Capitolo 20.1
Perpetuo
Metà cuore per ogni petalo.
Disegnai alcuni cuori sulla carta, rendendoli uniformi, non allungati ma neanche appiattiti, tenendo saldo il tratto.
Elias era davanti a me, sdraiato su un fianco, con una mano si reggeva la testa, con l'altra spostava la matita sul foglio.
Aveva una posa svogliata, ma i suoi occhi di onice avevano già escluso il contesto, e annullato tutto all'infuori della carta e...di me.
Prima di iniziare il disegno di un cuore, si posavano sul mio corpo, fissando un dettaglio preciso e diverso per volta, e parevano assorbirlo, strapparlo da me.
Definitivamente.
Era uno strappo lento, invisibile e indolore, croce e delizia per i miei sensi, che finiva per versare sangue trasparente nei suoi cuori.
Impregnandoli.
Il suo avambraccio era in tensione, sembrava in esso potesse fluire l'intera mente del ragazzo; i suoi pensieri e le parti che stava strappando di me esplodevano in linee dolcemente richiuse.
Era inconfessabile, ma ero incatenata dai suoi cuori insanguinati e dai suoi sguardi attenti su di me. Li consideravo qualcosa che forse era sempre esistito, ma a cui io non avevo mai fatto caso nel mio collega.
Adesso quel qualcosa era proprio di fronte a me, e danzava in tondo, danzava veloce fino a quasi a far girare la testa, fino a impazzire.
Mollai l'ultimo disegno incompleto, la mia mano era diventata tremolante, poco precisa, non riuscivo a tenere la matita sollevata senza mostrare a Elias, a tutti, la mia agitazione.
Lui non disse nulla, anche se ero certa non potesse essergli sfuggito, non a quei pregiati occhi di ebano nero, che sapevano trovare le radici sotterranee perfino dei fiori meno comuni.
Passò a ritagliare con le forbici i bordi dei suoi cuori, e seguendo le istruzioni delle insegnanti, li divise a metà in parti uguali.
«Tieni.» disse, porgendomi uno dei due ritagli.
«Non serve, adesso taglio i miei.» risposi, intenzionata a farcela.
«Non si rifiutano i regali.» insisté lui.
Sollevai lo sguardo sugli altri partecipanti, e stretta in una morsa di ferro, mi fermai sulla coppia che avevo evitato di fissare fino a quel momento.
Stanno sforbiciando tra le risate. Come se lui fosse un ragazzo normale. Come se non fosse divorato centimetro dopo centimetro da...me.
«Va bene.»
Accettai la metà di cuore di Elias, e la osservai scintillare bianca nel mio palmo, lucida del mio stesso sangue. Era un petalo del nostro Nontiscordardimé, ancora da colorare di azzurro con l'acrilico.
Concentrata a osservarlo, non mi accorsi che il ragazzo si era tirato su, tenendo già un pennello tra le dita, e lo aveva intinto nell'impasto.
Incontrai i suoi occhi scuri solo quando mi arrivò una pennellata sulla guancia, decisa ma non troppo estesa, che mi sporcò di colore.
«Elias, ma cosa...?»
«L'azzurro ti dona.» si giustificò con semplicità, facendo le spallucce.
«Grazie, eh.»
«Vedrai come verrà bene, ora, il Nontiscordardimé.»
«Ti prendi gioco di me?»
«Tu che dici?»
Con il pennello iniziò a pitturare le sue metà di cuori, riempiendo i petali del fiore del ricordo con lo stesso azzurro che era stato sulla mia pelle, da entrambi i lati.
Forse era il Myosotis, forse Zeno sempre girato verso la ragazza nuova, senza neanche dedicarmi un cenno da lontano, la mano che sorreggeva il mio pennello si allungò verso la guancia di Elias e lì vi rimase, perché lui...mi aveva trattenuto il polso.
Diedi alcune pennellate sul suo viso trasportata da lui stesso, che dirigeva la mia mano sulla sua guancia, seguendomi, intenso, da sotto le ciglia nere, e io caddi in un universo di azzurro.
Blu, come le ciocche dei capelli di Elias.
Blu, come uno degli occhi di Zeno.
Blu, come il cielo di Saiph.
«Allora, come procede qua?» mi diede un appiglio la voce di Marina, che si era avvicinata a me ed Elias, disponibile. «Tra tutte le coppie, sembrate quella più fuori dalle righe. Avete già fatto vostro lo spirito di questa lezione, e neanche ho accennato ancora alla storia.»
«La storia?» mi aggrappai.
«Maria?» chiamò, voltandosi verso la sorella, che, al contrario suo, reggeva un microfono. «Ora che siamo nel vivo, penso sia arrivato il momento. Vuoi narrare a tutti i partecipanti la leggenda austriaca?»
«Con piacere.»
Elias allontanò il busto da me, in un imprevisto scatto, lasciando il vuoto tra noi. Posò il pennello, e si tolse dalla guancia la pittura che gli avevo lasciato, pulendosi con gli occhi bassi.
«Sulle rive del Danubio passeggiano due giovani.» iniziò la donna, con un tono di voce recitato, piacevole da ascoltare. «Sono innamorati, sapete? Oh, come lo sono. Riuscite a vederli mentre si specchiano l'uno negli occhi dell'altra?»
Qualche fila più avanti, Zeno si alzò in piedi senza dire niente, sotto gli occhi interrogativi della ragazza con cui era in coppia per il fiore di carta, e...i miei. Prima che l'insegnante riprendesse a narrare, era già distante abbastanza per non udirla più.
«Il sentiero è pieno di fiori azzurri, di un colore così limpido e chiaro da poter competere con le acque del fiume sulle sponde del quale sono cresciuti. Il ragazzo vuole vedere brillare di felicità la sua amata, farle dono di quell'azzurro, così si piega a raccogliere dei mazzetti per lei.»
Elias si girò di spalle, dandomi per la prima volta la schiena, come se avesse voluto nascondersi in quelle parole che di sicuro conosceva già, ed essere lasciato in pace.
«Si premura di scegliere i fiori più belli, ma proprio quando li ha raccolti, perde l'equilibrio. Scivola e rovina giù nel Danubio, in un tonfo che fa tremare il cuore della ragazza. A nulla servono le grida di aiuto, la corrente è forte, trasporta via, riuscite a immaginare come può inghiottire quell'acqua? Il ragazzo sa che sta per annegare, che quello è l'ultimo momento in cui può vedere gli occhi della sua amata, per questo fa ancora uno sforzo e le lancia il mazzetto di fiori che è riuscito a salvare, urlandole...non ti scordar di me!»
Il silenzio tagliava ora l'aria, nessuno fiatava, sembravano tutti assorti, trasportati in un'altra epoca, quella della tragica leggenda del Myosotis.
«Capite ora, cosa state creando con noi?» lo spezzò Marina, congiungendo le mani in una supplica. «Un fiore che è simbolo dell'amore che supera anche la morte. Insegna che ogni momento può essere l'ultimo. Metteteci tutto quello che avete per viverlo, per essere ricordati!»
Le insegnanti lessero nei nostri sguardi che avevamo bisogno di una pausa per riflettere, per riprenderci; ci lasciarono una mezz'ora di libertà, durante la quale molti si allontanarono dalle loro coperte.
Mi alzai in piedi, e in quell'istante mi resi conto che Elias era rimasto seduto, cheto. Il suo viso, quello che aveva girato dall'altra parte per non farsi vedere, era rigato di lacrime.
Avete appena letto il primo aggiornamento di questa settimana. La quarantena e Pasquetta insieme hanno portato a questa parte (incolpate loroo ;-P), la prossima potrete leggerla già domenica! La lezione sui fiori di carta si è rivelata essere...ditemelo voi come. Preparatevi. Proseguiremo il prossimo capitolo con una pausa che potrebbe piacere...parecchio! Fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate di questo nuovo capitolo. A presto!
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