Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

4

Ho avuto i primi approcci con la masturbazione all'età di dodici anni. Non sapevo né cosa fosse né come si chiamasse la cosa che stavo facendo.
Come tutti i ragazzi, a quell'età non si pensa minimamente al sesso.

Le uniche ragioni di vita sono uscire in bicicletta con gli amici e giocare con il pallone.
Passavo ore a tirare a canestro, nel campetto vicino casa, con i miei compagni e le femmine, così le chiamavo, erano solo una rottura di scatole, uno scherzo della natura. Un disturbo ai nostri giochi da maschi.

Inoltre né Andrew né Ann Marie, mi avevano mai spiegato nulla sul sesso. Ma quale genitore lo fa? Credo che sia il discorso più difficile da fare a un figlio. Non si sa mai come entrare nel "dettaglio", senza entrare troppo nel "dettaglio". Un controsenso totale.

Le cose che imparano i giovani oggi, sono merito di racconti di amici più grandi o di internet. Già perché è più semplice documentarsi su youporn, che fare domande che mettono in imbarazzo te e il tuo interlocutore.

Io a dodici anni non pensavo al sesso. Pensavo a stare tutto il tempo insieme a Theo e a come trovare un modo per passare i pomeriggi a divertirmi.
Quindi la mia prima esperienza fu solo un caso fortuito.

Dormivo nel mio letto di pomeriggio e nel sonno devo aver cominciato a muovermi, strusciando il mio pene sul materasso. La sensazione che provavo mentre lo facevo, era piacevole, strana, una cosa mai provata prima.
Mi svegliai con il pisello duro dentro le mutande e la prima cosa che feci fu quello di togliermele.

Guardavo il mio cazzo estasiato. Era duro duro. Non l'avevo mai visto così, in piedi. Sull'attenti. Sembrava di pietra.
Non so cosa mi spinse a iniziare ad accarezzarlo, ma mi resi conto che massaggiandolo, provavo le stesse sensazioni che avevo sentito mentre dormivo.

Più lo accarezzavo, più il mio corpo reagiva. Ero inebriato da quel piacere. Lo aprivo, lo richiudevo, lo riaprivo e lo richiudevo, lentamente, nel silenzio della mia cameretta. Era favoloso. Da brivido. Sentivo tutto il mio corpo vibrare al tocco che stavo dando al mio cazzo. Erano scosse. Scosse di puro piacere.

Non so quanto tempo rimasi lì a toccarmi e massaggiarmi. A un certo punto la cappella era diventata rosso fuoco e iniziai a sentire una sensazione di caldo bollente al mio ventre. Quello che successe dopo, un po' mi vergogno a raccontarlo.

Mi piscia addosso. Per la precisione mi pisciai in faccia e poi addosso. Un lungo getto di urina mi colpì il viso. Annaspai, senza avere il controllo del mio corpo. Avevo il cazzo in fiamme, lo stomaco in sobbuglio, un formicolio di pura goduria alle parte intime e la pipì che usciva a schizzo, senza che io riuscissi a controllarla. Gemevo, quasi urlavo dal piacere.

Tremavo alla fine. Spossato. Senza forze, bagnato di piscio, sudato e con i brividi per tutto il corpo.
Non sapevo cosa era successo, ne come avessi fatto. Ma era stata la sensazione più incredibile che avessi mai provato fino a quel momento della mia vita. Ma allo stesso tempo una delle più disgustose.

Mi vergognavo come non mai. Mi ero pisciato addosso. A dodici anni. Quando si pensa di essere già grandi, l'idea di farsela sotto è inconcepibile.
Avevo sporcato il letto, il mio corpo era completamente ricoperto di urina e io mi vergognavo come un ladro. Piansi. Ma il godimento che avevo provato, mi aveva fatto impazzire.

Mi alzai dal letto e con le gambe molli come pan di spagna, mi buttai sotto la doccia. Piansi anche lì. Poi tornai in camera e cambiai le lenzuola sporche. Alla fine non erano bagnate come pensavo, la maggior parte del piscio mi era finito addosso.

Non l'avrei più fatto, pensavo; salvo poi rifarlo poche ore dopo. Stavolta sotto la doccia. Se dovevo pisciarmi addosso, tanto valeva farlo dentro il box, così da non sporcare casa e potermi lavare subito dopo.

Non ero in età da eiaculazione. A dodici anni, i maschi sono ancora bambini. Non hanno peli sotto le ascelle, né nelle zone pubiche. Lo sperma non sanno neanche cosa sia. Soprattutto se sono innocenti come lo ero io a quei tempi.
Urina e sperma hanno lo stesso condotto di uscita e la masturbazione va a stimolare la prostata che si contrae, andando così a premere sulla vescica. Quindi se non si è già passata l'età della pubertà, al posto del liquido seminale esce piscio.

A Theo raccontavo tutto. Ma quello che avevo fatto quel giorno, non glielo dissi. Con che coraggio potevo raccontare al mio miglior amico che facendo avanti e indietro con la mano sul cazzo, mi ero pisciato addosso?
Così rimase il mio segreto personale. Continuai nella mia pratica fino ai quattordici anni, quando passai la pubertà e iniziai a eiaculare sperma. Ma a quel tempo, sapevo già molte più cose sul sesso.

In carcere la masturbazione è cosa diffusa. All'interno di un carcere minorile ci sono ragazzi che vanno dai quattordici ai ventuno anni. Sono nell'età in cui ci si ammazza di seghe, dove il tuo cazzo diventa il tuo miglior amico. Se all'inizio avevo remore nel farlo, dopo i primi sogni bagnati, con l'impossibilità di cambiarmi o di fare una doccia quando volevo, iniziai anche io a fare esercizio con il polso. Non ero un segaiolo, ma ogni 2-3 giorni, sentivo la necessità di svuotarmi.
Niente a che vedere con Patrick. Lui aveva il cazzo sempre in mano.

E fu proprio con il cazzo in mano che lo trovai il mattino successivo alla mia entrata in cella.
Non avevo dormito. Tra il rumore dei letti che si muovevano e i pensieri che affollavano la mia mente, avevo passato una notte insonne. E mi ero risvegliato con un gran mal di testa.

Scesi dal letto e mi avvicinai al water per pisciare, cercando di dare le spalle al letto per non farmi vedere dallo scozzese.
Finita la pratica, mi girai e lo vidi con il cazzo in mano mentre se lo menava furiosamente.
- Buongiorno. - mi disse sorridente.
- Buongiorno il cazzo! - risposi io.
- Eh già! Sto dando proprio il buongiorno al mio cazzo. - rispose sorridendo.
Feci una smorfia di disgusto e iniziai a vestirmi.
- Dammi solo un minuto e sono da te. - disse Patrick continuando a sollazzarsi.
Venne pochi secondi dopo, imbrattando la sua pancia. Poi come se niente fosse, si pulì con la maglietta e scese dal letto.

Mi sorrise, si avvicinò al bagno e iniziò a pisciare rumorosamente.
- Eccomi. - disse. - Tutto pronto per te. - continuò sorridendo.
Mi appoggiò una mano sulla spalla e mi abbracciò come se fossimo due grandi amici.
Pochi secondi prima quella mano era sporca di sperma, pensai tra me, trattenendo un gemito di disperazione.

Fu Patrick a spiegarmi la maggior parte delle regole della prigione. La sveglia alle otto, la colazione nella grande mensa, le ore di lavoro alla mattina, il pranzo, ancora ore di lavoro pomeridiano, l'ora d'aria, la doccia e la cena, prima di tornare in cella. Tutta la settimana. Dal lunedì al sabato. 365 giorni all'anno. Solo la domenica era esente dal conteggio. Era l'unico giorno disponibile per le visite.

Il mio primo approccio con la prigione fu traumatico. Centinaia di detenuti giravano tranquillamente per il carcere, la maggior parte di loro a petto nudo. Tatuati, palestrati, con sguardi aggressivi e minacciosi. In gruppetti o singolarmente. Ero scosso. Mi chiedevo se sarei sopravvissuto lì dentro.

Il braccio C, il posto dove era situata la mia cella, era una sorta di gigantesco magazzino di cemento armato. Al piano terra c'erano celle lungo tutte le pareti, un enorme spazio libero al centro, chiamato dai detenuti "la piazza", con una riga gialla sul pavimento che faceva da guida ai nuovi arrivati e che avevo seguito anche io il giorno prima; in fondo una enorme scala in metallo portava alle celle del piano superiore, dove si trovava anche la mia. Davanti a esse c'era un corridoio di attraversamento con una balaustra per evitare di cadere nel vuoto e finire proprio in mezzo alla "piazza".

Avete presente le prigioni che fanno vedere nei film? Ecco, sono proprio così. Identiche. Cupe e tetre, con cemento e metallo ovunque, colori spenti come il grigio, sbarre smaltate di bianco, e pavimento scuro, forse resina, perennemente sporco. L'unico altro colore che si vede oltre a quelli, è l'arancione delle nostre divise carcerarie.

Già dalla prima uscita dalla cella, mi resi conto che la vita all'interno di quel posto, non sarebbe stata facile per me.
Patrick mi fece strada in direzione della grande mensa. I miei occhi saettavano da una parte all'altra, a studiare il luogo dove avrei passato i miei giorni futuri. Ero intimorito e allo stesso tempo curioso.

Ragazzi della mia età chiacchieravano, si davano pacche sulle spalle. Altri sbadigliavano, ancora assonati.

Una cosa mi era chiara: non c'era alcun tipo di mescolamento di razza. I gruppi che erano formati erano netti. Da una parte i bianchi, dall'altra i neri. Ancora più in là, i ragazzi di origine messicana o portoricana.
Nel carcere, le divisioni razziali che governano il mondo, erano ancora più accentuate.

Osservai i loro atteggiamenti, i loro sguardi, i loro corpi che si muovevano. Sembrava di assistere a un rituale animale, quando due maschi della stessa specie iniziano a danzare, prima di iniziare lo scontro per la femmina.

- Abbassa lo sguardo. - mi disse Patrick. - Non guardarli negli occhi. -
- Che cosa? - risposi incantato, quasi affascinato da quella danza.
- Non guardare negli occhi nessuno. Lo vedono come una sfida. E non ti conviene. -
Abbassai la testa e lo seguii lungo la balconata di celle. Girammo alla nostra sinistra e iniziammo a scendere le scale.

A metà rampa si trovava un gruppetto di afroamericani che parlava e osservava i movimenti del gruppo messicano.
Patrick fece loro un cenno con il capo, in segno di saluto. Sollevai la testa e scontrai il mio sguardo con due occhi azzurri, colore del cielo. Mi bloccai a osservarlo. Lo scozzese era sceso altri due gradini, io ancora fermo, incantato da quei due occhi liquidi, incastonati in mezzo al quel viso nero.

- Ehi bellezza, muovi il culo e togliti di torno. - mi disse uno dei ragazzi di colore. Girai la testa e lo fissai. Era appoggiato alla balaustra, un gigante, almeno due metri, testa pelata, occhi spiritati e muscoli che quasi esplodevano sotto una canotta bianca, da cui spuntavano fuori, innumerevoli tatuaggi.
Storse la bocca mostrando un dente giallo, probabilmente d'oro. Poi schioccò le labbra.

Patrick risalì in fretta le scale per ricongiungersi a me.
- Ciao Shaq, tutto ok? Dai lascialo perdere, è nuovo, deve ancora ambientarsi. - disse appoggiando le mani sul petto muscoloso del ragazzo.
- Fallo girare al largo allora. - rispose.
- Ok... Ok... - disse lo scozzese prendendomi per un braccio per trascinarmi via.
Mi spinse giù per le scale per farci allontanare. Il gigante fischiò.

- Ehi bellezza! - disse nuovamente. - Smettila di sculettare, o farò fatica a tenerlo dentro le mutande. - scoppiò a ridere.
Mi girai nuovamente per guardarlo e scontrai nuovamente i miei occhi con quelli del ragazzo che avevo notato precedentemente. Poi mi voltai verso il tipo, che avevo sentito chiamare Shaq da Patrick.
- Fatti una sega! - risposi senza pensarci. - O scopati uno dei tuoi amici. -

Il gigante si staccò dalla balaustra pronto per venirmi incontro. Patrick si mise in mezzo ai nostri corpi. Fece un sorriso di circostanza.
- Buono Shaq, stava solo scherzando. Se fai il bravo, la prossima volta che ti serve qualcosa, non te la faccio pagare. -
Il gigante digrignò i denti, poi sputò per terra.
- Portalo via o finisce diretto in infermeria. Ma non ti prometto di non dare una bella ripassata al suo culo. Nessuno risponde così a Shaq. -
- Si... Ok... Ok... - rispose imbarazzato Patrick. - Non succederà più, promesso! -
Poi mi strascinò via, verso la mensa della prigione.

Il primo a mettermi le mani addosso in carcere fu proprio lo scozzese.
Appena girato l'angolo, prima di entrare in mensa, mi attaccò al muro violentemente. Emisi un grugnito, mentre mi metteva le mani sulla tuta arancione, prendendo il colletto.
- Sei impazzito? - mi disse. - Vuoi finire in ospedale il primo giorno di galera? -
- Non mi lascio trattare così dal primo che passa. - dissi scocciato.
- Lui non è il primo che passa! - sibilò, facendomi sentire il fiato in faccia.
- È Tom Grady, uno dei ragazzi più pericolosi della prigione. E quelli intorno a lui fanno parte dei Guns, la gang più violenta di Baltimora. Se ti metti contro di loro, sei finito! Non posso proteggerti da quella gente. Qui non sei a casa tua, dove puoi far trionfare la giustizia. Qui la giustizia non esiste. Esiste la sopravvivenza e si può sopravvivere solo utilizzando il cervello. Se mandi a fanculo qualcuno, stai pur sicuro che te la farà pagare. E non puoi andare a piangere dalla mammina, perché ti avranno talmente fatto il culo, che tua madre non riuscirebbe nemmeno a riconoscere la tua faccia. -

Rimasi in silenzio, cercando di metabolizzare il tutto. Era vero. Non ero più a casa mia, nel mio cortile, con i miei amici. Ero in un altro mondo e avrei dovuto conoscerne le regole, prima di fare qualsiasi passo. Ma il mio carattere impulsivo, delle volte mi faceva dire o fare cose, senza valutare bene le conseguenze.

Era sempre stato il mio difetto. A scuola, a casa, nella vita in generale. Ero impulsivo, testardo, deciso. Odiavo farmi dare ordini e ancora di più farmi mettere i piedi in testa. Dal carattere mite che avevo a dodici anni ero cambiato durante gli anni di scuola. Avevo acquisito sicurezza di me e andavo a in giro a mostrarla. Non ero un bulletto, ma non ero nemmeno un tipo remissivo.

La verità è che ero un ragazzino, forse non indifeso, ma sicuramente un ragazzino. E scoprii presto, che quello che diceva Patrick era vero. A ogni azione, corrisponde reazione. Soprattutto in un ambiente malsano come quello del carcere.


Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro