Capitolo ventitre
Niente è più intrigante di una porta chiusa, di una confidenza bisbigliata a mezza voce, di un segreto rivelato a notte fonda, quando il resto della casa è silenzioso e tutti dormono. Non bisogna quindi biasimare troppo la signora Stevens quando si accostò alla porta della camera di sua figlia quella mattina.
Sentiva solo l'impellenza di scoprire la verità. Stava facendo un buon lavoro? Sua figlia era felice? O invece l'affligevano pensieri di non precisata natura.
Non crediate che sia facile per i genitori comprendere cosa passi per la testa dei propri figli. Non lo fanno apposta a essere così iperprotettivi, probabilmente sono solo terrorizzati di commettere gli stessi sbagli che i loro genitori hanno fatto con loro. Purtroppo quest'ansia immotivata quasi mai li agevola nell'arduo compito di educatori e mentori.
Mrs Stevens aveva preso con gran serietà e dedizione il proprio ruolo di genitore. Quindi si comportava come solo una madre apprensiva e attenta poteva essere. Quindi non vide niente di male nel raccogliere un calzino caduto a terra e nel frattempo ascoltare parte della conversazione, che stava avvenendo tra le due ragazze.
«... così Ashley si è ritrovata tutta fradicia di birra. Non puoi immaginarti la sua faccia, era fuori di sé dalla rabbia» disse Cleo visibilmente divertita.
«Povero Freddy, dovrà emigrare in paese straniero alla svelta prima che quell'oca riesca a trovarlo» disse Dido.
«O magari potrebbe dichiararsi specie protetta. Ecco, a voi un esemplare di Frederick Lawson in cattività» enunciò Cleo con tono compito.
Le due amiche risero di gusto al pensiero di Freddy rinchiuso dentro a una gabbia con Ashley Emerson che cercava in tutti i modi di agguantarlo per la collottola. Poi come era venuta l'allegria se ne andò lasciando il posto a un silenzio teso.
«Penso se ne sia andata» dichiarò Cleo.
Prima che la mamma di Cleo si metesse a giocare all'agente segreto e che prontamente la mora mettesse su quel teatrino per le sue orecchie, Dido era riuscita a raccontarle a grandi linee gli avvenimenti che erano intercorsi nella sua vita in quegli ultimi giorni.
L'unica argomento su cui aveva preferito tacere era Rogue. Cleo era all'oscuro che una delle menti che si celava dietro a quel piano criminale, altri non fosse che il ragazzo che solo il venerdì precedente aveva baciato Dido prima di scappare sotto la pioggia. Né tantomeno avrebbe mai dovuto sapere che proprio lei lo aveva morso sul labbro.
Ripensandoci ora un sentimento di vergogna le colorò le guance, facendole avvampare. Perché lo aveva fatto? Che cosa l'aveva spinta a commettere un gesto tanto avventato, tanto infantile. Neanche fosse ancora all'asilo e il suo compagno di banco le avesse rubato i pastelli. Rogue però non sembrava essersi risentito per l'accaduto, anzi l'aveva osservata con sguardo divertito.
Dido doveva ammettere che era molto carino quando sorrideva, anche se riusciva a farla sentire sempre in torto, sempre fuori posto. Non era lei la criminale, quella che rubava nelle case altrui, ma chissà come la figura della pazza psicolabile la faceva sempre lei. Nonostante questo si era preoccupata per lui, lo aveva difeso quando Thunder era pronto a scoppiare e passare dalle parole ai fatti.
Il solo pensiero che Rogue potesse farsi male o venire ferito, l'aveva spinta ad agire. Aveva smosso un sentimento che era sopito dentro di lei, un sentimento profondo che ora le regalava un inatteso senso di calore e dolcezza e che la faceva sorridere come mai prima d'allora aveva fatto per nessuno.
«Quindi tu sospetti che Dylan e Jason siano obbligati a sottostare a una specie di ricatto?» disse Cleo battendosi un dito sul mento.
Dido arrossì per l'imbarazzo prima di rispondere. Se solo l'amica avesse potuto leggere i pensieri che poco prima le ronzavano per la testa, sicuramente avrebbero avuto una conversazione di tutt'altro genere. Purtroppo sentiva che non era quello il momento delle risatine eccitate e dei cuori scritti sul diario. I suoi amici avevano bisogno di lei e Cleo era smaniosa di sapere.
«Penso che si siano cacciati in un gran brutto guaio. Non definirei Thunder uno stinco di santo. Lui e la sua banda sono fautori del pugno di ferro, letteralmente parlando. I lividi sulla faccia di Dylan sono il loro marchio di fabbrica» disse la bionda con una punta di amarezza nella voce.
Le si era stretto il cuore alla vista di Dylan la mattina precedente. Come aveva potuto starsene con le mani in mano mentre quelle bestie riducevano in poltiglia i suoi amici. Si era comportata da vera codarda. Tuttavia se c'era una cosa che aveva imparato nel corso della sua recente visita alla stazione di polizia, era che non avrebbe mai più lasciato che semplici remore fermassero la sua mano dal agire per ciò che riteneva giusto.
«Sei sicura di non aver frainteso, Di. Magari quello che hai visto era solo un banale litigio. Sai come sono i ragazzi alla nostra età, molti muscoli e niente cervello» replicò Cleo incoraggiante, ma un'occhiataccia di Dido troncò ogni sua speranza.
«So quello che ho visto e non era un semplice litigio, te lo posso assicurare» replicò Dido scocciata.
«Non ti volevo offendere» rispose l'amica dispiaciuta, poi continuò «Quanti soldi devono a questo Thunder di preciso? Posso chiedere ai miei un anticipo sulla paghetta. Non sarà molto, ma sommato ai tuoi potrebbe essere qualcosa»
Dido scosse la testa sconsolata.
«Purtroppo non si tratta di denaro, quei bruti costringono Dylan e Jason ad assumere delle strane pasticche, droga sicuramente. Hai visto come era devastato Dylan ieri a pranzo? I suoi occhi erano come coperti da un velo di nebbia, gli tremavano le mani e quasi non si reggeva in piedi alla fine. Se non ci fosse stato Freddy, non so cosa avrei potuto fare per fermarlo» disse la bionda con sguardo vacuo, ripensando alla mattina precedente.
«Stai sempre a buttarti giù, hai fatto il possibile, salvato il salvabile come si dice. A ogni modo per capire meglio gli effetti che queste pastiglie hanno sul corpo potremmo analizzarle, però servirebbero dei campioni» disse Cleo incoraggiante.
Come al solito la sua mente analitica stava dissezionando il problema come si potrebbe fare con una rana. Solo lei avrebbe potuto ragionare con una mente tanto lucida e priva di sentimentalismi dopo aver fatto una tale incetta di informazioni.
«Né ho alcune a casa, le ho rubate dalla flacone che Thunder ha dato a Dylan» esclamò Dido sicura.
«Secondo me sarebbe meglio non usarle» ribatté Cleo.
«Perché?» chiese Dido allibita.
Era sicura di aver aver fatto la cosa giusta.
«Se le pasticche fosse state predisposte per un preciso ciclo di giorni, potremmo mettere nei guai il nostro amico se ne mancasse anche solo una. Non sappiamo quanto possano essere inflessibili i suoi aguzzini sul gioco che gli hanno imposto» disse la mora seria.
«Ma è la nostra unica possibilità di scoprire qualcosa» mormorò Dido demoralizzata.
«Lo sò , ma non possiamo correre rischi. Devi riportagliele il prima possibile, intesi?»
Dido annunì con la testa poco convinta. Le due amiche rimasero in silenzio per alcuni secondi, rimuginando sul da farsi. Entrabe cercavano un modo per uscire da quella situazione intricata. Dido non era convinta che rimettere a posto le pillole fosse la cosa migliore da fare e si stava già pentendo di aver fatto partecipe Cleo del segreto. Agire da sola era molto più facile e decisamente meno avvilente.
«Pensare che solo ieri avevo trovato un sacchetto di pillole uguali a quelle del flacone di Dylan, ma l'ho perso. Mannaggia a me e alla mia sbadataggine!» brontolò Dido, buttandosi di peso sul letto.
Aveva la faccia premuta contro il cuscino, perciò non si accorse del gridò di gioia dell'amica, né del salto che fece sul letto.
Dido la sentì atterrare sul pavimento con un gran botto e correre da qualche parte. Quando rialzò la testa la vide ritornare trionfante dal suo armadio con il sacchetto incriminato.
«Dove l'hai trovato?» disse prendendoglielo dalle mani per esaminarlo.
Cleo fece una smorfia mortificata prima di rispondere.
«Ieri dopo che papà ti ha portata a casa. Mamma mi ha detto che non potevi andare a letto vestita, così ti ho aiutato a indossare uno dei miei pigiami. Poi sei collassata sul letto e non hai ripreso più coscienza. Mentre controllavo le tasche ho trovato il sacchetto e l'ho fatto sparire prima che i miei se ne accorgessero, ho fatto bene?» chiese Cleo.
Alla bionda le ci volle qualche secondo per ricongiungere tutti punti del racconto. L'amica aveva parlato a testa bassa e con così tanta apprensione nella voce che aveva fatto fatica a capire metà delle parole.
«Grazie a Dio che esisti, Cleo» esultò Dido abbracciandola.
Cleo l'abbraccio a sua volta, poi però le fece cenno di tacere. I radar parentali potevano essere ancora in funzione, era meglio non correre rischi.
«Credo sia meglio nasconderlo di nuovo» disse Dido indicando il sacchetto «Almeno fin quando non ci servirà»
«Penso di aver il nascondiglio perfetto» annunciò Cleo facendole segno di seguirla nell'armadio.
Era la prima volta che Dido entrava in quella parte della stanza, di solito era vietato il passaggio. La piccola cabina armadio non era paragonabile alla sua, dove il disordine regnava sovrano, ma alla sua destra si poteva adocchiare una montagnola di vestiti sporchi. Dido si era aspettata di trovare pile di vestiti accuratamente ripiegati e ordinati per colore. Invece giubbotti di pelle si confondevano con felpe sgargianti e leggins di maglina e reggiseni sportivi erano gettati su uno scaffale alla rinfusa. A quanto pareva nemmeno Cleo era la figlia perfetta che ogni madre avrebbe voluto avere.
«Scusa per il disordine, mia madre mi trucida se viene a sapere che ti ho fatto entrare qui» disse Cleo intercettando lo sguardo strabiliato dell'amica.
«Non sei seria, vero? Hai visto camera mia» esclamò la bionda alquanto divertita per il suo imbarazzo.
Cleo le fece un sorriso incerto, e si accucciò per terra. Tastò con le mani il pavimento fino a trovare una delle assi di legno leggermente sollevata. Divelta la tavola venne alla luce un piccolo vano delle dimensioni di una trappola per topi. Dido vide di sfuggita gli oggetti che vi erano deposti. C'erano una scatola di latta, un libro dalla copertina tutta sgualcita e un orsacchiotto, ricordi di un'infazia non del tutto dimenticata.
«Ingegnoso!» esclamò Dido passandole la preziosa refurtiva.
«L'ho copiato da Gilmore Girls» rispose Cleo soddisfatta di aver colpito l'amica.
Dopo aver visto sparire il sacchetto sotto il pavimento, le due ragazze uscirono dalla cabina armadio e si spazzolarono vigorosamente i vestiti con i palmi delle mani.
«Ora che si fa?» chiese Cleo.
Dido non aveva programmato di essere lei il capo di questa operazione. Ora che i grandi da cerbiatta di Cleo la osservavano in attesa di una risposta, si rese improvvisamente conto del suo ruolo. Fino a quel momento aveva sempre arrancato al seguito di Isabel.
Delegava a lei faccende che riteneva di secondaria importanza, come dove andare, cosa fare, a qualche festa partecipare, di chi essere amica o meno. Ora toccava a Dido pianificare e dirigere il gioco. Un brivido d'eccitazione la percorse dalla tasta ai piedi.
«Ora mia cara ragazza, si va in ospedale» esclamò Dido compiaciuta.
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