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SAND CREEK


Alcune leggende sono antiche come la creazione del mondo,

ma anche reali, come il vero amore che lega due individui.

Il vento soffiava nella prateria piegando gli steli morenti, appiattendo arbusti e inclinando le chiome dei pochi alberi che, come vecchi eroi solitari, vegliavano su quella terra.

Pensava quanto la storia avesse poca memoria. Ogni civiltà e tempo ricorda le proprie disgrazie e i suoi caduti, ma nessuno percepisce la presenza del sottile filo che lega tutti gli eventi. L'uomo.

Ancora, sarebbe stato costretto a rivivere quel massacro, a guardare la sua famiglia morire sulle rive del fiume. Assistere inerme a quell'atrocità, tutti gli anni il solito maledetto giorno, per avere la speranza di riabbracciarli.

Quante volte il suo cuore era stato squarciato da immagini insopportabili alla vista, quante volte le lacrime erano fuoriuscite dai suoi occhi come un fiume in piena dai propri argini e le urla di dolore gli erano esplose dentro, come il più forte dei terremoti.

"Le lune passeranno, ne dovrai contare più di mille prima di rivederli, se sarai pronto."

Ne erano passate quasi il doppio.

Questa era la maledizione.

Questa era la sua unica speranza.

Questa era la leggenda.

Le leggende sono antiche, come le montagne.

Stava aspettando per l'ultima volta quel momento, fissando la lapide.

Sand Creek

Battle Ground

NOV 29 & 30 1864

Cosa c'era di consolatorio in quel pezzo di marmo? Cosa evocava quell'iscrizione a chi, passando di lì, si soffermava a leggerla? Quella terra, dove viveva la sua gente, non avrebbe mai dimenticato il sangue di cui era satura. L'erba, gli alberi, sarebbero nati e cresciuti nutrendosi del suo ferro.

La natura non dimentica. L'uomo sì.

È molto più facile vivere ignorando ciò che è accaduto, lavarsi la coscienza dallo sporco di eccidi e ingiustizie, ed edificare una lapide che si erode sotto le intemperie e il sole cocente di terre talmente aride, da non possedere nemmeno più la speranza che qualcuno ne conservi la memoria.

Odiava quella lapide, perché in nessun modo ricordava realmente ciò che era successo. Odiava l'ipocrisia che ormai impregnava l'umanità, di cui prima faceva parte. Rivivere ogni anno quel momento faceva sì che la profonda delusione verso ciò che aveva di fronte, prendesse il sopravvento sui sentimenti di odio, ormai sopraffatti dal troppo dolore.

Ancora una volta lasciava che il vento disperdesse le sue lacrime, cristalli di muta sofferenza e di ricordi per troppo tempo rimasti come unico appiglio alla speranza. Il solito vento che trascinava via lontano le urla di dolore, ma non abbastanza da poter essere udite da tutti. Che aveva cercato invano di ripulire quelle pianure malsane, portando nubi cariche di pioggia per lavare via macchie rosse che riaffioravano ogni volta, ricordo di un massacro indiscriminato.

Osservava il Sand Creek, nel ricordo della sua gente e di quei bambini.

Anime innocenti tra le sabbie del fiume.

Urla inascolate tra la terra del fiume.

Fiori di sangue tra le crepe di quel letto di morte.

Corpi abbandonati nelle rive del fiume.

Cupa è l'anima di chi odia. Può un uomo perdonare tutta questa crudeltà e follia? Chi ha permesso che l'umanità fosse portatrice dei più vili sentimenti e azioni di cui il suo spirito era stato spettatore, negli ultimi centocinquanta anni?

L'uomo aveva creato uccelli urlanti di ferro e acciaio, atti solo a uccidere, ma che non avrebbero mai avuto la grazia e l'imprevedibilità, nelle proprie ascese e traiettorie, di un rapace.

Ancora una volta, l'urlo dell'aquila portato dai venti. Da dove tutto ebbe inizio e da dove tutto, adesso, sarebbe finito. Chiuse gli occhi. Un dolore lancinante, un varco che si aprì nella sua mente, e tornò al 29 Novembre del 1864.


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Erano a caccia, sulla "pista del bisonte", a diversi chilometri dall'accampamento. Decine di fieri guerrieri Cheyenne e Arapaho, in cerca di cibo per le proprie famiglie. Non avevano lasciato difese, riponevano fiducia nell'uomo bianco, nelle giubbe blu, nelle loro parole.

Fino a che sarete accampati sotto la bandiera degli Stati Uniti d'America, non avrete niente da temere.

Osservava il cielo terso, e quella strana aquila che li stava seguendo già da tempo, come fosse un avvoltoio in attesa di una vita morente, da saccheggiare. Planava in cerchio, emettendo lunghi versi acuti, all'apparenza sofferenti. Gli altri guerrieri la ignoravano, come se non la sentissero, ma lui non riusciva a staccare gli occhi da quella regale figura in volo.

L'uomo bianco aveva invaso le loro terre, in nome dell'oro e dei propri interessi. Non potevano combatterli, l'unica soluzione era trattare e accettare false promesse, per poi essere confinati in riserve ed essere obbligati a cacciare lontano da esse. Ma quelle erano le loro Terre d'appartenenza, non c'era diritto né giustizia in quello che stava succedendo.

Strinse con rabbia le briglie del cavallo, fino a sentire il dolore delle unghie sulla carne. Erano un popolo pacifico, vivevano rispettando ciò che avevano attorno.

Ancora un urlo si propagò nel cielo, talmente acuto che dovette tapparsi le orecchie e fermarsi, chinando la testa sofferente. Il cavallo era agitato, batteva gli zoccoli a terra e iniziò ad arretrare. Quando si riprese, nel tentativo di calmare l'animale, si accorse che l'aquila era di fronte a lui. Sbatteva le ali lentamente, accarezzando l'aria, mantenendosi all'altezza dei suoi occhi e fissandolo con i propri. Punte di spillo penetranti e vermiglie, come il sangue.

Gli altri non si curarono della scena, proseguendo il proprio galoppo verso i bufali da cacciare. Il rapace mosse il becco, come se volesse proferir parola, ma gorgheggiava versi che sembravano pianti di bambino. Sangue iniziò a scendere dalle pupille, scorrendo sopra il piumaggio bianco e nero, finendo la sua corsa contro quel terreno infecondo. Poi prese di nuovo il volo, scomparendo in alto. Il rumore delle urla cessò e si accorse che uno dei capi tribù lo aveva affiancato.

L'aquila che hai visto segnerà il tuo destino. Se sarai abbastanza forte da percorrerlo.»

Non capiva, ma non ebbe il tempo di fare alcuna domanda. L'anziano si era già allontanato al piccolo trotto con il proprio cavallo.

Il ricordo si dissipò. Spostò lo sguardo verso l'alto, fino a che la luce solare non divenne ombra, il cielo azzurro non divenne purpureo e la sua mente si squarciò di nuovo obbligandolo, ancora una volta, a osservare inerme il giorno in cui massacrarono a morte la propria famiglia.  

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L'accampamento era insediato in un'ansa a ferro di cavallo del fiume Sand Creek, un arido affluente del fiume Arkansas. Erano rimasti solo pochi guerrieri che non erano andati a caccia, sui seicento nativi presenti nel campo. Il resto erano vecchi, donne e bambini.

Il rimbombo del terreno, una coltre di polvere e terra si era alzata all'orizzonte, sopra il calpestio feroce degli zoccoli sulla pianura sabbiosa.

Non c'era niente da temere, si fidavano dei visi pallidi...

Il terreno ormai vibrava talmente forte che i sassi e i granelli della stessa terra si spostavano al suo ritmo, in tutte le direzioni.

Ma quelli... non erano gli zoccoli di una mandria di tatanka.

Quando si accorsero che era provocato da cavalli al galoppo che portavano soldati armati e il pericolo mostrò il suo vero volto, era già troppo tardi.

Era costretto a guardare, ancora una volta, quelle maledette immagini. Uomini che d'istinto cercavano di recuperare le armi per difendersi, donne e bambini che correvano fuori dalle tende urlando, il terrore negli occhi. La sua famiglia...

Il frastuono degli spari di carabine e pistole. Le lacrime, la rabbia, l'odio che iniziavano a impossessarsi del suo cuore.

Sua moglie, il suo unico e più grande amore, era stesa a terra. Urlava il nome della figlia, della loro figlia. Era stata travolta da un cavallo e si trascinava dolorante e avvolta dalla polvere. Un soldato si avvicinò e le sparò a una gamba. L'urlo di dolore gli penetrò i timpani, falcidiò la sua anima, mentre lei continuava disperata a chiamare la loro bambina, a dirle di scappare, di nascondersi. Poi, l'uomo la prese per i capelli, iniziò a urlarle parole insensate contro, a picchiarla. Cercava di difendersi, coprendosi la faccia con le braccia, ma gliele spezzò, colpendola con una sciabola e infierendo su di lei.

La lasciò lì, a morire dissanguata.

Dopo centocinquanta anni che era costretto a rivedere quella scena, non c'erano più lacrime che potevano scendere sul suo volto. Rimase impassibile nel suo muto dolore, con la sua maledizione a fargli compagnia.

«L'aquila ti ha scelto. Quando la tua anima sarà in pace, potrai riabbracciare la tua famiglia.»

Così gli disse il vecchio capo tribù, quando tornarono nell'accampamento a piangere i loro morti, a meditare una vendetta che si sarebbe consumata solo alcuni anni dopo. I peggiori sentimenti che l'animo umano avesse mai partorito, avrebbero impregnato quella terra per sempre, rendendola asciutta come il cuore di chi non sa amare.

La fissava. Le vesti bianche intrise del color scarlatto, i capelli che le ricadevano addosso come un nero velo funebre, sparsi sull'esile corpo, ormai senza vita.

Uno degli anziani Cheyenne dell'accampamento raggiunse il palo di legno a cui era fissata una grossa bandiera degli Stati Uniti d'America. Un dono, dovevano essere al sicuro sotto di essa.

«Fino a che la bandiera Americana sventolerà sopra le vostre teste, nessun soldato vi sparerà.»

Così gli dissero. Ma quel giorno, spararono. E uccisero.

Quel pezzo di stoffa doveva rappresentare l'emblema di giustizia e umanità. Quanti indiani furono uccisi per ogni singola stella cucita su quella bandiera "portatrice di pace", durante quegli anni... non sapeva ormai più darsi una risposta. Ogni qual volta si risvegliava, vedeva sempre più sangue sgorgare da quelle stelle.

Ma non si limitarono a uccidere. La sua gente venne oltraggiata, mutilata, scalpata. Poi, vide la figlia.

Un gemito di sofferenza uscì dalla sua bocca. Iniziò a gridarle di nascondersi meglio, che così l'avrebbero vista. Ma non riusciva a sentirlo, non poteva. Perché lui non c'era, né allora né adesso. Era a caccia "del bisonte" e dopo, per tutti quegli anni, a caccia della propria pace.

Due soldati la scoprirono e le spararono. Una bimba indifesa, che si faceva scudo solo della propria innocenza. La tirarono fuori dalla sabbia, dove aveva cercato di celarsi alla loro vista, trascinandola fuori per le esili braccia e ne sfigurarono il corpicino.

No, non c'erano ormai più lacrime per consolarsi, i suoi occhi erano aridi come il letto di quel fiume. Ma non avrebbe ceduto stavolta, era pronto. Niente offuscò la sua vista e una nenia dolce e sussurrata, gli riempì le orecchie.

«Nessuno vive a lungo. Solo la terra e la montagna.»

L'aquila non volò via come in tutti quegli anni passati, quando lui aveva ceduto all'odio e alla disperazione. Gli si posò accanto, come un vecchio amico che vuole cercare di consolarti.

Scesero delle lacrime dagli occhi dell'animale, poi vi riconobbe lo sguardo della moglie, caldo e intenso come il primo sole d'estate e, immediatamente dopo, le iridi verdi e vivaci della figlia. Emise un lungo verso dal becco adunco, come se in quell'unico suono volesse disperdere il dolore di più di un secolo di sofferenze.

Un attimo dopo spiegò le ali e si allontanò giocando tra le poche nuvole che disturbavano quel cielo che, ogni giorno, osservava rispettoso il Sand Creek.

Due figure si fecero dinanzi a lui. La moglie lo prese per la mano e lo avvicinò a sé. Gli toccò la guancia, come faceva sempre quando erano insieme, sfiorando quella piccola cicatrice che lo faceva sempre sembrare così uomo ai suoi occhi. Un vero guerriero. Toccò ancora il suo volto sofferente, le folte sopracciglia nere, i lunghi capelli che ricadevano scomposti sulle spalle.

Da vero guerriero Cheyenne, quel giorno non c'era a proteggerle. Non c'era a far da scudo con il suo corpo agile e allenato dalla caccia e dalla fatica, per difenderle e impedire che le facessero del male. La sua maledizione era stata non morire con loro.

La donna si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò sulla bocca. Quanto gli era mancato il calore delle sue labbra piccole e sfuggenti, il calore di un amore che nemmeno la peggior crudeltà umana era riuscito a spegnere.

Si sentì abbracciare la gamba sinistra e abbassò lo sguardo verso la figlia. La prese e la issò su, all'altezza del proprio volto. Le morbide manine iniziarono a toccarlo fino a che si persero tra i suoi capelli. Glieli tirava, facendogli male, ma per la prima volta dopo tanti anni, era un dolore che lo faceva gioire.

Non c'era niente da dire.

Non c'erano storie da raccontare.

C'era un giorno da dimenticare.

C'era un'altra vita da passare insieme.

Niente muore, se si conserva il ricordo, niente passa quando credi fermamente che sia l'amore a far muovere gli eventi, e non l'uomo.

Voltarono le spalle a quel posto maledetto, eterei e invisibili come il vento che li accarezzava.

Quanti altri luoghi erano stati sfregiati con il sangue fino a macchiarne, indelebile, la terra? Quante anime ancora aspettavano il momento di poter ricongiungersi con i propri cari? Quanta sofferenza ancora era capace di generare l'uomo, uccidendo senza nessun discernimento, come per gratificare le peggiori passioni che attraversano il suo animo nero? Quanti bambini dovevano ancora morire sul fondo sabbioso di un fiume!

Non avrebbe più fatto parte di quel mondo. Era finalmente libero. Non avrebbe più dovuto guardare.

Mano nella mano, finalmente ricongiunti, seguirono la via dell'aquila. Si asciugò gli occhi e sorrise al proprio destino, come un vero combattente Cheyenne.

Perché alla fine, quelle, non erano solo leggende.

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