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9

Da piccolo avevo avuto praticamente tutte le malattie dei bambini. Morbillo, rosolia, varicella, pertosse e orecchioni. Proprio quest'ultima era stata la più tremenda.

Avevo otto anni e sentivo la mia faccia in fiamme, le orecchie sembravano quelle di Dumbo e avevo un dolore talmente forte alla mandibola che non riuscivo a masticare niente che non fosse morbido. Ero andato avanti per quattro giorni a biscotti inzuppati nel latte, fino a ridurli in poltiglia, per poter deglutire senza dover masticare. E alle cure della mamma.

Chiamava alla biblioteca dove lavorava dicendo che stavo male, mi metteva nel lettone con lei e mi coccolava tra le sue braccia, mentre guardavamo vecchi film in bianco e nero alla tv o vecchie puntate di Perry Mason. Il mio film preferito era "Il buio oltre la siepe", con Gregory Peck. Le braccia della mamma sono il rifugio più sicuro del mondo. E nonostante il disprezzo che avevo in quel periodo per lei, mi mancava terribilmente.

Fu proprio con la sensazione di avere gli orecchioni, che mi svegliai il mattino seguente alla violenza che avevo subito. Solo che stavolta non c'era la mamma a coccolarmi e prendersi cura di me. C'era Patrick.

Provai ad aprire gli occhi e una fitta alla testa mi trapanò il cervello. Ritentai e mi resi conto che riuscivo a sollevare solo la palpebra sinistra. L'altro occhio era chiuso.

Sentivo dolore in ogni parte del corpo e faticavo a respirare. Ero in posizione prona, con il petto sul materasso. Girai a fatica la testa verso la mia sinistra e riuscii a vedere Patrick seduto vicino al letto che armeggiava con del cotone, imbevendolo con del liquido preso da una bottiglietta bianca.

Appoggiava il cotone sulla mia schiena, accarezzandola. Era talmente delicato che non sentivo praticamente niente. Provai a salutarlo.
- Ciao... - dissi, tossendo subito dopo.

Mi resi conto che oltre alla sensazione di avere gli orecchioni, mi sembrava di avere anche la pertosse. La mia gola era in fiamme. Faticavo a deglutire.

- Hei bro, come ti senti? - mi chiese Patrick, sorridendo teneramente, mentre imbeveva il batuffolo di cotone con quello che poi scoprii essere disinfettante.
- Come se mi avessero appena investito. - risposi a fatica.
Fece un cenno di assenso con la testa, poi riprese a medicarmi. Mi lasciai coccolare e accarezzare dalle sue mani, mentre curava le mie ferite.

È uno di questi, il motivo per cui vi ho raccontato che a Patrick devo la mia vita. Senza di lui non ce l'avrei fatta. Senza la sua presenza, sarei rimasto solo durante tutto il periodo del carcere. Senza il suo amore, non sarei ora qui a scrivere queste righe. Può suonare smielato, ma è la pura e semplice verità.


Lasciai che curasse la mia schiena martoriata senza dire una parola. Fu lui a rompere il silenzio.
- Ora devo fare una cosa che ti darà un po' di fastidio. Trattieni un attimo il fiato. -
- Ok. - risposi incerto.
Si avvicinò a me e appoggiò le sue mani sulle mie natiche. Solo in quel momento mi accorsi di essere completamente nudo.
- Che... Che fai? - domandai insicuro.
Lo scozzese non mi rispose. Invece avvicinò una mano alla mia apertura e sfilò un tampone che avevo dentro il sedere. Non me ne ero neanche accorto. Con tutti i dolori che sentivo, avere un tampax infilato nel culo era l'ultimo dei problemi.
Sentii un leggero fastidio, ma niente di insopportabile. Il tampone era pieno di sangue. Patrick lo avvolse in un pezzo di carta e lo gettò in un cestino che si trovava sotto al tavolino della cella.
Non feci domande su dove si fosse procurato cotone, disinfettante e un assorbente femminile. In fondo era "il procuratore", lui poteva trovare di tutto.

Ne prese un altro, lo scartò e me lo infilò delicatamente all'interno del sedere. Non provavo vergogna. Era tutto talmente naturale, che sembrava fosse una cosa normale. Lo lasciai fare senza protestare.
- Fatto! - mi disse. - Dovrai tenere un assorbente per un paio di giorni, poi le ferite si richiuderanno. Ora girati che devo medicare anche il petto. -
Mi girai lentamente, ogni minimo sforzo mi provocava dolore. Sentivo le ossa cigolare dentro il mio corpo e la respirazione era sempre affaticata.

Abbassai la testa e guardai il mio fisico magro pieno di lividi violacei. Avevo anche diverse escoriazioni con del sangue rappreso intorno alle ferite.

Iniziò a medicare le lacerazioni che avevo sul petto, con la stessa delicatezza che aveva utilizzato precedentemente.
Toccò il mio stomaco ed emisi un gemito di dolore.
- Buono. - mi disse. - Mi sa che hai una costola rotta, forse anche un paio. -
Rimasi i silenzio e lascia che le sue mani si prendessero cura di me.
Cominciai a piangere sommessamente, cercando di non farmi vedere dal mio compagno di cella. Fu inutile. Si accorse subito.
- Hei... Tutto ok? - disse con voce gentile e premurosa.
- Si. - gemetti. - Grazie per quello che stai facendo e grazie per avermi riportato in cella. - dissi con fatica.

Era la prima volta che mi facevo vedere così vulnerabile. Non avevo mai pianto in prigione fino a quel momento. Ero stato forte. Come mi aveva detto Theo. Ripensai al mio amico che mi aspettava fuori dal carcere. Solo lui mi aveva visto piangere nella mia vita, oltre ai miei genitori. Solo lui aveva toccato il mio corpo così come stava facendo Patrick, con amore fraterno. Se Theo era il mio angelo custode fuori, nella mia vita precedente, lo scozzese lo stava diventando dentro al carcere.

- Non sono stato io a riportarti in cella. - disse mentre disinfettava delicatamente una ferita sul bacino.
Rimasi un attimo interdetto.
- Scu... Scusa chi è stato allora? -
- È stato Maverick. -
- Maverick? -
- Si, Maverick. Uno dei "Guns". Mi ha detto di averti trovato svenuto, legato a un tavolo in lavanderia. -

La testa prese a vorticare. Un senso di nausea mi prese alla bocca dello stomaco. Non ci stavo capendo più niente. Ricordavo solo alcuni flash della sera precedente. L'agente Evans, io che mi ritrovavo legato, la mia carne che si lacerava a ogni spinta durante le ripetute penetrazioni. L'odore di sperma e urina. Due occhi di ghiaccio.

- O... Occhi di ghiaccio. - sussurrai.
- Mmmm? - fece il rosso interrogativo, alzando gli occhi, rimanendo comunque concentrato sulla ferita che stava medicando.
- Patrick... Per caso questo Maverick ha gli occhi azzurri? - domandai incerto.
- Si... Credo di sì... Perché me lo chiedi? Ti ricordi se per caso era lì? -
- No... No... Non credo... Ma ho un flash di lui che mi prende in braccio prima di svenire. -
- Oh... Possibile. Mi ha detto di averti portato prima in bagno e di averti dato una ripulita veloce, prima di venire qui. Se ha detto la verità, non ha fatto un gran bel lavoro. Hai ancora dei grumi di sangue per tutto il corpo. -
- Puzzavo di piscio... - dissi sottovoce. Ma non era chiaro se la mia fosse una domanda o un'affermazione.
- Come scusa? -
- Puzzavo di piscio quando mi ha riportato in cella? - domandai stavolta più deciso.
- No. Perché? Ti sei pisciato addosso? -
- No. - risposi deglutendo e pentendomi subito di averlo fatto per il dolore che avevo alla gola. - Sono stati loro a urinarmi addosso. -
- Cazzo! - esclamò lo scozzese. - Se è così allora mi rimangio tutto. Ha fatto un ottimo lavoro. -

- Mi hanno sborrato e pisciato addosso. - ripresi. E scoppiai a piangere, stavolta senza nascondermi, senza vergogna.
Patrick lasciò un attimo il cotone sopra la mia pancia e iniziò ad accarezzarmi i capelli, mentre il mio corpo era scosso dai singhiozzi.
- Mi dispiace... - sussurrò. - Mi dispiace veramente tanto. -

Restai a farmi consolare dal mio nuovo amico che riprese a medicarmi poco dopo. Non stava curando solo le mie ferite, stava guarendo il mio cuore. Patrick in quel momento, era l'isola deserta che trova un naufrago, dopo che la sua barca è affondata e lui è rimasto in balia del mare per giorni.
Ero stato in balia del carcere per venti giorni. Ora avevo trovato la mia isola della salvezza.

- Non sei andato a lavorare oggi? - domandai.
- No, ho detto agli agenti che restavo qui con te. Quando ti hanno visto non hanno fatto domande. Mi hanno anche chiesto se dovevano portarti in infermeria, ma preferisco averti sott'occhio. -
- Grazie... - mormorai.
- Non c'è di che. - sorrise dolcemente. - Ma non prenderci il vizio, non posso farti da crocerossina ogni volta. -
Sorrisi e chiusi gli occhi. Capii in quel momento che potevo fidarmi di lui. Che la mia isola non sarebbe stata sommersa dalla mareggiata. Ero salvo per il momento.

Lasciai la mia cella all'ora di pranzo. Zoppicavo vistosamente e avevo dolori in ogni parte del corpo. L'occhio destro era gonfio, viola e completamente chiuso. Il labbro inferiore era spaccato, così come il mio naso, che sembrava una enorme palla gigante schiacciata sulla mia faccia.

Patrick rimase al mio fianco e mi aiutò a raggiungere la mensa. La mia stampella.
Quando entrai nella grande sala, altri detenuti stavano già mangiando. Qualcuno mi notò, altri mi ignorarono completamente. Non era insolito che un detenuto si presentasse nelle mie condizioni.

Come vi ho già raccontato c'erano due modi per vivere le violenze sessuali. Potevi reagire, prenderti una bella scarica di botte e subire comunque lo stupro, o potevi essere accondiscendente e prenderlo in culo lo stesso, ma evitare il pestaggio. Io non avevo avuto possibilità di scelta, avevano scelto loro per me.
Nessuno in carcere sapeva niente. O meglio, tutti sapevano, ma nessuno sapeva.
L'omertà regola il mondo, soprattutto quello carcerario.
Era chiaro per loro che avevo reagito. E ne avevo subito le conseguenze. Ma non era così.

Devo essere sincero, non so cosa avrei fatto se avessi avuto la possibilità di scegliere. Prima di subire la violenza, sarei stato sicuro nell'affermare che non mi sarei fatto scopare senza difendermi. Dopo quello che era successo, non ne ero più tanto convinto.
Il dolore che hai per tutto il corpo, il dolore che hai dentro il tuo cuore, ti fanno cambiare prospettiva. Delle volte nella vita si tende a scegliere il male minore. Può essere sbagliato, perché così il più forte vince sempre. Ma è una forma di autodifesa. Come quella volta che avevo deciso di non mettermi contro i tre ragazzi che mi avevano preso in giro perché non sapevo giocare a calcio.

Al tavolo da pranzo ci raggiunsero anche Tom, Muffin e Max. Quando mi videro, rimasero in silenzio e iniziarono a mangiare. Non era indifferenza la loro. Era protezione. Non volevano farmi ripensare a quello che avevo appena subito.
Parlarono del più e del meno, cercando di coinvolgermi delicatamente nelle loro discussioni. Fu Tom dopo un po', quando vide che mi stavo rilassando, a tirare fuori il discorso.
- Shaq? - domandò con la testa sul piatto, alzando appena gli occhi per guardarmi.
Annuii.
Poi risposi.
- Non da solo. -

Tom prese la mia mano, un gesto pericoloso in carcere. Se non vuoi passare per femminuccia, gli unici contatti fisici permessi, sono i cazzotti. Al massimo una pacca sulle spalle.
- Mi dispiace. - disse. - Veramente. Se hai bisogno di qualunque cosa, io ci sono. -
Gli occhi mi si riempirono di lacrime che provai a ricacciare dentro.
- Grazie... - risposi con il groppo in gola, lottando per non far scivolare le lacrime sul mio viso.

C'era dell'umanità in carcere. Pensavo non esistesse. E invece c'era. Bastava solo scoprirla. Me ne resi conto in quel momento.

Ora Tom e Patrick sono due miei grandissimi amici. Ci vediamo e andiamo spesso a prenderci una birra insieme. Il carcere può distruggerti, ma può anche creare dei legami indissolubili.
Come il mare che accoglie il sole al tramonto. Possono restare lontani tutto il giorno, ma alla sera, quando si alza il venticello e si sente il verso dei gabbiani, mentre le famiglie tornano a casa dopo una giornata in spiaggia, il sole torna ad abbracciare la grande distesa blu. Perché è così che deve essere. Perché non può farne a meno.

- Come hai fatto a tornare in cella? - mi chiese Muffin.
Fu Patrick a rispondere per me.
- L'ha riportato Maverick. -
- Maverick? - Tom sgranò gli occhi. - Vuoi dire che dopo averti stuprato e ridotto in questo stato, ha avuto il buon cuore di riportarti in cella? -
- Non mi ha stuprato. - risposi. - Quando gli altri hanno abusato di me, lui non c'era. -
- Sei sicuro? - chiese Tom dubbioso.
- Si. - sussurrai. - È l'unica cosa di cui sono sicuro in questo momento. -

In quell'istante realizzai cheavrei dovuto ringraziarlo. Se non fosse stato per lui, non so come sarebbepotuta finire.
Occhi di ghiaccio mi aveva salvato. E io dovevo ringraziarlo.

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