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Capitolo 6.1

Presagio lieto


Quella notte sognai di lui.

Gas che si addensavano, in una nebulosa lontana, e a poco a poco componevano il suo corpo.

Occhi dal riverbero di luce stellare, verde-azzurri e fiammeggianti, come la supergigante blu davanti a cui si stava inchinando.

Un giovane uomo, un inganno dell'universo, dalle fattezze fumose e grezze, e un aspetto umano scultoreo.

Un cavaliere devoto.

Un figlio grato.

Scie di polveri nere e dorate al suo passaggio, mentre voltava le spalle per lasciare la sua casa.

E venire da me.

Mi svegliai con il sibilo del vento e gli spifferi d'aria dalla finestra.

Sollevai le coperte fino all'orecchio: avevo la pelle fredda, anche se Zeno mi aveva fatto visita nei sogni, riscaldando i miei pensieri.

Potevo ancora sentire i suoi baci che mi ricoprivano di piacere, le sue mani che si infilavano sotto i miei vestiti, e salivano decise.

Io e lui così, quello era stato reale.

Undici ore fa.

Mi scoprii di nuovo dalle lenzuola, con un sospiro.

Ormai non avevo più sonno.

Mi tirai su, appoggiandomi sui gomiti, e aprii il cassetto del comodino.

Lì tenevo alcuni diari e vecchi album, che ogni tanto riguardavo con nostalgia.

Mi era sempre piaciuto raggruppare scritti e fotografie. Era come cristallizzare momenti del passato, farli diventare eterni.

Gli anni fuggivano, i ricordi si offuscavano, ma la carta... la carta restava. Senza tempo.

Il biglietto con i tre desideri ne era la prova. Era della Ester bambina, non di quella che ero diventata. Anche se secondo Zeno non vi era alcuna differenza, per lui coincidevano ancora.

Lo sfiorai con le dita, incollato ora a una pagina a righe di un diario. Quando lo avevo scritto, ero convinta che la magia potesse esistere.

Crescendo, tutto era cambiato.

C'era stata la scuola, fatta di sforzi e sacrifici. C'erano state le discussioni tra i miei genitori, le prime delusioni con i ragazzi, l'incertezza sul futuro.

E poi la morte del nonno, e la malattia della nonna. La realtà non si poteva ignorare, i desideri espressi non dovevano essere altro che vane speranze buttate al vento.

Come mi sbagliavo. Ora lo sapevo.

Una foto scivolò a terra.

Mi chinai a raccoglierla. Erano il nonno e la nonna, da giovani. Girati di profilo, avevano le mani congiunte e si sorridevano teneramente. Il loro sentimento si notava dai dettagli, e sembrava straripare dall'immagine.

Sorrisi, con dolcezza.

L'avevo sottratta a Iside di nascosto, ancora una bambina, perché avevo il desiderio di vivere anche io, un giorno, un momento così, e lei non se n'era mai accorta. Era da tanto che non la osservavo, non sapevo nemmeno più di averla.

La girai, dietro c'era una frase.

Sbattei più volte le ciglia, forse ero ancora addormentata.

"Dì grazie alla tua stella per noi, mamma."

Sarei andata subito da Iside, per via di quella singolare nota sulla sua fotografia, ma mi ero già organizzata per una uscita con Emma, e non volevo disdire all'ultimo minuto.

Quella domenica l'avrei dedicata alla mia amica, e a Montefioralle, il paese a circa un'ora da Firenze che mi aveva chiesto di visitare con lei. Non ci ero mai stata, e l'idea mi era sembrata carina.

Inoltre, sapevo che fare una gita fuori città era proprio quello che le serviva per svagarsi, e anche a me poteva fare un gran bene.

Arrivammo a destinazione verso le undici. Il borgo sorgeva su una collina, silenzioso nonostante il via vai di turisti che ne immortalavano gli scorci sulla vallata.

Era percorso da vie strette, lastricate in pietra, che si inerpicavano in salita, e conducevano a piazze che parevano estratte da un dipinto di un'altra epoca.

«Quindi ora vi vedete?» commentò Emma, interessata al resoconto.

«Non saprei.»

Le avevo raccontato di quello che era successo tra me e Zeno al parco, di come ci eravamo avvicinati, omettendo però la strabiliante magia a cui avevo assistito.

Forse era come mentire, non poter essere più sincera al cento per cento con lei, e mi dispiaceva, ma non ero pronta a rivelarle tutto.

«Come non sapresti?»

«È complicato.»

Lo era davvero. Non sapevo quando e dove avrei rivisto Zeno. Dopo avermi salutata, nell'atmosfera dolce di quella sera, si era incamminato per la sua strada. Non un "a domani", o "alla prossima settimana", o "a mai più", e io non avevo domandato.

Era diventato quasi distaccato uscendo dal parco, non mi era sembrato intenzionato a definire quello che c'era stato tra noi, o a farlo proseguire.

«Se gli interessi come sembra, non farà passare tanto tempo.»

Aveva ragione, tuttavia il motivo per cui Zeno era uscito con me poteva essere collegato solo al suo lavoro, come lo aveva chiamato lui.

Esaudire i miei desideri, niente di più.

Non lo sapevo.

Curiosando in varie direzioni, ci accorgemmo che la maggior parte delle persone si dirigevano verso il castello di Montefioralle.

Le seguimmo, e ci ritrovammo immerse in un caratteristico mercato, dalle bancarelle di diversi colori e profumi. I venditori erano perlopiù anziani della zona, che mostravano prodotti fiorentini, e facevano assaggiare ai passanti gustose specialità.

Emma si fermò davanti a una donna di circa una settantina d'anni, seduta su uno sgabello in legno dietro a una bancarella vuota. Aveva i capelli bianchi, e gli occhi vitrei, in un viso scavato da profonde rughe. Era l'unica a non avere prodotti, stava ferma a osservare i passanti, e per questo si distingueva dagli altri vivaci espositori del mercato.

«Siete in cerca di una risposta?» si rivolse a noi, saltando i convenevoli.

Indicò un foglio dove vi era scritto "Indovina di Montefioralle".

«Sì», rispose la mia amica, guardandomi come per dire "dai, proviamo".

Ero restia, ma decisi di assecondarla, perché in fondo non avevamo niente da perdere.

«Chi vuole iniziare?» domandò, seria.

«Io», si fece avanti Emma.

«Allora, porgimi la mano.»

Lei fece come aveva chiesto, e l'anziana l'afferrò per un polso, dopo alcuni tentativi andati a vuoto.

Era cieca.

Si mise a tastare con le sue dita le linee della mano di Emma, concentrata, poi mollò la presa.

«Sollievo.»

La signora fece subito segno a me. Aveva già finito la sua lettura.

Le porsi la mano, e mi lasciai toccare dalle sue consunte dita. La sua espressione non tradiva niente di quello che avrebbe detto.

«Ritorno.»

«Sollievo e ritorno», riassunse Emma, tutta contenta, pur non capendo granché di quella predizione. «Poteva andare peggio, dai.»

«Decisamente.»

Ci mettemmo a ridere, e non riuscimmo più a smettere. Da quanto non avevamo più avuto questa allegria, io e lei!

«Chissà che cosa avrebbe detto l'indovina a Elias?» chiese, facendo capire di aver notato in me un certo interesse a conoscere quel ragazzo così laborioso e colto, da quando era stato preso alla Bottega. «O al tuo Zeno?»

Arrossii. «Mio?»

Era presto, troppo presto per dirlo.

Per pensare di non potermi più bruciare dopo aver incontrato le sue labbra.

Inoltre, dipendevo da lui.

Già, chissà che cosa!

Una piccola pausa dagli avvenimenti degli scorsi capitoli. Ester ed Emma hanno bisogno di tirare un po' il fiato, per un motivo o per l'altro. Ho in serbo per loro taante cose, ma come ha detto Zeno in una delle scorse parti "non ora e non qui" ;-) Non è stato facile scrivere questo capitolo, dosare le informazioni, senza dire troppo, ma spero che il risultato sia di vostro gradimento! Commentate con le vostre impressioni, quando potete. A presto e buona serata!

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