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Capitolo dieci

Tra tutti i generi cinematografici, i film horror erano quelli che sicuramente piacevano meno a Dido. Erano sempre pieni zeppi di sprovveduti che non facevano altro che cacciarsi in un mare di guai: come trasferirsi con l'intera famiglia in un hotel sperduto tra i monti, o farsi dare consigli amorosi da un coniglio. Tuttavia non riuscì a trattenersi dall'aprire la porta dello scantinato. In barba al fastidioso campanello d'allarme, che aveva cominciando a suonarle in testa. La prima cosa che sentì scendendo le scale, fu il fragoroso scalpiccio di piedi e grida proveniente dalla stanza sottostante. Si fermò poco prima che la la parete terminasse, rivelando così la sua presenza alla vista dei rapitori. Si accucciò sul gradino in legno, cercando di farlo scricchiolare il meno possibile, e avvicinò il viso al piccolo spiraglio di luce tra il corrimano e il muro sovrastante.

La cantina di casa Hastings era come se lo ricordava da bambina: umida e polverosa. Erano anni che non ci metteva più piede. Da quando Dylan aveva convinto lei e Isabel che fosse il nascondiglio di un noto serial killer arrestato dal padre, procuratore generale del Conneticut, e che questi fosse pronto ad ucciderle, non appena avessero messo il naso dentro la stanza. Come il suddetto criminale fosse evaso dal carcere di massima sicurezza di Somers, restava ancora un mistero. La stanza era illuminata solo da una lampada a incandescenza, che dondolava pigra sopra le teste di cinque uomini. Rouge non c'era, tuttavia come si rese subito conto Dido, i ragazzi scheletro non avevano fatto un solo prigioniero, bensì due. A fianco di un Dylan tutt'altro che docile e remissivo, c'era Jason. Il ragazzo accasciato sulla sedia sembrava aver perso i sensi, un rivolo di sangue gli colava dalla tempia destra. Due guardie erano appostate ai lati dei prigionieri, e dopo avergli legato le mani dietro alla schiena ripresero la loro postazione.

C'era un terzo ragazzo scheletro, più basso ma non meno robusto degli altri due, da come si comportava doveva essere il capobanda. Aveva una camicia nera aperta sul davanti, che mostrava una canottiera bianca perfettamente aderente al torace. La maschera da scheletro gli ricadeva dietro alla nuca, lasciandogli scoperto il viso. Aveva la testa completamente rasata, due baffi  gli incorniciavano le labbra carnose e degli occhi marroni così scuri da sembrare neri. Infine portava un brillante all'orecchio destro, che sfoggiava con molta vanità. Se non l'avessero accusata di razzismo, Dido avrebbe giurato che fosse messicano. Era seduto a cavalcioni di uno sgabello e si scrocchiava mollemente le dita della mano. Non sembrava avere alcun interesse per i prigionieri, finché Jason non cominciò a scuotere la testa riprendendosi dal suo stato di coma.

«La nostra bella addormentata è ritornata al mondo dei vivi, come si sta ad avere il culo nella merda frocetto?» disse avvicinandosi e facendogli un buffetto sulla guancia. Jason mugolò qualcosa, che la ragazza non riuscì a sentire. «Che hai detto, princesa?» chiese il suo aguzzino, ma il ragazzo non rispose. «VOGLIO SAPERE CHE HAI DETTO?» gridò, scagliandosi contro il giocatore di football. Il pugno del messicano si fermò a pochi centimetri dalla mascella di Jason, che per tutta risposta gli sputò addosso. « Io non parlo coi pezzenti». Il messicano dopo essersi pulito dalla saliva del ragazzo con il dorso della mano, rise sguaiatamente per qualche minuto e i suoi scagnozzi con lui. «Qualcuno ha deciso di tirare fuori le palle finalmente» disse continuando a ridere «Non vedo l'ora di gonfiarti botte e ammirare la tua bella faccia premuta contro il fango, mentre supplichi pietà. Nel frattempo ti consiglio di non infastidirmi troppo, se non vuoi che ci siano delle ripercussioni». Trasse dalla tasca interna dei pantaloni un coltello di medie dimensioni e gli fece scorre la lama su e giù per il collo. 

«Fai meno il pallone gonfiato Churro, senza il tuo capo non vali niente». Questa volta a rispondere non fu Jason, ma Dylan che aveva appena smesso fissare il pavimento e lo stava scrutando con aria di sfida. Dido era convinta che il ragazzo avesse fatto apposta a insultarlo, così da distogliere il teppista dal suo precedente obbiettivo. Tuttavia era anche il modo migliore per farsi uccidere. La risata del messicano gli si spense in bocca, smise di giocare a Edward mani di forbice e si discostò dalla sua preda, che si accascio nuovamente su se stessa. Ma fu una tregua momentanea. Come  se fosse stato colto da un raptus omicida, il messicano si avventò su Jason rifilandogli cinque colpi ben assestati alla bocca dello stomaco, che lasciarono il ragazzo boccheggiante. Jason non ebbe neanche il tempo di riprendersi che il ragazzo scheletro lo colpì nuovamente sul torace, sui fianchi e infine in volto. Sembrava come impazzito. Dido si tappò la bocca con la mano, ma non riuscì a trattenere un piccolo urlo. Sperò vivamente che nessuno l'avesse sentita in quel trambusto, in caso contrario sarebbe stata la fine.

«Figlio di puttana» gridò Dylan, dimenandosi sulla sedia, incapace di liberarsi dalle fascette, che gli legavano i polsi. «Sei impazzito? Perché l'hai fatto?». Il suo tono di voce era dieci volte più alto del normale, Dido si chiese come facessero quelli di sopra a non sentire niente. «Che carino, si preoccupa per il suo amichetto. Dovevi pensarci prima di metterti contro di me. Siete fortunati che il capo vi voglia vivi, veramente molto fortunati. Se fosse per me vi avrei già scavato la fossa» e preso il coltello fece finta di passarselo lungo il collo.

La situazione si stava facendo critica, Jason aveva assunto un colorito ceruleo e alcuni secondi dopo cominciò a sputare sangue dalla bocca. Aveva parecchi lividi su tutto il corpo, e Dido era sicura che ne avesse altrettanti sotto i vestiti. La ragazza si alzò di scatto, pronta a correre al piano superiore per chiedere aiuto, anche se questo voleva dire abbandonare momentaneamente i suoi amici. Aveva già cercato di contattare la polizia, ma non c'era campo in quella maledetta cantina. Il messicano schioccò le dita e i due scagnozzi si avvicinarono ai prigionieri con aria minacciosa. «Facciamo che ci diamo una calmata tutti quanti!» asserì una voce alle sue spalle. Dido si girò e proprio in quel momento due occhi verde smeraldo la inchiodarono a terra, impedendole di fare alcunché. Rogue era proprio dietro di lei, alla base delle scale. Non l'aveva scorto entrando, perché il ragazzo si era appoggiato a un armadio nell'angolo più buio della cantina e una catasta di sedie e sgabelli formava una barriera tra loro due.

Come si erano fissati su di lei trapassandola da parte a parte, quelli si ritirarono rivolgendosi al centro dell'azione. «Credo che sia meglio sbrigarci, più rimaniamo qui, più è probabile che qualcuno ci scopra, o peggio ancora si faccia qualche domanda». Rogue fece una grande pausa, forse stava valutando se rivelare la presenza della ragazza nella cantina o meno. Scosse la testa e si rivolse nuovamente al suo compagno. «Ascoltami Thunder, il Colonello ci vuole fuori entro dieci minuti» . Thunder per tutta risposta lo prese per il bavero della camicia e cominciò a urlare in faccia. «Ascoltami tu gringo, sono io a capo di questa operazione e non permetterò che tu mi dia ordini. Cuciti la bocca e ritorna nel tuo nascondiglio». Aveva le vene del collo ingrossate all'inverosimile. Quasi sicuramente avrebbe picchiato anche lui, se Rogue non avesse alzato le spalle all'istante, come a dire che a lui non gliene poteva fregare di meno. Tuttavia non si allontanò. A Dido sfuggì un sospiro di sollievo. Anche se Rogue non era da meno di quei delinquenti, almeno poteva contare sul fatto che non avrebbe inferito ulteriormente sui Dylan e Jason, proprio perché voleva come lei che quella faccenda si concludesse il prima possibile.

Ora che aveva ristabilito la sua leadership, Thunder si piantò davanti ai prigionieri, le mani dietro alle spalle come se fosse davanti alla maestra e stesse per elencarle tutte le capitali degli stati. «A fronte dei numerosi debiti accumulati, piccoli pezzi di merda cagasotto, della reiterata violazione dell'accordo e ai numerosi tentativi di fotterci, il Colonello dall'alto della sua magnanimità vi concede un'ultima possibilità. Siete disposti a impegnarvi, soddisfacendo le sue richieste?». Tra i due a rispondere fu Dylan, visto che il suo amico aveva la bocca piena di sangue. «Accettiamo» «Non so come, ma ci avrei scommesso, coniglietti» disse ridendo sguaiatamente. «Cosa dobbiamo fare?» ribatté l'altro teso.

Thunder fece un gesto a Rogue, che gli lanciò un barattolo di plastica, dai cui tirò fuori una pastiglia di un color azzurro intenso. «Dovete prendere una di queste due volte al giorno per tutta la stagione sportiva, vi controlleremo molto da vicino quindi non vi conviene fare i furbi, intesi?». I due ragazzi fecero di sì con la testa. «Cosa si tratta di preciso?» «Niente che vi riguardi, prendetelo e basta» «Ci sono effetti collaterali?». «Hey Chumlee, tu mi capisci quando parlo? Perché a me sembra che questi due bifolchi analfabeti abbiano qualche problema» disse rivolgendosi al ragazzo scheletro alla destra di Dylan, che per tutta risposta colpì il biondo in testa. «Abbiamo risolto i tuoi dubbi princesa? Possiamo andare avanti? Bene! ...» «Se faremo questo per voi, ci lascerete finalmente in pace?». Il messicano si grattò la testa febbrilmente: era sul punto di perdere nuovamente la pazienza, ma questa volta Rougue si intromise tra lui e Dylan. «Dobbiamo andare, sta arrivando la polizia. Lo so che adori sentirti il suono della tua voce, ma prova a stare zitto per un secondo».

Gli scagnozzi di Thunder cominciarono subito a protestare, ma il messicano li zittì con un solo gesto. Non c'era mai stato tanto silenzio in quella cantina, Dido sentiva persino il battito del suo cuore. Poi in lontananza risuonò la sirena della polizia, Rogue aveva ragione: stavano arrivando. Da quel momento tutto si svolse molto velocemente, i due scagnozzi liberarono Dylan e Jason, che erano messi così male, da non voler nemmeno provare a scappare. Quella che invece doveva darsi una mossa, e anche alla svelta, era lei. Aveva solo pochi secondi prima che il gruppo di ragazzi scheletro raggiungesse le scale sorprendendola. Chissà cosa avrebbero fatto in tal caso? Dido non voleva neanche pensarci. Si catapultò verso l'uscita, era a pochi centimetri dalla porta, quando senti qualcuno gridare nella sua direzione. O forse fu solo frutto della sua immaginazione? Entrò in salone, nel momento stesso in cui la polizia faceva irruzione in casa.




















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