7 - Un coperchio ancora chiuso
Nascosta tra le mura di casa sua, anche lei avrebbe voluto partecipare a quella ricorrenza, gustare un gelato o mangiare una caramella sotto le lucine delle bancarelle. Se solo avesse avuto una pelle normale, avrebbe potuto farlo.
E invece si ritrovava sola in casa perché suo padre, essendo un medico all'ospedale della città, era di turno quella notte. Provava una stretta al cuore per il senso di solitudine che la circondava e, unita all'umiliazione di quelle giornate scolastiche che erano state piene di insulti e prese in giro, sentiva un groppo salirle lungo la gola, fino alla bocca.
Sapeva che quello era il segnale che stava per piangere, che calde lacrime sarebbero cadute sulle sue guance, tuttavia si era ripromessa che non sarebbe più successo. Ogni volta che aveva pianto, anche di nascosto, suo padre aveva riconosciuto i suoi occhi rossi e quell'espressione di impotenza e sconfitta era apparsa sul suo volto.
Cecilia non voleva più vederla e quindi la soluzione era non pingere più.
La voce di Christina Aguilera attraversò i vetri delle sue finestre, investendola con il ritmo frenetico della sua canzone così, come accadeva ogni volta che Cecilia si sentiva in quel modo, la ragazza si mise a ballare.
Nessuno poteva vederla, nessuno poteva giudicarla, nessuno poteva umiliarla mentre si agitava nella sua stanza, scuotendo le braccia in aria e spostando i capelli ricci prima destra poi a sinistra. Iniziò ad accennare dei piccoli passi con i piedi ma, a poco a poco che la frustrazione si impossessava del suo corpo, si ritrovò a compiere dei veri salti, per liberarsi da tutti i sentimenti negativi che aveva represso fino a quel momento.
Ballare così era l'unico modo che aveva di sfogarsi, ma lo faceva solamente quando era sicura di essere sola. Sicura di non essere vista.
Sempre saltellando iniziò a spostarsi per la casa, scossa dalle note della canzone.
He's a one stop shop, makes my cherry pop (è uno di quelli che mi fermano una volta e mi fanno scoppiare la ciliegia)
He's a sweet talkin' sugar coated candy man (lui è uno con cui è piacevole parlare, un uomo dolcissimo rivestito di zucchero)
Attraversò il salotto e si scatenò in cucina, ancheggiò vicino al tavolo da pranzo, fece il moon walk nel corridoio e, improvvisamente, la musica cessò.
Cecilia si fermò, libera da qualsiasi negatività, scaricata di ogni energia, si scontò i ricci dal viso e cercò di tornare a respirare normalmente, mentre il suo cuore decelerava la sua corsa. Stava bene ora, ma come ci era finita in camera di suo padre?
Sergio era un uomo ordinato, nella sua stanza non c'era mai il letto sfatto e nulla fuori posto, perciò Cecilia fu molto stupita di notare una fotografia che sbucava da sotto il suo letto. Sapeva che curiosare era sbagliato, ma non potè evitare di farlo. Sollevò da terra quel pezzo di carta lucido e il viso sorridente della sua defunta madre le apparve come una pugnalata al cuore.
Suo padre non parlava mai di lei e non c'era neanche una sua immagine per casa, né da nessun'altra parte oltre alla sua tomba. Era un argomento troppo delicato per lui, troppo doloroso.
Anche per Cecilia lo era, ma allo stesso modo, le mancava la mamma, le sarebbe piaciuto parlare di lei, ricordarla. Invece la sua immagine si stava facendo sempre più sfuocata, man mano che il tempo passava. Quella fotografia nelle sue mani, in quel momento, le apparve tanto nitida da sconvolgerla.
Era sempre stata così bella, Valeria, la sua mamma?
Quei capelli scuri che le scendevano sulle spalle, gli occhi chiari allegri, una spruzzata di lentiggini sul naso dritto, la pelle chiara ricoperta delle stesse macchie che aveva trasmesso alla figlia.
Mostrava un sorriso radioso e una sicurezza che Cecilia invidiava e, fu questa la spinta che la convinse a spostare lo sguardo verso il bordo del letto, chiedendosi se non ci fosse di più, da scoprire.
Perché quella fotografia si trovava in un posto tanto strano? Sapeva che suo padre custodiva i ricordi della mamma in un posto sicuro, poteva mai essere sotto al suo letto?
Lentamente si chinò, finché non si ritrovò accovacciata sul pavimento, le ginocchia e i palmi delle mani poggiati sul legno, il viso rivolto verso quello spazio buio, solitamente nascosto dal materasso.
Impossibile...
Una serie di scatoloni le apparvero davanti agli occhi, la vita di sua madre racchiusa in quelle confezioni di cartone, ciò che si era sempre chiesta, ciò che non ricordava, ciò che la rattristava, ciò che l'aveva resa com'era.
Era tutto lì sotto.
Allungò una mano tremante e avvolse le dita attorno al manico di una della scatole, tirandola verso di sé, oltre il bordo del letto. Si fermò qualche secondo per osservare il coperchio ancora chiuso.
Lo stava facendo davvero? Poteva farlo?
L'attenzione le cadde sulla sua mano ancora stretta intorno a quel manico... quella dannate macchie sulla sua pelle, la sicurezza che sua madre dimostrava in quella fotografia nonostante il suo difetto genetico.
Voleva essere come lei. Cecilia voleva quella sicurezza e forse la soluzione era in quella scatola, perciò senza più esitazione, l'aprì.
All'interno trovò altre foto che ritraevano Valeria, alcune con Sergio, alcune con una piccola Cecilia. Evitò di guardarle in quel momento perché il groppo alla gola era tornato, ma Cecilia non aveva più fiato per ballare.
Spostò un paio di vestiti leggeri che avevano ancora il suo profumo di vaniglia, la ragazza ricordava ancora la boccetta gialla di profumo che era sempre poggiata sul lavandino del bagno.
Sollevò un piccolo quadro che la madre aveva dipinto in una giornata di sole e sotto esso, scoprì una seria di quaderni ingialliti, visibilmente usurati e utilizzati. Prese il primo che aveva la copertina blu e lo avvicinò a sé, tentando di capire di cosa si trattasse, ma proprio in quel momento, udì il rumore di un ascensore che si chiudeva e poco dopo, dei passi che si facevano sempre vicini: suo padre stava tornando.
Le rare volte che Cecilia aveva parlato di sua madre in presenza di Sergio, il suo volto si era sempre rabbuiato, perciò poteva solo immaginare cosa sarebbe successo se l'avesse scoperta con quelle cose tra le mani.
Sarebbe stata una tragedia.
Velocemente ripose tutto nella scatola e la richiuse, spingendola sotto al letto, dopodiché si alzò e si affrettò a tornare nella sua stanza, proprio nel momento in cui la chiave girò nella serratura.
Cecilia spense la luce della sua camera e si infilò sotto le coperte, dimenticando però di chiudere le persiane, così che le luci della festa sottostante continuarono a filtrare debolmente attraverso il vetro.
Sergio entrò in casa con un sospiro stanco, tolse il leggero capotto, ripose le chiavi sullo scaffale e si spostò verso la stanza della figlia, affacciandosi alla porta socchiusa per accertarsi che fosse nel suo letto. Quando intravide la sua sagoma addormentata, un sorriso istintivo spuntò sul suo volto, chiuse la porta senza far rumore si diresse verso il bagno.
Appena Cecilia sentì lo scatto della maniglia chiusa, spalancò gli occhi. Il suo cuore batteva ancora forte e aveva dovuto trattenere il respiro per evitare che il padre si accorgesse che era ancora sveglia.
Si sollevò a sedere sul materasso e poggiò la schiena contro il muro, lasciando che la luce gialla e arancione dell'esterno illuminasse il suo letto.
Solo allora allontanò il quaderno stretto al suo petto e lo osservò con più attenzione. Aveva riposto tutto nella scatola tranne quell'unica cosa. Si sentiva terribilmente in colpa nei confronti del padre ma, allo stesso tempo, uno strano senso di esaltazione la avvolse quando, aprendo la prima pagina, si rese conto che quella era la scrittura di una giovane Valeria: il diario di sua madre.
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