma Dante, entrando nella stanza in modo disinvolto. «E ti sta fottendo in sordina».
«Se credi che non l'abbia previsto, allora hai una stima bassa di tuo fratello».
Si avvicina alla finestra. Sembra un leone in gabbia.
Sappiamo che non si sente a casa. Gli manca la sua famiglia. Ma nostro padre continua a provare a tirarselo sotto la sua ala. Finora non ha avuto fortuna. Dante, infatti, va e viene a suo piacimento.
Potessi fare lo stesso sarei già altrove, lontano dagli affari e dal pericolo. Il college è l'unico "sfizio" che mi ha concesso, ma sempre scegliendo la facoltà al posto mio e per i suoi scopi.
«Che mi dici dei Wild?»
«Theodore è un pezzo di merda della peggior specie. Una sanguisuga che crede di saper fare affari usando l'intimidazione e il nome della sua famiglia. Chiunque sa come hanno raggiunto la vetta. Ha accettato solo per non perdere i suoi averi. È solo un avido figlio di puttana».
«Linguaggio!», Faron sghignazza aprendo il palmo.
Sbuffo e infilando una mano nella tasca posteriore lascio uscire il dito medio insieme a una monetina che gli arriva, con la potenza di uno spillo sparato, in faccia.
Dante nasconde un sorriso, continuando a fissare il nostro giardino adesso con aria meno serena. «Io ho già avuto la mia occasione». C'è un po' di malinconia nella sua voce. Starà ancora pensando a quella ragazzina, Eden.
Faron raddrizza le spalle. «Mi auguro di poter scegliere la mia donna».
«Sai che non sarà così. Perché illudersi?»
«Perché non c'è solo il marcio in questa vita».
L'ha detto con un tale impeto da sorprendermi.
Decido di frappormi tra i due, perché so già che finirà in un'accesa discussione. Di tanto in tanto, i loro caratteri cozzano e non sempre riescono a trattenersi.
«Noi siamo quel marcio, se vogliamo ripulirlo dobbiamo partire dalle fondamenta».
«Quindi, per iniziare, hai sfidato il bastardo», riflette Faron, riferendosi a nostro padre.
«Ho tastato un po' il terreno, come si suol dire».
I due si scambiano un'occhiata, ma nessuno riesce a proseguire il discorso perché viene a chiamarci una cameriera.
Ci spostiamo nella sala da pranzo e ognuno di noi si siede al posto che gli è stato attribuito in questa tavola lunga e sempre troppo silenziosa per riuscire a tollerare un boccone dopo l'altro.
Nostro padre fa cenno e i camerieri servono le pietanze fumanti preparate dal cuoco di famiglia. Mentre Faron e Dante si tuffano nel cibo, io mi limito a dissezionarlo e a piluccarlo, lasciandomi trascinare dai pensieri.
Sono sempre stato cauto con il cibo e le bevande dopo l'avvelenamento di mia madre. Ecco perché studio tutto quello che posso, in particolare mi informo sui veleni, piante e sostanze. Per non avere brutte sorprese o non essere in grado di percepire un odore diverso in un cibo o dentro un liquido. Questo fa di me una persona tendenzialmente ansiosa e diffidente. Ma riesco a tenere a bada questo aspetto della mia personalità.
Siamo alla seconda portata quando in sala, all'improvviso, piomba uno degli uomini di nostro padre.
Una cosa rara.
Si abbassa all'altezza del suo orecchio per sussurrargli parole che da questa distanza non riesco a carpire. Ma la reazione di Seamus è inequivocabile.
I suoi occhi si spalancano e il suo viso diventa paonazzo. Sbatte forte la mano sulla superficie facendoci sobbalzare.
«Quel maledetto figlio di puttana ha fatto cosa?», urla pulendosi la bocca con il tovagliolo, prima di lanciarlo sul piatto ancora mezzo pieno e alzarsi facendo stridere la sedia sul costoso parquet scuro della sala da pranzo.
La guardia indietreggia per evitare di subire la sua ira; nonostante quest'ultima non sia indirizzata a lui. Abbassa il capo e, ancora una volta, spiega a voce alta, rendendo anche noi partecipi. «Ha ferito sua figlia poco dopo il vostro ritorno a casa, signore. Non ha gradito l'affronto. Era anche molto ubriaco».
«Come avete fatto a saperlo?», domando, frapponendomi.
«Gli uomini appostati, signore, hanno sentito le urla. Poi hanno visto il dottore entrare e uscire circa un'ora dopo».
«E hanno avuto il buon senso di fermarlo e interrogarlo, mi auguro», esclama Faron.
La guardia annuisce. «Ha solo detto che la ragazza ha avuto un incidente».
«Che tipo di incidente?», interviene Dante.
«Una brusca caduta dalle scale».
I miei fratelli si sono fatti attenti, e spinti dalla curiosità attendono che nostro padre continui con le domande per saperne di più sull'accaduto. Io sono in piedi, con i pugni stretti in vita.
«Pagherà per quello che ha fatto al nostro investimento».
Dovrei incazzarmi perché ha appena parlato di una persona come se fosse un conto in banca, una semplice transazione. Ma la furia mi divampa e in pochi istanti ho un piano per placarla: farla pagare a quel bastardo e a chi non ha fermato l'aggressione.
«Dobbiamo fare qualcosa!»
I miei fratelli sono entrambi d'accordo. Mio padre, forse per esperienza o per strategia, mi mette subito a tacere alzando il palmo della mano. «Prima devo assicurarmi coi miei occhi che sia vero», afferma, sfregandosi la barba curata sul mento. Il grosso anello con la pietra dei Blackwell risplende sotto la luce seguendo il movimento della mano. Ne abbiamo uno a testa anche noi. Ma a differenza di mio padre, nessuno ancora lo indossa.
«Hai già elaborato un piano, non è vero?», domando, in parte intuendo quello che ha intenzione di fare.
Seamus Blackwell, non è noto per la sua pazienza o per la diplomazia. Sa come vendicarsi lentamente quando un qualcosa per cui ha stipulato una serie di patti vantaggiosi è stato danneggiato a sua insaputa e senza il suo permesso.
Wild con questo gesto ha sfidato un Blackwell. Non ha la minima idea della sciagura che ha attirato su di sé.
«Faremo loro visita all'improvviso e chiederemo un incontro tra te e lei. Se non dovesse presentarsi, mi assicurerò che qualcuno spii la famiglia o che tu raggiunga la ragazza per vederla e per avere una sua dichiarazione dei fatti. Voglio anche delle foto. Di fronte alle prove non potranno negare».
«E mi permetterai di scegliere quale sarà la giusta punizione per lui e per chi non ha mosso un dito», concludo, con una rabbia che affiora e si diffonde nei miei muscoli tesi. «Non è negoziabile», aggiungo quasi con la sua stessa prepotenza.
«Parteciperemo anche noi», Faron fa un passo avanti voltandosi verso Dante, il quale per la prima volta non si rifiuta. «Penserò a qualcosa di creativo. Nessuno mette le mani su una donna. Soprattutto se sarà nostra sorella».
Nostro padre vedendoci fare fronte unito appare piuttosto soddisfatto. La sua espressione si avvicina a quella di un uomo che prova orgoglio verso la sua prole.
«Bene», afferma un paio di volte, continuando a fissarci e ad annuire. Si volta poi verso il suo uomo. «Fa' preparare un'auto per dopo il tramonto. Compra dei fiori freschi per la signorina e una scatola dei migliori cioccolatini. Rhett ti indicherà quali. Prendi anche delle paste dal signor Bee, siamo invitati a cena dai Wild», gli ordina, facendolo correre fuori dalla sala da pranzo come un segugio.
«Mi servirà una scatola da scarpe e un grosso fiocco», affermo, elaborando un piano tutto mio nel caso in cui fosse tutto vero.
«Per farci cosa?», domanda con interesse Dante.
«Nostro fratello intende recapitare un regalino alla sua futura sposa», Faron si volta verso di me per avere conferma.
«Ci eri quasi. Lì dentro ci metterò un pezzo delle persone coinvolte. Ma dopo che le avrò un po' torturate», ghigno.
Mio padre mi si avvicina premendomi la sua mano sulla spalla. «È questo lo spirito giusto. Adesso andate a prepararvi. Abbiamo un lavoro da svolgere», dice uscendo dalla sala da pranzo.
Pochi istanti più tardi lo sentiamo impartire ordini ai suoi uomini e al personale.
Salgo al piano di sopra con un misto di eccitazione e rabbia a ribollirmi sotto la pelle.
Impiego poco a prepararmi. I vestiti da indossare sono già stati sistemati sulla poltrona da una cameriera.
Mio padre non perde mai tempo e sa esattamente quale messaggio inviare anche attraverso il nostro vestiario. Non ci presentiamo mai da un alleato o nemico in tenuta sportiva o troppo casual. Siamo sempre impeccabili, dagli indumenti ai capelli, fino al linguaggio.
Spesso mi chiedo se questa sia vita. Il più delle volte, da quando mia madre è morta, mi sento una marionetta. Quei fili sottili vengono manovrati da mio padre, il quale non si è mai fermato a riflettere sull'impatto che le sue azioni hanno avuto sulla mia vita.
Non mi sono mai sentito insoddisfatto perché non ho patito la fame. Vivo nell'agio, sotto il dominio di una famiglia che ha costruito un impero. Eppure ho sempre voluto quel qualcosa in più di cui sento la mancanza. Mi piacerebbe spiccare il volo a modo mio.
Aver avuto la possibilità di scegliere, anche se una persona, mi ha fatto sentire come se potessi essere in grado di affrontare altre decisioni da solo. Ma so già che questa presa di posizione mi costerà cara. Come ha già capito Faron, nostro padre non l'ha fatto senza avere qualcosa in mente.
Raggiro o meno, ho scelto lei. Suo padre le ha fatto del male e intendo fargliela pagare. Prima però devo seguire Seamus, studiare il suo piano per poter dare avvio al mio.
* * *
Sia io che i miei fratelli entriamo nella vettura che ci attende sul vialetto.
Nostro padre ne ha preso un'altra. Prima di partire verso la villa dei Wild però ci ha strigliati a dovere. Perché non possiamo sbagliare o essere scoperti. Questa dovrà essere solo una visita alla mia promessa sposa.
«E se le ha fatto davvero del male? Se il medico ha mentito definendolo un incidente?»
«Le guardie hanno sentito le urla. Inutile illudersi che il medico abbia detto la verità. La punizione sarà dura».
«Che hai in mente di fare oltre al pacco regalo?», domanda Dante.
«Lo vedrete quando sarà il momento».
Faron fissa la strada davanti a sé. «Pensi che nostro padre ci farà giocare insieme ai suoi uomini? In fondo, non siamo poi così "adulti" quanto loro. Non è come andare al club».
Chiudo il bottone della giacca del completo nero che indosso. «Se non lo farà, prenderò l'iniziativa. È giunto il momento che si facciano da parte per la nuova generazione».
L'auto si ferma e scendiamo mettendoci in ordine e aspettando che nostro padre ci raggiunga.
«I miei padroni non mi hanno avvisato della vostra visita», esordisce il maggiordomo dei Wild con aria accigliata, facendoci entrare in casa con una certa riluttanza.
«Mi stai forse dicendo che non siamo i benvenuti?»
L'uomo deglutisce. Abbassa gli occhi sulle punte delle scarpe. «Perdonatemi, signore. Prego, accomodatevi. I miei padroni saranno da voi a breve. Vado subito a chiamarli».
Mio padre entra nel sontuoso soggiorno e si siede come se fosse il padrone della villa. Noi facciamo lo stesso, reggendo la parte che ci è stata affidata. Solo che non ci sediamo. Ci posizioniamo annoiati agli angoli, pronti a carpire qualsiasi informazione.
Noto l'eccitazione negli occhi di Dante. L'azione è sempre stata il suo forte e sospetto che abbia piani importanti per il suo futuro. Faron, invece, finge indifferenza, ma posso vedere le rotelle girare dentro la sua testa. Ha già registrato ogni singolo elemento.
La porta in legno, piena di intricati disegni in rilievo, si spalanca e Ersilia Wild, austera, impreparata alla visita e forse anche un po' imbronciata per questo, avanza con aria di finta gioia stampata sul quel viso che è tutto un programma.
«Signor Blackwell, già di ritorno? Non l'aspettavamo», esclama stringendogli la mano. I suoi occhi scuri, al contempo, vagano intorno. Deglutisce a fatica nel notarci come statuine pronte a rianimarsi.
Qualcosa non va, me lo sento.
«Non devo per forza annunciare una mia visita per presentarmi dai miei consuoceri e scroccare un invito a cena».
Mio padre sfodera quello sguardo da bastardo senza pentimento ed Ersilia indietreggia, le guance arrossate.
«Ma no, certo che no. È solo che non sono abituata a così tante visite in casa. Ho chiesto a mio marito di portare i suoi affari altrove».
«La capisco. Ma non sono qui per parlare di affari. Sono qui per vedere Faye e per farla conoscere ai suoi futuri cognati e fratelli. Lo scambio dell'altra sera mi è piaciuto così tanto che ne vorrei una replica. Quella ragazzina è una forza della natura. Mi auguro si sia un po' calmata dopo lo shock iniziale».
Ersilia sbianca guardando da tutte le parti tranne che in direzione di mio padre. Stringe la mani in grembo per nascondere il tremore. «Temo non sia possibile vederla oggi», la sua voce traballa.
«Come mai?»
Mio padre sa fingere benissimo. Come riesce a non scattare come un serpente velenoso, non ne ho idea.
«È indisposta», balbetta.
«Le ho portato una cosa. Potrebbe risollevarle l'umore», mi frappongo con un ampio sorriso serafico.
Dopo avergli fatto un cenno, uno degli uomini di mio padre, rimasti sulla soglia come colonne portanti, mi passa la busta e il mazzo di fiori.
«Se me lo permette, signora Wild, vado a trovare Faye. Non siamo partiti con il piede giusto e in qualche modo vorrei farmi conoscere da lei. Magari questo gesto potrà farle accettare la questione. In fondo, sono anch'io sulla stessa barca», continuo a blaterare mentre mi avvio verso la porta. Lo sto facendo senza permesso, ma devo sapere se le hanno fatto del male. E se Ersilia sta nascondendo tutto questo, come polvere sotto il tappeto, la farò pagare anche a lei.
«Rhett, non puoi», dice con voce stridula.
Mi fermo e mi volto. «Non farò niente di inappropriato, signora Wild. Terrò la porta aperta. Voglio solo vedere Faye e scusarmi con lei. Tranquillizzarla e dirle che non le metterò alcuna fretta o pressione».
L'espressione di Ersilia sembra quella di un pesce appena agguantato da una rete. Non sa che cosa fare. «Non dubito della tua buona volontà. Ma Faye non vuole vedere nessuno».
«Rhett, fatti indicare la stanza e lasciale quello che hai portato fuori dalla porta, dopo aver bussato e averla avvertita. Sarà Faye a decidere, tu non insistere».
È il segnale.
Annuisco e ignorando i tentativi di Ersilia di seguirmi per fermarmi, mi incammino. Con la coda dell'occhio vedo mio fratello, Faron, avvicinarsi a lei e con un caloroso quanto velenoso sorriso chiederle qualcosa sulle sue figlie. Non mi soffermo oltre, supero la soglia e aiutato da un domestico, atterrito dalla nostra presenza, salgo le scale fino al terzo piano.
Non devo cercare o fare dei grossi tentativi. In quest'ala della villa c'è una sola camera. La cosa mi indigna. Hanno relegato la ragazza lontano dal resto della famiglia. Come si sarà sentita per tutto questo tempo?
Trovando la porta chiusa, busso con le nocche.
«Avanti!», risponde Faye, con voce bassa e in apparenza triste.
Abbasso la maniglia e faccio il mio ingresso fermandomi sulla soglia.
La stanza è grande, ariosa e luminosa. Un letto king-size si erge davanti a me con una trapunta rosso scuro. Un colore che non avrei mai associato alla ragazza che un giorno sarà mia moglie.
I miei occhi non devono vagare molto tra gli arredi, pochi e disposti come in una suite, perché la trovo in fretta. Se ne sta seduta su un divano in pelle color Borgogna.
«Se ha portato la cena, può lasciarla accanto alla porta», dice, pensando che ci sia una cameriera alle sue spalle e controllando l'orologio al polso.
«In realtà, non ho pensato alla cena ma al dessert», esclamo. «Spero ti piaccia la cioccolata e che tu non sia allergica ai fiori».
Lei si irrigidisce riconoscendo la mia voce. «Chi ti ha permesso di salire?», domanda roca senza voltarsi.
«Sto eseguendo un ordine», mi avvicino.
Non appena mi ritrovo di fronte a lei, il fiato mi viene meno.
Cosa cazzo le ha fatto quel pezzo di merda?
Ha un occhio pesto, dei punti di sutura sul sopracciglio, altri segni sulla guancia, sul naso e lividi sparsi. Al polso ha la fasciatura che ho intravisto quando ha sollevato il braccio per controllare l'ora.
Nonostante ciò, è bella, con quell'aria fiera di chi non ha nessuna intenzione di mostrare una traccia di debolezza. Una leonessa. È la ragazza che ho incontrato lungo il corridoio di questa villa. Una superficie affilata come vetro a nascondere un'anima fatta a pezzi e tagliente.
«Un ordine?»
«Sto facendo la spia per mio padre», appoggio i fiori e la busta sul tavolo basso davanti a lei.
Faye osserva il mazzo di rose gialle abbinate ad altri minuscoli fiori bianchi e sporgendosi annusa i petali.
«Quindi questi sono una copertura?», scarta la busta tirando fuori la prima scatola di cioccolatini. Solleva il coperchio e prendendone uno ne morde una metà prima di passarmelo.
Se è una prova, la supero a pieni voti.
Sono schizzinoso, paranoico e odio la cioccolata, ma per lei lo faccio. Mangio l'altra metà.
«Definiamola un'esca».
Prova a sorridere, ma il livido sul labbro deve farle molto male perché le si incurva immediatamente all'ingiù. Si schiarisce la gola. «E cosa devi spiare?»
«Te».
Distoglie lo sguardo dopo aver cacciato in bocca un altro cioccolatino alla nocciola. Per fortuna non mi offre l'altra metà. Che si sia accorta della mia riluttanza?
«Bene, cosa vuoi sapere?»
«È stato lui?», domando sollevando il cellulare per scattarle una foto, dopo averle chiesto silenziosamente il permesso.
«Che cosa ti ha fatto?», domando ancora, cercando di rendere il tono un po' più morbido per non farla agitare e mettere sulla difensiva. Ho bisogno che mi racconti tutto.
I suoi profondi occhi si socchiudono appena nella luce ondeggiante della lampada posta su un comodino, di fianco al divano, mentre mi fissa, o meglio, mi studia per cogliere la fregatura.
Il silenzio si protrae così a lungo che mi sembra di soffocare.
«Ti importa?»
«Secondo te perché sono qui?»
Non riflette neanche per un secondo. Ha già la risposta da darmi ed è piena di veleno. «Per vedere se il tuo investimento ha ancora le facoltà mentali per dirti di sì?»
Mi metto dritto, stringo forte le mani in grembo. «Lo pensi davvero», constato. «Non ti è venuto in mente, invece, che potrei essere qui per vendicarmi?»
Distoglie lo sguardo. Non sembra credermi. «Sei qui per questo?», domanda quasi con timidezza.
«Sono qui per assicurarmi che tu stia bene, ma non è così e non osare mentirmi. Non di fronte all'evidenza. Di conseguenza adesso dovrò vendicare il torto che hai subito».
«Non mi conosci abbastanza perché ti importi. Quindi perché darti tanta pena? Queste», indica le ferite, «passeranno».
Sto già ribattendo mentre scrollo la testa. «Non passerà quello che tieni dentro, piccola ingenua».
Mi fissa confusa. «Perché lo fai? Cosa vuoi da me?», chiede con diffidenza.
«Niente che tu non sia disposta a darmi. Ma un patto è un patto e io prendo seriamente la parola data. Le regole sono fatte per essere rispettate. Tuo padre ha commesso un grosso errore mettendoti le mani addosso e adesso, pagherà ogni conseguenza».
Si lecca il labbro inferiore.
Seguo la punta rosa della sua lingua e stringo la mascella.
«Che cosa gli farai? Io avrei un paio di idee».
«Lo scoprirai».
Non sembra delusa, quanto piuttosto curiosa.
💛🪽
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