Cap 15
Changmin POV
L'unico suono che riuscivo a percepire in quel momento, era il rumore della catena con cui mi avevano legato in quella piccola prigione dall'odore nauseabondo di muffa e di urina che non si allontanarono anche se c'era una piccolissima finestra posta in alto, da dove filtrava la debole luce della luna. Per quattro giorni rimasi in quella stanza a "meditare" sui miei sbagli e su chi fosse il padrone. Il vero padrone.
" Ti farò rimpiangere per non avermi accettato. E, naturalmente, ti farò anche pagare per l'umiliazione subìta da Yunho. "
Erano le sue parole, prima di rinchiudermi qui dentro. Era stato tutto così veloce e, soprattutto, così irreale.
Mi appoggiai alla fredda parete di pietra ed il labbro, leggermente spaccato, aveva ancora quel sapore ferroso del mio sangue. Non erano mancate le punizioni e nemmeno le parole cariche di disprezzo ed odio da parte di Jaejoong. Non era mancato nemmeno quella mossa meschina di usare la mia famiglia per farmi uscire dalla casa del mio padrone, ma almeno loro avevano riavuto la libertà. Le mie preghiere e l'aver accettato ciò che mi disse lui, furono la chiave per liberare le uniche due donne della mia casa. Se solo ci fosse stato Yunho...
Le immagini di quella scena mi si pararono davanti agli occhi, quando chiusi le palpebre per non pensare, ma non fu così.
Per le persone come me nessun posto era sicuro e non tutti sanno che, dietro al volto di molte persone, si nasconde una vipera. La mia famiglia venne ingannata in quel modo e presa in ostaggio come scambio con me.
Sebbene Khyhyun mi disse di non andare, non potevo ascoltarlo. Non c'era nessuno che potesse aiutarmi e Yunho non sapevo nemmeno quando sarebbe ritornato. Dovevo agire io, dovevo fare qualcosa io.
La famiglia veniva prima di me.
« Aspetta il tuo padrone. Lui saprà risolvere le cose. »
« Non posso... Verranno venduti se attendo e quella lettera lo dice chiaro... »
Non avevo imparato a leggere del tutto per bene, ma Khyhyun era riuscito a trovare qualcuno che leggesse quella lettera per me, quella lettera dalla caligrafia perfetta ma impressa di odio e di vittoria.
Jaejoong aveva preso la mia famiglia con l'inganno ed aveva calcolato tutto per bene. Sapeva come farmi abboccare e ci era riuscito.
La cosa che ancora non avevo ben compreso era come sapesse dove vivesse la mia famiglia.
Solo Yunho e Khyhyun lo sapevano in quella casa, ma non potevo dubitare di loro due. Non di quelle uniche persone che mi erano amiche in quel mondo non mio.
Ma se non erano loro, chi poteva essere stato?
Aveva forse indagato per conto suo e scoprire dove vivessero?
Non aveva nemmeno avuto un briciolo di umanità, nemmeno davanti ad una bambina malata come mia sorella, mettendola davanti ad una posizione così brutta.
I miei pensieri furono interrotti dal rumore di alcuni passi dietro la porta. Se non mi sbagliavo, a quell'ora, doveva essere la cena.
I passi si fermarono proprio davanti alla mia porta ed alcune serrature scattarono, facendo aprire la porta con un cigolio ed inondando la piccola prigione di luce che quasi mi accecò. Ero così abituato all'oscurità che la luce era diventata insopportabile alla mia vista ed alla mia pelle.
Non riuscivo nemmeno a vedere chi fosse, pensando che era nuovamente qualche altro schiavo del mercante, ma sentì il sangue gelare nelle vene, quando la persona davanti a me proferì parola.
« Vuoi davvero morire di fame, ora che sei qui e hai liberato la tua famiglia? »
La sua voce era sprezzante, ma anche divertita. Sapevo che adorava vedere la mia condizione, avvolto in quella sporcizia e malmesso. Tenni il viso basso, rifiutandomi di guardarlo, una volta che socchiuse la porta e si avvicinò a me con la ciotola della mia cena in mano.
« Sono venuto apposta per farti mangiare. Ho sentito che non accetti nulla dagli altri schiavi, ma oggi accetterai sicuramente ciò che ho qui. »
Non dissi nulla, spostando il viso dall'altra parte, quando mi lo avvicinò di più al mio viso.
« Non parli nemmeno? Non pensavo di averti tagliato la lingua... Forse dovrei provare a controllare. »
Sentì che posò la ciotola per terra, ma non mi aspettai quel gesto da lui, che mi colse del tutto di sorpresa: con una presa violenta sui miei capelli, mi costrinse a voltare il viso verso il suo, pericolosamente vicino. Un rantolo di dolore lasciò le mie labbra, incrociando lo sguardo di quel diavolo d'uomo.
« Fai sul serio...? » domandò sprezzante con un sorriso sarcastico sulle sue labbra. Avrei dato chissà cosa per farlo sparire dal suo volto, come quella volta in cui Yunho lo fermò.
Yunho... Ora non era lì a soccorrermi.
Jae non si risparmiò affatto.
Mi costrinse, con una presa ferrea ai capelli, di baciarlo.
Anche se cercai di divincolarmi e di spostarlo, sembrava immovibile, come una roccia posta davanti a me su cui ero premuto.
Sentì le lacrime farsi strada, quando la sua lingua violò la mia bocca, portandomi a gemere ed agitarmi, la catena che premeva al mio collo ad ogni movimento che compivo, portandomi a gemere e lasciar uscire quel rantolo di dolore che gli diede un sorriso soddisfatto, quando si allontanò dalle mie labbra, leccandosi le proprie e guardandomi negli occhi con quel barlume di vittoria che guizzava in quegli occhi.
« Vedo che allora non ti ho tagliato la lingua. Se riesci a gemere per il dolore, allora saprai anche parlare. Cosa dovrai fare ora? » chiese, tirando fortemente i miei capelli. Dovevo mordermi il labbro per non lasciar sfuggire quel dolore dalle mie labbra. Non volevo dargli tutte quelle soddisfazioni. Non a lui.
Si stava innervosendo, ma non aveva smesso di sorridere, lasciando la presa in malo modo e lasciando anche quella ciotola non molto distante da me.
« Se non mangerai oggi ed ora, puoi scordarti altri pasti, d'ora in poi. »
Non aggiunse altro, lasciandomi nuovamente da solo e sbattendo la porta alle proprie spalle, chiudendola a chiave. Tirai un sospiro di sollievo, le labbra che bruciavano e la testa che doleva. Il profumo di quella pietanza che non riuscivo a scorgere, invadeva la stanza e le mie narici e, sebbene avessi fame, non dovevo cedere.
Avrei preferito morire, se Yunho non fosse arrivato.
Avrei preferito non guardare un altro giorno di luce, pur di scampare dalle mani di Jae. Sapevo che, se mi fosse accaduto qualcosa, Siwon si sarebbe preso cura della mia famiglia.
Chiusi nuovamente gli occhi, reprimendo l'impulso di piangere e pregando, in cuor mio, che qualcuno venisse in mio soccorso, che Yunho venisse da me e mi liberi.
Perché se prima avevo in mente la morte come via di fuga facile, ora con il pensiero del mio padrone e delle nostre ultime parole dette prima della sua partenza, volevo vivere e godermi quei momenti d'amore solo con lui.
Amarlo ed essere nuovamente al suo fianco.
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Non mi accorsi di essermi addormentato, ma il rumore della porta che si aprì ed il fascio di luce che comparve, ferendo i miei occhi, mi risvegliò, facendomi gemere di dolore, quando due grandi mani mi sollevarono da terra, mentre altre mi liberarono dalle mie catene.
Ero libero? Yunho era tornato ed era venuto a salvarmi?
Erano le prime domande che il mio cervello elaborò, mentre mi tirarono fuori da quella stanza dall'odore nauseabondo e conducendomi fuori da lì, verso la luce.
« Muovetevi a prepararlo. Quel tizio potrebbe arrivare da un momento all'altro. » erano le parole che sentì, accecato ancora da quella luce.
« Muoviti! Non possiamo mica portarti in braccio o fare i tuoi comodi. »
Uno strattone ed un altro paio di braccia avvolsero la mia vita dolente, sollevandomi e camminando verso una stanza. Lentamente i miei occhi iniziarono ad abituarsi nuovamente alla luce, tanto da consentirmi di vedere che mi stavano portando in un ampio bagno, dove mi misero giù e mi spogliarono lasciandomi solo con la biancheria intima. Ogni movimento che facevo ed ogni loro gesto erano una tortura per il mio corpo malmesso. Mi sentivo davvero gracile e debole e, l'acqua gelata che mi gettarono addosso arrivò fino alle mie ossa, congelandole.
« Dovevi mangiare, bestia inutile. Allontanare la mano che ti nutre e ridurti così. Chi pensi ti vorrà comprare, magro come sei? »
Avrei voluto dire che non volevo più essere comprato, che avrei preferito farmi comprare solo dalla morte, se non fosse arrivato l'uomo a cui appartenevo.
Mi sfregarono la pelle, togliendo ogni sporcizia, tanto da dovermi mordere il labbro fino a farlo sanguinare, per via del dolore.
Una volta fatto, qualcun altro, entrò dalla porta, portando dei vestiti bianchi semplici, larghi, che mi misero addosso.
« Almeno così coprono lo scheletro che sei diventato. Avanti, portatelo dal padrone. » non mi avevano nemmeno asciugato i capelli e, l'uomo che era entrato con il nuovo capo, mi spinse verso la porta e poi verso il corridoio, introducendomi alla sala dove, mi riportò nella mente, il dolce ricordo di Yunho e le sue braccia. Della prima volta che mi salvò da quelle luride mani dell'uomo che stava ora seduto davanti a me.
« Ora si che sei più presentabile. Anche se le guance incavate e quel labbro spaccato non sono belle da vedere. Dovrei pagare qualcuno che truccasse gli schiavi, quando devono essere venduti, ma... Il denaro non posso spenderlo per animali come voi. » un sorriso di scherno comparve sulle sue labbra, quando gli ero vicino, proprio davanti a lui. L'uomo premete sulla mia spalla, costringendomi ad inginocchiarmi davanti a lui, ma tennì gli occhi puntati sui suoi, come di sfida che non avrei mai lasciato che vincesse.
Mi prese il mento, avvicinandosi al mio viso e tenendo lo sguardo fisso sul mio.
« Prima o poi riuscirò a piegare quello sguardo all'obbedienza, piccolo cerbiatto. » lasciò la presa ed accavallò le gambe, ordinando all'uomo dietro di me di rialzarmi.
Mi rimise in piedi, a fianco la sedia dove sedeva Jaejoong, ma non se ne andò. Rimase al mio fianco e mi tenne dietro per la veste in modo che non scappassi.
« È arrivato, signore. Vuole che lo faccia accomodare? » stavolta era una voce fuori dalla stanza a parlare, ricevendo il consenso di Jaejoong per far entrare quel ospite. In cuor mio speravo fosse Yunho, ma la figura che varco la soglia di quella porta mi lasciò una strana paura al petto, misto allo stupore: l'ospite non era altri che Siwon.
Avevo paura che anche lui fosse stato catturato o, persino, venduto, ma non vedevo nessuno al suo fianco, ne tanto meno era malmesso. Era come l'avevo lasciato e ricordato.
Entrò nella stanza e si fermò, abbastanza lontano da dove ero e da Jae. I nostri sguardi si incrociarono e lui sembrava davvero preoccupato, spaventato ed anche sconvolto. Era sempre stato facile conoscere gli stati d'animo di Siwon, con quei suoi occhi. Mi mossi, ma l'uomo strinse maggiormente la presa, tanto che il tessuto della veste premette su un livido che avevo sul fianco, facendomi retrocedere.
Volevo però metterlo in guardia da Jaejoong, ma le parole di questo mi gelarono.
« Benvenuto, mio caro informatore. »
Informatore?
Avevo sentito davvero bene?
Tennì lo sguardo su quelli di Siwon, in cerca di una risposta a quelle parole, ma lui deviò il suo, puntandoli su Jaejoong, facendo qualche altro passo.
« Non sono un suo complice. Avevate promesso la libertà di Changmin, una volta trovato, ma non avete mantenuto la parola. Sono qui per richiedere la parola data. » era serio, senza alcuna paura. Gli occhi fiammeggianti di rabbia.
« Avevo detto questo? Fammi pensare... Ho solo chiesto che avevo delle informazioni per la sua famiglia per poterlo portare via da quel posto. E tu hai fatto il tuo dovere, rivelandomi dove vivessero e dandomi così modo di ricattare questo ragazzo per liberare la sua famiglia. Ma non avevo mai detto che gli avrei concesso la libertà, mio caro calzolaio. Voi gente di poco intelletto credete sempre alla parola data da ogni persona. » Jaejoong sollevò una mano, mostrando l'indice che mosse in segno di negazione, quel sorriso beffardo ancora sulle labbra.
« Ma non dovresti credere MAI alla parola di un mercante di schiavi. Soprattutto a quello a cui è stato sottratto uno schiavo prezioso. Il tuo amico mi apparteneva prima ancora di mettere piede in quella casa e deve pagare il suo crimine. Sai che mi aveva derubato? Un tale reato può essere punito con l'amputamento della mano peccatrice, ma sarebbe un peccato tagliare una di queste belle mani, quando potrebbe soddisfare qualcuno in modo ben diverso. »
Provai disgusto per le sue parole, ma non spostai lo sguardo da Siwon che si avvicinò furioso a lui. Non aveva tollerato quelle parole, ma non doveva nemmeno avvicinarsi così tanto a Jaejoong.
Fu tutto veloce: i due omoni che mi avevano preso inizialmente, quando misi piede lì la prima volta, comparvero, bloccando Siwon per entrambe le braccia e dandogli due colpi alle gambe, costringendolo ad inginocchiarsi.
« FARABUTTO! SERPE! » era furioso e, per quanto lo conoscessi, non avevo mai visto quello sguardo iniettato di rabbia. Non avevo mai visto quel Siwon.
L'espressione di Jaejoong mutò, lasciando su quel viso un'espressione arrabbiata. Si alzò, dirigendosi a passi lenti verso Siwon.
Cercai nuovamente di divincolarmi. Non volevo che lo toccasse, che gli facesse del male. Non era colpa sua se aveva rivelato dove vivesse la mia famiglia, perché non poteva sapere che tipo di persona fosse Jaejoong. L'uomo al mio fianco mi diede un colpo, costringendomi a gemere e facendo smuovere Siwon, sempre più arrabbiato.
« Come mi hai chiamato? » chiese Jaejoong, vicinissimo a lui, estraendo una frusta da sotto il mantello che indossava. Sgranai gli occhi. Non poteva.
« Come mi hai chiamato? »
« Farabutto... Serpe. » ripeté Siwon, guardandolo con scherno, sebbene i loro ruoli erano ben diversi.
La risata di Jaejoong rieccheggiò nella stanza, guardando Siwon che non aveva smesso di guardarlo con quei suoi occhi. In cuor mio speravo solo che Jaejoong non gli facesse del male, ma le mie speranze andarono in frantumi, quando sollevò la frusta, cominciando a colpirlo. Siwon non emise nemmeno un gemito di dolore, ma strinse gli occhi ad ogni colpo che riceveva sulle spalle e sulla nuca.
« Brutto animale! Come ti permetti? Serpe a me?? Devo ricordarti chi mi ha detto dove trovare la sua famiglia e metterlo in questa situazione? » continuò a colpirlo con tanta forza, sempre negli stessi punti. I miei occhi scorsero qualcosa di rosso macchiare la veste di Siwon all'altezza delle spalle e un motto di paura e rabbia affiorò dal mio petto.
« BASTA! BASTA, TI PREGO! » urlai verso di lui, muovendomi per andare a soccorrere Siwon.
Jae si fermò, la mano ancora sollevata, voltando appena la testa verso la mia direzione, quel maledetto sorriso di vittoria sulle sue labbra.
« Vedo che hai parlato. E visto che me l'hai detto, lo farò. »
Abbassò la mano in cui teneva la frusta, voltandosi del tutto verso la mia direzione.
Siwon mi guardò, tremava per le frustate ricevute, ma non aveva mostrato segni di dolore sul suo volto. Aveva gli occhi carichi di colpa, ma lo rassicurai con un piccolo cenno delle labbra. Non volevo che venisse punito in quel modo.
« Lascialo andare. Hai me... Lascia andare lui. » abbassai la testa, quasi a prostrarmi. Avevo messo da parte il mio orgoglio e la mia "battaglia silenziosa" per far smettere quella malvagità.
Lui rise, battendo le mani dopo aver messo nuovamente la frusta al suo posto.
« Così mi piaci! Vedi che un modo c'è per dimostrare alla gente che non ti ho tagliato la lingua? » fece un gesto con la mano, un chiaro comando a quei due mostri che tenevano bloccato Siwon, sollevandolo da terra con i piedi che non toccarono terra, tornando nuovamente verso il suo "trono".
« Buttatelo fuori di qui. E non fatelo entrare più. Se si dovesse avvicinare, uccidetelo. »
Guardai Siwon negli occhi, in una supplica silenziosa di non commettere nessuna pazzia che accolse subito, gli occhi solo ora lucidi per l'impotenza, mentre veniva portato via come un sacco da quei due, che richiuserò la porta alle loro spalle, lasciandomi nuovamente solo con quel verme.
« Lascialo. » comandò all'uomo che mi teneva bloccato, che allentò la presa, lasciando respirare e muovere il braccio, che portai al costato.
« Che ti serva di lezione, schiavo. Una mossa falsa e sai già cosa potrebbe accadere alla tua famiglia e a lui, ora che so dove vivono. Quindi sta attento a quale carta giocare, d'ora in poi. Intesi? »
Nelle sue parole c'era quella punta di minaccia, mista al divertimento di riavere nuovamente la vittoria in pugno, il modo di piegarmi.
Diede un altro comandò all'uomo che mi sollevò e mi portò fuori da quella stanza, nuovamente verso la mia cella.
Ormai ero uno schiavo senza più la libertà.
Ora ero SOLO uno schiavo.
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