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In ogni carcere c'è sempre un tipo come Patrick. Avete presente Eta Beta, il personaggio dei fumetti? L'amico di Topolino venuto dallo spazio?
È un tipetto basso di statura che indossa solo un gonnellino e sotto a quell'unico indumento, porta con sé di tutto.

Patrick non portava la gonnella, seppure credo che a casa ne avesse di sicuro una. Da vero scozzese, doveva esserci almeno un kilt da indossare nelle occasioni speciali dentro il suo armadio. E come Eta Beta, era perennemente a petto nudo. Ma quello che lo rendeva simile al personaggio dei fumetti, era il fatto di riuscire a portare dentro il carcere di tutto, per sé e per gli altri. Veniva chiamato il "procuratore". Non per le sue conoscenze giuridiche, ma per la sua capacità di procurarsi qualunque cosa potesse servire ai residenti della prigione.

Figlio di padre scozzese e madre irlandese, era un ragazzo poco più basso di me, capelli rossicci, pelle bianca come il latte e lentiggini sul naso e dietro le spalle.
I suoi antenati avevano attraversato l'oceano Atlantico nei primi anni del novecento. Avevano fatto tappa a New York e poi si era spostati a Baltimora. Il padre era un falegname, la madre una casalinga. Lui era il terzo di tre fratelli.

Non vivendo nel lusso, fin da piccolo aveva mostrato un carattere ingegnoso e creativo. Aveva iniziato la sua "carriera" con piccoli furti nei centri commerciali, poi era passato allo spaccio di piccole dosi di sostanze stupefacenti.
Ma non era per quello che era finito dentro. A sentire lui, la sua sfortuna era stata il suo fascino.
Raccontava di come era riuscito a diventare un fornitore di ricche famiglie della città.

Frequentando le case di persone benestanti, aveva finito per diventare una sorta di gigolò per ricche signore, donne sole e annoiate per la mancanza costante del marito in casa.
- Lo facevo almeno quattro volte al giorno. - mi disse una volta.
Ma a guardare il suo fisico, più magro del mio, non so se avrebbe mai retto un tour de force così intenso.

Andava a letto con donne quarantenni e cinquantenni che lo chiamavano per acquistare marjuana, cocaina e pillole di antidepressivi introvabili senza ricetta medica.
Una volta era stato beccato a letto con una signora, da un marito rientrato a casa all'improvviso.
La donna, colta in flagrante, aveva iniziato a urlare, accusando Patrick di stupro.
La ricchezza di quella famiglia, insieme all'incompetenza del suo avvocato, avevano fatto il resto. Otto anni per tentato stupro, di cui uno già scontato.

- Quella cagna urlava come un maiale sgozzato, quando la scopavo. - ripeteva spesso. - Appena esco vado di nuovo a trovarla e glielo faccio sentire duro tra le chiappe. - continuava, sorridendo maliziosamente.
Aveva diciassette anni e ne dimostrava si e no, quattordici.


Raccontava così tante palle che non sapevi mai se stesse mentendo o dicendo la verità. Ma era un tipo simpatico, uno di quelli a posto.
Non finiva mai di ciarlare e con lui riuscivo anche a farmi qualche risata. Mi faceva dimenticare di essere rinchiuso dentro una gabbia.

La prima volta che entrai nella mia cella, era disteso nel letto a guardare una rivista per soli uomini.
Appena sentì le chiavi della guardia che aprivano le sbarre, nascose il giornale sotto il cuscino e mi studiò con occhi curiosi.
La gabbia era una piccola stanza di 5 metri di lunghezza per 3 e mezzo di larghezza. Sulla destra c'era un letto a castello, con materassi sottili e rete in ferro, che durante la notte non finiva mai di cigolare. Dormire mi fu impossibile nei primi giorni di permanenza in carcere. I corridoi sembravano un concerto continuo di sferragliare metallico. Poi ci feci l'abitudine, ma all'inizio fu tremendo.

Sulla sinistra c'era un piccolo tavolo, fissato al muro, con una sedia, anch'essa bloccata con delle viti al pavimento. In fondo alla stanza si trovavano un lavabo e una tazza per fare i bisogni.
Tutto era in metallo. Avere i sanitari in porcellana era troppo pericoloso. C'era il rischio che qualche detenuto li rompesse per poi utilizzare i cocci come arma per offendere.
Non c'erano finestre. L'unica luce era un neon fissato sul soffitto, troppo in alto per poter essere smontato.
Alle 22 le lampade si spegnevano da sole e le uniche luci presenti erano quelle di emergenza lungo i larghi corridoi della prigione.

Entrai all'interno della cella, con in mano lenzuola pulite e una coperta sporca e consunta dall'uso. Sentii la guardia chiudere le sbarre dietro la mia schiena e feci un sospiro.
Ero dentro quella che sarebbe stata la mia casa per i futuri cinque anni. Due, se mi fossi comportato bene, secondo del mio avvocato.
Mi accomodai sul letto e mi misi le mani in faccia.
Pensavo di essere preparato; i giorni prima del processo avevo pensato alla possibilità di essere lì dentro. Ma quando poi ti ritrovi in gabbia, ti rendi conto che non si può mai essere preparati abbastanza per una cosa del genere.

- Che fai piangi? -
Pel di carota era sceso dal materasso in alto del letto a castello e quando avevo tolto le mani dal mio volto, mi ero trovato davanti le sue gambe, magre, bianche e lentigginose e i suoi boxer azzurri con dei fulmini come motivo decorativo.
Si sporse con la testa, e mi fissò preoccupato.
Tolsi le mani dal viso e lo fissai. Occhi azzurri, naso all'insù e labbra sottili rosa, il tutto incorniciato da capelli rossi tagliati a spazzola.
- No, non piango. - risposi, togliendo le mani dal viso, dopo essermelo sfregato con vigore.
- Ah ok. Perché il primo giorno di solito piangono tutti. - rispose lui.
- Non io. - dissi facendo una smorfia con la bocca.
- Bene. Perché non sopporto quelli che piangono per tutta la notte. Poi non si riesce a dormire. -
Mi aveva dato la mano e aveva proseguito.
- Comunque piacere. Io sono Patrick. Patrick McAllister. -
- Ryker Tompson. - dissi.
- Allora Ryker, come mai ti hanno messo in gabbio? Spaccio? Prostituzione? Violenza carnale? -
- Nessuna delle tre. Mi hanno beccato a fare una rapina. -
- Ah, scippo, quindi. -
- Nessuno scippo. - risposi. - Stavo rapinando un negozio. -
- Wow! Beccato in flagrante? -
- Si. - sbuffai.
- E quanto rimarrai in nostra compagnia? -
- 5 anni. -
- Fico! -
- Già, Fico! -
- Non mi fraintendere, fico perché qui la maggior parte sono spacciatori, stupratori e qualche omicida. -
- La crème de la crème. - risposi ironicamente.
Lui ignorò il mio commento e proseguì.
- C'è stato anche un molestatore di bambini tempo fa, ma ha avuto vita dura e hanno preferito trasferirlo in un ospedale psichiatrico. Di rapinatori se ne vedono pochi. -
- Mi sento onorato. - risposi cercando di chiudere l'argomento.

Quello che ancora non sapevo, era che Patrick adorava chiacchierare, era la sua arma migliore per sopravvivere al carcere. Con il fisico magro che si ritrovava, la sua salvezza veniva dal suo cervello sempre attivo e al lavoro. Diventare colui che riforniva di merce la prigione dall'esterno, lo aveva messo in una posizione di spicco. Tutti si rivolgevano a lui. Dal detenuto più pericoloso a quello più debole, dall'omicida, a chi aveva solo qualche piccolo reato di spaccio.

C'è sempre bisogno di procurarsi cose all'esterno per vivere meglio in carcere e lui aveva sfruttato le sue qualità e la sua creatività per tenere al sicuro il suo culo magro. Era un ottimo oratore, un discreto bugiardo e la sua parlantina lo aveva spesso salvato da situazioni imbarazzanti e pericolose.
Nessuno si metteva contro Patrick. Il rischio di non poter avere oggetti utili per migliorare la propria vita carceraria era troppo alto.
Non aveva protezioni di nessun tipo e non faceva parte di nessuno gruppo o gang, ma nessuno lo disturbava. Era un politico nato, un genio del sotterfugio e a differenza dei veri politici, manteneva la parola data.
Se affermava di essere in grado di procurarti un qualcosa, potevi star sicuro che quella qual cosa sarebbe arrivata. Faceva eccezione solo per le armi. Non le contrabbandava, odiava la violenza e non l'ho mai visto procurarsene una, anche se le richieste non mancavano.
Riusciva a essere anche un fornitore per le guardie e ciò gli risparmiava perquisizioni con conseguenti punizioni. La cosa tornava utile anche a me, stare con un tizio che rifornisce tutto il carcere e che teneva materiale di ogni tipo, era un rischio anche per il suo compagno di cella.

Fortunatamente anche lui quella sera non aveva molta voglia di parlare, così non fu insistente.
- Vedo che non sei tipo da molte parole. - disse. - Va bene, ci conosceremo meglio domani. Ora finisco un lavoretto. -
Mi sorrise e io storsi la bocca infastidito.
Saltò sul letto superiore e tirai un sospiro di sollievo. Non ero proprio dell'umore adatto per fare conversazione. Inoltre dovevo ancora inquadrarlo bene, capire se potevo o meno fidarmi di lui.

La fiducia è una cosa astratta in una galera. Se esiste il detto "Non puoi mai conoscere veramente una persona", in carcere, quel motto va moltiplicato per cento.
Non sai mai su chi puoi fare veramente affidamento. Il tradimento, le spiate e gli inganni sono all'ordine del giorno. Puoi pensare di essere al sicuro vicino a una persona, salvo poi scoprire che sta facendo il doppio gioco. Un'altra cosa importante oltre alla droga e i soldi, sono le informazioni. Più cose conosci, più sei importante. La conoscenza di segreti è una merce di scambio enorme. E' così anche nella vita reale. Più cose sai e più sei forte.
In carcere è come giocare una mano a poker, conoscendo le carte del tuo avversario. Sai quando abbandonare la mano, rilanciare o giocarti l'all in.

Sistemai le lenzuola e mi buttai sul letto.
Sopra di me, la branda iniziò a cigolare. Bussai sul materasso sopra la mia testa per far capire a Patrick di smetterla di muoversi. Lui rispose affannosamente:
- Aaa... Aspetta! Ho quasi finito. -
Non avevo capito quello che stava combinando fino a quando non sentii un gemito roco provenire dalla gola dello scozzese. Aveva appena finito di masturbarsi.

Scese dal letto nudo, il cazzo ancora duro e sporco di sperma sulla punta. Appoggiò il culo sul cesso, fece una sonora scoreggia e si mise tranquillamente a cagare. Nel giro di pochi secondi la stanza puzzava di merda da far vomitare.
Gemetti disgustato mentre Patrick provava a giustificarsi con il sorriso sulle labbra:
- Scusa amico, sono un po' costipato ultimamente. Sai qui dentro ci danno la merda da mangiare e sono un po' debole d'intestino. Penso sia un problema ereditario di famiglia. -
C'era da credergli. Penso di non aver mai sentito un puzzo così disgustoso, per il resto della mia vita.

La privacy. È questo il vero problema del carcere. In nessun momento della tua vita carceraria puoi avere privacy.
Non sei mai da solo. Ti ritrovi a dormire con il tuo compagno di cella, mangi in un salone enorme con gli altri detenuti, per ogni spostamento sei accompagnato da guardie. Ti lavi in docce comuni, lavori all'interno della struttura con altri carcerati, dormi e fai i tuoi bisogni davanti al tuo compagno di gabbia.
È una cosa difficile da capire e all'inizio è veramente dura. Non sei abituato a non poter mai stare da solo. Tutti quanti, prima o poi, durante la giornata, abbiamo dei momenti di solitudine. In carcere no. Lì dentro sei sempre in compagnia.

La prima volta che sono finito in infermeria è stato tre giorni dopo il mio ingresso. Non andavo in bagno dall'ultima volta che ero uscito di casa.
Colica intestinale. Avevo trattenuto così tanto lo stimolo che il mio corpo si era ribellato. Ma non ce la facevo. Era più forte di me. L'idea di fare una cosa così intima davanti a un'altra persona, davanti a delle guardie o ad altri detenuti che magari passavano proprio in quel momento, mi bloccava. Mi vergognavo da morire.

Il medico della prigione risolse il mio problema con un bel clistere. Rimasi in bagno quattro ore. Un bagno chiuso. Senza che nessuno ti guardasse. Non mi pareva vero. Sarei voluto rimanere in infermeria per il resto della mia permanenza in carcere.
Ma farsi ricoverare ogni volta che dovevo fare la cacca non era certo la soluzione ai miei problemi.

Tempo dopo ci feci l'abitudine. In prigione dopo un po' non fai caso più a niente. Dimentichi il concetto di privacy che hai maturato nella tua mente quando eri libero. Fare cose intime davanti agli altri, diventa normale. Certo ci vuole di tempo, ma poi tirar fuori l'uccello e pisciare con i detenuti intorno, non ti fa più nessun effetto. E loro non ci fanno nemmeno caso. Cambia l'idea di intimità, semplicemente perché lì dentro è una cosa che non esiste, una cosa sconosciuta.

Risolsi il problema successivamente, spostando il mio orologio biologico alla notte.
Durante il giorno, la maggior parte del tempo, le celle restavano aperte, mentre la sera venivano chiuse alle 21 in punto. Con le luci spente alle 22, il complesso rimaneva quasi totalmente al buio.
Così aspettavo nel mio letto e non appena c'era il "dormite tutti", sbucavo fuori dalle mie lenzuola per fare i miei bisogni grossi. Certo c'era sempre Patrick che poteva vedermi, ma era un compromesso accettabile per un ragazzo riservato come me. Alla fine, il tuo compagno di cella diventa la persona che conosce il tuo corpo quasi meglio di te. Se all'inizio ti senti in imbarazzo a mostrarti nudo davanti agli altri, con il passare del tempo diventa un'abitudine. E il tuo compagno impara a conoscere a memoria il tuo corpo, ogni imperfezione estetica, ogni minimo cambiamento che si verifica.

I primi tempi cercavo di rimanere il più coperto possibile davanti a Patrick, poi non ci feci più caso. Come ho già detto prima, il concetto di intimità cambia radicalmente rispetto a quando sei libero. E quando esci, hai una concezione del tutto nuova.
Tutt'ora, a distanza di tempo, nella tranquillità di casa mia, se vado in bagno lascio tranquillamente la porta aperta.
Non ho remore, non ho vergogna.

Il "click" avviene quando il tuo fisico ti avvisa di aver un bisogno impellente da realizzare.
Quando senti la necessità di masturbarti.
Superata quella salita, il resto è tutto in discesa. Perché la masturbazione è una cosa fisiologica se non ci si vuole svegliare con il letto bagnato di sperma e dormire in lenzuola sporche che quasi mai vengono cambiate.

E in galera, la masturbazione è sport nazionale. Posso assicurare con certezza che se farsi le seghe fosse una disciplina olimpica, dentro il carcere ci sarebbero dei veri e propri campioni mondiali. Lo stesso Patrick sarebbe tranquillamente salito sul podio dei segaioli. Medaglia d'oro. A mani basse. In scioltezza.

E poi c'è anche chi non si accontenta di sfogare i propri bisogni con il solo aiuto della mano.

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