46 - Coraggio o stupidità
Novembre era quasi passato, Cecilia non aveva compiuto alcun progresso con Bruno e nemmeno con Carola. Il primo era sempre insieme a qualche ragazza e Cecilia era sicura che si fosse scordato del loro bacio, archiviato come uno dei tanti.
Carola invece continuava a evitarla, anche se aveva ricominciato a salutarla al mattino, quando entrava in classe, con un lieve sorriso sulle labbra. Nonostante fosse un piccolo passo, Cecilia lo considerò un buon inizio, non voleva fare pressione all'amica, non voleva imporle al sua presenza perché sapeva quanto lei stava soffrendo per causa sua.
Nonostante questo sarebbe stata pronta a tornare vicino a lei non appena quest'ultima l'avesse voluto.
Quel giorno, come ogni altro da quando si era allontanata dalla sua amica, uscì dall'aula alla fine delle lezioni, non appena sentì la campanella suonare.
Percorse il corridoio velocemente, scese dalle scale tenendo lo sguardo fisso sui suoi piedi e attraversò il portone che dava sul cortile interno della scuola.
Stava per dirigersi verso la fermata dell'autobus nonostante fosse in anticipo, quando si ricordò che aveva dimenticato in palestra il suo zaino con il cambio. Quella mattina avevano avuto ginnastica e lei aveva scordato tutto negli spogliatoi come una sprovveduta.
Decise di recuperarlo velocemente ma, quando uscì dalla porta della palestra che dava su un angolo isolato del cortile, si ritrovò davanti il suo peggior incubo.
Emma e la sue amiche erano poggiate al muro intente a fumare e, quando la videro, sul loro volto apparve il solito sorriso di scherno.
"Ciao, mucca" la apostrofò una di loro, facendo ridere Emma con un ghigno sulla faccia.
Cecilia abbassò velocemente gli occhi sul prato per evitare di incrociare il loro sguardo, fece per allontanarsi ma Emma le bloccò il passaggio.
"Sei di fretta?" le chiese con finta curiosità. Cecilia si limitò ad annuire, tuttavia la ragazza non sembrava volerla lasciare in pace.
Avanzò di qualche passo, costringendo Cecilia a indietreggiare finché non sentì il muro freddo dietro la sua schiena.
"Non ti vedo più con Carola" iniziò a dire Emma con velata euforia "avete forse litigato?"
Cecilia continuò a evitare il suo sguardo, speranzosa che si stufasse della conversazione e la lasciasse andare.
Ma Emma non sembrava intenzionata a finirla "Era ovvio che, presto o tardi, si sarebbe stufata di te", commentò con una smorfia compiaciuta.
Cecilia provò come una pugnalata nel petto sentendo quelle parole. Sapeva che non erano vere. Sapeva che avrebbe dovuto ignorarle, sapeva che Emma voleva solo ferirla.
Eppure, per qualche strana ragione, facevano più male del solito.
"Ricordatelo, mucca, nessuno vuole stare con te" sussurrò vicino all'orecchio di Cecilia, lasciandosi poi andare a una risata compiaciuta, mentre Cecilia tentava di mandare giù il groppo che le si era formato in gola.
Non c'era via di fuga da quella tortura, Cecilia stava per arrendersi alle lacrime, stava per gettarsi a terra, quando una voce irruppe alle spalle della sua aguzzina, facendola trasalire.
"Ecco dov'eri, Emma!"
La bionda si paralizzò, lentamente si girò verso la voce che l'aveva chiamata, rimanendo a poca distanza da Cecilia.
"Ho dovuto chiedere in giro per capire dove fossi finita" continuò quella voce femminile che Cecilia non riusciva a identificare, dal momento che aveva ancora lo sguardo rivolto verso il basso.
"Cosa ci fai qua, Guenda?" domandò con voce leggermente tremante Emma.
"Ho bisogno di soldi per andare a mangiare fuori. Dammi quello che hai" il tono che aveva usato quest'ultima per avanzare questa richiesta era così autoritario, che Cecilia fu spinta dalla curiosità e sollevò la testa.
Nessuno parlava in quella maniera a Emma ma soprattutto, era la prima volta che lei non replicava nulla. La ragazza era immobile a qualche passo da Cecilia, le mani stretta a pugno e gli occhi di ghiaccio rivolti alla nuova arrivata che stava di fronte a lei.
Cecilia la osservò e si rese conto che non l'aveva mai vista, probabilmente nemmeno frequentava la loro scuola, altrimenti tutti avrebbero saputo che c'era qualcuno che incuteva paura a Emma.
"Non ne ho, Guenda" sentenziò Emma, tentando di mantenere un contegno, anche se la tensione nelle sue spalle suggeriva altro.
Guenda sbuffò sonoramente e avanzò di qualche passo, finché non si trovo vicino a Emma, la fissò negli occhi e sibilò: "So che stamattina la mamma ti ha dato qualcosa. Non prendermi per il culo"
Emma deglutì, spaventata dal tono duro che la sorella stava usando con lei. Sapeva che non portava mai a nulla di buono, tuttavia non voleva cedere davanti alle sue amiche e davanti a Cecilia.
Che figura avrebbe fatto se fosse stata tanto remissiva?
Raccogliendo un coraggio che non credeva di avere, mantenne il contatto visivo e ripetè: "Non ne ho"
Guenda la studiò con attenzione, un lampo di rabbia passò nei suoi occhi, quella situazione non le piaceva e nemmeno quella finta sfrontatezza che Emma cercava di mostrare.
Con un movimento veloce, sollevò un braccio, portò una mano vicino all'attaccatura dei capelli di Emma e avvolse le sue dita intorno a una ciocca di essi, tirando poi con forza verso di sé.
Sul viso di Emma si dipinse un misto di dolore e umiliazione, non poteva credere che tutto questo stava succedendo proprio nella sua scuola, Guenda stava distruggendo l'unico posto dove veniva rispettata.
Le amiche di Emma, incapaci di agire senza una sua direttiva, trattennero il fiato, portando entrambe le mani davanti alla bocca e spalancando gli occhi, mentre Cecilia osservava la scena spaventata.
Esisteva davvero qualcuno più cattivo di Emma?
La sua mente non era in grado di elaborare questo pensiero, ma il suo istinto si era improvvisamente svegliato e stava prendendo una strada tutta sua.
Era vero che Cecilia preferiva subire le minacce e non reagire, era vero che era spaventata da ogni avvenimento e preferiva ignorare ciò che accadeva intorno a lei, era vero che si era ripromessa che qualcosa di simile al passato non sarebbe mai successo una seconda volta.
Tuttavia, era vero anche che, ciò che Cecilia non era mai stata in grado di ignorare, era vedere qualcuno che subiva bullismo davanti ai suoi occhi.
Chiunque esso fosse, Cecilia non poteva ignorarlo.
Così, senza che nemmeno la sua mente metabolizzasse il movimento, il suo braccio scattò verso la testa di Guenda, proprio mentre lei stava chiedendo a Emma, con tono minaccioso: "Te lo chiederò ancora una volta, dammi i..."
Non fece in tempo a finire la frase che le dita di Cecilia si strinsero intorno a una ciocca dei suoi capelli e la sua testa fu tirata verso il basso con forza.
Guenda spalancò gli occhi, sorpresa da quel risvolto inaspettato che aveva preso la situazione, nemmeno si era resa conto della presenza di un'altra ragazza, fino a quel momento.
"Ma che cazzo..." gridò, tentando di liberarsi, ma senza mollare la presa dalla testa di Emma.
Cecilia fu tenace a sua volta e mantenne la mano salda sulla testa di Guenda mentre lei le lanciava una sguardo di fuoco.
"Cosa stai facendo?" domandò Emma a Cecilia, ma nella sua voce c'era più paura che rabbia.
"Lasciami andare, stronza" disse Guenda, portando la mano libera verso l'alto per raggiungere la sua.
Cecilia, che non sembrava più nemmeno la solita Cecilia, rispose con un secco: "No"
Emma spalancò ulteriormente gli occhi, sentendo quella risposta perentoria, nemmeno lei si premetteva di rivolgersi a Guenda in quella maniera. Non lo avrebbe mai ammesso, ma in quel momento stava ammirando il coraggio di Cecilia.
O forse era solo stupidità.
Guenda, intuendo che non era in grado di liberarsi dalla presa di Cecilia, spostò la sua mano verso i capelli di quest'ultima e, come già stava facendo sulla testa di Emma, afferrò anche quella di Cecilia tirando verso di sé.
La scena poteva anche sembrare grottesca dall'esterno, tre ragazze che si tiravano i capelli a vicenda e nessuno che sembrava voler lasciar perdere nonostante i lamenti e le minacce.
Le amiche di Emma stava ancora osservando la scena impietrite ma, quando si resero conto che la situazione sarebbe potuta degenerare, si allontanarono velocemente per cercare l'aiuto di un insegnante, il quale giunse poco dopo.
"Cosa sta succedendo qua?" domandò l'uomo, avanzando velocemente, dal momento che il litigio davanti ai suoi occhi era rimasto invariato.
Le tre ragazzo sobbalzarono, sentendo una voce sopraggiunere alle loro spalle, ma nessuna lasciò andare la presa, così il professore fu costretto a separarle personalmente mentre faceva loro la ramanzina.
"Non è ammessa la violenza nella scuola, dovrò fare rapporto al preside e anche ai vostri genitori" sentenziò mentre osservava uno a uno i loro volti per imprimersi il viso di ciascuno.
Guenda protestò apertamente sostenendo che lei neanche frequentava quella scuola, Emma pregò il professore di sorvolare sull'accaduto, ma lui sembrava irremovibile.
Cecilia intanto era rimasta ferma con la testa dolorante rivolta verso il basso, non era turbata per le botte, non era turbata per l'umiliazione e non era turbata nemmeno per essere stata scoperta dal professore.
L'unica cosa che riusciva a elaborare la sua mente era il pensiero che suo padre venisse a conoscenza dell'accaduto, come era successo tanto tempo prima.
L'immagine di quell'uomo, seduto sul letto di casa sua con la testa coperta dai palmi delle mani, le guance rigate di lacrime e il senso di colpa nel petto, tormentava Cecilia allora come adesso.
Ancora una volta, lei avrebbe fatto piangere suo padre.
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