2.2 Notti dʼamuri
Mi diressi giù per le scale a una tale velocità da non vedere neppure i gradini sui quali scivolavano i miei piedi. Li superavo a due a due, a tre a tre, a quattro a quattro, facendo leva sul corrimano per spingermi in avanti e prolungare lʼestensione del salto.
Non era raro che lo facessi, e lo era ancor meno che mia madre additasse alla mia spericolatezza la causa scatenante di prevedibili rovine future.
Nel tempo capii che non aveva tutti i torti, ma a me importava solo di volare.
Lʼidea di prendere parte a una serenata mi entusiasmava al punto tale da rinunciare di buon grado perfino al rituale che ogni sera, sulla scorta di una materna favella, pareva animare le sale di quel castello in bella vista, in verità disabitato da secoli.
Per una notte la principessa Sicilia avrebbe trovato una valida sostituta nella splendida Elisa, sogno erotico di vecchi e giovani, frattanto che allʼassenza di un principe in carne ed ossa avrebbe supplito Michele, figlio unico di un banchiere, erede del cospicuo patrimonio di famiglia.
Sarebbe stato come sedere tra gli spalti di un teatro allʼaperto il cui direttore artistico era lʼamore nelle sue più intersecanti sfaccettature.
Svoltando lʼangolo alla fine dellʼultima rampa trovai mia nonna sullʼuscio di casa con il suo solito fadale¹ merlettato e un sorriso smagliante.
«Cori meu!²»
Mi salutò con un centinaio di baci, lasciandomi lʼimpronta delle sue labbra rosso fuoco su tutta la superficie del viso. Non che fosse una novità: quella donna aveva una passione sfrenata per i rossetti, tantʼè che la sua prima attività mattutina consisteva nel tinteggiarsi la bocca con colori accesi che andavano dal rosa corallo al rosso scarlatto, da scegliere in base al sentimento del giorno.
In cucina, sedute attorno a un tavolo pieno di bibite e vassoi ancora sigillati, trovai due vicine di casa che mi accolsero con altrettante effusioni cariche di affetto.
«Talé talé, a stasira veru festa è! Nunziatina cʼè!³»
Mi limitai a sorridere e presi posto sul divano, davanti alla tv.
Mia nonna mi allungò unʼinsalatiera di bifari⁴ raccolti quello stesso pomeriggio e io, divoratrice seriale di frutta, per poco non feci piazza pulita.
«E la bedda di to matri unni sʼarristau?⁵» borbottò svogliatamente la signora Angelina, intenta a sorseggiare una tazza di caffé.
«Lassatila stari a me nora, chiffari avi!⁶»
La voce di mia nonna veicolava un non so che di insinuante, enfatizzato dallʼimmediato scambio di occhiate furtive che le tre donne si destinarono.
Nella stanza calò un misterioso silenzio che si protrasse per una manciata di minuti, finché una musica sempre più esuberante non si intrufolò dalla finestra aperta e spezzò quellʼermetica paralisi di tempo.
Accattari vurria ʼna virrinedda,
di notti la to porta a spirtusari,
e vidiri gioiuzza mia quantu si bedda
quannu ti spogli prima di curcari
Mi scantu ca tu fussi accussì bedda
ca lʼocchi nun mʼavissiru a ʼnnurbari,
lassa la porta misa spaccazzedda
ca cu lʼocchi chiusi ti vegnu a truvari⁷
Come al segnale di uno squillo di tromba mi precipitai immediatamente davanti allʼingresso, sporgendo appena appena la testa dalla storica tenda da esterno che dava un poʼ di colore alla facciata smorta di quella casa. Mi bastò notare la gran folla raccolta in fondo alla via per buttarmi in strada, seguita dalla nonna e dalle altre due signore che nel frattempo mi avevano raggiunta.
A poca distanza da noi cʼera un corteo di persone che la luce soffusa dei lampioni rendeva di difficile individuazione, sebbene in paese tutti conoscessero tutti.
A soffermarsi su quella visione sembrava quasi che la cadenza dei passi, la poesia della notte, la vivacità delle ballate e le frequenze strumentali della musica si fossero uniformati nel segno di una parallela e celestiale impenetrabilità dʼintenti, accessibile solo agli effettivi adepti di quellʼistantaneo e forsennato sodalizio.
La figura mingherlina di Michele, naturalmente in prima linea, per poco non scompariva dietro quellʼenorme mazzo di rose rosse che stringeva tra le mani. Tanto più se ad attorniarla sʼincontravano cinque mastodontici musicanti tra i più esperti cantori di serenate, ciascuno intento ad amoreggiare col proprio strumento, fosse questo una fisarmonica, un mandolino, un flauto traverso o un tamburello.
Il futuro sposo non spiccava certo per le sue doti canore, ma la cosa non pareva dissuaderlo dal cantare a gran voce e senza il benché minimo imbarazzo. Nei suoi accenti traballanti cʼera tutta lʼintemperanza di una passione che esigeva disperatamente libertà e fremeva di spiccare il volo sospinta dalle altalene dei palpiti cardiaci.
Sotto il balcone di Elisa, raggiunta la destinazione prevista, lʼavanzata si arrestò. Allo stesso criterio si accodò la musica, ma solo per il brevissimo intervallo che servì ad accendere gli sparklers precedentemente distribuiti in abbondanza tra la moltitudine.
Per la prima volta lʼespressione di Michele perse la risolutezza mantenuta fino a quel momento e, dietro la scorta di chissà quali elucubrazioni mentali, tradì un senso di tenera inquietudine. Gli fu sufficiente una pacca sulla spalla a ritrovare la disinvoltura del canto; a quel punto la sua voce sembrò farsi ancor più decisa e squillante.
E na barcuzza banneri banneri
sta Dia dʼamuri ni vinni a purtari;
ridianu tutti li celesti sferi
trimavanu li specchi di lu mari
E binidittu Diu ca ti manteni,
cʼaccussì bedda ti vosi furmari,
spampinanu li sciuri unnʼè ca veni,
lʼariu tribbulatu faʼ sirinari⁸
Elisa ci mise un poʼ a venire fuori. Si intravedeva come unʼombra dietro la tenda che separava lʼanta di vetro dalla sua stanza; doveva essere lei, paonazza dalla vergogna per quel gesto eclatante che con insulta prepotenza la piazzava al centro dellʼattenzione.
Era una ragazza particolarmente introversa, tutta ripiegata su se stessa, sempre indaffarata a smaltire i propri impulsi entro i confini di un ego vertiginoso, seppure le sue guance vermiglie la tradissero di continuo.
Talvolta, più che della sua ostinata riservatezza, appariva vittima di quella vanità che circoscrive i sentimenti allʼesclusiva autocrazia dellʼio, un poʼ per senso del pudore, un poʼ per naturale istinto di possesso, un poʼ per terrore che un inestimabile patrimonio emotivo, in preda a unʼegoismo in crisi, stupidamente si umili allʼazione demolitrice dellʼincuria.
Sicché allʼostentazione preferiva la segretezza, allo sfoggio delle passioni anteponeva il coabitarle nellʼintimo e aveva una devozione pressocché assoluta alla sua impenetrabile circospezione. Era stata disposta a rinunciarvi solo per Michele, ammesso che la vampa dellʼamore le avesse lasciato qualche possibilità di scelta.
Più verosimilmente lʼaveva colta alla sprovvista per trascinarla nella più dolce e irresistibile delle persecuzioni, come fanno le affinità quando, nellʼurto furioso della fatalità, si stanziano sottopelle e non cʼè più modo di espellerle. Tanto insolente è lʼamore quanto coatta è lʼinnata vocazione dellʼuomo a cibarsene con bramosia implacabile.
Passò una buona mezzʼora prima che Elisa si decidesse a emergere dallʼoscuro silenzio della sua camera. Michele aveva quasi cominciato a perdere le speranze quando la vide affacciarsi al balcone in una bianca camicia da notte, splendida come non mai, con gli occhi lucidi da far invidia a due diamanti e i lunghi capelli dʼoro rischiarati dai riflessi della luna.
Fu in quel frangente che il mazzo di rose rosse, senza alcun preavviso, volteggiò nellʼaria fino a raggiungere la ringhiera su cui si sporgevano le nocche della ragazza, visibilmente nervosa nel suo compulsivo mordersi le labbra e tormentare i riccioli che le ricadevano sulla fronte.
Malgrado la tensione, riuscì ad afferrare lʼenorme bouquet con unʼammirevole prontezza di riflessi, e altrettanto immediata fu la mossa con cui se lo portò alle narici per inebriarsi dellʼinconfondibile profumo di rosa.
Seguì una reciprocità di sguardi tra i due amanti, intensa da far scomparire tutte le centinaia di occhi presenti, protetta come da una cortina ideale che respingeva chiunque provasse a infiltrarsi furtivamente nella sciarada di cui loro e solo loro, nessun altro, erano i supremi detentori della soluzione.
Il labiale di Elisa lasciò lo spasimante in sospeso nellʼattesa di darsi una sistemata sbrigativa e raggiungerlo nel punto in cui, senza muoversi di un millimetro, Michele rimase ad aspettarla. Neppure un quarto dʼora dopo, come promesso, la ragazza varcò il portone di casa con un delizioso abitino floreale, destreggiandosi tra la folla di individui che nellʼabbracciarla pensavano di far cosa gradita, se non fosse che attardavano solo il suo approdo nelle uniche braccia in cui era desiderosa di sprofondare.
E quando finalmente si trovò dinnanzi al suo Michele, parve quasi rianimarsi nel lungo sospiro cui si lasciò andare. Allora prontamente si fiondò nella stretta che la travolse con un tale trasporto da eternare quel tempo trascorso ad attenderla, in effetti irrisorio, ma senzʼaltro interminabile per un desiderio struggente qual è, notoriamente, quello della carne.
Sotto un cielo trapunto di stelle ballarono per tutta la notte sulle note di lenti e tarantelle, dimentichi della gente che tuttʼattorno si accalcava lungo i tavoli stipati di liquori e prelibatezze tipicamente siciliane per lʼoccasione.
Nella generale giovialità del momento, tra cunti⁹, canti e danze popolari armonizzati in un impasto esemplare di poesia e folklore, sembrava quasi che lo spirito rinvenisse lʼarditezza di affrancarsi dalla grossolanità per sublimarsi nella contemplazione di unʼebbrezza che costituiva il non plus ultra della sensorialità. Ognuno trovava pace nellʼeccesso che reputava più confacente a se stesso: chi nel vino, chi nella musica, chi nel pettegolezzo, chi nello sghignazzo, chi nei cruciverba del sogno, chi nellʼentusiasmo degli amori appena sbocciati e chi, ancora, nella nostalgia di quelli perduti.
Ognuno, per così dire, viveva la sua fortunata notti dʼamuri.
Con il passare delle ore la folla andò sempre più diradandosi, finché della calca indistinta non rimasero che i volti e le voci familiari del quartiere.
Quella fu la prima volta che vidi lʼalba.
Tuttora, a distanza di due decenni, la memoria di quella corrispondenza di anima e natura mi folgora con la medesima intensità di allora, e ogni tentativo di decostruirla nella sua divina levatura si riconferma inconcludente dinanzi a tanta magnificenza.
A poche ore dal matrimonio che li avrebbe congiunti nella cattiva e nella buona sorte, Elisa e Michele, prima di salutarsi, si esibirono in unʼultima, sensualissima danza. Poi, sfiniti, si congedarono lʼuno dallʼaltra con un bacio da far invidia perfino al dipinto notoriamente riconosciuto come il manifesto dellʼarte romantica.
Nella brezza del primo mattino, ormai completamente ridotto al silenzio, la voce di Michele fu lʼultima a riecheggiare.
«Ti aspetto allʼaltare, Elisa mia!»
Glossario
¹ Grembiule di tela decorato con merletti e fregi.
² «Cuore mio!»
³ «Guarda guarda, stasera allora si fa festa per davvero! Cʼè la piccola Nunzia!»
⁴ Sono i frutti che maturano sugli alberi da fico qualche mese prima dei fichi stessi.
⁵ «E la tua bella mamma dovʼè rimasta?»
⁶ «Lasciate stare, mia nuora ha altro da fare!»
⁷ ⁸ Strofe tratte da unʼantica canzone siciliana dal titolo A virrinedda.
Vorrei comprare una verrina
per bucare la tua porta nella notte
e vedere amore mio quanto sei bella
quando ti spogli prima di addormentarti
Temo che tu possa essere talmente bella
da poter perfino accecare i miei occhi
lascia la porta semiaperta
che vengo a trovarti ad occhi chiusi
E una barchetta con tante bandiere
venne a portare questa dea dʼamore
ridevano tutte le sfere celesti
tremavano tutti gli specchi del mare
Benedetto Dio che ti mantiene
e che tanto bella volle farti
per la tua via sbocciano i fiori
lʼaria tempestosa fai rasserenare
⁹ Racconti, novelle.
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