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Un lavoro pericoloso


Roger era il nome scritto dietro la giacca catarinfrangente indossata dal robot. Quel particolare droide aveva dato problemi alla città perché i suoi circuiti erano stati potenziati in seguito all'update che tutte quelle creature artificiali avevano dovuto scaricare. Essendo un vecchio robot, il file aveva sovraeccitato il complesso sistema di cavi che permettevano input e output di informazioni provenienti dall'ambiente esterno. Questo aveva dato una certa personalità a Roger che stringeva tra le mani un cappellino su cui il logo delle nuove scarpe da basket, modello Icarus, composto di ali evanescenti sotto un sole stilizzato.

Il robot era seduto insieme ad altre forme metalliche umanoidi su di un furgone che li portava nel cuore della città. Dal finestrino si potevano vedere enormi cartelloni che pubblicizzavano le olimpiadi imminenti che avevano come simbolo sei cerchi incrociati. Il sesto cerchio aveva dei bordi a forma di ingranaggio ed era stato aggiunto quando più team di ricercatori avevano creato droidi specializzati per sfide atletiche e discipline olimpiche come il nuoto o il pattinaggio. Ormai quelle creature erano inserite in ogni livello sociale e camminavano tra gli umani vestendo a volte lunghi cappotti per mimetizzarsi meglio nel clima urbano e rendere più apprezzabile la loro presenza.

Un uomo guidava il mezzo di trasporto senza ruote che utilizzava il magnetismo per spostarsi

e fischiettava un motivetto simile alla canzone che passava alla radio. Una volta parcheggiato, scese dal furgone e aprì il portone laterale, lasciando che i robot uscissero poi si recò nel retro. Aprì lo sportellone e estrasse lunghi bastoni, secchi e spugne che consegnò personalmente ai droidi che si erano posizionati in fila indiana. Avevano tutti una giacca catarinfrangente e guardavano dritti davanti a sé senza la possibilità di mimiche facciali. Roger si era messo in fondo, aveva indossato il cappellino e si guardava intorno. Era moltissimo tempo che era stato esentato da incarichi pubblici e ricercava con i suoi fotorecettori nuove immagini della metropoli, come se l'aria aperta gli fosse mancata.

"Roger, ascoltami bene." Disse l'uomo passandogli una spugna sintetica e un prodotto capace di ripulire qualsiasi superficie.

Il robot si voltò e prese gli oggetti che l'uomo gli passava.

"Questo lavoro è molto semplice, hai già rischiato più volte di essere fatto a pezzi, per favore questa volta non prendere iniziative tue. Va bene?"

Il droide rimase immobile, come aspettasse altre informazioni.

"Avanti, prometti che non farai niente di azzardato. Preferisco la tua compagnia che quelle lattine senza umorismo."

Il robot inclinò leggermente la testa.

"Va bene." Disse con voce metallica, poi alzò la mano articolata mostrando il pollice.

"E questo dove l'hai imparato?" Disse l'uomo spazientito.

Lui si voltò e raggiunse i suoi simili.

"Un film." Disse prima di scendere le scale che portavano alla metropolina. L'uomo scosse la testa.

"Ci risiamo." Disse tra sé e sé.

Una volta sottoterra i robot si incamminarono lungo i tunnel dove i treni sfrecciavano nel buio. Quando sentivano lo sferragliamento sulle rotaie si mettevano spalle contro il muro tenendosi alle tubature, poi riprendevano la marcia una volta che il pericolo si allontanava.

Ognuno aveva assunto la sua posizione e aveva comiciato il lavoro silenzioso. I muri erano pieni di graffiti che si sovrapponevano e formavano vivaci motivi colorati fatti di scritte a volte illeggibili. I robot, impugnando le spugne, strofinavano i muri con un prodotto corrosivo che avrebbe creato forti irritazioni ad un qualsiasi umano. Roger sapeva leggere e quindi prima di cancellare ogni scritta ragionava sulla storia da cui poteva provenire. Era più lento a lavorare degli altri, ma i suoi gesti erano meno meccanici e svolti quasi con passione. I robot affianco a lui avevano già pulito la superficie alla loro altezza e usavano il bastone per raggiungere i graffiti più alti.

Ad un certo punto Roger lesse una scritta che gli ricordò qualcosa: "L'arte viene dal basso". Aveva già visto la parola arte, ma dove? Si concentrò facendo scorrere le immagini dei suoi ricordi davanti alle fessure metalliche fotorecettrici e finalmente trovò quello che cercava. Finita la ricerca riavviò la vista normale e guardò il suo avambraccio che aveva impresso in stampatello le parole LOGITECH ARTS.

I suoi circuiti collegarono la scritta con il suo marchio e Roger ebbe un guizzo di volt. Lui era arte e quella scritta era la sua storia: lui proveniva dal basso. Cosa voleva dire? Non lo capiva, ma sapeva avrebbe difeso il murales con la propria esistenza metallica.

Il robot affianco a lui vide che non stava lavorando così lo scansò di lato mentre il rumore della metro si fece più vicino echeggiando nel tunnel. Roger afferrò il braccio del suo simile che stringeva la spugna zuppa della sostanza corrosiva e alzò l'arto sinistro in segno di stop. Il robot si liberò dalla presa e continuò il gesto che era stato interrotto. Allora il droide con il cappello si mise davanti al graffito e la metro passò vicinissima ai loro corpi di metallo. L'automa provò ancora a spostarlo così lui lo spinse con forza contro il mezzo in movimento. L'attrito creò scintille tutto intorno e il robot sfigurato cadde al suolo senza vita.

Una sostanza scura usciva ora dalla testa del droide. Roger ci si bagnò le dita e scrisse LOGITECH ARTS sotto il murales che aveva difeso, poi sparì nell'oscurità del tunnel.

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