Capitolo diciotto
La luce della luna filtrava tenue dalle finestre, illuminando il bel viso di un ragazzo addormentato. Jason si era dimenticato di chiudere gli scuri in legno, prima di addormentarsi, ma era così stanco che non lo avrebbero potuto svegliare neanche una mandria di bufali inferociti. Quella era stata una delle giornate più strane della sua vita. Si era svegliato presto, ma aveva deciso di non andare a scuola a causa dei lividi che gli sfiguravano la faccia. Sua madre non aveva battuto ciglio, sebbene ritenesse tale comportamento del tutto sconveniente per un membro della famiglia Lafferty e aveva vivamente consigliato al figlio di ravvedersi. Per tutta risposta il ragazzo in uno scoppio improvviso di rabbia, aveva rotto sotto gli occhi increduli di Mrs Lafferty e di Marisol, la loro domestica portoricana, il servizio da tè più prezioso che possedevano.
Mrs Lafferty era crollata sul sofà in velluto rosso, biascicando di quanto fosse stata sfortunata ad avere un figlio degenere e pazzo e chiedendo altro gin. Non le era passato neanche per la mente che il figlio potesse avere un problema o che avesse bisogno di lei. D'altra parte non si era minimamente preoccupata quando era ritornato più gonfio di Rocky Balboa, perché farlo ora. Al contrario Marisol, una cara e dolce signora di sessant'anni che lo aveva accudito dall'età di tre anni, si era separata da lui con l'angoscia nel cuore tanto che Jason aveva insistito affinché si prendesse il suo benemerito giorno di riposo.
Jason si era chiuso in camera sua e non ne era uscito, fin quando non aveva sentito sua madre uscire di casa per l'ennesima serata di gala per i bambini di qualche paese del terzo mondo. Suo padre invece come al solito era rimasto in ufficio e non sarebbe tornato prima di qualche ora. Aveva tutto il tempo di riposare prima dell'inevitabile lavata di capo. A causa del vento alcuni rami del grande olmo vicino alla sua camera sbatterono rumorosamente contro i vetri delle finestre, ma il ragazzo non si destò dal profondo sonno in cui era piombato. Un soffio d'aria lo sorprese alla schiena, facendolo rigirare su se stesso. Si infagottò ben bene nelle coperte e si riaddormentò. Doveva essere proprio un bel sogno perché le fronte, che normalmente teneva sempre aggrottata in un'espressione da duro che piaceva tanto alle ragazze, era distesa e un sorriso beato gli si era stampato in volto. Più che il grande e grosso campione di football sembra un agnellino al pascolo.
Le tende si animarono, rivelando una figura scura che si portò alla bocca un oggetto dalla forma cilindrica e oblunga. Dalla cerbottana venne lanciato un dardo che andò a ferire al collo il giovane, che infastidito andò a tastarsi la ferita prima di svenire. Lo sconosciuto fece qualche passo all'interno della stanza, prima di essere richiamato bruscamente indietro. Qualcuno stava cercando d'issare a fatica un borsone dall'aria piuttosto pesante sul balcone della finestra, tra gli sbuffi si mescolarono anche alcune espressioni molto colorite.
«Ifiofa di un fane russo, fieni a darmi una mafo invece di fafe la fella sfatuina» farfugliò Thunder con la pila in bocca, avendo le mani occupate a sorreggere il pesante fardello.
«Misha eseguire gli ordini, Misha essere un bravo cagnolino» disse il serbo prendendo il manico della sacca color militare e tirandolo verso di sé. Forse Misha mise troppo impeto nello svolgere il compito affidatogli, o forse Thunder desiderava disfarsi di quel peso il prima possibile, fatto sta che la valigia cadde rovinosamente a terra, producendo degli strani rumori metallici.
«Volete rompere tutto? Avete anche solo una vaga idea di quanto possa costare quell'attrezzatura?» li ammonì aspramente Rogue, che stava cercando di guadagnare anche lui la finestra, se solo il fondoschiena del messicano si fosse tolto di mezzo.
Nessuno dei suoi due compagni d'avventura sembrò particolarmente preoccupato dalle parole del ragazzo, si aggiravano infatti per la stanza sollevando soprammobili e frugando tra i cassetti. Avevano persino accesso le luci in barba a tutti i discorsi sul tenere un basso profilo.
«Così ci farete scoprire razza di delinquenti! Misha, smettila di prendere le cose che non sono tue. Almeno tu Thunder, potresti fare la persona seria e venire a darmi una mano visto che sei il capo di questa dannata spedizione?» li rimproverò sottovoce il moro con una punta di risentimento nella voce.
Il messicano fece orecchie da mercante e buttò all'aria una pila di libri scolastici che ingombravano la scrivania del loro ospite, mettendosi poi davanti al pc. Rogue lo osservò abbacchiato, mentre premeva con forza sui tasti e digitava codici dall'aria molto complicata. Rogue era stanco e infangato, non aveva alcuna voglia di mettersi a litigare, ma se volevano portare a termine la missione e andarsene prima che quella biondina impicciona li scoprisse dovevano collaborare tutti, soprattutto il messicano. Già era stata un'impresa titanica convincerlo a lasciare la sua preziosa camaro incustodita senza rivelare il collegamento che c'era tra lui e quella ragazzina.
«Cosa vorresti dire con saltare fuori dalla macchina?». Aveva detto Thunder guardandolo con gli occhi di fuori dalle orbite. Stava ancora cercando di far passare il borsone delle attrezzature tra i sedili e aveva la fronte imperlata di sudore.
«Vuol dire che quando Misha arriva all'imbocco di St.Richmond Street inchioda di brutto, cosi chiunque ci sta dietro dovrà inchiodare a sua volta e noi avremmo il tempo di sgusciare fuori dalla macchina senza essere visti» concluse Rogue abbastanza soddisfatto della sua spiegazione, indossando un berretto di lana nero sui capelli ricci.
«Io ci sto» esclamò entusiasta Misha, per cui ogni piano avventato e senza speranza di successo erano pane quotidiano. Il messicano però non sembrava convinto, si grattava pensieroso il mento, su cui era comparsa da poco una rada barbetta di cui era molto orgoglioso.
«E poi? Come fa Misha a raggiungerci, non possiamo procedere senza di lui»chiese esplicando infine i suoi dubbi.
«A parte che io basto e avanzo ...» cominciò a dire Rogue strafottente, ma fu subito sommerso dalle proteste del serbo, «... come dicevo, Misha, la cui presenza è non solo necessaria, ma anche vitale, metterà la macchina in folle e si nasconderà nel bagagliaio. Sicuramente il nostro inseguitore incuriosito non vedendo entrare né uscire nessuno, si avvincinerà alla macchina per controllare e allora ZAC! Il nostro amico uscirà silenziosamente dal abagaglio e correrà da noi con la grazia di un cinghiale nella stagione dell'amore» concluse Rogue con il suo solito mezzo sorriso da cattivo ragazzo.
«Grazie tante Rog»replicò il biondino stizzito.
«Non c'é di che tesoro. Allora capo, come ti sembra il mio piano?»
La buona sorte aveva voluto che Thunder per una volta si lasciasse convincere dalle parole dell'ormai ex amico e appoggiasse la sua proposta, sebbene con una certa riluttanza. Non era la prima effrazione che commettevano nella loro vita, quella volta però non si trattava semplicemente di rapinare una casa. Rogue tirò fuori dal borsono un ECG portatile, che appoggiò sul lato destro del letto, vicino al suo "paziente", che dormiva beato e del tutto ignaro che una banda di teppisti gli stava buttando all'aria la casa.
«Non farla tanto lunga, stiamo solo dando un'occhiata. Magari c'è qualcosa di cui il nostro giovane amico non dispiace separarsi e che invece posso regalare alla mia cara nonnina» disse Misha con aria innocente, intascandosi un orologio digitale di ultima generazione, di quelli che misurano anche il battito cardiaco.
«La tua cara nonnina si chiama TK e fa il ricettatore all'incrocio tra la settantunesima e Haested Advenue» precisò Rogue divertito, disponendo il resto della sua attrezzatura sul comodino.
«Devo portarvi anche tè e pasticcini signorine? Vi ricordo che siamo qui per lavorare non per fare conversazione» lì ammonì aspramente Thunder, che intanto aveva aperto una finestra che aveva tutta l'aria di essere un video proveniente dalla camaro nera.
La micro telecamera doveva essere stata posizionata sullo specchietto retrovisore centrale, perché si aveva una chiara visione dell'intero abitacolo dall'alto. Thunder fece scorrere il video al contrario, si vide un allampanato Misha sgusciare dentro la fessura tra i sedili posteriori e richiudere dietro di sé il passaggio con uno dei cuscini in pelle nera. Poi non accade più nulla per il resto del video, non che si vedesse molto dai finestrini appannati. Thunder fece andare avanti e indietro il video diverse volte, prima di arrendersi all'evidenza. Sembrava che nessuno fosse entrato nella camaro nera. Nel frattempo Rogue, che era passato ad analizzare i parametri vitali del giovane bell'addormentato, prese una delle numerose siringhe che aveva portato dentro una casetta del pronto soccorso e la strappò.
«Sei vagamente inquietante con quella in mano amico» gli disse Misha, che ormai aveva trafugato un buon numero di oggetti tanto da ritenersi soddisfatto, e si era appostato alle spalle del messicano, che stava riguardando per l'ultima volta il video di sorveglianza. «Eccola lì, guada che bel musetto invitante» disse il serbo, passandosi la lingua sulle labbra.
«Di chi diavolo stai parlando cagnaccio?» gli domandò immediatamente Thunder.
Misha indicò un punto a destra dello schermo, su cui si vedeva per tre volte una testolina bionda che faceva capolino dalla portiera dell'auto per vedere dentro l'abitacolo. Era così veloce nel farlo che Thunder non si era accorto di quello sfuocato puntino giallo che si alzava e si riabbassava, come se non ci fosse mai stato.
«Se è ancora lì quando usciamo, vado a chiederle il numero» sentenziò il serbo, andandosi a stendere vicino a Jason e appoggiandogli un braccio dietro alla nuca, come si farebbe con la propria ragazza. Rogue fece finta di niente e continuò a prelevare il sangue del giocatore di football, senza staccare gli occhi dalla sottile linea graduata della siringa.
«Una ragazza bassina, media corporatura, bionda e riccia, coppa B se non erro» elencò brevemente il serbo, la mano che carezzava la chioma scura di Jason, come se fosse un cagnolino particolarmente carino e coccoloso. «Era così spaventata che non si è nemmeno accorta di quando sono uscito dal bagagliaio. Tremava come un foglia mentre decideva se venire a controllare la nostra macchina, oppure no. Avrei tanto voluto andarla a consolare, ma forse avrebbe preferito te, Rogue. Non è la stessa ragazza con cui ti ho visto parlare quella sera alla festa della rossa spaziale, mi sembra che si chiami Dido, Dido Cooper» concluse con un ghigno perfido.
Per poco Rogue non ruppe il vetrino, che avevano in mano, invece lo mise sotto lo lente del microscopio e lo analizzò. «Come pensavo, i livelli della proteina C-reattiva sono triplicati, se continuiamo di questo passo la prossima volta potrebbe rischiare l'arresto cardiaco. Per il momento gli somministro semplicemente degli ansiolitici. Dovrebbero tenere la situazione sotto controllo fino alla prossima visita» finì di appurare il ragazzo, alzando finalmente gli occhi dal paziente, che essendo incosciente non aveva potuto sentire un acca delle prescrizioni del suo medico curante. Davanti alle facce interrogative di Misha e Thunder però, il suo solito tono professionale non avrebbe potuto funzionare.
«Non hai niente da aggiungere?» lo punzecchiò Misha compiaciuto della situazione, che stava contribuendo a creare.
«A proposito di?» disse il ragazzo con aria noncurante.
«Questa Cooper. Chi è? Cosa fa? Quanti problemi potrebbe crearci?» lo incalzò Thunder visibilmente alterato. Il messicano aveva una scarsa capacità di reagire bene alle novità, forse perché da piccolo era stato abbandonato sulla statale poco fuori Chicago dai suoi genitori e quindi si era fatto persuaso che ogni cambiamento dovesse per forza portare a delle spiacevoli conseguenze. Come dargli torto.
«Non ti devi preoccupare di lei TD, escludo categoricamente che possa metterci i bastoni fra le ruote. É solo una ragazzina» lo rassicurò frettolosamente Rogue, ma il messicano non sembrava del tutto convinto delle sue parole. Infatti cinque secondi dopo un trillo acuto risuonò per tutta la casa. Qualcuno stava suonando al portone di casa Lafferty chiedendo ospitalità.
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