Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo ventuno

Aveva freddo ai piedi. Questo fu il primo pensiero che colpì Dido quella pigra mattina di fine estate. Tastò con la mano il fondo del letto, non trovando tuttavia quello che stava cercando. Sapendo quando fosse freddolosa la figlia, sua madre le lasciava sempre una coperta di lana vicino, così che in caso potesse infagottarvisi dentro. Un mugolio scocciato si levò da sotto la trapunta, prima che una Dido ancora mezz'addormentata provasse ad aprire un occhio e poi l'altro. La accolse un caldo rosso arancio delle pareti circostanti, reso ancor più gradevole dalla luce del sole, che fendevano le delicate tende in lino ricamate.

Come si era permessa sua madre di ridipingerle la stanza a sua insaputa? Le avrebbe sicuramente fatto un bel discorsetto, non appena fosse scesa per la colazione, per il momento decise che era meglio pensare ad altro. Si sentiva la schiena tutta bloccata, come al solito doveva aver dormito in qualche posizione strana. Aveva appena portato le braccia verso l'alto come una ballerina di danza classica con l'intenzione di stiracchiarsi, quando la porta della camera si aprì improvvisamente e una nuvola di capelli castani la travolse

«Buongiorno dormigliona, non vedevo l'ora che ti svegliassi» esclamò Cleo gioiosa.

La sua migliore amica la stava stritolando in un abbraccio, che la bionda avrebbe tanto preferito evitare. Non che le dispiacessero certe impetuose dimostrazioni d'affetto, tuttavia il trauma mattutino del risveglio la faceva diventare una belva feroce con chiunque invadesse il suo spazio vitale. Dido fece lo sforzo immane di trattenere la rabbia, che le stava montando dentro, e stamparsi un finto sorriso sulle labbra. Alla fine non era colpa di Cleo se sua madre l'aveva fatta salire senza neanche avvisarla, un altro punto che avrebbe dovuto chiarire con la cara genitrice il prima possibile. Intanto Cleo si era impossessata di un cuscino e si stava accomodando sopra al grande letto a due piazze, come se fosse casa sua.

«Ragazze, se volete tra cinque minuti è pronto in tavola» disse gentilmente una voce femminile da dietro alla porta.

«Grazie, mamma» gridò senza pensarci Dido, accorgendosi solo in un secondo tempo di averlo detto nello stesso momento di Cleo, che ora la stava guardando confusa.

Dido non riuscì a capire il comportamento dell'amica fino a quando dalla porta della stanza non fece capolino il sorriso smagliante della madre di Cleo. Mrs Stevens era un'attrante donna di trentasette anni, aveva sposato il padre di Cleo poco più che ventenne e nel giro di un anno la famiglia si era arricchito di un frugoletto dalla pelle ambrata. Aveva gli stessi capelli castani e ricci della figlia, ma era più bassa di lei almeno una decina di centimetri, non per questo faceva meno paura quando si arrabbiava.

«Va tutto bene ragazze? Volete che ve la serva di sopra?» chiese Mrs Stevens, lo sguardo pieno di apprensione che andava dalla figlia alla sua amica.

«Non serve, ma'. Scendiamo tra cinque secondi» rispose Cleo.

La porta si richiuse dietro le spalle della signora Stevens, che scese le scale canticchiando un motivetto alla moda. Nella stanza calò un silenzio imbarazzato, nessuna delle due sapeva che cosa dire.

«Non ti ricordavi che papà ti avesse portata qui, dopo che ti aveva trovata alla stazione di polizia?» chiese Cleo dolcemente.

Il papà di Cleo era il poliziotto che aveva trovato Dido confusa e smarrita al distretto di polizia dopo la partenza dell'ambulanza. Dopo una frettolosa quanto urgente chiamata a casa Cooper, l'aveva portata a casa sua, ritenendola ancora sotto shock per l'accaduto e incapace di affrontare due genitori in piena crisi isterica. Questo almeno fu quello che Cleo si affrettò a raccontarle subito dopo. Dido continuava a scuotere la testa, lo sguardo rivolto alla coperta con cui stava giocando. Era per metà imbarazzata per quanto accaduto poc'anzi, e per metà smaniosa di riprendere il controllo dei suoi ricordi.

Rammentava di aver seguito la camaro nera, di come si era imbattuta nei suoi proprietari e di come poi era stata prelevata dalla sua macchina da quell'odioso agente Bryant. Aveva solo qualche reminiscenza del distretto di polizia nel tempo in cui era rimasta ad aspettare che qualcuno la liberasse da lì, e poi c'era quel vecchio vagabondo. I suoi occhi mentre annaspava verso il soffitto cercando di riprendersi quella vita, che se ne sarebbe andata di lì a poco tempo erano scolpiti nella sua memoria. Le cominciò a far male la testa.

Si chiese che fine quell'uomo, se fosse riuscito a sopravvivere alla notte, o se invece giacesse su una barella nell'obitorio di qualche ospedale. Le salirono le lacrime agli occhi e portò una mano alla bocca. Il detective Stevens doveva aver raccontato alla figlia più del dovuto, perché la ragazza le si fece vicina abbracciandola forte. A quel contatto Dido scoppiò in un pianto a dirotto.

«Mi dispiace, mi dispiace tanto» disse a mezza voce la bionda.

«Non ti preoccupare, non è stata colpa tua» disse Cleo accarezzandole i capelli.

«Potevo fare di più, potevo... mi dispiace» continuò a farfugliare Dido tre i singhiozzi.

«Shht, smettila di recriminarti. L'ha detto anche papà che era una cosa troppo grande per una ragazza della tua età e che hai fatto molto più del dovuto. Tirati su! Non voglio più vederti triste. Ora sai cosa facciamo? Ci abbuffiamo di pancake e sciroppo d'acero, una montagna di sciroppo d'acero, va bene?»

Dido proruppe in quella che doveva essere una risata, ma che le uscì come un suono convulso. Fece un cenno d'assenso con la testa e poi indicò la porta del bagno. Doveva darsi rinfrescata e guardarsi allo specchio.

«Ok, intanto io vado di sotto, poi possiamo decidere cosa fare del resto della giornata. Visto quello che ti è successo papà ha consigliato ai tuoi di non farti andare a scuola almeno per oggi e a me è stato concesso di farti compagnia. Quindi grazie per avermi fatto saltare due pallosissime ore con la Girardi a creare modellini in cartapesta» disse Cleo lanciandole un ultimo sorriso d'incoraggiamento, prima di uscire dalla stanza.

Una volta che fu rimasta sola, Dido si ributtò sul cuscino demoralizzata: la giornata non era partita nel migliore dei modi. Si guardò attorno esterrefatta. Come aveva potuto confondere camera di Cleo con la sua? Tutto attorno a lei parlava di Cleo, sempre e solo di Cleo.

La borsa da ginnastica era appoggiata sopra alla cassapanca in vimini, mentre alcuni attrezzi da palestra erano disposti ordinatamente sotto la finestra. Si alzò dal letto convinta che un po' di moto l'avrebbe aiutata a rimettere in moto i neuroni e andò ad ammirare i premi che l'amica aveva vinto nel corso della sua carriera sportiva. A fianco a questi c'erano quelli ottenuti alle gare di matematica: non tutti sapevano che Cleo oltre ad avere un bel corpo aveva anche una bella testa. Come si dice Mens sana in corpore sano.

Nella libreria di lato alla scrivania si potevano notare ben pochi libri d'evasione, la maggior parte erano volumi di biologia e chimica, saggi di fisica e manuali che preparavano all'ammissione al college. Dido ne sfogliò qualcuno, ma li rimise al proprio posto quasi subito. Tra loro tre era Cleo quella studiosa, aveva da sempre avuto la passione delle scienze e un giorno sarebbe diventata un medico, forse. Di certo i suoi genitori erano ben felici di assecondare questa sua ambizione.

Si avviò verso il bagno, dove si sciacquò la faccia. Aveva un'espressione spaventosa, la pelle era bianchiccia e smunta, sembrava che un tram le fosse passato sopra due o tre volte. Sbuffò e si tolse di dosso il pigiama zebrato, che Cleo doveva averle prestato per la notte. Entrò in doccia e si diede una rapida sciacquata. Non ci mise più di cinque o sei minuti, ma quando rimise nuovamente piede sul tappetino del bagno il pigiama era scomparso, sostituito da una pila di indumenti puliti.

Erano quelli che aveva indossato il giorno precedente, ma sembravano essere stati lavati e stirati. Nel mettere la felpa la mano di Dido andò automaticamente alla tasca della felpa in cui si ricordava di aver riposto il sacchetto di pasticche trovato addosso al vagabondo, ma non c'era. Controllò anche in tutte le altre tasche, sperando vivamente di essersi sbagliata, che non fosse quella la tasca in questione. Tuttavia dopo una stregua ricerca dovette arrendersi all'evidenza: il sacchetto di pasticche era scomparso e le sue speranze di arrivare a fondo di quel mistero con lui.

Si avviò lentamente per la tromba delle scale. Come poteva quel sacchetto essere svanito nel nulla? Era certa di averlo tenuto stretto in mano fino al suo arrivo a casa Stevens, poi però si era addormentata e a quel punto chiunque avrebbe potuto sottrarglielo. I sospetti di Dido su chi fosse il colpevole del furto ricadevano tutti sul signor Stevens, d'altra parte era un poliziotto ed era abituato alle perquisizioni. Magari non lo aveva fatto neanche consapevolmente, le aveva tastato le tasche e aveva trovato l'involucro con le pastiglie.

Aveva poi portato il sacchetto al laboratorio, dove degli scienziati stile C.S.I ne avevano analizzato il contenuto. Gli sarebbero bastati pochi secondi per concludere che si trattava di droga, che quelle avessero mandato in overdose quel vecchio vagabondo e che lei fosse la sua pusher. Era sicura che proprio in quel momento una volante stesse arrivando lì a sirene spiegate per prelevarla e portarla in carcere. Si avvicinò alla finestra del pianerottolo, ma sentì solo il cinguettio di una coppia di tortore che tubavano sul cornicione del tetto dei vicini e il canticchiare carezzevole della madre di Cleo che stava stendendo dei panni al sole. Il tempo che il pensiero si facesse largo nella mente Dido e già si stava precipitando in giardino.

«Signora Stevens, ha per caso... scusi, ha trovato...»  boccheggiò Dido, le mani strette al petto come a voler evitare che il cuore le saltasse fuori dalla cassa toracica.

Mrs Stevens era una mamma premurosa e accorta tanto con sua figlia quanto con le sue amiche, che considerava come delle figlie adottive, quindi vedere Dido così scossa attivò il suo istinto materno. Abbandonò nella cesta il lenzuolo che aveva in mano e si avvicinò alla ragazza.

«Tesoro, cosa succede? Ti senti bene?» le chiese con tono accorato, cingendole con un braccio le spalle.

«Si, si sto benissimo, vede io volevo chiederle ...» disse Dido.

«Qualsiasi cosa sia penso che possa aspettare il tempo di una tazza di cioccolata» replicò prontamente Mrs Stevens

«Ma io...» tentò a controbattere la giovane, ma fu interrotta da un gesto perentorio della donna.

«Niente ma, ora andiamo dentro e solo dopo che avrai fatto colazione come si deve, potrai chiedermi tutto quello che vorrai, va bene?» disse Mrs Stevens con un tono che non ammetteva repliche.

Davanti a Dido il sergente maggior di casa Stevens si ergeva in tutta la sua autorità. In quelle occasioni persino il marito aveva timore di contrariarla per paura delle conseguenze. Riluttante Dido segui Mrs Stevens in cucina, dove una Cleo incuriosita osservò l'amica sedersi a tavola con la testa bassa e lo sguardo pentito. La stanza profumava di buono, di cilade e miele. Una pila di pancake venne posto sotto il naso di Dido. Lo stomaco tentato dall'olfatto ruggì desideroso di essere nutrito.

Dido si sentiva così stupida per aver agito in maniera tanto avventata. Scapicollarsi così giù dalle scale per fare cosa poi? A che cosa sarebbe servito? Anche se fosse riuscita a spicciare parola con la signora Stevens, cosa le avrebbe voluto dire? "Salve, scusi se la disturbo, ma non ha mica trovato un sacchetto di stupefacenti tra la mia roba? Perché se così fosse la rivorrei tanto indietro". Allora sì che sarebbe stata nei guai, e in guai molto seri.

Cleo da parte sua non sembrava essersi accorta delle montagne russe su cui stavano viaggiando i sentimenti dell'amica, ed era partita per la tangente.

«... insomma io volevo andare da Jenny's a a farmi la manicure, ma Izzie mi ha dato buca. Ha detto che doveva studiare, ma io so che è una balla. Deve stare ancora sotto con la storia di Jason. Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo lasciare che si muri viva in casa» disse Cleo scuotendo la testa.

«Sono passati solo pochi giorni dall'inizio della scuola e vorrei già che finisse. Hai visto quanti compiti ci ha dato Ripley per la prossima settimana? Ma non serve che lo venga a dire a te, visto che hai anche quel saggio da svolgere. Certo che Mr Ripley è stato proprio un tiranno!» continuò la mora impeterrita, ma Dido non sembrava in vena di fare conversazione.

«Terra chiama Di, mi stai ascoltando?» esclamò alla fine Cleo con una punta di stizza nella voce.

La domanda dell'amica arrivò a proposito risvegliandola da quella sua fantasia.

«Mi sono distratta un attimo, che cosa mi stavi dicendo?» mormorò Dido ancora non del tutto lucida.

«Stavo dicendo che non ne posso più di essere ignorata dalle mie amiche. Ieri Isabel mi ha dato buca, ora tu fai scena muta. Mi sembra di essere rimasta sola, non so più cosa fare» esclamò esasperata la mora.

«Sai che con me puoi parlare, non direi niente a nessuno» disse Cleo dolcemente.

Quelle parole trafissero il cuore di Dido più di mille pugnali. Sapeva che era sbagliato tenersi tutto dentro, alimentava solo i dubbi e le ansie, che si annidavano sotto pelle. Aveva paura, paura di essersi cacciata in gran bel casino, paura che raccontarlo avrebbe reso l'intera situazione più complicata e allo stesso tempo reale. Ma soprattutto aveva paura di trascinare Cleo giù con lei. 

«É complicato» pigolò Dido, non riuscendo neanche a guardare la sua amica negli occhi.

La mora scattò in piedi più veloce di un fulmine, andandosi a piazzare proprio davanti a Dido che trasalì per la sorpresa. 

«Complicato o no ora tu mi dici tutto quello che devo sapere o giuro che non ti faccio uscire da qui» esclamò Cleo secca.

I geni di sua madre dovevano essersi risvegliati improvvisamente e ora ruggivano come una branco di leoni affamati. Dido sapeva che niente e nessuno l'avrebbe fermata, fin quando non fosse arrivata al nocciolo della questione, perciò acconsentì a quella pazzia. Cosa ci stavano a fare gli amci se non a supportarsi nei momenti più duri e difficili della propria vita.

Cleo e Dido conclusero la colazione in fretta e furia, tanto che, quando la madre di Cleo ritornò dalla lavanderia con una nuova pila di panni da stendere, delle due non c'era già più traccia. Erano le nove e mezza di mattina e il sole aveva finalmente deciso di uscire da dietro alle nuvole. Il bel tempo durò per lo spazio di un secondo. Dalla finestra aperta ricominciò spirare una brezza leggera, che si fece via via più forte. Una tazza si rovesciò sul giornale del mattino e il fondo del cioccolato andò a bagnare l'immagine in bianco e nero di un ragazzo giovane, con la faccia tumefatta. Il titolo di testa recitava: Blue skull, overdose di un sedicenne.


Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro