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Capitolo quattordici

I due ragazzi caddero rovinosamente a terra sul cemento bagnato. Il cielo nuvoloso nascondeva un sole pallido, a cui Dido non riuscì ad abbituarsi immediatamente. Dopo aver sbattuto più volte le palpebre, mise a fuoco la scena. Dylan le dava le spalle, aveva i capelli scompigliati ma per il resto sembrava essere illeso. Rogue gli stava davanti, si teneva una mano stretta alla spalla destra. L'indifferenza, che fino a poco prima aveva caratterizzato il suo sguardo, si stava trasformando in divertimento. Doveva essere uscito pazzo anche lui. Chi in una situazione del genere si sarebbe messo a sorridere in quel modo? Si intromise comunque tra i due contendenti. Non che le importasse qualcosa della vita di quel mezzo delinquente, voleva solo cercare di far ragionare il suo amico. Dylan da parte sua la guardò stupito, come gli avesse appena trafitto il cuore con una freccia. «Basta» lo pregò lei mettendosi davanti a Rogue. «Vai via, DI! É una faccenda tra me e lui» le urlò contro Dylan e la spinse di lato, facendola cadere a terra. Dido sentì il tessuto dei suoi jeans che si bagnava a contatto con l'acqua, ma non ci fece caso. Si rialzò quasi subito, pronta a rimettersi nella mischia, sicura che nessun altro si sarebbe fatto avanti per fermare quel disastro annunciato. Infatti sebbene i cori d'incitamento fossero cessati, la folla guardava la scena attonita, incapace di muovere un dito, come se quella non fosse la vita vera ma una soap opera.

Dylan aveva intanto costretto Rogue in un angolo, tra un cestino dell'immondizia e una ringhiera in ferro e si apprestava a farlo diventare il proprio punching ball personale. Le probabilità che Dido riuscisse a fermarlo erano dello 0,000001%, ma era una di quelle persone che se non sbatte la testa contro il muro non si arrende. Mai. Sfoderò allora la sua arma segreta, quella che tirava fuori solo in casi di estrema necessità: i denti. Non si sa bene come, riuscì ad afferrare uno dei polsi del ragazzo e lo morse con ferocia. Edward Cullen le faceva un baffo. Dylan inveì all'istante per il dolore e si girò verso di lei tenendosi la mano ferita. Aveva il volto sfigurato dalla rabbia, gli occhi iniettati di sangue guizzavano da una parte all'altra. Una battaglia interiore si stava svolgendo nel suo petto e Dido sembrava esserne l'oggetto. Poi qualcuno si parò davanti alla ragazza, ostruendole la visuale. Era una schiena larga e muscolosa, coperta da un giubbotto impermeabile nero, capelli marroni sfumati sulla nuca. «Lei no» disse solo, e Dido capì che altri non si trattava di Frederick.

La trasformazione di Dylan in un animale selvaggio era andata ben oltre quello si potesse immaginare, il ragazzo rispose con un grugnito decisamente poco accomodante. Dido era troppo curiosa per starsene comoda alle spalle del proprio benefattore, così fece capolino da dietro a quella massa palpitante di muscoli. Immediatamente gli occhi azzurri del biondo si fissarono dentro ai suoi, ma l'alone di tenerezza che di solito li animava era scomparso. Al suo posto li infiammava una rabbia cieca e irrefrenabile. «Dylan» riuscì soltanto a sussurrare Dido, prima di distogliere lo sguardo da quei pozzi senza fondo. «Controllati fratello, non è questo né il momento né il luogo per questo genere di cose» cercò di persuaderlo Freddy, una mano protratta verso l'amico e l'altra messa a protezione della ragazza. «Questa faccenda riguarda solo me e il mio amichetto qui presente» ribatté Dylan, facendo un cenno con il capo verso Rogue, che nel frattempo si era seduto per terra.

Questi si premeva ancora la mano contro la spalla, ma il suo volto non sembrava sofferente. Il suo sguardo vagava compiaciuto tra Dylan e Dido, soffermandosi spesse volte su quest'ultima. All'inzio Dido pensava che lo facesse per scherno, ma poi si rese conto che era ammirazione. Però non era questo il momento per perdersi in simili considerazioni, come si rese subito conto la ragazza. Dylan si era voltato nuovamente verso il proprio avversario, pronto a lanciarsi in un nuovo attacco. «Dylan, ti prego fermati» lo supplicò la ragazza, ma a nulla valsero le sue parole. Prima che il biondo sferrasse il primo pugno, Freddy lo prese per le spalle bloccandogliele dietro alla testa. Così immobilizzato, Dylan si dimenò per qualche secondo prima di calmarsi. Dido gli si avvicinò titubante. «Allontanati Di, è pericoloso» le gridò Freddy da dietro alle spalle del biondo, ma Dido non si mosse. Gli scostò invece la frangetta riccioluta, che gli si era appiccicata alla fronte per via del sudore. A poco a poco gli occhi gli ritornarono normali, e la ragazza riebbe il suo migliore amico. «Puoi lasciarlo andare Freddy, è a posto ora» «Sicura?». Dylan sbatte le palpebre confuso. «Si, non ti preoccupare».

Esitante Frederick allentò la presa sull'amico, rimanendogli comunque molto vicino, cosicché se avesse nuovamente dato in escandescenze sarebbe riuscito a intervenire tempestivamente. Un'ansia eccessiva pensò Dido, visto che Dylan dopo il fatto era piombato in una fase down. Continuava attonito a scrutarsi le nocche delle mani, che si stavano gonfiando per i colpi sferrati. «Guardami Dylan, come ti senti?» gli chiese Dido preoccupata. Il ragazzo parve ritornare in sé per un momento, la fissò con uno sguardo pieno di paura e smarrimento. Cercò di sbiascicare qualcosa, ma emise solo suoni confusi e disarticolarti. Sembrava che le forze lo avessero abbandonato improvvisamente e fosse in grado solo di prendere atto degli eventi che si verificavano attorno a lui. Sarebbe rimasta volentieri ad approfondire la questione, ma una serie di strilli acuti li avvisò che tra qualche minuto sarebbero stati raggiunti dalla vicepreside Spinnet.

«Che cosa sta succedendo qui? Che cos'è tutto questo trambusto?» continuò a trillare Mrs Spinnet sgomitando tra gli studenti, che non ne volevano sapere di togliersi dalla sua strada. «Si fermi signor Hastings, dove crede di andare?». Infatti a un gesto di Dido, Frederick aveva preso Dylan per un fianco e lo stava trascinando lontano dal cortile, verso gli spogliatoi della squadra di football. La vicepreside Spinnet gli trotterello dietro per qualche metro, prima di rendersi conto che non ce l'avrebbe mai fatta a raggiungerli. In quel lasso di tempo Dido si avvicinò a Rogue, per verificare le sue condizioni. «Hai la spalla slogata». Era più un affermazione che una domanda, non voleva in alcun modo che Rogue pensasse che lei si stesse preoccupando per lui. Il ragazzo la guardava rapito, come se quella fosse la prima volta che la vedeva veramente. «Che hai da guardare? Tieni» disse togliendosi la felpa e lanciandogliela addosso. «Grazie, ma cosa dovrei farci?». Dido sbuffo irritata. «Legatela attorno al collo, no non così. Sei proprio un disastro». Alla fine cedette e lo aiutò a realizzare con la sua felpa un precario sostegno per il braccio del ragazzo.

Rogue non la ringrazio, non che Dido se lo aspettasse. Voleva qualcos'altro da lui, qualcosa che solo lui le poteva darle. Si scambiarono un rapito sguardo d'intesa e l'accordo fu stretto: se lui non parlava, nemmeno lei lo avrebbe fatto. Riguardo agli altri era sicura che nessuno si sarebbe disturbato ad alzare un polverone. Per cosa poi? Non era successo assolutamente niente. «Ora smamma, prima che Mrs Spinnet ti becchi a non fare il tuo lavoro» disse altezzosa. «Andava bene anche se non usava quel tono da bisbetica, vostra altezza» disse Rogue, facendo forza sulle gambe per rialzarsi. Dido si voltò verso il cortile, non era offesa per quello che aveva detto Rogue, non si sarebbe aspettata niente di meno da lui; aveva solo bisogno di controllare la situazione. Mrs Spinnet stava ritornando sui suoi passi con una flemma inaudita per fortuna, sennò l'avrebbe scoperta a parlare con il ragazzo. «Esigo una spiegazione, Miss Cooper, e la esigo ora» sbottò la vicepreside, distogliendola dalla porta in ferro grigia dietro cui Rogue era sparito esattamente cinque secondi prima. Dido non si era nemmeno mai accorta che lì ci fosse una porta, e frequentava la Bladeswood High School ormai da diversi anni. Invece il ragazzo ne era conoscenza, e fatto ancora più strano era sicuro che portasse da qualche parte.

«Allora?» la incalzò Mrs Spinnet, aggiustandosi la capigliatura che si era scomposta a causa della corsa imprevista. Aveva la faccia corrucciata, le sottili sopracciglia, quasi inesistenti, puntavano verso l'alto, mentre le labbra erano arricciate verso il basso in segno di riprovazione. «Che piacere vederla Mrs Spinnet, due volte in un giorno. Devo essere proprio una ragazza fortuna!» rispose Dido leziosa, non riuscendo tuttavia a nascondere una nota ironica nella voce. «Faccia meno la spiritosa signorina Cooper, che non ci metto niente a mandarla dal preside, e risponda alla mia domanda» «Quale, Mrs Spinnet?» le fece eco la ragazza con aria ingenua.  La vicepreside la incenerì con gli occhi prima di ripetergliela. «Mi spiace Mrs Spinnet, ma non so davvero di cosa stia parlando. Io non ho visto né sentito niente». Gli occhi porcini di Mrs Spinnet divennero due fessure per lo sdegno, ma riuscì comunque a stamparsi uno dei suoi soliti sorrisi affettati sulla faccia. Non era mai un buon segno. «Benissimo Miss Cooper, se è così che la vuole porre , non posso far altro che metterla in punizione. Venga nel mio ufficio alle due» disse Mrs Spinnet avviandosi verso l'ingresso della scuola.

«Ma per quale motivo? Io non ho fatto nulla di male» gracchiò Dido, ma la vicepreside non si voltò nemmeno per risponderle. «Alle due, la aspetterò con ansia» ed si chiuse la porta d'emergenza dietro alle spalle. Dido rimase nel cortile da sola, la maggior parte degli studenti era rientrata nelle rispettive classi, visto che la campanella era suonata da un pezzo. Anche lei avrebbe fatto meglio a rientrare, ma non riusciva a muoversi. Si era beccata due punizioni nel giorno di poche ore, e ci avrebbe scommesso la testa che Mrs Spinnet avrebbe avvisato i suoi genitori. Si guardò i palmi delle mani, accorgendosi solo in quel momento che si erano sbucciati per via della caduta di poco prima. "Che vita di merda!" pensò tra sé e sé la ragazza, prima di ritornare in classe. Aveva ricominciato a piovere. 

Nello stesso istante in una stanza buia e polverosa nei pressi del locale caldaie della scuola, si stava svolgendo un'accesa discussione. Rogue con il telefono stretto in mano rispondeva a tono al suo interlocutore dall'altra parte della cornetta. «Non hai capito, non posso andare da lui e iniettargli l'antidoto come se niente fosse, senza avere un quadro generale dei suoi parametri vitali, senza un Ecg o un Emogas». Rogue rimase in silenzio in attesa di una risposta. Sembrava piuttosto agitato, se Dido l'avesse visto ora, con quella faccia corrucciata da bambino capriccioso a cui hanno rubato il giocattolo, mentre si mordicchiava nervosamente il pollice della mano sinistra, lo avrebbe preso in giro fino alla fine dei secoli. «Lo vedi che non mi stai ascoltando, non lo posso fare, non ora, non oggi. Potremmo provare con l'altro semmai». Passò un altro periodo in silenzio, con soltanto il suono di gocciole di umidità che cadevano a terra e il vibrare delle macchine dietro di lui. «Va bene, dimmi solo dove devo andare» disse sedendosi davanti a cinque computer che affollavano la piccola stanzetta. La maggior parte mostravano video di sorveglianza della scuola. «23401 St.Richmond Street, ci vediamo lì» disse e riattaccò.

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