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Capitolo 26.1

                                                             Rêverie

L'arcata celeste custodiva agglomerati di stelle nella sua teca di vetro scuro, aloni di luce chiara come selenite scendevano sulle basse abitazioni fiorentine, sbiancavano di purezza i mattoni del muro su cui avevo poggiato i gomiti per guardare.

Ero affacciata sulla città illuminata, in quella che ormai consideravo una terrazza in cui la magia era permeata perfino nell'aria che respiravo, mescolata al profumo dei platani al vento e delle caldarroste che un signore preparava in una via non lontana.

Qui mi sono aperta al cielo, e una stella di Orione mi ha vista dentro, per quella persona che ero e che ancora sono. Qui ha mandato un suo ragazzo speciale, a raccogliere il mio foglietto.

Ero nell'esatto punto in cui i miei desideri erano stati liberati all'universo, quella notte di quindici anni prima da cui tutto era iniziato.

Era così uguale ad allora, il modo in cui l'infinito blu proteggeva i suoi astri, tenendoli vicini a sé, accendendosi sopra le nostre vite attraverso di loro, eppure io ero cresciuta, cambiata, e la nonna non era più in grado di essere presente.

«Insonne... come me

Gorghi di emozione si formarono all'improvviso al centro del petto, risalirono lo sterno, trascinando con sé ogni immagine del cielo e delle luci, facendola confluire in un unico impetuoso nome.

«Zeno?!»

L'Eliodoro sui capelli, lo Zircone e la Giada verde negli occhi, la mascella accentuata dai brillii cosmici che arrivavano fin sulla terrazza, riverberando sulle case di Firenze.

Arcuò le sue labbra briganti, sorridendo della mia sorpresa, mandando in allerta i miei battiti, facendomi sentire ognuno di quelli come se potesse essere l'ultimo.

Nel suo sguardo di miele d'acacia e roccia magmatica, lessi una certa intesa, sembrava proprio volesse farmi notare che ero sola con lui, in un'area dove Saiph avrebbe approvato di vederci insieme.

Mi accorsi di quanto fosse vicino, di quanto fosse soverchiante la sua presenza fisica, quando si appoggiò di schiena al muretto, il volto girato verso il mio respiro irregolare, condensa dolce nell'aria.

Il suo giaccone, slacciato su una maglia di muscoli, cesellati dentro una stoffa scura quasi quanto la sua pelle, arrivava a sfiorarmi il fianco con la sua cerniera, sollecitandomi.

Aveva una imbottitura che faceva pensare a quanto caldo potesse essere, a quanta morbidezza avrebbe lasciato addosso, mentre fuori la temperatura a Fiesole continuava a scendere.

«Se potessi dormire come un ragazzo qualunque del tuo mondo, ti starei sognando in questo momento.» disse, senza alcuna remora. «Un sogno per bene.»

Non specificò che cosa intendesse con le ultime due parole, ma il tono della sua voce, più fievole e arrochito, sottintendeva una idea di me con... lui.

«Sognare porta via tempo per pensare.» commentai, facendomi colorare fin dentro l'anima dai suoi occhi, tinte muschiate e tinte saline, in grado di dipingere realmente un paesaggio da sogno.

«Ma pensare porta via tempo per agire.» replicò lui, esercitando una leggera pressione mentale, a cui mi piegai, come la setola di un pennello al suo pittore.

«Il tempo, già.» sospirai, e in quel sospiro mi sembrò ci fosse pure il suo, mentre si girava di nuovo verso la distesa di case all'orizzonte notturno, lasciando i miei occhi vagare sul suo profilo.

«È soltanto nel sogno che il finito diventa l'infinito, Ester.» continuò, facendomi sentire brividi per l'ampiezza del suo discorso, sussurrato da quella che consideravo la nostra terrazza, fino ai confini della città e oltre. «O nell'azione.»

«Pensavo a mia nonna.» confidai, lasciando mulinare le sue parole nella mia testa, come fossero state pronunciate da una sibilla. «Ho scoperto che conosceva non una, bensì due persone non comuni, una delle quali simile a te, e l'altra... non ne ho idea.»

Zeno incrociò subito i miei occhi, guardandomi con una necessità di me, di noi, che avrebbe potuto far esplodere le vetrate che avevo eretto intorno al mio cuore, lasciando solo voglie scure e residui taglienti.

Era una energia che aveva sempre avuto con me, fin dalla prima uscita, ma che adesso era ancora più marcata, pressante.

Il quarto di luna pareva rendere il suo viso algido, in contrasto con l'urgente attenzione e reazione che stava cercando con la sua occhiata.

«Non ne hai idea...» lasciò in sospeso, prendendomi una mano con la sua, di una scurezza del basalto, e sollevandola fino alle sue iridi, chiare come vetri. «Avrei dovuto farlo anche allora, qui. Tenerti le dita di bambina nel mio palmo, dirti che non mi importava se un giorno i tuoi desideri sarebbero corsi sotto la mia pelle come ombre.»

I polpastrelli del ragazzo si spostarono al mio polso, chiudendolo in una stretta che segnò un nuovo livido dentro di me, la fastidiosa sensazione di non potermi limitare a lungo, di non poterlo proteggere da me stessa come avrei voluto.

Così debole, di fronte al desiderio di amore. Così fragile, di fronte all'onestà del cuore.

L'altra mia mano si portò al suo zigomo sinistro, istintivamente bisognosa di dare e avere, mentre in me la mente infuriava di non farlo, di allontanarla di nuovo, e ne seguì la linea con le dita, accarezzando la pelle.

Ogni singolo poro.

La presa di Zeno strinse ancora di più intorno al mio osso, nei suoi occhi scie di comete verdi e blu, luccichii di speranza mentre, fermo, aizzava nei miei fiamme tossiche, che crescevano, e radevano pensieri.

Feci affondare l'indice e il medio nell'onda dei suoi capelli biondi, schiariti dal cielo stellato fino quasi a sembrare color oro e ardesia insieme.

Mi avvicinò a sé, tirandomi per il polso, arrivando a farmelo posare sulla sua maglia, su quel petto che non aveva alcun suono, ma che io, in qualche modo, udivo lo stesso, fracassante.

«Profumi di vita, Ester.»  bisbigliò, piegato al mio orecchio, e la sua confessione mi stimolò il lobo, facendomi tremare su di lui, aprendo la bocca per espellere la tensione. «Di quel qualcosa a cui io, come ricorda il mio stesso nome, non posso e non potrò mai resistere.»

Si appoggiò al muretto, trascinandomi con sé, le nostre diversità e affinità esposte al cielo, e laggiù a tutta Firenze; in quell'incerto contatto di corpi sembrava che il tempo si stesse frantumando in una cascata di stelle cadenti.

Le mie dita si ritrassero dalla sua ciocca spolverata di luna, e scivolarono sulla sua fronte, passarono sulle sue sopracciglia, mentre il braccio di Zeno mi cingeva dietro la schiena, serrandomi contro il suo bacino.

Scesero ad accarezzargli la guancia, liscia come un sasso levigato dall'acqua dei mari, e nel delicato e incantato percorso, mi resi conto che avevano formato una bellissima, eppure involontaria macchia su di lui.

Una virgola di nero sulla tempia.

Zeno riconobbe il mio turbamento dagli occhi, e non cercò di trattenermi quando arretrai, rompendo ancora una volta l'illusione in cui mi ero nascosta.

«Ho qualcosa che...non va?» domandò, con un filo di voce, e una nota di dolore.

I battiti mi colpivano così forte, insieme alla visione scura del suo tatuaggio, di quello che avvertivo come una colpa che non ero riuscita a evitare, che per alcuni istanti non riuscii a rispondere.

«È arrivato al tuo viso.» sussurrai, osservando la nuova riga di nero magico, corta in verticale, che sui suoi lineamenti, vicino all'attaccatura dorata dei capelli, pareva renderlo ancora più speciale, fascinoso.

Lui assunse un'espressione stupita, e si sfiorò il volto con entrambe le mani della stessa sfumatura della sera.

Si spostò dal muro, indeciso su che cosa fare con me, camminando di qualche passo per la terrazza, scoprendomi di nuovo al panorama di luci della città in cui abitavamo.

«Non posso dormire, ma posso sognare e fantasticare da sveglio.» concluse, mentre i suoi occhi mi ammorbidivano e riscaldavano come una pelliccia colorata, e la sua mano mi faceva un segno di saluto. «E posso assicurarti, che tu stanotte sarai nel mio rêverie.»

Benvenuti nel capitolo a tema "sogno o fantasticheria", il titolo alla francese significa proprio queste due parole, su cui si potrebbe scrivere un'infinità di cose! In questa prima parte, abbiamo trovato una Ester pensierosa, ancora presa dal passato di Iside, e uno Zeno (come sempre) intraprendente, che però non disdegnerebbe affatto alcuni sogni, se potesse farli ehehe ;-) Ormai mi conoscete, sapete che ogni frase che scrivo (ehi, quasi ogni ahah) ha un suo preciso senso, e anche qui non ho fatto eccezione! Quali sono le vostre impressioni su questa parte? Fatemi sapere nei commenti, e sostenetemi con un voto se vi è piaciuto ❤

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