4 - Impossibile da negare
La campanella dell'intervallo suonò decretando la fine delle prime ore di lezione, ma non coincise con la fine della derisione di Cecilia. La ragazza aveva seguito con attenzione tutte le parole dell'insegnante riguardo il programma scolastico di quell'anno e aveva cercato di ignorare le risate e le frasi di scherno che derivavano da Emma e le sue amiche.
Per questo motivo era rimasta con gli occhi fissi sulla lavagna e non si era nemmeno preoccupata di controllare chi fossero i suoi vicini di banco, troppo spaventata dai loro giudizi o dai loro sguardi impietositi. O peggio ancora, schifati.
Si sentiva una codarda a nascondere così i suoi occhi, oltre i folti capelli ricci che le ricadevano ai lati del viso, ma aveva passato tutto l'anno precedente vittima di prese in giro e scherzi malvagi. Qualche volta aveva avuto anche l'istinto di reagire, ribellarsi, mettere fine a quella sofferenza, ma ogni volta le tornava alla mente quanto era successo alle medie e così qualsiasi contrazione veniva immediatamente cancellata.
Non voleva rivedere ancora quell'espressione sul viso di suo padre, perciò avrebbe ingoiato qualsiasi cattiva parola, qualsiasi spinta velatamente volontaria, qualsiasi occhiata di superiorità.
Poteva farlo.
Doveva farlo.
Cecilia si alzò dal suo banco per attraversare la classe, con l'intenzione di uscire in corridoio e raggiungere il bagno e, passando vicino a Emma, sentì l'imitazione del verso di una mucca, provenire dalla sua bocca. Neanche si voltò a guardarla, strinse le mani a pugno e continuò a camminare, sperando che non tutti i suoi compagni avessero assistito a quell'ennesima umiliazione.
Rimase in bagno quasi tutto il tempo della pausa, ovvero quasi quindici minuti, sperando che le sue aguzzine avessero di meglio da fare che aspettare lei, ma evidentemente si sbagliava, infatti appena mise piede in classe, le vide appostate vicino al suo banco.
Si avvicinò silenziosamente, avrebbe tanto voluto essere invisibile, quando era più piccola l'aveva anche chiesto come desiderio a qualche stella cadente, l'aveva mormorato in qualche preghiera, l'aveva sperato spegnendo le candeline sulle torte di compleanno, ma gli anni passavano, e lei era sempre la stessa. Sempre combattuta tra la persona che tutti vedevano e la persona che in realtà era. Quella parte di lei che nessuno conosceva.
Man mano che si avvicinava alla sua sedia però, si rese conto che le ragazze non erano interessate alla sua presenza, almeno non quella volta, stavano semplicemente utilizzando il suo banco come appoggio per poter parlare con la sua vicina di banco.
Cecilia si sedette e trattenne un'espressione infastidita, notando che Emma si era praticamente accomodata sul suo quaderno di matematica, aperto davanti a lei e, nel farlo, aveva rovesciato per terra il suo astuccio, riversando ogni penna sul pavimento.
"Tuo fratello è proprio un tipo simpatico" stava dicendo Emma alla sua compagna di classe, assumendo un atteggiamento cordiale che Cecilia non conosceva. Non nei suoi confronti almeno.
"E poi è così bello" aggiunse la sua amica, lasciando spuntare un sorriso malizioso sulle labbra, mentre Cecilia si chinava con il busto verso il pavimento per recuperare i suoi oggetti.
"Glielo dicono spesso" sentì dire da una voce femminile che non riconobbe, così spiò con la coda dell'occhio la persona che stava parlando e intravide per la prima volta la sua compagna di banco.
Ciò che la colpì maggiormente, fu la sua pelle perfetta, neanche un difetto, nessuna macchia, nessun segno, pelle bianca, uniforme, invidiabile.
Si raddrizzò sulla sedia e istintivamente tirò una manica della felpa sopra la mano, per nascondere maggiormente la sua di pelle, piena di imperfezioni.
"È impegnato, per caso?" cercò di indagare Emma, inclinandosi all'indietro con la schiena e spostando la mano sul banco di Cecilia per avere maggiore appoggio, facendo così cadere ancora una volta l'astuccio che la ragazza aveva appena rimesso al suo posto.
Il tonfo che quell'oggetto fece sul pavimento, atterrò l'attenzione di Carola che si voltò verso la direzione dalla quale proveniva e vide Cecilia affrettarsi per recuperare le sue penne. Emma invece non si preoccupò minimamente di controllare il disastro che aveva combinato, rimase semplicemente in attesa di una risposta alla sua domanda.
Carola si era ripromessa di non immischiarsi negli affari degli altri, nella testa si ripeteva che aveva già abbastanza guai per conto suo, che quella era una nuova scuola e questo voleva dire un nuovo inizio. Doveva pensare attentamente alle sue azioni. Eppure quell'ingiustizia, quelle prese in giro, quel bullismo, lei faceva fatica a ignorarlo.
Forse dipendeva dal fatto che, fin da piccola, era sempre accorsa in aiuto del fratello che veniva deriso per il suo daltonismo. Nonostante lui fosse più grande di un anno rispetto a lei, per tutte le elementari non era stato in grado di rispondere ai ripetuti attacchi che subiva, perciò lei si era presa questo incarico.
E si era sempre fatta valere, nonostante avesse dovuto affrontare bambini più grandi di lei, non aveva mai permesso che qualcuno deridesse Bruno.
Poi qualcosa dentro il ragazzo era cambiato, durante le medie aveva trovato una nuova forza dentro di sé e, da qual momento, Carola aveva riposto la sua armatura d'argento e aveva smesso di essere il cavaliere del fratello. Aveva dovuto conservare quell'armatura però, per sé stessa.
Cecilia finì di riporre ancora una volta il suo astuccio sul banco, mantenendo lo sguardo basso, evitando di dire qualsiasi cosa a Emma che aveva ricominciato a blaterare domande su Bruno.
Mentre Carola osservava quelle bella ragazza che si nascondeva dentro una felpa enorme per la sua corporatura, si domandò se fosse arrivato il momento di indossare quell'armatura anche per qualcun altro, ma il suono della campanelle la fece tornare in sé.
Si sentì improvvisamente egoista, ma realizzò che non poteva farlo perché utilizzare quell'armatura per proteggere la sua compagna di classe equivaleva a dire toglierla a sé stessa.
E questo Carola non era pronta a farlo.
Bruno allunò le lunghe gambe sotto al banco e mosse la testa da una parte all'altra per massaggiare i muscoli del collo indolenziti. Compiendo questo movimento, i capelli scuri si spostarono sulla sua fronte, mentre i suoi occhi caddero su una ragazza a qualche banco di distanza, che lo osservava rapita.
Un sorriso istintivo nacque sulle labbra di Bruno, era così ironico apparire tanto perfetto alla vista degli altri ma, in realtà, non essere in grado di dire se gli occhi della ragazza fossero verde scuro o castano. Dal momento che lei non accennava a distogliere lo sguardo, le fece un occhiolino e notò le palpebre di lei aprirsi maggiormente per l'emozione, ma non si curò di leggervi ulteriori dettagli, non gli importava granché.
Spostò invece la sua attenzione sul grosso orologio appeso alla parete dell'aula e notò che mancavano solamente pochi minuti alla fine di quella prima giornata. Il professore davanti a lui stava spiegando come avrebbe strutturato le interrogazioni per tutto l'anno scolastico, ma Bruno non era particolarmente interessato. Se c'era qualcosa che non gli aveva mai creato problemi, era lo studio. Ricordava qualsiasi cosa le sue orecchie riuscissero a sentire, memorizzava qualsiasi frase i suoi occhi fossero in grado di vedere, ripeteva alla perfezione ogni nozione. L'unica cosa che non gli riusciva era distinguere quei dannati colori. Infatti la materia nella quale dava il peggio di sé era arte. Odiava usare gli evidenziatori, detestava le tempere, interpretava male i quadri, non comprendeva le sfumature.
La campanella suonò e la classe sembrò risvegliarsi, animata da voci e stridori di sedie che si sposavano. Bruno ripose il suo libro nello zaino e si alzò dalla sedia, fece per allontanarsi, ma una voce lo fece voltare: "Scusa, ti chiami Bruno, giusto?"
La ragazza che lo stava fissando poco prima, aveva trovato il coraggio di avvicinarsi a lui e parlargli, perciò lui le rivolse un sorriso cordiale e rispose: "Ciao"
Lei si agitò al suo della voce profonda del ragazzo, abissò lo sguardo sulle sue mani che si aggrovigiavano nervosamente davanti a lei: "Io mi chiamo Viola. Ecco... mi chiedevo se potevamo pranzare insieme... magari oggi"
La sua voce non trasmetteva la sicurezza che la ragazza voleva mostrare, ma bisognava riconoscere la sua audacia, tuttavia Bruno aveva imparato delle lezioni importati durante la sua ancora breve vita. E una di queste era non essere avventato.
"Mi piacerebbe, Viola" le disse con tono suadente, chinandosi un po' verso di lei e costringendola a trattenere il respiro "ma oggi non posso. Facciamo un'altra volta?"
Le guance di Viola si arrossarono, ma fu un cambiamento di colore così leggero che Bruno non potè notarlo, ma non gli serviva vedere bene i colori per riconoscere il linguaggio del corpo della ragazza. Spostava il peso da un piede all'altro, segno che stava cercando di controllare l'agitazione, non lo guardava in viso, segno che si sentiva intimidita dalla sua presenza e infine, respirava profondamente, segno che il suo cuore batteva forte.
"C-certo" replicò lei incerta, visibilmente a disagio per quel rifiuto.
Bruno fece per allontanarsi, ma poi sembrò ripensarci. Tornò a chinarsi su di lei, tanto che i loro capelli quasi si toccarono, puntò le sue pupille furbe sul viso pulito della ragazza e le sussurrò: "Ma grazie per l'invito, Viola"
Il suo nome, pronunciato da quelle labbra, con quella voce, avvolto da quel profumo. L'effetto che Bruno faceva sulle ragazze era sempre lo stesso: impossibile da negare.
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