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CAPITOLO 58

SUMMERS' POV

CINQUE ANNI DOPO

Sedevo sulla sdraio in terrazza, con un libro chiuso in grembo, ammirando il paesaggio tranquillo e fiabesco che mi trovavo davanti.

L'acqua del lago era limpida e rifletteva gli alberi secolari e le grandi colline che vi si affacciavano. In lontananza c'era una piccola barchetta in legno. Doveva essere di sicuro Abe, il nostro vicino, un dolce vecchietto che si era ritirato in questo posto stupendo dopo la perdita della moglie. Ogni sera, alla stessa ora, usciva con la sua modesta imbarcazione in cerca di non si sa bene cosa.

La leggera brezza estiva faceva svolazzare i miei capelli che ora portavo alle spalle. Chiusi gli occhi assaporando tutta questa pace.

Cleveland era una grande città, ma molto meno caotica di Chicago. Il dipartimento si trovava in centro e il lavoro non era tanto come quello della Città del Vento. Ero a capo dell'Intelligence, proprio come era stato mio padre.

Nonostante ciò spesso e volentieri, il lavoro veniva a casa con me.

Mi sedevo qui in terrazza e passavo in rassegna i casi e le varie pratiche, insieme ad una tisana al lampone per tenermi sveglia.

Il rumore della portafinestra, mi fece riaprire gli occhi.

Avvertii due grosse mani sulle mie spalle e un respiro caldo sul mio collo. "Sapevo di trovarti qui." Mormorò, posandomi un bacio dietro l'orecchio.

Sorrisi e mi voltai verso di lui. Lo afferrai per il mento e feci scontare la mia bocca con la sua, in un bacio lento. Gli morsi il labbro inferiore per poi staccarmi da lui e guardarlo dritto negli occhi. "Ben tornato amore. Com'è andata a lavoro?" Gli chiesi, alzandomi.

Mi prese le mani e accarezzò il piccolo diamante che portavo alla mano sinistra. Sorrido di nuovo perché era un gesto che faceva ogni volta da quando me lo aveva messo al dito.

"Bene dai. Avrei preferito essere a casa un po' prima ma dovevo finire di preparare un'arringa per domani." Si scusò, avvolgendo le sue possenti braccia attorno a me, costringendomi ad alzare ancora di più la testa visto quanto era alto.

"E' il caso del mese scorso vero? Quello dell'omicidio del meccanico all'angolo." Gli chiesi, guardandolo dritto negli occhi azzurri.

Annuì. "Secondo i miei calcoli dovremmo vincere." Disse con un accenno di sorriso.

"Beh, con un avvocato bravo come te di sicuro." Ammiccai, avvolgendo la sua cravatta tra le mie mani, guardandolo maliziosa.

I suoi occhi si fecero subito più scuri e la sua espressione cambiò. Portò entrambe le mani sul mio sedere e lo strinse tra di esse. "Ti diverti ad eccitarmi eh?" Chiese, con un bellissimo sorriso.

Mi morsi il labbro inferiore, facendo aderire ancora di più il mio corpo al suo. "Lo adoro." Presi a baciargli il collo con leggeri baci umidi, fino ad arrivare al lobo dell'orecchio. Il suo respiro cambiò ed io sorrisi soddisfatta.

"Amore, devo lavorare sta sera e tu lo sai. Anzi dovresti anche darmi una mano." Replicò perentorio, riportando le mani sui miei fianchi, allontanandomi.

"Dai Axel, è tutta la settimana che mi rispondi così." Bofonchiai, mettendo un finto broncio ed incrociando le braccia al petto. Non ero una ninfomane, ma avevo i miei bisogni.

Mi guardò per qualche secondo per poi scoppiare a ridere. Quando rideva era ancora più bello del solito. I raggi del sole che tramontava colpivano i suoi capelli biondi, legati in una piccola crocchia, rendendoli del colore del miele. "Sono due sere che non scopiamo piccola. Se riesco a resistere io ce la puoi fare anche tu." Ghigna, avanzando verso di me.

"Beh a me sembra molto di più."

Scosse il capo divertito, prendendomi per mano. "Hai già cenato?"

"Aspettavo te. E poi mi sono persa ad ammirare il paesaggio, sai che me ne innamoro di più ogni volta." Dissi, voltandomi verso il lago che splendeva delle ultime luci del giorno.

"Allora aspettami qui. Ordino delle pizze e mi faccio una doccia veloce." Mi diede un bacio sulla fronte per poi rientrare in casa.

Entrai in cucina e presi quelle poche cose che ci servivano per cena. Dopo averle messe in tavola andai in salotto per cercare il portatile.

Dopo averlo trovato uscii fuori e mi accomodai su una sedia. Lo accesi iniziando già a lavorare mentre aspettavo Axel.

Dopo aver finito l'Accademia mi ero trasferita qui due anni e mezzo fa.

Nel mio primo inverno in questa città, stavo interrogando un uomo che secondo alcune indagini, avevamo individuato essere il colpevole. Ero su tutte le furie perché continuava a rimanere zitto e quelle poche volte che parlava, lo faceva per dire che non avrebbe parlato senza la presenza del suo avvocato. Ad un certo punto, nel bel mezzo dell'interrogatorio, entrò Axel, senza bussare. Per poco non gli urlai in faccia.

Quando finalmente l'imbecille iniziò a parlare lui non lo ascoltò minimamente, preferì osservare me. Per farla in breve Axel perse la causa e il suo cliente fu imprigionato. Alla fine del processo mi avvicinò dicendomi: "Visto che ho perso dovresti almeno offrirmi la cena." I suoi occhi azzurri e la sua espressione spavalda mi intrigarono, ma allo stesso tempo li detestavo. Ed ora eccoci qui, ad organizzare le nostre nozze.

Axel era stato una ventata d'aria fresca dopo tutto quello che avevo passato.

La parte peggiore del mio rapimento, sembra una stupidaggine, è stato il fatto di dover tornare alla normalità.

Non potevo più avere una vita. I telegiornali e i giornalisti facevano qualsiasi cosa per cercare di interrogarmi e di sapere che cosa avevo passato. Ricevetti un sacco di inviti da parte di talk show e quant'altro, che ovviamente declinai tutti. Per qualche mese non potei uscire di casa e quando lo facevo mio padre o mio fratello erano sempre con me, pronti a respingere chiunque mi desse fastidio.

Quando la notizia del mio ritorno non fece più tanto scoop, ripresi ad uscire e la scuola.
Questa fu la parte più difficile.
Tutti mi guardavano come se potessi esplodere da un momento all'altro, quando mi incrociavano per i corridoi in molti mi scannerizzavano dalla testa ai piedi con aria disgustata o altri evitavano proprio di incrociare il mio sguardo. Per fortuna ebbi il sostegno dei professori e di Owen e Beky, che si erano rivelati ancora più preziosi di quello che già non fossero. Piano piano avevo perso i contatti con Alexia e Sophia, tant'è che Sofy era arrivata a lasciare mio fratello pur di non vedermi.

Da una piccola parte meglio così, almeno avevo potuto constatare chi mi volesse davvero bene.

Ogni tanto mi ricapitava di pensare a Tyler. L'ultima volta che lo avevo visto era stato in ospedale, dopo che mi avevano salvata. Mi ricordo tutto di quel giorno; il suo viso, i suoi occhi, il bacio d'addio che mi diede in fronte. Nonostante fossi incavolata nera con lui, appena uscì dalla stanza le lacrime abbandonarono i miei occhi.

Lo amavo e lui mi aveva tradita nei peggiori dei modi, aveva complottato fin dall'inizio con Ryan per poi lasciare che mi vendessero.

Il suono di una notifica mi strappò dai miei pensieri. Presi il telefono e aprii il messaggio.

Era una foto di Steffy. La aprii: vedevo il suo largo sorriso mentre teneva in braccio le mie due bellissime nipoti, Shereen e Jane, che ridevano mentre tiravano i riccioli di Aamir. Sorrisi nel vedere quella bellissima immagine.

Il dolore che provavo per la perdita di mio fratello era sempre lì, ma ero felice del fatto che si fosse rifatta una vita. Lei e Aamir si erano sposati un anno fa e le bambine avevano fatto da damigelle.

Il matrimonio era stato intimo e davvero bellissimo.

<<Mi mancate davvero tanto.>> Le risposi, posando il cellulare ed alzandomi dal tavolo.

Andai in cucina e mi versai del vino in un calice. Un po' di vino mi aiutava a calmare i miei pensieri che correvano all'impazzata. Ne bevvi un lungo sorso quando l'arrivo di una chiamata mi costrinse a tornare in terrazza. Era una videochiamata di mamma.

Ci sentivamo praticamente tutte le settimane, così da colmare la distanza che ci separava.

Posai il bicchiere e mi affrettai a rispondere.

<<Ciao mamma!>> Le dissi con un sorriso.

<<Ciao bambina mia, come stai?>> Mi chiese di getto, appoggiando il telefono in maniera che vedessi anche papà.

<<Non potrei stare meglio. Sono in terrazza con un panorama mozzafiato davanti a me che aspetto Axel per andare avanti con i preparativi per le nozze.>> Esclamai, girando la videocamera in modo che vedessero quello che vedevo io.

Nel farlo notai l'espressione contrariata di papà. Per non so quale motivo non approvava la mia relazione e di conseguenza il mio matrimonio. Non gli piaceva Axel, cosa che era davvero difficile perché era una persona straordinaria. Gli avevo chiesto la motivazione di questo rancore e mi aveva risposto con un "Non mi piacciono i biondi.", non eravamo più tornati sull'argomento.

<<Avete avuto un'idea stupenda a costruire quella terrazza. Sai che dovrò venire a provarla, poi con quella vista.>> Esclamò mamma, con gli occhi colmi di gioia

<<Quando volete noi siamo qui...>> Mi interruppi, vedendo la figura del mio fidanzato intento ad aprire la portafinestra.

Posò le pizze sul tavolo e venne accanto a me. <<Buonasera Page. Signor Wilson.>> Li salutò ricevendo un caloroso saluto da mia mamma e un lieve accenno col capo da papà.

<<Bambolina riusciresti a venire in città per qualche giorno? Avrei delle cose di cui parlarti.>> La voce profonda di mio padre, sovrastò quella di mamma, ottenendo uno sguardo interrogativo da parte sua.

<<Ehm,>> Mi voltai verso Axel, in cerca dei suoi occhi. <<Penso di sì. Siamo abbastanza avanti con gli ultimi preparativi. Credo anche che qualche giorno a casa non mi faccia male. Parto domani pomeriggio così non becco tanto traffico, va bene?>>

Finalmente sul suo viso si fece largo un grande sorriso. <<E' perfetto. Ora vi lasciamo soli. A domani bambolina, ciao Axel.>>

Aspettammo i saluti di mamma e poi chiusi la chiamata, riprendendo a sorseggiare il vino.

"Sbaglio o mi ha salutato con un sorriso?" Chiese incredulo, con una faccia da ebete.

Ridacchiai ed annuii. "Te l'ho detto che facevamo passi avanti."

Prese posto davanti a me ed iniziò a tagliare la sua pizza. "Troppi pensieri per la testa?" Mormorò con tono preoccupato, lanciando un'occhiata al calice che tenevo in mano.

Lo guardai con occhi sognanti, appoggiando il bicchiere alla tempia. Conosceva ogni lato di me, ogni espressione, ogni cicatrice.

Posò le posate accanto al cartone della pizza, portando tutta l'attenzione su di me. "Sei bellissima."

Mi andai a sedere a cavalcioni su di lui e iniziai a baciarlo appassionatamente. Le nostre lingue si rincorrevano, si cercavano. Mi insinuò una mano tra i capelli, avvicinandomi ancora di più a lui.

Roteai il bacino, facendo aderire le nostre intimità, sentendo la sua erezione. "Portami in camera." Gli ordinai sulla sua bocca, continuando a muovermi.

Scosse il capo divertito, alzandosi con me in braccio. "Riesci sempre ad ottenere quello che vuoi." Ghignò mentre avanzava verso la camera da letto.

"Sempre." Sorrisi, riprendendo a baciarlo.

Appena si sedette sul letto, gli sfilai la maglietta grigia, rivelando il suo fisico tonico. Non era un ragazzo molto muscoloso, ma sapeva comunque il fatto suo. Nel farlo gli scompigliai la piccola crocchia, facendo ricadere dei ciuffi biondi davanti ai suoi occhi che ora erano di un azzurro più scuro.

Lui prese ad accarezzarmi i capezzoli da sopra la maglietta, rendendoli ancora più turgidi e provocandomi la pelle d'oca. Buttai la testa all'indietro, offrendogli il mio collo che iniziò subito a baciare e a leccare.

"Mi fai ammattire ancora di più quando sei senza reggiseno." Mormorò, togliendomi finalmente la maglietta.

Ghignai e portai una mano sulla sua erezione, muovendola su e giù sopra i pantaloni della tuta.

Mi strinse al suo corpo con un braccio, capovolgendo la situazione e posizionandomi sotto di lui.

Si abbassò i pantaloni e i boxer, facendo uscire fuori il suo membro.

Si rimise sopra di me prendendo a baciarmi i seni, leccò con movimenti circolari le aureole e poi le mordicchiò. Dopo avermi stuzzicata abbastanza scese verso i miei pantaloncini strappandomeli via insieme al perizoma.

Posizionò il suo cazzo sulla mia entrata e guardandomi dritta negli occhi entrò lentamente dentro di me.

Ansimammo entrambi ed io attorcigliai le mie gambe al suo bacino, puntando i talloni nel suo fondoschiena.

Puntellò le mani ai lati del mio viso, riprendendo a baciarmi intanto che portai le mie mani tra i suoi capelli, sciogliendoli.

Axel era fantastico, in tutto tranne per il fatto che il sesso era sempre lo stesso. Due volte avevo provato a cambiare posizione, a fare qualcosa di più erotico ed eccitante, ma a lui non era piaciuto tanto. Eravamo sempre messi così, a missionario. Ciò non vuol dire che non mi piacesse o che non mi appagasse, erano state poche le volte che non ero venuta, ma un po' più di piccante non mi sarebbe dispiaciuto.

Iniziò a frizionarmi il clitoride, con movimenti lenti e circolari che si fecero sempre più veloci. Sentii che stavo per arrivare all'apice del piacere e infatti pochi istanti dopo mi ritrovai ad urlare il suo nome, capovolgendo la testa all'indietro.

Continuò ad accarezzarmi, ampliando le ultime scosse di piacere.

Diede ancora delle forti stoccate fino a quando raggiunse anche lui l'orgasmo, innalzandosi sopra di me e chiudendo gli occhi.

Uscì da me, rotalando sul materasso.

Mi passai una mano tra i capelli e poi appoggiai la testa sul suo petto, accarezzandolo.

I nostri respiri tornarono alla normalità mentre continuavamo a rimanere abbracciati.

"Questa non mi hai mai detto come te la sei fatta." Sussurrò, facendo scorrere i polpastrelli sulla cicatrice più dolorosa.

Solitamente non chiedeva tanto del mio passato, del periodo in cui ero stata una schiava per essere più precisi, ed io non avevo voluto raccontargli troppi dettagli; a me faceva ancora male parlarne e non volevo che lui mi vedesse come una vittima.

"Era l'unico tatuaggio che avevo. Me lo hanno cancellato in maniera non molto corretta e quindi mi sono rimaste le cicatrici. Il tatuaggio era pericoloso per loro, avrebbero potuto riconoscermi, così hanno deciso di toglierlo."

Misi una mano sotto il mento, così da potermi voltare verso di lui.

Il suo sguardo non era cambiato, i suoi occhi continuavano a guardarmi come se fossi la ragazza più bella del mondo, ma nonostante questo non mi ero mai più sentita la ragazza che ero stata prima, nessuno era riuscito a farmi dimenticare quello che avevo passato.

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