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Capitolo 6

SARAH

Il pomeriggio con Joseph si è trasformato in una serata. Siamo rimasti seduti a quel tavolino per ore. Il caffè è diventato aperitivo; l'aperitivo, cena. Abbiamo parlato di romance, di letteratura classica, di Pirandello, di Proust. Ho notato una passione nei suoi occhi, mentre snocciolava tutta la letteratura degli ultimi secoli, vista in pochi altri occhi. Era coinvolto, appassionato, rapito dalle pagine dei libri che mi raccontava, ed io ero imbambolata ad ascoltarlo. Il tempo è passato in fretta, e quando mi ha riaccompagnata a casa, era ormai oltre la mezzanotte.

Mia madre non ha fatto storie, comunque. O meglio, aveva iniziato la paternale, subito rientrata quando ha scoperto che no, non ero con Simone a fare chissà cosa, ma con Joseph. Il suo amato Joseph.

«E quindi avete parlato di libri per sei ore?» mi chiede, entrando in camera mia mentre io finisco di prepararmi per il sabato sera. Le ho già raccontato tutto ieri, quando sono rientrata, ma a quanto pare non le basta.

«Sì, ma'. Abbiamo parlato di libri. Di che avremmo dovuto parlare?» Lei si stringe nelle spalle, buttandosi sul mio letto e rovinandolo. Odio quando qualcuno che non sono io si fionda senza grazia sul mio letto. E odio che qualcuno lo stropicci. Sono maniacale nel rifarlo, ma a lei, a quanto pare, non importa.

«Pensavo non ti piacesse...»

«Definisci 'piacere'» mimo le virgolette, mentre aspetto che la tinta labbra si asciughi per fare una seconda passata. «E comunque, non mi piace nel senso che intendi tu. Ma parlarci è interessante»

«I migliori amori nascono così» la butta lì. Alzo gli occhi al cielo. Ormai si è fissata.

«Se vuoi ti organizzo un'uscita» esclamo, esausta. Lei ridacchia appena.

«Sono troppo vecchia» ammette. Mah, non così tanto vecchia, comunque. «E non cerco storie, io». Ecco, questa è una palese frecciatina a mio padre che fingerò di non cogliere. «Ma sai che sta per chiudere L'isola che non c'è» butta lì. Io sgrano gli occhi.

«Cosa?» quasi urlo. L'isola che non c'è è un parco giochi per bambini, con ogni sorta di attrazione. Altalene, scivoli, castelli, trenino di Biancaneve, tappeti elastici, gonfiabili. Un mondo a misura di bambino, dove farli giocare nei torridi pomeriggi estivi. Un'istituzione, nel mio quartiere. Ci sono cresciuta, è una parte di me. Una parte di questo posto. Un luogo di ritrovo, un luogo di incontro. Sento un groppo in gola difficile da mandare giù, mentre una lacrima fugge al mio controllo. La chiusura di quel parco è la crescita definitiva. Sono un'adulta, ormai.

Mia madre mi guarda comprensiva, accarezzandomi appena una guancia già coperta dal trucco.

«È definitivo?» chiedo. Lei annuisce rammaricata. Conosce la proprietaria, sa quello che dice.

«Loredana dice che non vale più la pena. I fratelli non vogliono più saperne e lei, da sola, non può mandarlo avanti».

«E non può aiutarla nessuno?» Mia madre alza le spalle.

«Servono tanti soldi, a quanto pare» mi spiega. Sono sempre i soldi, il problema.

***

Quando Simone viene a prendermi per il sabato sera, sono ancora scioccata dalla notizia del parco. Entro in auto come un automa, gli do un bacio perché so di doverlo fare, ma senza trasporto. Lui parla, mi racconta degli ultimi giorni, dell'università, di un progetto che sta seguendo con una professoressa che, a quanto pare, ammira molto. Io lo ascolto, annuisco, ma non sono presente. Riesco a pensare solo al parco e lui sembra non accorgersene.

Arriviamo in un pub un po' fuori Roma, dove già ci aspettano Joseph, Alice, Azzurra e un ragazzo mai visto prima. Scendiamo dall'auto e Simone si tuffa subito tra le braccia di questo nuovo ragazzo, senza nemmeno prendersi la briga di presentarmelo. Eppure sa quanto io sia in difficoltà con la gente nuova.

«Lui è Marco, il cugino di Alice» spiega Jo, venendo in mio soccorso. Io lo ringrazio con lo sguardo. Sembra davvero capirmi più del mio ragazzo. Sembra preoccuparsi per me.

Il pub è pieno e, tra la folla, riusciamo a raggiungere un tavolo un po' appartato in fondo alla sala. Qualcuno deve aver prenotato e io ringrazio chiunque sia stato. La scelta di mettere i tacchi non è stata geniale. Odio i tacchi. Mentre ordiniamo, mi guardo un po' intorno. Sembra di essere in una serie tv inglese, in uno di quei pub bui, col pavimento appiccicoso e qualche ubriacone sempre seduto al bancone. C'è una bella atmosfera, comunque.

«Saretta, che hai?» mi chiede Alice, sorridendo in modo dolce. Negli ultimi giorni ho scoperto che Alice studia con Joseph, che è la sua migliore amica e che sta con Azzurra dalle superiori. Tutte cose che avrei dovuto sapere, li conosco da mesi, ma che nessuno mi aveva mai detto.

«Niente... ho scoperto che sta per chiudere un parco giochi dietro casa mia...» spiego, suscitando l'ilarità di Simone che prende le mie parole come una delle più divertenti battute mai sentite. «Ti fa ridere?» chiedo piccata. Lui beve mezzo boccale di birra in un sorso, si pulisce le labbra e mi guarda, ridendo ancora.

«Sembra ti abbiano ucciso il gatto e invece è solo per uno stupido parco?»

«Non è solo "uno stupido parco". Ci sono cresciuta, lì dentro. C'è tutta la mia infanzia»

«Sì ma, sai di non essere più una bambina, vero? Perché a volte lo sembri» dice noncurante, tornando poi a parlare con Marco. Gli occhi iniziano a pizzicarmi. Non voglio che mi vedano piangere. Non voglio sembrare una bambina. Non voglio che Joseph torni a pensare che io sia una ragazzina stupida.

Mi alzo di corsa e, con la scusa del bagno, guadagno l'uscita. Ho bisogno di respirare, di calmarmi, di prendere aria per non mandare a fanculo quel grandissimo stronzo del mio ragazzo. Simone sa quanto mi pesi la differenza d'età. Conosce bene la mia paura di sembrare una bambina davanti ai suoi amici eppure, sembra non importargli affatto.

Mi lascio cadere su una panchina poco distante dalla porta d'ingresso del locale e mi asciugo gli occhi, provando a non rovinare del tutto il trucco. L'aria inizia a farsi pungente ma io, un po' per la fretta, un po' perché fino a ieri c'erano quasi trenta gradi, ho dimenticato di prendere un giubbotto di pelle dall'armadio. Mi raggomitolo su me stessa, provando a farmi caldo da sola finché qualcosa di non molto pesante mi avvolge. Mi giro e vedo Joseph seduto accanto a me. La camicia nera con le maniche arrotolate è l'unica cosa che lo copre, mentre il suo chiodo è sulle mie spalle. Faccio per ridarglielo, ma mi ferma.

«Stai tremando» sentenzia senza possibilità di replica. Lo ringrazio con gli occhi e mi sistemo meglio nel giubbino, infilando anche le maniche. «Non farci caso» aggiunge lui, riferendosi sicuramente a Simone.

«È un egoista» mi lamento. Lui alza le spalle, fingendo noncuranza.

«A volte è poco attento a chi lo circonda, ma non è cattivo»

«No, infatti, non è cattivo. È solo egoista» ripeto sicura, sistemando una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Ti va di riportarmi a casa?» chiedo dopo un po'. Non voglio rimanere qui, non voglio andare a chiamare Simone, che sicuramente mi costringerebbe a restare, e non voglio nemmeno tornare dentro con gli occhi gonfi e il trucco sbavato. Lui annuisce subito, senza nemmeno fingere di pensarci.

«Certo, andiamo» e con nonchalance prende le chiavi dalla tasca destra del giubbino che indosso. Saliamo in auto e stiamo zitti per un po'. Mi perdo per le strade silenziose di Roma. Incredibile come questa città, sempre in movimento, il sabato sera sembri deserta. I locali sono pieni, ma tra i suoi vicoli c'è un silenzio magico.

«Tutto bene?» mi chiede dopo qualche minuto. A me viene un groppo in gola che fatico a mandare giù. Non è per il parco. Non solo, almeno. È che mi sento sola, emarginata. Un soprammobile che a Simone piace portarsi dietro. Perché sono carina, e quando siamo insieme tutti ci guardano. Qualcuna mi invidia anche, ne sono certa. L'unico a non guardarmi, rimane lui.

«Non sono più sicura di niente» ammetto, torturandomi l'unghia del pollice destro.

«Di che devi essere sicura?»

«Della mia relazione, per esempio» affermo, retorica.

«Pensi davvero che ci sia sicurezza nelle relazioni? Nemmeno quelli sposati si sentono sicuri, e vuoi sentirti sicura tu, alla tua prima relazione, a diciassette anni?» Sbuffo.

«Sottolineare ogni volta l'età è proprio necessario?»

«Non capisco cosa ti infastidisca della tua età. Non è un demerito avere diciassette anni, è un dato di fatto. Ma a volte l'insicurezza è il bello delle relazioni»

«E anche il tuo ragazzo che ti ignora, è il bello delle relazioni?» Lui sospira. Non sa cosa rispondere e, forse, non c'è davvero nulla da dire. Perché se in un momento di sconforto, il tuo ragazzo ti ignora mentre il suo migliore amico viene a consolarti riportandoti a casa, forse il tuo ragazzo non è il ragazzo giusto.

«Comunque», riprende, «ho una versione limitata di Orgoglio e pregiudizio con testo originale a fronte, a casa. Se lunedì passi in libreria, te lo porto». Orgoglio e pregiudizio è il mio libro preferito. L'altro giorno gliel'ho buttata lì, non pensavo se ne ricordasse. Sorrido di cuore, più per l'attenzione che mostra nei miei confronti che per il libro in sé, e annuisco.

«Vengo dopo scuola» accetto subito.

«Se vieni per le cinque, andiamo a prenderci un caffè. Io stacco per quell'ora!» Annuisco, mentre lui parcheggia sotto casa. È arrivato il momento dei saluti e, improvvisamente, l'imbarazzo ci piomba addosso. Come dovremmo salutarci? Con una pacca sulla spalla? Una stretta di mano? Un abbraccio?

È lui a prendere di petto l'imbarazzo. Scende dall'auto, aspetta che lo imiti e mi abbraccia, inaspettatamente. Mi lascio cullare e ammetto di starci bene, tra le sue braccia. Bene in modo inaspettato e confortante. Mi sento protetta. Dopo qualche secondo ci stacchiamo e io faccio per ridargli il chiodo.

«Non preoccuparti», mi ferma. «Non ho freddo. Puoi ridarmelo lunedì». Annuisco, lo ringrazio e gli lascio un bacio sulla guancia. Questa volta sono io a lasciarlo spiazzato. Me ne accorgo dai suoi occhi e da come si massaggia la gota, mentre un leggero rossore si fa spazio sul suo viso. Gli sorrido e me ne vado. Sento i suoi occhi addosso, non mi lasciano finché non varco la porta di casa, sparendo dalla sua vista.











Buon pomeriggio bella gente

Eccomi qua, dopo un weekend pieno di adrenalina che, confesso, non ho ancora del tutto smaltito (Saretta ha vinto Amiciiiiiiiiiiii).

E quindi niente, iniziamo la settimana con un nuovissimo capitolo e con i nostri due delinquenti preferiti che, piano piano, si avvicinano sempre di più.

Che ne pensate? Come andrà avanti? Che succederà con Simone, con Letizia, con Sofia?

Fatemi sapere il vostro parere, le vostre idee, cosa pensate che accadrà. E lasciate qualche stellina, se vi va.

A presto <3

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